Protocollo Kreisau-postfazione con note

di Nicola D’Alessandro

 

  1. Gli sherpa sono un gruppo etnico delle montagne del Nepal, Tibet orientale che constava nel 2002 di 155.000 individui. Sono internazionalmente noti come guide e portatori di alta quota ingaggiati per le spedizioni sull’Himalaya anche se provengono da altre etnie come rai, tamang, gurung. Negli ultimi anni tale termine viene usato per indicare anche i funzionari diplomatici che preparano gli incontri internazionali tra capi di Stato o di governo e che stilano le bozze delle relative conclusioni. Il loro lavoro è il più oneroso, mentre il merito degli accordi spetta ai governanti. Lo stesso accade nelle spedizioni in alta quota dove gli sherpa trasportano i carichi più pesanti e mettono in sicurezza i percorsi consentendo agli alpinisti di raggiungere le vette.
  2. istituto di fantasia dell’Autore.
  3. In fisica teorica, una curva di tipo tempo chiusa (CTC; in inglese closed timelike curve) è una linea di universo chiusa la quale implica, quindi, che l’oggetto da essa rappresentato, continuando a viaggiare nel futuro, torni, sia nello spazio sia nel tempo, al punto da cui è cominciata la linea di universo stessa (viaggiando, quindi, a ritroso nel tempo). Esistono metriche, soluzioni delle equazioni di campo nella relatività generale di Albert Einstein, che permettono la presenza di tali linee. La scoperta di queste soluzioni è dovuta al matematico e logico Kurt Gödel nel 1949. Dopo aver letto i risultati ottenuti dall’amico matematico, Einstein confessò che il problema di uno spazio-tempo che permettesse curve temporali chiuse lo aveva preoccupato fin dall’epoca in cui stava elaborando la teoria della relatività generale, senza, peraltro, essere riuscito a chiarirlo. In seguito furono proposte altre soluzioni (come cilindri rotanti, buchi neri rotanti o wormhole), ma non è ancora chiaro se le condizioni imposte siano “fisicamente accettabili”. L’esistenza di curve chiuse di tipo tempo implicherebbe la possibilità di violazioni del principio di causalità.
  4. Wuhan è una città sub-provinciale della Cina, capoluogo e città più popolosa della provincia di Hubei. Posta alla confluenza del fiume Azzurro e del fiume Han, negli anni ’20 del secolo scorso la città fu capitale del governo nazionalista di sinistra di Wang Jingwei, in opposizione a quello di Chiang Kai-shek. Nel gennaio 2020 Wuhan si è imposta alle cronache mondiali come primo importante luogo in cui si è diffuso il coronavirus COVID-19, determinando la nota pandemia diffusasi poi in tutto il mondo. Nel presente romanzo l’autore ipotizza una pandemia molto più invasiva e mortale di quella conosciuta, che determina una vera e propria decimazione del genere umano.
  5. Validazione: temine tecnico-buracratico che significa convalida.
  6. T.S.O.: Trattamento sanitario Obbligatorio.
  7. In informatica il browser Web (o semplicemente browser /ˈbraʊzə(r)/), in italiano navigatore Web, è un’applicazione per l’acquisizione, la presentazione e la navigazione di risorse sul Web. Tali risorse (come pagine web, immagini o video) sono messe a disposizione sul World Wide Web (la rete globale che si appoggia su Internet), su una rete locale o sullo stesso computer dove il browser è in esecuzione. Il programma implementa da un lato le funzionalità di client per il protocollo HTTP, che regola il download delle risorse dai server web a partire dal loro indirizzo URL; dall’altro quelle di visualizzazione dei contenuti ipertestuali (solitamente all’interno di documenti HTML) e di riproduzione di contenuti multimediali (rendering). Tra i browser più utilizzati vi sono Google Chrome, Mozilla Firefox, Microsoft Edge, Safari, Opera e Internet Explorer.
  8. La Food and Drug Administration (“Agenzia per gli alimenti e i medicinali”, abbreviato in FDA) è l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, dipendente dal Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti d’America.
  9. E.M.A. è l’’Agenzia europea per i medicinali (in inglese: European Medicines Agency, abbreviata in EMA, fino al 2004 conosciuta come European Agency for the Evaluation of Medicinal Products, o con l’acronimo EMEA) è l’agenzia dell’Unione europea per la valutazione dei medicinali che ha sede ad Amsterdam.
  10. Thales Alenia Space è la società nata da Alcatel Alenia Space dopo che il gruppo francese Thales ha acquistato l’intera partecipazione della francese Alcatel nelle due joint-venture con la holding italiana Leonardo (ex Finmeccanica) in campo spaziale. La società è la più grande produttrice di satelliti in Europa[3] specializzata nel settore aerospaziale, spaziale, difesa, sicurezza, trasporti. Delle due joint-venture della cosiddetta Space Alliance franco-italiana, Thales Alenia Space rappresenta quella nel settore manifatturiero spaziale di volo (l’altra è Telespazio, che è orientata ai servizi spaziali), comprendendo progetto, sviluppo, integrazione, test e supporto post-lancio di un intero sistema extra-atmosferico (satelliti artificiali, sonde interplanetarie, osservatori spaziali, infrastrutture abitate,…), inclusa la realizzazione dei suoi sotto-sistemi e degli equipaggiamenti elettronici. Il settore spaziale mondiale genera un volume di affari per oltre 140 miliardi di euro all’anno, di cui almeno 47 sono relativi alla manifattura spaziale[1]: la parte intercettata da Thales Alenia Space si aggira mediamente intorno ai 2,5 miliardi di euro. Nel 2015 il contributo della componente nazionale Thales Alenia Space – Italia al fatturato della joint-venture è stato di circa 622 milioni di euro.
  11. L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) è un ente governativo italiano, istituito nel 1988, che ha il compito di predisporre e attuare la politica aerospaziale italiana. Dipende e utilizza i fondi ricevuti dal Governo italiano per finanziare il progetto, lo sviluppo e la gestione operativa di missioni spaziali, con obiettivi scientifici e applicativi. Gestisce missioni spaziali in proprio e in collaborazione con i maggiori organismi spaziali internazionali, prima tra tutte l’Agenzia spaziale europea (dove l’Italia è il terzo maggior contribuente dopo Francia e Germania, e a cui l’ASI corrisponde una parte del proprio budget), quindi la NASA e le altre agenzie spaziali nazionali. Per la realizzazione di satelliti e strumenti scientifici, l’ASI stipula contratti con le imprese, italiane e non, operanti nel settore aerospaziale. Ha la sede principale a Roma e centri operativi a Matera (sede del Centro di geodesia spaziale Giuseppe Colombo) e Malindi, Kenya (sede del Centro spaziale Luigi Broglio). Il centro di Trapani-Milo, usato per i lanci di palloni stratosferici dal 1975, non è più operativo dal 2010. Ha un organico di circa 260 dipendenti (al 2018), e un budget annuale al 2019 di circa 1,075 miliardi di euro. Le attività di ricerca vengono svolte in cooperazione con le Università, il CNR, gli osservatori astronomici, ecc. I campi di studio sono in genere le “scienze dell’universo, le scienze della Terra, le scienze della vita” e la tecnologia aerospaziale.
  12. Il Consiglio supremo di difesa è un organo di rilevanza costituzionale preposto all’esame dei problemi generali politici e tecnici attinenti alla sicurezza e alla difesa nazionale. Previsto dall’art. 87 della Carta Costituzionale, esso è stato istituito con la legge 28 luglio 1950, n. 624 (la norma ora abrogata è stata ricompresa, senza modifiche, nel Codice dell’Ordinamento Militare – Decreto Legislativo del 15 marzo 2010, n. 66), e successivamente disciplinato nelle sue modalità organizzative e funzionali attraverso specifiche norme. Il Consiglio è presieduto dal Capo dello Stato ed è composto dal Presidente del Consiglio dei ministri, dai Ministri per gli affari esteri, dell’interno, dell’economia e delle finanze, della difesa e dello sviluppo economico e dal Capo di stato maggiore della difesa. Partecipano per prassi alle riunioni del Consiglio il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, il Segretario generale della Presidenza della Repubblica ed il Segretario del Consiglio supremo di difesa. A seconda delle circostanze e della materia trattata, possono essere chiamati a prendere parte alle riunioni anche altri ministri, i Capi di stato maggiore di Forza armata, il Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, il Presidente del Consiglio di Stato, nonché ulteriori soggetti e personalità in possesso di particolari competenze in campo scientifico, industriale ed economico ed esperti in problemi militari. Il Consiglio supremo di difesa è il principale strumento attraverso il quale il Capo dello Stato acquisisce circostanziate conoscenze degli orientamenti del Governo in materia di sicurezza e difesa, per poter svolgere adeguatamente il complesso ruolo di equilibrio e garanzia attribuitogli dalla Costituzione. Più in generale, il Consiglio costituisce sede istituzionale permanente per la discussione e l’approfondimento multidisciplinare delle problematiche relative alla sicurezza ed alla difesa. Le attività condotte nel suo ambito e quelle che da esse conseguono concorrono a porre i suoi componenti nelle condizioni di esercitare, in maniera sinergica rispetto a linee d’azione condivise, i rispettivi ruoli istituzionali, sia in rapporto alla propria specifica area di competenza sia a supporto di quella di ciascuno degli altri. In altri termini, il Consiglio supremo di difesa è strumento di dialogo e di confronto preventivo tra i responsabili dell’indirizzo politico in materia di difesa nazionale: attraverso esso i suoi componenti possono concorrere a definire criteri per il migliore esercizio delle rispettive singole competenze.
  13. servizi: locuzione tronca per significare “Servizi segreti”.
  14. Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica (CISR) è un organismo di consulenza, proposta e deliberazione sugli indirizzi e le finalità generali della politica dell’informazione per la sicurezza, e in caso di situazioni di crisi che coinvolgano aspetti di sicurezza nazionale. In particolare il Comitato delibera sulla ripartizione delle risorse finanziarie e sui bilanci preventivi e consuntivi di DIS, AISE e AISI, indica il fabbisogno informativo necessario ai ministri per svolgere l’attività di governo. Sono membri del CISR: il Presidente del Consiglio dei ministri, l’Autorità delegata dal medesimo Presidente (ordinariamente il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri), il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa, il Ministro della giustizia, il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico ed il Ministro della transizione ecologica. Al Direttore generale del DIS sono assegnate le funzioni di segretario del Comitato.
  15. La rete di comunicazione satellitare militare italiana denominata SICRAL, realmente esistente, funziona esclusivamente su dispositivi accreditati presso la Difesa nazionale ed interagisce solo con gli altri sistemi satellitari e reti, come quelli della NATO, riconosciuti dal nostro sistema.
  16. La Nuova Cancelleria del Reich (in tedesco: Neue Reichskanzlei) sita a Berlino in Voßstraße n. 2-10, fu la sede del governo tedesco a Berlino dal 1939 al 1945. Fu distrutta dai bombardamenti sovietici nel corso della battaglia di Berlino nell’aprile 1945. La costruzione del palazzo della Nuova Cancelleria del Reich (in tedesco: Neue Reichskanzlei), a Berlino, fu iniziata nel gennaio 1938 dall’architetto Albert Speer (19051981) per volere di Adolf Hitler, intorno all’angolo di Voßstraße, una diramazione occidentale di Wilhelmstraße, che ordinò che l’edificio fosse completato entro un anno. Il Führer affermò che la vecchia Cancelleria di Bismarckera adatta per un’azienda produttrice di sapone“, ma non adeguata come quartier generale del più grande Reich tedesco. La nuova residenza, eretta nello stesso sito che qualche anno prima Speer aveva contribuito a restaurare (terminata nel 1739 secondo il progetto di Carl Friedrich Richter), rimase la sede ufficiale di Hitler con le recenti stanze ristrutturate, anche nei pavimenti, riunite nel complesso denominato l’appartamento del Capo (Führerwohnung). La Vecchia e la Nuova Cancelleria erano divise dall’area di un vasto giardino con il sotterraneo bunker, fortificazione militare difensiva (ancora esistente) dove il dittatore visse gli ultimi giorni della sua vita nell’aprile 1945.Speer affermò, nella sua autobiografia, che terminò il lavoro richiesto, disegnando, costruendo e arredando il complesso in poco meno di un anno. Infatti, le preliminari versioni dei disegni erano già state elaborate nel 1935. Approntare lo spazio per la Nuova Cancelleria, composta dai palazzi che sarebbero sorti sulla parte settentrionale della Voßstraße, comportò la demolizione dei vecchi e inutilizzati fabbricati preesistenti avvenuta nel 1937. Hitler mise a disposizione l’intera zona nord della menzionata arteria incaricando l’architetto di realizzare una spaziosa hall e grandi saloni che “dovevano impressionare il popolo”. Speer aveva ricevuto, come compenso, un assegno a vuoto – Hitler asseriva che il costo dell’opera era immateriale – e gli era stato raccomandato che i palazzi dovevano essere di solida struttura e finiti entro il successivo mese di gennaio, in tempo per poter ricevere il Corpo diplomatico. Più di 4.000 lavoratori operarono nella ricostruzione, alternandosi nelle varie fasi in modo da ottenere un preciso e soddisfacente risultato. L’immensa edificazione si concluse 48 ore prima del tempo programmato, e il progetto valse a Speer la reputazione di geniale organizzatore e il conferimento, da parte di Hitler, della carica di ministro agli armamenti e alla produzione bellica dal 1942 al 1945. L’architetto reclutò l’intera forza lavoro: muratori, carpentieri, idraulici e altri operai specializzati erano invitati a far sì che la fine dell’opera fosse sicura e prossima. Hitler, poi, indirizzò le maestranze nello Sportpalast. Alcune rifiniture interne, però, furono perfezionate soltanto nel 1940. Il costo superò i 90 milioni di Reichmark, oltre un miliardo di dollari attuali. La sequela di locali incominciava con la galleria di ricevimento, lunga 145 metri, assai apprezzata da Hitler e decorata con una preziosa varietà di materiali e colori. L’ufficio del führer era grandissimo. L’esterno della Cancelleria aveva un aspetto severo e incuteva soggezione. La Corte d’onore fungeva da accesso principale e, ai lati del portone, si ergevano due statue bronzee dello scultore Arno Breker. La Nuova Cancelleria fu distrutta dai bombardamenti sovietici nel corso della battaglia di Berlino, nell’aprile 1945. Ciò che restò fu demolito per ordine delle forze di occupazione russe e il materiale utilizzato per la realizzazione del memoriale ai soldati sovietici di Treptower Park e di altri edifici.
  17. Il conte Bernardo Attolico (Canneto di Bari, 17 gennaio 1880 – Roma, 10 febbraio 1942) è stato uno dei più celebri diplomatici italiani. Laureatosi nel 1901 in Giurisprudenza all’Università di Roma, studioso di Economia politica, nel 1903 divenne professore di Scienze finanziarie all’Istituto Tecnico di Foggia. Successivamente si recò negli Stati Uniti, in Canada e in Turchia come Ispettore Governativo del Commissariato Generale dell’Emigrazione. Nel 1915 fu chiamato a rappresentare il Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio presso la Commission Internationale de Ravitaillement di Londra e nel 1916 rappresentò l’Italia nel Wheat Executive, nel War Purchases and Finance Council, nell’Allied Maritime Transport Executive e nel Food Council Executive. Anche alla luce del ruolo svolto nel primo conflitto mondiale a Londra (in qualità di Capo della Delegazione al Servizio Rifornimenti Bellici), nel 1918 fu nominato Sottosegretario alla Lega delle Nazioni a Ginevra. Nel 1921 divenne Vice Segretario Generale della Società delle Nazioni, dopo essere stato Alto Commissario a Danzica. Successivamente fu ambasciatore dello Stato Italiano, ricoprendo le sedi diplomatiche nel 1927 di Rio de Janeiro e nel 1930 di Mosca. Dal 1935 al 6 maggio 1940 fu ambasciatore a Berlino e successivamente, fino alla sua morte avvenuta nel 1942, presso la Santa Sede. Circa la sua permanenza nella capitale dell’Unione Sovietica, nella quale operò per il ministro degli Esteri Dino Grandi alla realizzazione degli accordi italo-sovietici, riguardante peraltro l’appoggio italiano all’ingresso dell’URSS nella Società delle Nazioni, Mario Toscano scrisse che “seppe sfruttare, in un indirizzo generale di politica distensiva e di intese in Europa, sia l’azione del Commissario agli Esteri Litvinov, per un inserimento dell’URSS nella vita internazionale, sia la tendenza di Mussolini ad appoggiare ogni accordo coi paesi dell’Est europeo per un sistema di sicurezza“. Di assai diverso tenore il relato di Francesco Saverio Nitti che, in un articolo giornalistico nel quale lo accusava di avere a che fare con lo spionaggio, si domandava: “Lo spirito d’intrigo d’Attolico, quale attività spiegherà a Mosca?” L’operato di Attolico portò comunque alla sottoscrizione, il 2 settembre 1933, di un Patto di amicizia e non aggressione fra Roma e Mosca. Dovette in seguito gestire la questione del trattamento degli stranieri in URSS, che veniva visto da parte italiana come strumento per la protezione dei sovversivi, in ispecie italiani, che vi si rifugiavano; la questione provocò diverse frizioni, come nel caso della richiesta di rimpatrio di Luigi Tolentino, capo della Federazione Provinciale Palermitana del Partito Comunista d’Italia nel 1924 e agente segreto del Comintern nella capitale sovietica negli anni Trenta. Nel 1935 fu inviato come ambasciatore a Berlino, ove rimase fino a dopo l’inizio del secondo conflitto mondiale. In questo ruolo assistette alla formazione dell’Asse, alleanza fra l’Italia fascista e la Germania nazista, in stretta collaborazione con Galeazzo Ciano quando questi fu ministro degli esteri. A partire dal 1939 fu in prima linea nelle trattative italo-tedesche relative alla questione altoatesina, che si concluse con le Opzioni in Alto Adige. Capì sin dall’inizio le vere intenzioni germaniche di scatenare un conflitto e si adoperò, in ciò condiviso da Ciano, con ogni forza per spiegare al governo italiano come stavano realmente le cose al di là dei proclami di facciata di Hitler e dei suoi gerarchi. Fece in prima persona sempre proposte di mediazione e di ricerca di risoluzione pacifica dei contrasti, esponendosi molte volte anche personalmente. Il suo lavoro fu eccellente in occasione degli ultimi giorni di pace, verso la fine dell’agosto 1939: in quel frangente il “vecchio” Attolico corse incessantemente tra la sua ambasciata, la Cancelleria tedesca e le ambasciate di Gran Bretagna e Francia con dispacci di mediazione e con proposte – spesso prese di sua iniziativa – per salvare la pace. Questi tentativi di evitare, almeno all’Italia, la guerra, valsero ad Attolico l’antipatia e il disprezzo di Hitler e Ribbentrop, che chiesero a Mussolini – e ottennero – la sua sostituzione con Dino Alfieri, un uomo più allineato e certamente molto meno esperto ed astuto del suo predecessore. Galeazzo Ciano, grato all’amico per il suo fedele operato, riuscì a farlo nominare nel 1940 Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, carica che il conte Attolico ricoprì sino alla morte. Per l’impegno profuso da Bernardo Attolico nel servizio diplomatico alla nazione, nel 1942 il re Vittorio Emanuele III gli conferì motu proprio il titolo ereditario di conte di Adelfia. Nel 1924 si unì in matrimonio con Eleonora Pietromarchi, sorella di Luca, in seguito anch’egli ambasciatore. Anche i figli Giacomo e Bartolomeo hanno seguito la carriera diplomatica. Attolico era un uomo anziano ma energico, fascista moderato e diplomatico esperto, furbo e attento; soprattutto, fu infaticabilmente alla ricerca di una pace di equilibrio tra le potenze europee. Famoso fu un suo rapporto allarmante a Benito Mussolini che denunciava come imminente un attacco tedesco contro la Polonia, in cui suggeriva al Duce di accelerare un incontro tra Ciano e Ribbentrop per pretendere ulteriori garanzie. Quando ormai agli italiani appariva palese che gli alleati tedeschi volevano solo la guerra, Mussolini, su suggerimento di Ciano e Attolico, tentò di smarcarsi dal Patto d’Acciaio, firmato pochi mesi prima, per l’impreparazione del suo esercito. Per giustificare la sua scelta con Adolf Hitler, il Duce scrisse che aveva bisogno di moltissime materie prime e ne mandò una sterminata lista al Führer. Attolico stesso aggiunse di suo pugno che Mussolini le voleva in 24 ore, nelle sue parole “per scoraggiare i tedeschi a venire incontro alle nostre proposte“.

 

  1. Ulrich Friedrich Wilhelm Joachim Ribbentrop, dal 1925 von Ribbentrop (Wesel, 30 aprile 1893Norimberga, 16 ottobre 1946), è stato un politico, diplomatico e criminale di guerra tedesco, ministro degli esteri della Germania nazista dal 1938 al 1945, principalmente noto per il successo ottenuto con la firma del patto Molotov-Ribbentrop. Venne condannato a morte nel processo di Norimberga per crimini di guerra. Nacque da una famiglia benestante di origine sassone. Il padre Richard era ufficiale dell’esercito; la madre Sophie Hertwig era figlia di un possidente terriero. La sua gioventù risultò quanto meno singolare per un adolescente dell’epoca. Nonostante i genitori lo spingessero verso una carriera militare, egli all’età di soli 16 anni decise di abbandonare gli studi per recarsi in Nord America, inseguendo il desiderio di perfezionarsi nelle lingue straniere. Nel 1910 approdò a New York, dove intraprese con scarso successo una carriera di giornalista. Dopo pochi mesi si trasferì in Canada, dove grazie al denaro della madre riuscì a inserirsi nella buona borghesia canadese e in breve riuscì anche a fondare un’azienda che importava champagne dalla Francia, attività che si rivelò di discreto successo. Allo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, decise di tornare in patria e arruolarsi. Sfiorò la cattura quando la nave dove prestava servizio venne attaccata e catturata degli inglesi, ma riuscì a scamparla e nel volgere di pochi mesi riuscì a conquistarsi la croce di ferro di prima classe. Nel 1915, in virtù della sua conoscenza delle lingue e della cultura anglosassone, venne trasferito dal campo agli uffici e adibito a compiti di carattere diplomatico. Nel 1918 venne inviato a Istanbul come reggente plenipotenziario del consolato tedesco. Partecipò anche alla delegazione tedesca che nel 1918 firmò il trattato di pace a Versailles. Finita la guerra abbandonò la carriera militare, dedicandosi al lavoro di rappresentante di case vinicole. Nel 1920 sposò Annelies Henkell, figlia del maggior produttore dell’epoca di spumanti tedeschi, da cui ebbe cinque figli. Lavorò quindi come direttore della sede di Berlino dell’azienda del suocero. Questa occasione gli consentì di superare senza troppi problemi gli anni della grande depressione economica tedesca. Riuscì anche a fondare una sua ditta: la Schonberg & Ribbentrop, unica importatrice in Germania di champagne francesi e liquori inglesi. Acquisì il “von” davanti al cognome (prerogativa nobiliare nella Germania imperiale) facendosi adottare dalla zia sessantaduenne Gertrude Charlotte von Ribbentrop, figlia del tenente generale Karl Barthold Sigismund von Ribbentrop (morto nel 1893) a cui il Kaiser aveva concesso il prefisso per meriti militari nel 1884. Poiché una legge del 1919 della Repubblica di Weimar privò il “von” di significati nobiliari integrandolo nel cognome, l’adozione da parte della zia gli consentì di assumerne il nome per intero, senza che questo significasse alcun trasferimento di titolo nobiliare[3]. Grazie a questa manovra, riuscì a entrare, non senza il determinante aiuto del barone Franz von Papen, suo amico, nei circoli aristocratici di Berlino. Queste conoscenze si sarebbero rivelate utili, in seguito, per la sua carriera diplomatica nella Germania nazista. Ribbentrop conobbe Adolf Hitler nel 1929, ma si unì al Partito Nazionalsocialista solo nel 1932. Grazie alla sua conoscenza degli affari esteri venne fin dall’inizio adibito a incarichi di carattere diplomatico all’interno del partito. La presa del potere da parte di Hitler fu resa possibile anche grazie a Ribbentrop, il quale convinse il suo amico Franz von Papen ad accordarsi con i nazisti. Ribbentrop fu incaricato da Hitler di creare una sorta di “ministero della propaganda segreto”, con il compito di divulgare l’ideologia nazista nei salotti bene nella Germania degli anni trenta. Il primo incarico diplomatico ufficiale di rilievo lo ricevette nel 1935 quando negoziò con il Belgio il trattato di neutralità del Paese. Nello stesso anno, fu tra i firmatari dell’accordo navale siglato fra la Germania hitleriana e il Regno Unito, che di fatto consentì al Reich di dotarsi di una moderna flotta di sommergibili.[4] L’anno successivo fu incaricato di recarsi nuovamente a Londra per impedire un intervento britannico in favore della regione della Renania, appena occupata dall’esercito tedesco. In quei lunghi soggiorni a Londra, complici alcune memorabili figuracce (tra cui il saluto nazista a re Giorgio V) che gli valsero l’appellativo di “Herr Brickendrop” e “Ribbensnob” non riuscì nell’intento di impedire all’Inghilterra di schierarsi contro la Germania, in caso di un conflitto mondiale. Divenne ministro degli esteri nel 1938 in sostituzione di von Neurath, nell’ambito di una radicalizzazione in senso anti-britannico della politica estera tedesca, e conservò tale carica fino alla fine della seconda guerra mondiale. Nel 1939 Ribbentrop divenne celebre per aver firmato il Patto d’Acciaio con l’Italia fascista, nonostante odiasse cordialmente il suo omologo Galeazzo Ciano, che tra l’altro ricambiava ampiamente questi sentimenti come si evidenzia dai suoi “Diari“. Nello stesso anno inoltre ottenne quello che sarebbe stato il suo più grande successo diplomatico: in agosto si recò in Unione Sovietica investito di pieni poteri da Hitler per ottenere un patto di non aggressione tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica. Nonostante i precedenti attriti e le divergenze ideologiche fra i due regimi, l’impresa riuscì e la notte del 24 agosto, il giorno successivo alla partenza di Ribbentrop per Mosca, il ministro degli esteri sovietico Molotov firmò il trattato. Ribbentrop rientrò in patria con un prezioso documento che consentirà a Hitler di poter preparare con più tranquillità la guerra contro le democrazie occidentali, dopo aver temporaneamente allontanato la minaccia dell’URSS. Il 1º settembre 1939 la Wehrmacht entrò in Polonia, dando così inizio alla seconda guerra mondiale. Con l’acuirsi del conflitto, il ruolo della diplomazia conobbe un forte declino. Il colpo di grazia alla carriera diplomatica glielo fornì proprio colui che lo aveva elevato a un rango politico così elevato: Adolf Hitler. Nel giugno del 1941 partì l’invasione dell’Unione Sovietica e il patto Molotov-Ribbentrop non ebbe, ovviamente, più valore: la più grande vittoria diplomatica di Ribbentrop finì irrimediabilmente calpestata. Al compimento del suo cinquantesimo compleanno i suoi più stretti collaboratori gli regalarono uno scrigno con delle pietre incastonate, all’interno del quale avevano intenzione di mettere le copie degli accordi internazionali stipulati dal Ministro, ma al momento della consegna del regalo si resero conto che buona parte di quei documenti erano ormai carta straccia, perché erano pochissimi i patti che nel frattempo la Germania non avesse spezzato. Il ministro degli esteri venne messo da parte, e da quel momento la sua figura servirà solo per apporre firme su documenti e trattati stipulati con Paesi vassalli come Bulgaria, Ungheria o Romania, che finirono per allearsi e scendere in guerra al fianco del Terzo Reich, non solo per personale convinzione ma anche per forti pressioni da parte di Berlino. Nel 1941 nacque all’interno del ministero un ufficio creato dalle SS: l’Abteilung Deutschland (Ufficio Germania), divenuto poi Inland alla cui direzione Ribbentrop pose il suo amico Martin Bormann. L’Inland aveva il compito di occuparsi della cosiddetta “questione ebraica“. Proprio da questo ufficio, o meglio dalla sezione III, nacque il Piano Madagascar, ideato da Franz Rademacher per l’ipotetica deportazione degli ebrei europei nell’isola africana. Successivamente questo ufficio si preoccupò di inviare alle ambasciate e ai consolati tedeschi le istruzioni per l’attuazione delle misure di deportazione. Il coinvolgimento di Ribbentrop nel piano di deportazione e sterminio degli ebrei fu a questo punto inequivocabile. Con la disfatta della Germania nazista e il suicidio di Adolf Hitler il 30 aprile 1945, Ribbentrop ricevette l’incarico dall’ammiraglio Karl Dönitz di far parte del nuovo governo della Germania, ma decise di darsi alla macchia. Il suo intento era quello di sfruttare le sue conoscenze diplomatiche per cercare di fuggire in Sud America, operazione che riuscirà a parecchi nazisti in quel periodo così convulso. Ribbentrop, però, non riuscì a fuggire e il 14 giugno 1945, nei pressi di Amburgo, cadde nelle mani degli inglesi, dopo aver cercato di nascondere la propria identità con uno pseudonimo. In carcere gli venne requisita una capsula di cianuro nascosta in un dente. Fu quindi trasferito al campo Ashcan e il 10 agosto del 1945 portato assieme agli altri prigionieri a Norimberga. Egli fu uno dei personaggi di spicco tra gli accusati al processo di Norimberga, dove fu giudicato colpevole di tutti e quattro i capi di accusa rivoltigli: cospirazione contro la pace, atti di aggressione, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e violazione della convenzione di Ginevra. Definito “volgare assassino” dal Procuratore Generale del Regno Unito Shawcross, fu condannato a morte. Non mostrò alcun pentimento per le conseguenze delle sue azioni. La sua ultima dichiarazione al processo lo testimonia: «L’unica cosa della quale mi considero colpevole, davanti al mio popolo e non davanti a questo Tribunale, è di non essere riuscito nei miei scopi politici». La pena venne regolarmente eseguita il 16 ottobre 1946. Poiché Göring si era tolto la vita prima di salire sul patibolo, Ribbentrop fu il primo a venire giustiziato tramite impiccagione. Le sue ultime parole furono: «Dio protegga la Germania. Il mio ultimo desiderio è che la Germania realizzi il proprio destino, e venga raggiunto un accordo fra l’est e l’ovest. Spero che vi sia la pace nel mondo». Come tutti gli altri gerarchi giustiziati a Norimberga, dopo l’esecuzione il suo corpo fu trasportato nell’ex campo di concentramento di Dachau e lì bruciato in uno dei forni. Le sue ceneri vennero quindi gettate nel fiume Isar. Joachim von Ribbentrop nel test del QI, fatto dallo psicologo Gustave Gilbert sui principali accusati al processo di Norimberga, ottenne un punteggio pari a 129 (nella scala Wechsler QI = 130 ed oltre: nettamente superiore; QI = 120-129: superiore; QI =110-119: medio–superiore; QI = 90-109: medio, etc). Da alcuni fu definito: “il boia con la feluca“, “diplomatico senza scrupoli”. Da Galeazzo Ciano: “vanitoso, frivolo e loquace“. Benito Mussolini disse di lui: “Bastava guardargli la testa per capire che aveva poco cervello“. Da Hermann Göring: “primo pappagallo di Germania“, “stupido e borioso come un pavone“, “quel pazzo criminale“.
  2. Walther Hewel (Colonia, 2 gennaio 1904Berlino, 2 maggio 1945) è stato un diplomatico tedesco, che operò prima e durante la seconda guerra mondiale, nonché uno dei pochi amici personali di Adolf Hitler. Prestò servizio come diplomatico per il ministero degli esteri e, il 15 marzo 1939, effettuò la trascrizione del colloquio tra Hitler e il presidente ceco Emil Hácha. Tecnicamente Hewel fu un ambasciatore e avrebbe dovuto badare ai rapporti tra von Ribbentrop e Hitler. In realtà trascorse la maggior parte della guerra senza alcun incarico ufficiale e una volta si autodefinì “un ambasciatore senza alcuna destinazione“. I sopravvissuti tra i più vicini ad Hitler hanno sostenuto che Hewel avesse ottenuto tale posizione grazie alla sua antica militanza nel partito nazista e al fatto di essere amico di Hitler. Nelle sue memorie Traudl Junge, segretaria personale di Hitler, ha descritto Hewel come una specie di maggiordomo di Hitler. Sempre secondo la Junge, Hewel aveva l’incarico di coordinare i domestici, mantenere buoni i rapporti tra i militari e i civili dello staff di Hitler e tenere d’occhio i rapporti tra uomini e donne all’interno della cerchia. Quasi tutti i racconti lo descrivono come un uomo simpatico e gentile, anche se non molto intelligente. Di solito si occupava delle faccende e delle situazioni che Hitler non voleva gestire, come ad esempio informare la Junge della morte del marito in Normandia. Altri membri della cerchia delle persone più vicine ad Hitler hanno raccontato che, a differenza di molti altri leader nazisti, Hewel riusciva a restare sveglio e attento durante i lunghissimi monologhi del dittatore su argomenti come l’antisemitismo. Ad esempio il Generale Heinz Guderian, parlando di lui, osserva che era “ un buon conversatore e un buon ascoltatore”. Hewel rimase al fianco di Hitler fino al 30 aprile 1945, giorno in cui il dittatore si tolse la vita. Si dice che abbia tentato fino all’ultimo di sostenere e rasserenare Hitler. Apparentemente fu l’ultima persona ad avere una lunga conversazione personale con lui. Dopo il suicidio di Hitler, Hewel fuggì dal Führerbunker insieme ad un gruppo guidato da Wilhelm Mohnke, ma apparve molto provato da un forte stress psicologico. Nelle sue memorie Traudl Junge afferma che, dopo la morte di Hitler, Hewel sembrava estremamente confuso e incapace di prendere le decisioni anche più semplici. Poco prima dell’armistizio del 2 maggio 1945 Hewel rese nota la sua intenzione di suicidarsi. Nonostante gli sforzi del dottor Ernst-Günther Schenck, che tentò di dissuaderlo dall’idea, Hewel si uccise nello stesso modo di Hitler, ingerendo una capsula di cianuro e sparandosi contemporaneamente alla testa. Secondo Schenck, Hitler aveva effettivamente incoraggiato Hewel a suicidarsi, avvertendolo che se fosse stato catturato dall’Armata rossa sarebbe stato torturato. Inoltre Hitler gli aveva consegnato la capsula di cianuro e una pistola Walther 7.65, facendogli giurare che si sarebbe ucciso piuttosto di lasciarsi prendere dai russi.
  3. La cosiddetta lista del molibdeno era un elenco di richieste di materie prime e di materiali bellici che Benito Mussolini inviò alla Germania di Adolf Hitler come condizione per l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale. Prese questo nome da un commento fatto all’epoca dall’ambasciatore italiano a Berlino Bernardo Attolico, in quanto il tonnellaggio di molibdeno richiesto superava l’intera produzione mondiale dell’epoca, rendendo perciò chiaro che la lista era unicamente un pretesto per evitare l’entrata in guerra dell’Italia. L’elenco fu redatto durante una riunione tenutasi a Palazzo Venezia sabato 26 agosto 1939 fra Mussolini e i capi di stato maggiore delle forze armate italiane. Fu inviato all’ambasciatore italiano a Berlino lo stesso giorno, il quale a sua volta lo consegnò al ministro degli esteri tedesco Joachim von Ribbentrop. Il precipitare della situazione diplomatica europea nella seconda metà dell’agosto 1939 rese sempre più probabile lo scoppio a breve termine di una guerra. Le nazioni del continente erano legate fra loro da vari patti di non aggressione o di mutua difesa e uno dei più recenti era il Patto d’Acciaio del 22 maggio 1939 fra Italia e Germania. Il successivo 12 agosto il ministro degli esteri italiano Galeazzo Ciano si recò alla residenza alpina del Berghof, vicino a Berchtesgaden, per un colloquio con Hitler. Quest’ultimo, parlando della volontà di riunire il Corridoio di Danzica al Reich, prospettò un eventuale confronto armato circoscritto a Germania e Polonia qualora Varsavia avesse rifiutato le trattative proposte dai tedeschi, aggiungendo che «le provocazioni della Polonia e l’aggravarsi della situazione» avevano «reso urgente l’azione tedesca». Le clausole del Patto d’Acciaio obbligavano l’Italia a scendere in guerra al fianco della Germania se quest’ultima avesse attaccato la Polonia, ma Mussolini era consapevole che le condizioni dell’Italia, dopo le guerre d’Etiopia e di Spagna, non permettevano nel breve periodo nuove operazioni belliche su vasta scala e lo comunicò a Hitler. Il 25 agosto il cancelliere tedesco chiese allora al Duce di quali mezzi e di quali materie prime avesse bisogno per riuscire a prendere parte a un’eventuale nuova guerra. La domanda di Hitler, secondo il giornalista Giorgio Bocca, costituì «l’ancora di salvezza cui la furberia italiana si attacca senza ritegno e senza stile». La mattina del 26 agosto fu indetta d’urgenza una riunione a Palazzo Venezia per stabilire nel dettaglio cosa richiedere a Berlino. I generali invitati ricevettero da Galeazzo Ciano la raccomandazione, con il tacito consenso di Mussolini, di non fare «del criminoso ottimismo», e cioè di andarci pesanti con le richieste. Nel pomeriggio del 26 agosto Mussolini rispose a Hitler con una lunghissima lista appositamente abnorme e impossibile da soddisfare, talmente esagerata da essere definita da Ciano «tale da uccidere un toro». L’elenco, soprannominato “Lista del molibdeno” a causa delle 600 tonnellate richieste di questo materiale, venne redatto senza neanche parvenza di serietà e comprendeva, fra petrolio, acciaio, piombo e numerosi altri materiali, un totale di quasi diciassette milioni di tonnellate di rifornimenti e specificava che, senza tali forniture, l’Italia non avrebbe potuto assolutamente partecipare a una nuova guerra. Il Duce aveva inoltre aggiunto di suo pugno 600 pezzi di artiglieria contraerea e, in alcuni casi, aveva aumentato personalmente anche del 200% le quantità di materiali al solo scopo di scoraggiare i tedeschi dall’accettare le richieste italiane. Venne calcolato che, per consegnare la totalità del materiale, sarebbero stati necessari 17000 treni da 50 vagoni ciascuno. L’ambasciatore italiano a Berlino, Bernardo Attolico, ricevette la lista da Roma e la consegnò a Joachim von Ribbentrop affinché la trasmettesse a Hitler. Ribbentrop, dopo averla letta, chiese ad Attolico entro quando l’Italia si aspettava di ricevere tutto quel materiale. La domanda mise in difficoltà l’ambasciatore italiano, in quanto da Roma gli avevano inviato la lista, ma nessuno si era preoccupato di fornirgli istruzioni. Attolico, tuttavia, avendo intuito il vero scopo di quell’elenco, rispose che il materiale doveva essere inviato «subito». Hitler, nonostante il sospetto che Mussolini lo stesse ingannando, si mostrò comprensivo e rispose dicendo che riconosceva la precaria situazione italiana e che poteva inviare una piccola parte del materiale, ma che gli era impossibile soddisfare per intero le richieste. Il cancelliere tedesco, allora, chiese all’Italia solo di tenere impegnati francesi e inglesi con propaganda e con movimenti di truppe, oltre a mandare manodopera in Germania. Tuttavia, in privato, ebbe uno scoppio d’ira, affermando che gli italiani si stavano comportando come nel 1914, in riferimento alla dichiarazione di neutralità che il Regno d’Italia, all’epoca parte della Triplice alleanza, aveva annunciato all’inizio della prima guerra mondiale. Queste furono le reazioni ufficiali: Adolf Hitler <<L’ambasciatore Attolico, in base ad istruzioni orali, mi ha comunicato che tutto il materiale dovrebbe trovarsi in Italia prima dell’inizio delle ostilità. Questo, Duce, non può essere risolto né dal punto di vista organizzativo né da quello dei trasporti […] Poiché l’ambasciatore Attolico ha presentato come condizione decisiva la richiesta dell’immediata consegna di tutto il materiale prima dello scoppio della guerra, io vedo con mio dispiacere che il soddisfacimento del Vostro desiderio non è possibile, come ho detto sopra, per ragioni puramente organizzative e tecniche.>> Mussolini sconfessò Attolico dicendo che, tranne che per la contraerea, i materiali sarebbero potuti arrivare non «subito», ma nell’arco di dodici mesi, così scrivendo ad Hitler: <<…Ma anche chiarito l’equivoco, risulta che Vi trovate nella materiale impossibilità di aiutarmi a riempire i grandi vuoti che le guerre di Etiopia e di Spagna hanno prodotto negli armamenti italiani. […] Lascio a Voi di comprendere il mio stato d’animo nel trovarmi costretto da forze superiori alla mia volontà, a non darvi la mia solidarietà positiva nel momento dell’azione>>. L’evidente intenzione italiana di mostrare di non voler partecipare al conflitto (oltre all’ammissione implicita di non potervi essere in grado) viene considerata, insieme all’annuncio dell’alleanza anglo-franco-polacca, uno dei motivi che fecero esitare Hitler, posticipando l’inizio delle ostilità dal previsto 26 agosto 1939 al successivo 1º settembre. Il telegramma col quale il cancelliere tedesco rassicurava Mussolini sul fatto che non si aspettava il sostegno militare italiano, probabilmente per punire la beffa italiana della lista, non venne pubblicato da alcun quotidiano del Reich e non venne trasmesso alla radio, facendo successivamente nascere nell’opinione pubblica tedesca una crescente ostilità nei confronti degli italiani, percepiti come inaffidabili e traditori del Patto d’Acciaio. Galeazzo Ciano riferì che Mussolini, avendo percepito questa crescente avversione, ancora il 10 marzo 1940 disse a Joachim von Ribbentrop di essere «molto riconoscente al Führer per il telegramma nel quale questi ha dichiarato che non aveva bisogno dell’aiuto militare italiano per la campagna contro la Polonia», ma che sarebbe stato meglio «se questo telegramma fosse stato pubblicato anche in Germania». Il successivo 10 settembre l’ambasciatore Bernardo Attolico, facendo riferimento all’accordo fra Hitler e Mussolini per una non immediata entrata in guerra dell’Italia e al telegramma di conferma di Hitler, comunicò che nel Reich «le grandi masse popolari, ignare dell’accaduto, cominciano già a dar segno di una crescente ostilità. Le parole tradimento e spergiuro ricorrono con frequenza».
  4. Voßstraße era nome della via ove aveva sede l’Ambasciata italiana a Berlino fino all’armistizio del 1943. Ora la via si chiama HiroschimaStraße.
  5. Il barone Ernst Heinrich von Weizsäcker (Stoccarda, 25 maggio 1882Lindau, 4 agosto 1951) è stato un diplomatico tedesco. Il barone partecipò in qualità di segretario alla Conferenza di Monaco del 1938, e fu allora, quando divenne evidente il pretesto di una nuova guerra mondiale, possibilmente rovinosa per lo Stato tedesco, che si unì ad un certo numero di diplomatici e militari ex nazisti, tra i quali Erich Kordt, Wolf-Heinrich von Helldorf e altri al gruppo di resistenza tedesco capitanato da Goerdeler, von Treskow e Helmuth James Graf von Moltke. Insieme al capo dell’Abwehr, ammiraglio Wilhelm Canaris, e al capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Ludwig Beck, Weizsäcker in quel momento non era necessariamente impegnato nel rovesciamento del regime, ma era vagamente alleato con un altro gruppo più radicale, la fazione “antinazista” incentrata sul colonnello Hans Oster e Hans Bernd Gisevius, che voleva usare la crisi come pretesto per l’esecuzione di un putsch per rovesciare il regime nazista. Dopo la sconfitta tedesca nella battaglia di Stalingrado nel 1943 e la mutazione delle fortune belliche del Reich, su sua richiesta Weizsäcker abbandonò la carica di segretario di stato e fu nominato ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, ufficio che mantenne dal 1943 al 1945. Nello stesso tempo, come molti altri funzionari tedeschi, Weizsäcker tentò di utilizzare la carica detenuta per negoziare la sopravvivenza di alcuni segmenti del governo e di evitare la “resa incondizionata” della Germania ma i suoi sforzi per sollevare il tema di “un governo di transizione” tedesco (e la probabilità di esserne membro), fallirono. Improntata alla ambiguità e alla doppiezza fu la sua gestione diplomatica con il Vaticano durante l’occupazione tedesca di Roma: Weizsäcker fece ben poco per fermare la deportazione degli ebrei. Tuttavia, insistette che Roma non ospitasse basi militari tedesche, nel tentativo di scoraggiare i bombardamenti alleati della città. “I suoi messaggi e documenti a Berlino non erano altro che bugie“, avrebbe detto in seguito il suo collega Albrecht von Kessel, perché in essi avrebbe volutamente dipinto Papa Pio XII come mite, diplomatico, indeciso e filo-tedesco, allo scopo di aiutarlo ma anche per evitare che una reazione anticattolica di Hitler infiammasse il sentimento antitedesco in Italia. Inoltre, furono proprio lui e il console tedesco a Vancouver, Georg Kostantin von Alvensleben, che elaborarono un’interessante modalità – probabilmente ispirata dall’Ammiraglio Canaris – per permettere ai segreti diplomatici nazisti venuti in possesso dell’Abwehr di essere conosciuti dagli alleati: da Berlino essi venivano spediti a Vancouver, da dove il console li mandava tramite telegrafo a Londra o a Washington. Il metodo fu poi supplito dai viaggi segreti di agenti della resistenza a Londra o a Stoccolma. Consegnatosi liberamente agli alleati nel 1945 fu accusato di aver agevolato le attività delle Ensaitzgruppen in Ucraina dove furono rastrellati migliaia di ebrei e nel processo di Norimberga fu condannato a dieci anni di prigione. Tuttavia, la testimonianza di alcuni sopravvissuti del fallito attentato ad Hitler del 1944 (Operazione Valchiria) e della stessa moglie di von Stauffemberg e la successiva amnistia gli consentirono la libertà. Negli anni successivi si dedicò interamente alla stesura di una considerevole biografia nella quale proclamò le sue colpe e il suo pentimento. Suo figlio, Richard von Weizsäcker, tra l’altro, fu presidente della Repubblica Federale Tedesca dal 1984 al 1990 e successivamente come primo Capo dello Stato della Germania riunificata.
  6. Gian Galeazzo Ciano, meglio conosciuto come Galeazzo, conte di Cortellazzo e Buccari (Livorno, 18 marzo 1903Verona, 11 gennaio 1944), è stato un nobile, diplomatico e politico italiano. Figlio dell’ammiraglio Costanzo Ciano e di Carolina Pini, nel 1930 sposò Edda Mussolini. Ministro degli Affari Esteri nel periodo dall’11 giugno 1936 al 6 febbraio 1943. Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza, fu ammesso in diplomazia e inviato come addetto di ambasciata a Rio de Janeiro. Il 24 aprile 1930 sposò Edda Mussolini, con la quale subito dopo partì per Shanghai come console. Rientrato in Italia, il 1º agosto 1933 venne nominato capo dell’Ufficio stampa da Mussolini (per il controllo e la guida dei mezzi di comunicazioni di massa) con il titolo di sottosegretario alla stampa e alla cultura. Nel 1935 divenne ministro della Stampa e propaganda (il futuro MINCULPOP), quindi partì volontario per la guerra d’Etiopia, dove si distinse come pilota di bombardieri, al comando della 15ª Squadriglia da bombardamento Caproni e fu decorato. Nel 1936 fu nominato Ministro degli affari esteri, il più giovane ad assumere la carica fino a quel momento, subentrando allo stesso Mussolini (sottosegretario, dal 1932 al 1936, era stato Fulvio Suvich, che in ossequio alla nuova linea di politica estera del Duce era stato “allontanato” in qualità di ambasciatore a Washington, così come Grandi, quattro anni prima, era stato «spedito» ambasciatore a Londra). Fu forse coinvolto nel duplice omicidio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, colpevoli d’essere i fondatori del movimento antifascista Giustizia e Libertà e trucidati in Francia da sicari fascisti francesi. Ciano si era guadagnato una certa confidenza da parte del Principe di Piemonte Umberto di Savoia, figlio di Vittorio Emanuele III, anche in virtù dell’amicizia decennale con Giorgio Rea, professore emerito presso il Politecnico di Torino piuttosto noto a Corte , con il quale condivideva una certa mentalità e un notevole charme, anche se Ciano era certamente meno discreto del principe. Divenne il corrispondente preferito tra Umberto (e Maria José) e il movimento fascista. Questa amicizia era considerata produttiva sia dal re sia dal Duce, poiché i due sarebbero stati i rispettivi eredi della Corona e del governo e i buoni rapporti fra i futuri eredi rassicuravano i congiunti circa la tenuta futura degli equilibri raggiunti. Il sovrano lo aveva insignito del Collare della Santissima Annunziata, la più alta onorificenza regia. Probabilmente con l’approvazione di parte del Principe Umberto, Ciano tenne l’Italia distante dalla Germania hitleriana il più a lungo possibile, con l’aiuto dell’ambasciatore a Berlino, Bernardo Attolico. Ciano percepì chiaramente il pericolo che Hitler rappresentava anche per l’Italia, quando i Nazisti uccisero il Primo Ministro austriaco Dollfuss, che aveva avuto stretti legami con la famiglia Mussolini (la moglie e i figli di Dollfuss si trovavano in vacanza in Italia a casa del Duce quando il marito fu assassinato), e poté scorgere in questa azione di forza un freddo avviso delle intenzioni del Führer. A poco a poco, in seguito a una serie di incontri con Joachim von Ribbentrop e Hitler che portarono il 22 maggio 1939 alla sottoscrizione del Patto d’Acciaio, Ciano (praticamente costretto dal suocero a sottoscriverlo, malgrado i suoi tentativi di temporeggiare, per le informazioni che il Ministro degli Esteri britannico Anthony Eden sollecitato da Dino Grandi gli aveva fatto pervenire) consolidò i suoi dubbi sulla nazione alleata, ed ebbe diverse divergenze col suocero. Alla fine, come scrisse nei suoi diari, non era sicuro se augurare agli italiani «una vittoria o una sconfitta tedesca». Al 10 giugno 1940 il Maggiore Ciano era comandante del CV Gruppo bombardieri SIAI-MARCHETTI S.M.79 del 46º Stormo dell’Aeroporto di Pisa-San Giusto. All’inizio della seconda guerra mondiale, quando le sue posizioni antitedesche erano oramai note (Hitler avrebbe avvisato Mussolini tempo dopo: «Ci sono dei traditori nella sua famiglia»), molti osservatori ritengono che sia stata di Ciano la maggiore influenza nella formulazione della «non belligeranza». Va rammentato che sia Mussolini che Ciano erano convinti che un attacco tedesco alla Polonia avrebbe scatenato la Seconda Guerra Mondiale, per la quale l’Italia non era assolutamente preparata. Entrambi si attivarono per una conferenza di pace da tenersi il 3 settembre 1939 con un cessate il fuoco. La conferenza non si tenne, nonostante il sostegno tedesco, per la contrarietà del Regno Unito, che pretendeva il previo ritiro unilaterale tedesco. Sempre nell’ottica di evitare il coinvolgimento italiano, alcuni storici citano la famosa lettera a Hitler (il quale premeva perché l’Italia partecipasse al conflitto), passata alla storia come lista del molibdeno, in cui si chiedeva alla Germania una mole incredibile di mezzi e armamenti (che si calcolò che avrebbero richiesto, per il solo trasporto, ben 17.000 treni) e dinanzi a tale richiesta i nazisti allentarono le pressioni, almeno per un pò. Ciano aveva sommessamente invitato i responsabili militari a non fare, nello stilare la loro lista della spesa, «del criminoso ottimismo». Quando l’Italia entrò in una guerra che sembrava finita fu Ciano, per via del ruolo che ricopriva, a consegnare le dichiarazioni agli ambasciatori di Francia e Regno Unito. Pochi mesi dopo fu uno dei sostenitori della guerra alla Grecia. La Grecia del Generale Ioannis Metaxas nel gennaio 1940 aveva firmato un accordo commerciale con il Regno Unito che metteva la flotta navale commerciale greca al completo servizio della Marina Militare britannica, schierando il Paese, formalmente neutrale, di fatto contro le forze dell’Asse nel Mediterraneo. Dopo una lunga serie di scontri navali, l’invasione terrestre italiana parti’ dall’Albania il 28 ottobre 1940, ma incontro’ notevoli difficolta’ operative. Dinanzi alle difficoltà che, invece, furono incontrate, registrando le prime avvisaglie di negatività delle vicende belliche, Ciano non tardò a tornare su posizioni più dubitative, esprimendo le sue perplessità sia «in famiglia» sia ad altri gerarchi. Anche a causa delle cariche ricoperte, con particolare riguardo ai rapporti con il Regno Unito, una più intensa frequentazione operativa lo condusse ad intensificare il rapporto con Dino Grandi, che, morto Italo Balbo, restava l’esponente più indipendente del vertice del fascismo. Nel 1942 Vittorio Emanuele III lo nomina Conte di Buccari, in aggiunta al titolo di Conte di Cortellazzo che era stato conferito a suo padre Costanzo dopo la prima guerra mondiale. Nella primavera del 1943, in occasione di un rimpasto delle cariche istituzionali con la quale Mussolini sperava di riaffidare i posti-chiave a uomini di certa fiducia, Ciano venne mandato come ambasciatore in Vaticano. È in questo momento che il suo rapporto con Monsignor Montini – futuro Papa e allora sostituto alla segreteria di Stato della Santa Sede – raggiunse la maggiore intensità, tenendo il regime fascista in contatto con tutte le principali potenze internazionali, attraverso la mediazione dell’influente prelato. Con la fine dell’incarico di ministro finì anche la stesura dei celebri Diari, terminata l’8 febbraio 1943. Il 25 luglio 1943, quando l’opposizione interna guidata da Dino Grandi (che si coordinava con il Quirinale) stava infine per sconfiggere Mussolini, Ciano vi si unì. Al Gran Consiglio del fascismo, infatti, votò l’ordine del giorno di Grandi (insieme ad altri diciotto gerarchi), approvando perciò l’indicazione contenuta nella mozione, volta a far sì che il Re riprendesse in mano l’esercito e il governo della nazione; in pratica, quello di Ciano fu un voto pesantissimo e dalle conseguenze irreversibili contro il suocero. Si è a lungo congetturato sulle reali motivazioni dell’adesione di Ciano alla proposta di Grandi, tenuto conto che al voto sul famoso ordine del giorno, dovrebbe esser giunto dopo averne discusso col Duce, informato dallo stesso Grandi con qualche giorno di anticipo (ma anche Mussolini, è stato fatto notare, doveva essere ben al corrente dell’adesione del genero). Probabilmente Ciano condivideva con gli altri due gerarchi la considerazione che il tempo del fascismo fosse venuto a esaurimento ma, forse, ritenendosi ancora candidato alla successione, pensava che in una nuova gattopardesca riformulazione poco sarebbe cambiato e che egli sarebbe rimasto in auge. Il voto di Ciano fu, sotto un profilo di pubblica immagine, il colpo più grave inferto al prestigio del capo del regime, cui di fatto pareva che nemmeno il genero fosse più affidabile. Le previsioni ottimistiche di Ciano, che si prefigurava rimpasti e aggiustamenti dopo questa sorta di golpe (disse infatti a Bottai di attendersi che ci si sarebbe «aggiustati»), naufragarono insieme con la disillusione di Grandi, che credeva di aver operato per consegnare il comando al Maresciallo d’Italia Enrico Caviglia e che, invece, vide salire al potere il parigrado ma poco gradito Badoglio. Questa’ultimo avrebbe d’un tratto bruciato tutte le aspettative dei gerarchi, schierando una compagine d’apparato tutta «del Re» e cominciando immediatamente la defascistizzazione dello Stato. Se Bottai ne era quasi contento, Grandi ne era sorpreso (più che altro per il poco chiaro atteggiamento del Sovrano). Ciano – che il 31 luglio si era dimesso dall’ambasciata in Vaticano – fu invece quello che si trovò maggiormente spiazzato e, a differenza degli altri due, tardò a mettersi in salvo. Nello sconcerto, acuito poco dopo dall’armistizio di Cassibile, cercò invano di organizzare un esilio protetto per la sua famiglia, ma il Vaticano si rifiutò di nasconderli. Nei giorni convulsi dell’agosto 1943 fuggì a Monaco di Baviera, convinto di trovarvi protezione e un aereo per la Spagna, ignorando che nel frattempo Vittorio Mussolini, Roberto Farinacci e Alessandro Pavolini stavano accusando alla radio i traditori del fascismo e in particolare lui, che divenne il bersaglio principale. Il 17 ottobre 1943, Ciano fu estradato in Italia su esplicita richiesta del neonato Partito Fascista Repubblicano per essere incarcerato; Edda e i figli erano rientrati in Italia alcuni giorni prima. A opera di Alessandro Pavolini venne allestito il processo ai «traditori» del 25 luglio, e il voto al Gran Consiglio fu considerato alto tradimento. Durante il processo gli inquirenti trattarono Ciano quasi con benevolenza temendo che Ciano raccontasse avvenimenti segreti, sgraditi al Regime fascista. Dopo una celere assise pubblica, nota come processo di Verona, Ciano venne riconosciuto colpevole insieme a Marinelli, Gottardi, Pareschi e al vecchio generale Emilio De Bono (insieme con altri gerarchi contumaci). Il genero del Duce fu l’unico imputato a essere condannato alla fucilazione all’unanimità: gli altri ricevettero 5 voti favorevoli e 4 contrari (Tullio Cianetti ebbe il risultato opposto) mentre contro l’ex Ministro degli Esteri si registrò un 9 a 0. La sera prima dell’esecuzione, Ciano si rifiutò, in primo momento, di firmare la petizione di grazia al Duce ma poi, pressato dai suoi compagni di carcere, finì per accettare. Pavolini, indispettito, passò l’intera notte a cercare un funzionario che firmasse il respingimento alla domanda di grazia. Tutti si rifiutarono di firmare, alla fine trovò, o meglio, costrinse un piccolo funzionario a firmare contro la sua volontà. Comunque, Mussolini non si mosse per salvare il genero. L’11 gennaio 1944 avvenne l’esecuzione di Ciano al poligono di tiro di Verona, insieme agli altri quattro ex-gerarchi, legati alle sedie e fucilati alla schiena come in uso ai traditori. Prima della fucilazione, Ciano pronunciò a Monsignor Chiot le seguenti parole: “Faccia sapere ai miei figli che muoio senza rancore per nessuno. Siamo tutti travolti nella stessa bufera“. Prima degli spari si girò verso il plotone di esecuzione. Un cineoperatore tedesco riprese tutta la scena. Ciano non morì immediatamente: i fucilati, seduti e di schiena, offrirono un bersaglio più difficile per gli organi vitali; il plotone di esecuzione non sparò a distanza ravvicinata e fu necessario il colpo di grazia con due proiettili alla testa. Il crudo filmato, realizzato dal cineoperatore tedesco e scomparso durante i primi governi De Gasperi, fu ritrovato grazie allo storico Renzo De Felice.
  7. Christa Schroeder, nata Emilie Christine Schroeder (Hannoversch Münden, 19 marzo 1908Monaco di Baviera, 18 giugno 1984), è stata una delle segretarie personali di Hitler prima e durante la seconda guerra mondiale. Nata nel paese di Hannoversch Münden, in Bassa Sassonia, dopo che i genitori morirono si trasferì a Nagold, dove lavorò per un avvocato dal 1929 al 1930. Dopo aver lasciato Nagold per trasferirsi a Monaco, Christa divenne impiegata presso il giornale delle SA Oberste SA-Führung. Conobbe Hitler all’inizio del 1933 quando fu eletto cancelliere, e poco dopo divenne sua segretaria personale fino alla caduta del Terzo Reich. Durante la guerra si trasferì nella Wolfsschanze vicino a Rastenburg in Prussia Orientale. Le sue relazioni sono un’importante fonte di studi sulla Germania nazista. Nel 1945 venne arrestata dai soldati alleati e venne interrogata dall’ufficiale francese Albert Zoller al servizio della settima armata americana. Gli interrogatori e le ultime interviste fino al 1948 formano la base del primo libro pubblicato su Hitler nel dopoguerra, andato alle stampe nel 1949 col titolo Hitler privat (Hitler in privato). Ritiratasi a vita privata dopo il 1949, Christa Schröder è morta a Monaco nel 1984. Prima, storica, Segretaria del Führer, per il rapporto di stretta collaborazione che si era formato con Hitler sin dai primordi della sua ascesa politica, poteva permettersi il lusso anche di canzonarlo benevolmente sui suoi intercalari lessicali (vedi successiva nota n.377).
  8. Wilhelm Bodewin Johann Gustav Keitel (Helmscherode, 22 settembre 1882Norimberga, 16 ottobre 1946) è stato un generale e criminale di guerra tedesco. Fu il capo dell’Oberkommando della Wehrmacht (Comando Supremo delle Forze Armate tedesche) durante la seconda guerra mondiale e uno dei principali imputati al processo di Norimberga, dove venne giudicato colpevole per crimini di guerra e contro l’umanità e condannato a morte. Quando Adolf Hitler prese il potere ne divenne un fedele collaboratore ed acritico esecutore sottomettendosi sempre alla sua ferrea volontà fino agli ultimi giorni della guerra. Nel 1929, presso il ministero della guerra, diventò responsabile dell’ufficio di riorganizzazione dell’Esercito tedesco per promuovere l’opera di riarmo, riorganizzazione chiaramente segreta perché illegale, in aperta violazione al trattato di pace di Versailles del 1919. Negli anni successivi, Keitel inanellò numerose promozioni nelle gerarchie dell’esercito. Nel 1933 divenne Generalmajor, nel 1935 capo del Wehrmachtsamt, dipartimento delle forze armate, e nel 1940 fu promosso Generalfeldmarschall. Ma l’anno in cui la fortuna di Keitel giunse al culmine fu quello successivo. Già dall’ascesa al potere dei nazisti, egli era stato uno dei membri del corpo degli ufficiali più vicini a Hitler e ai suoi accoliti. Nel 1938, Hitler dovette liberarsi per mezzo dello Scandalo Fritsch-Blomberg dell’allora ministro della guerra, generale Werner von Blomberg, e del comandante in capo delle forze armate, generale Werner von Fritsch (in quest’ultimo caso tramite un’accusa di omosessualità, attraverso un’ignobile montatura messa in piedi dal capo delle SS, Heinrich Himmler). Hitler temeva che Fritsch e Blomberg, legati alle vecchie tradizioni prussiane che sancivano l’indipendenza delle forze armate dal governo dello Stato, non sarebbero stati facilmente disposti a sottomettersi all’autorità del Führer. Nella campagna denigratoria che ne seguì e che portò alla rimozione dei due ufficiali, Keitel fu tra i principali responsabili. Per prevenire una rivolta delle alte gerarchie militari, indignate a causa di quel vero e proprio “colpo basso” ai danni delle due più alte personalità dell’esercito, Hitler, il 4 febbraio 1938, abolì di fatto il ministero della guerra, istituendo al suo posto l’ufficio dell’OKW, Oberkommando der Wehrmacht, il comando supremo delle forze armate. Egli investì allora lo stesso Keitel della carica di capo dell’OKW. L’opera di “nazificazione dei vertici delle forze armate” fu completata ponendo nelle altre posizioni chiave personaggi vicini al Führer o che comunque ne subivano l’ascendente: il generale Walther von Brauchitsch, già dal 1932 iscritto allo NSDAP (Partito Nazional-Socialista), fu nominato comandante in capo dell’esercito; l’ammiraglio Erich Raeder, già sedotto dalle promesse del dittatore, comandante in capo della marina ed Hermann Göring, braccio destro di Hitler e “numero due” del partito, già asso dell’aviazione durante il primo conflitto mondiale, divenne comandante in capo della Luftwaffe, l’aviazione militare. Lo Stato maggiore (Comando Supremo) del generale Keitel ebbe il compito di mettere a punto e dare esecuzione ai piani delle future operazioni militari. Dopo neanche un anno dalla sua istituzione, progettò ed eseguì l’annessione dell’Austria o Anschluss, mentre pochi mesi dopo fu il turno della Cecoslovacchia. Nell’agosto 1939, a meno di un mese dallo scoppio della guerra, Keitel chiamò un suo vecchio amico, il generale Alfred Jodl, a presiedere l’Ufficio Comando e Operazioni dell’OKW. Benché fosse il “numero due” del Reich almeno nei quadri dell’esercito, Keitel era di indole arrendevole e fu sempre disposto ad assecondare la volontà inflessibile di Hitler senza riuscire mai a far valere le proprie ragioni di fronte al Führer. Fu probabilmente per questo aspetto caratteriale che riuscì sempre a conservare la propria carica fino all’ultimo, mentre innumerevoli altri ufficiali capaci furono allontanati dai loro posti in occasione delle prime sconfitte, colpevoli di non obbedire troppo entusiasticamente agli ordini del Reichskanzler (Cancelliere del Reich): uno su tutti, il Generale Heinz Guderian. Gli avversari di Keitel e molti dei suoi collaboratori non mancavano di indirizzargli pesanti ironie e feroci stilettate, attribuendo, non a torto, alla sua silenziosa acquiescenza anche di fronte ai più assurdi propositi del Führer gli innumerevoli disastri e le perdite subite dalla Wehrmacht. Era spesso indicato con epiteti dispregiativi, come “il generale signorsì“, “General Jawohl” o addirittura “lacchè“, in un gioco di parole “Lakeitel“, poiché “lacchè” in tedesco si dice “Lakai“. Benché fosse stato conquistato dall’ideologia nazionalsocialista – posizione non del tutto condivisa dalla maggioranza degli alti ufficiali – Keitel era pur sempre un militare di professione e certo fu più lucido di Hitler in occasione dei vari rovesci subiti dai tedeschi durante la guerra. Hitler, che pure aveva assunto personalmente la carica di comandante supremo delle forze armate, non sapeva nulla di tattica e strategia militare e non voleva sentir parlare di ritirata, nemmeno quando questa sarebbe stata l’unica soluzione tattica ragionevole. Questa sua ostinazione sul lungo periodo avrebbe comportato per la Germania perdite umane ingenti, che potevano essere evitate con una condotta di guerra più accorta. Ci fu, tuttavia, un’occasione in cui Keitel, sempre fedele esecutore delle direttive hitleriane, avanzò delle obiezioni. Nel dicembre 1941 Keitel, pressato dai comandanti militari impegnati nella campagna di Russia, osò per la prima e unica volta nella sua carriera opporsi a una decisione del Führer, proponendo che le truppe sfinite e male equipaggiate si ritirassero dalle posizioni davanti a Mosca per ricostituire un fronte più solido diversi chilometri indietro, in attesa che fosse possibile riprendere l’offensiva dopo la fine dell’inverno. Hitler lo aggredì con un “Lei è un imbecille“, che lo portò a un passo dal suicidio. Pare che il generale Jodl lo avesse trovato intento a scrivere una lettera di dimissioni al capo del governo con una rivoltella posata al suo fianco. Jodl gli sottrasse la pistola e lo convinse, sembra senza incontrare troppa resistenza, a rinunciare ai suoi orgogliosi propositi per continuare ad ingoiare le umiliazioni quotidiane impostegli dal dittatore, cosa che Keitel continuò poi stoicamente a fare fino alla fine. Keitel svolse un ruolo importante nello sventare il complotto del 20 luglio 1944 contro Hitler (Operazione Valchiria). Dopo il suicidio del Fuhrer, il 30 aprile 1945, fu per breve tempo membro del governo dell’ammiraglio Karl Dönitz. Nonostante si fosse fin da subito dichiarato contrario ad accettare la proposta di una resa incondizionata agli Alleati, toccò proprio a lui siglare, l’8 maggio 1945, l’atto di resa della Germania all’Unione Sovietica nel quartier generale del Maresciallo Georgij Žukov, a Berlino. Arrestato a Flensburg il 12 maggio 1945, fu trasferito nel campo Ashcan e il 10 agosto portato a Norimberga, ove fu uno dei principali imputati al processo. Alla fine, dichiarò di essere stato un soldato che eseguiva soltanto degli ordini. Si considerava un militare e accettava le responsabilità delle sue decisioni militari. La vista dell’inconcepibile crimine in un film-documento eseguito nei campi di concentramento e visionato nell’aula del tribunale, fece luce sul suo vero ruolo e lo angosciò, asserendo di non esserne mai stato a conoscenza. La maggior parte degli imputati disse che non era vero e che non l’avevano fatto loro, invece Keitel pianse quando gli si mostrò come i bulldozer ammucchiavano i corpi a Dachau. Avrebbe voluto rilasciare un’ultima dichiarazione ufficiale, ma Hermann Göring glielo impedì e lui ubbidì, come sempre, al volere dei suoi superiori, fedele anche nella morte al giuramento di fedeltà prestato a Hitler. Provò del rimorso sincero, ma troppo tardi, e fu la dichiarazione più impressionante fatta da uno degli imputati al processo, ammettere di essere colpevole e assumersene la responsabilità. Accusato di aver diramato ordini illegali contro le popolazioni dei paesi occupati e i prigionieri di guerra, Keitel fu riconosciuto colpevole di tutti e quattro i capi di accusa a lui contestati e, condannato a morte, fu il secondo ad essere impiccato, subito dopo Joachim von Ribbentrop, nelle prime ore del mattino del 16 ottobre 1946, dal boia statunitense John Chris Woods. Keitel aveva però espresso il desiderio a Norimberga di essere fucilato come un soldato, invece di essere impiccato, ma il tribunale rifiutò la proposta. Le sue ultime parole furono: «Chiedo all’Onnipotente di avere pietà per il popolo tedesco. Prima di me, oltre due milioni di soldati tedeschi sono andati incontro alla morte per la loro patria. Ora vado a riunirmi ai miei figli. Tutto per la Germania!» Il cadavere di Keitel venne cremato e le ceneri vennero sparse, insieme a quelle di Alfred Jodl, a Monaco di Baviera nel Wenzbach, un piccolo ruscello affluente del fiume Isar. Le macchie di sangue facciale sul cadavere di Keitel erano dovute alla botola troppo piccola, che causava a lui e a molti altri condannati lesioni alla testa colpendo la botola durante la caduta. Donald E. Wilkes Jr., professore di diritto presso la School of Law della University of Georgia, ha osservato che molti dei nazisti giustiziati sono caduti dalla forca con forza insufficiente per spezzargli il collo, provocando una macabra e soffocante lotta mortale che nel caso di Keitel è durata 24 minuti.
  9. Alfred Jodl (Würzburg, 10 maggio 1890Norimberga, 16 ottobre 1946) è stato un generale, militare e criminale di guerra tedesco. È stato Chef des Wehrmachtführungsstabes (Capo di stato maggiore) dell’OKW (Oberkommando der Wehrmacht) durante la seconda guerra mondiale, e il 7 maggio 1945 firmò la dichiarazione di resa incondizionata della Germania (assieme al suo diretto Superiore ed amico Wilhelm Keitel) alle potenze alleate. Fu condannato a morte al Processo di Norimberga mediante impiccagione. Nell’agosto 1939, già maggiore generale e comandante di divisione, fu chiamato da Keitel a ricoprire la carica di capo dell’ufficio Comando e Operazioni dell’Oberkommando der Wehrmacht (OKW). In questo ruolo, Jodl divenne il consigliere strategico di Hitler e fu d’altra parte compito specifico dell’ufficio da lui diretto mettere a punto con intelligenza ed efficacia le più importanti operazioni militari. Jodl, ufficiale serio e capace, aveva però un grave difetto, quello di credere sinceramente nel “genio militare” di Hitler. Tuttavia, a differenza del suo vecchio amico Keitel, egli non risparmiò a Hitler critiche severe e decise obiezioni riguardo a certe scelte del Führer. In una di queste occasioni, durante la campagna di Russia – che di fatto segnò il definitivo declino delle fortune del Terzo Reich e l’inizio della disfatta – Hitler, che non consentiva a nessuno di contraddirlo, lo accusò pubblicamente di insubordinazione: Jodl, in disgrazia, rimase ai margini per circa un anno prima di riappacificarsi con Hitler. Il 7 maggio 1945 divenne capo di Stato maggiore del governo Dönitz, secondo i voleri espressi dal Führer nel suo testamento politico. Alle 2:41 del 7 maggio 1945 a Jodl toccherà di firmare, alla presenza di ufficiali francesi e sovietici, la dichiarazione di resa incondizionata della Germania alle potenze alleate: “il sottoscritto colonnello generale Jodl, consegna tutte le forze armate al comando supremo delle forze armate alleate e contemporaneamente al comando supremo sovietico alle condizioni di capitolazione. Il comando supremo tedesco proclama immediatamente l’ordine di cessare le operazioni in corso a partire dalle ore 23 dell’8 maggio”. Imputato al processo di Norimberga, Jodl fu ritenuto responsabile, insieme con Keitel, della condotta tenuta dalla Wehrmacht nei confronti delle popolazioni dei paesi occupati e dei prigionieri di guerra. Le principali accuse contro di lui riguardavano la firma per conto dell’Oberkommando der Wehrmacht degli ordini per l’uccisione di alcune categorie di prigionieri di guerra giustiziati sommariamente al momento della cattura. Di fronte alle sparatorie di massa del 1941 di prigionieri di guerra sovietici, Jodl affermò che gli unici prigionieri uccisi erano “non quelli che non potevano, ma quelli che non volevano camminare”. Giudicato colpevole di tutti i capi d’accusa e condannato a morte, fu il penultimo a salire sul patibolo nella camera delle esecuzioni del carcere di Norimberga, nelle prime ore del mattino del 16 ottobre 1946. Al momento dell’esecuzione gridò, in tedesco: “Ti saluto, Germania mia”. In un saggio dettato alla moglie dal carcere, così si esprime su Hitler: «Si è comportato come si sono comportati tutti gli eroi della storia. Si è fatto seppellire tra le macerie del suo regno e delle sue speranze. Perciò lo giudichi chi può farlo. Io non posso”. Il cadavere di Jodl venne cremato e le ceneri vennero sparse (insieme a quelle di Wilhelm Keitel) a Monaco di Baviera nel Wenzbach, un piccolo ruscello affluente del fiume Isar. Il suo nome ancora oggi compare sull’epitaffio della tomba di famiglia nel piccolo cimitero dell’isola di Fraueninsel. Anche in questo caso, le macchie di sangue sul volto visibili nella foto del cadavere di Jodl erano l’effetto di escoriazioni causate dalla caduta nella botola che risultò essere troppo stretta. Questo avvenne anche per alcuni altri condannati. Il 28 febbraio 1953 fu riabilitato postumo da una corte tedesca, che lo riconobbe non colpevole di crimini contro le leggi internazionali imputatigli al processo di Norimberga. Tuttavia questa sentenza fu annullata il 3 settembre 1953 dal ministro della Liberazione Politica della Baviera, il quale aveva il potere legittimo di farlo.
  10. OKW, acronimo di Oberkommando der Wehrmacht, ovvero del Comando Supremo e Quartier Generale delle Forze armate tedesche (Herr: Esercito, Reichsmarine: Marina; Luftwaffe: Aeronautica).
  11. Il Patto italo-sovietico di amicizia e non aggressione (come riportato anche dal quotidiano russo Izvestija) del 2 settembre 1933, venne sottoscritto da Regno d’Italia ed Unione Sovietica, sotto gli auspici dell’allora ambasciatore italiano a Mosca Bernardo Attolico. L’altro protagonista della redazione del trattato fu il ministro sovietico Maksim Maksimovič Litvinov che insieme all’ambasciatore in Italia Vladimir Potëmkin già da tempo lavorava a relazioni internazionali che potessero diminuire l’isolamento dell’URSS nel mondo. In particolare, i vari contatti in essere già dal 1930 erano tesi a favorire il commercio con la stipula di nuovi trattati commerciali tra i due paesi che superassero le restrizioni precedenti e conseguenti alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917 che avevano visto anche l’Italia partecipare alle vicende interne russe, con personale militare e prese di posizione a livello internazionale. Le intenzioni sovietiche erano sin dal 1931 anche di portare lavoratori italiani a prestare la loro opera in Unione Sovietica per lo svolgimento del piano quinquennale, ed effettivamente un certo numero di italiani andò in URSS fino al blocco imposto da Benito Mussolini; tra questi Emilio Guarnaschelli che poi chiese il ritorno in Italia, ma in seguito ad accuse di trotskismo fu arrestato il 2 gennaio 1935. Processato, venne condannato a tre anni di confino per propaganda controrivoluzionaria in base al comma 10 dell’articolo 58 del Codice penale della Repubblica Russa.
  12. Wilhelm Franz Canaris (Aplerbeck, 1º gennaio 1887Flossenbürg, 9 aprile 1945) è stato un ammiraglio tedesco, al comando dell’Abwehr, il servizio segreto militare tedesco, dal 1935 al 1944. Nacque nel 1887 ad Aplerbeck, vicino a Dortmund, da una famiglia di lontane origini italiane, come emerse da una ricerca da lui effettuata nel 1938 dove veniva messa in luce la sua discendenza da una famiglia di nome “Canarisi“, originaria di Torno e Sala Comacina sul Lago di Como, di cui alcuni discendenti si erano stabiliti in Germania nel XVI secolo. Nel 1905 si arruolò come cadetto nella Marina Imperiale Tedesca e fra i suoi primi incarichi da ufficiale ebbe il compito di fare da interprete ai tedeschi che rimpatriavano dal porto di Veracruz, a causa della Rivoluzione messicana. Allo scoppio della prima guerra mondiale prestò servizio come tenente di vascello e ufficiale addetto alle informazioni a bordo dell’incrociatore Dresden, prendendo parte alla Battaglia delle Falkland con la flotta dell’ammiraglio Maximilian von Spee. Dopo l’autoaffondamento del Dresden nella Battaglia di Más a Tierra per evitarne la cattura da parte britannica, venne internato in un campo di prigionia in Cile, dal quale evase nell’agosto del 1915 e, dopo una lunga marcia attraverso le Ande, raggiunse l’Argentina, dove riuscì ad imbarcarsi per tornare in Germania. Decorato con la Croce di Ferro, fu assegnato al nascente servizio segreto della Marina. Lavorò come agente in Spagna dall’aprile del 1916, sfuggendo ad un attentato e diventando uno degli uomini più ricercati dall’MI6, il servizio segreto britannico. Nel 1918 tornò in servizio attivo come comandante di U-Boot nel Mediterraneo, dove affondò diciotto unità nemiche. Al termine della guerra Canaris continuò la carriera militare aderendo inizialmente ai Freikorps, spinto dai disordini sociali dilaganti durante i primi giorni della Repubblica di Weimar, e poco dopo nella Reichsmarine. Nel 1919 fece parte della corte marziale che assolse i killer degli spartachisti Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Venne promosso rapidamente ottenendo il comando della corazzata Schlesien nel 1922, dell’incrociatore scuola Berlin nel 1923 e il grado di capitano di vascello nel 1931. In questo periodo proseguì il suo lavoro per i servizi segreti, intensificando i suoi contatti con alti ufficiali, politici ed industriali, nel tentativo di stabilire un nuovo ordine nella politica tedesca. Parallelamente seguì e appoggiò lo sviluppo del partito nazionalsocialista, non diventandone mai un membro, e nel 1935 diventò capo dell’Abwehr con la promozione al grado di ammiraglio. Sotto la sua direzione, l’Abwehr si organizzò in modo più efficace e aumentò la propria influenza a discapito delle agenzie rivali, come la famigerata SD, il servizio segreto delle SS comandato da Reinhard Heydrich. Il primo obiettivo di Canaris fu quello di cercare di migliorare i rapporti fra le due strutture e in questo venne facilitato dal fatto che i due comandanti si conoscevano dal tempo in cui Heydrich era imbarcato sul Berlin. I compiti furono suddivisi: l’Abwehr si sarebbe occupata dello spionaggio e del controspionaggio militare, mentre la Gestapo e la SD avrebbero agito in campo politico. Nonostante il suo iniziale appoggio alla presa del potere da parte di Hitler, in cui vedeva il restauratore dei valori germanici, si rese ben presto conto della brutalità nazista e iniziò segretamente a lavorare per rovesciare il regime, utilizzando fidatissimi collaboratori; l’organizzazione fu soprannominata “Orchestra Nera“. Nel 1938, dopo l’annessione dei Sudeti, avvisò il generale Francisco Franco dei piani tedeschi per l’invasione di Gibilterra e gli chiese di impedire il passaggio di truppe attraverso la Spagna. Nello stesso anno, e successivamente nel 1939, fu coinvolto nello studio di due piani per l’assassinio di Hitler. Dopo l’inizio della guerra fra Germania e Polonia, visitò il fronte e fu testimone delle atrocità e dei crimini di guerra commessi dalle squadre della morte delle SS. Assistette all’incendio della sinagoga di Będzin e alla morte dei residenti ebrei della città. Ricevette anche numerosi rapporti da agenti dell’Abwehr su molti altri omicidi di massa in tutto il territorio polacco controllato dalla Wehrmacht. Sconvolto dallo sviluppo della situazione bellica e politica, riunì attorno a sé ufficiali dell’esercito e funzionari governativi antinazisti allo scopo di eliminare Hitler e trattare una resa onorevole con gli Alleati. Di tale cospirazione faceva segretamente parte anche il Vaticano: Canaris era un amico di lunga data di papa Pio XII, il loro rapporto risaliva a quando l’allora cardinale Eugenio Pacelli era nunzio apostolico in Germania, tra il 1917 e il 1929. Come ricorda lo studioso Robert Ventresca: “chiaramente il Papa non si occupava dei dettagli, faceva da tramite tra le forze complottiste”. Ne nacque il fallito Attentato a Hitler del 20 luglio 1944, denominato “Operazione Valchiria”, dal quale il dittatore uscì illeso. Alla feroce caccia ai cospiratori che seguì, Canaris non sfuggì. Il pomeriggio del 23 luglio Walter Schellenberg, divenuto comandante dell’Abwehr dal febbraio 1944, si presentò a casa dell’ammiraglio, alla periferia di Berlino. Trasferito all’Accademia della Gestapo di Fürstenberg/Havel, vi rimase recluso fino al 7 febbraio 1945. Portato al campo di concentramento di Flossenbürg, vicino al confine cecoslovacco, venne ammanettato, incatenato alle caviglie e rinchiuso nella cella numero 22. La sera dell’8 aprile, dopo l’ennesimo interrogatorio con torture, un esanime Canaris batteva sul muro, a beneficio del compagno di prigionia della cella numero 21, un ultimo messaggio: “Naso rotto durante ultimo interrogatorio. La mia ora è giunta. Non ero un traditore. Ho fatto il mio dovere di tedesco. Se sopravvivi, ricordami a mia moglie”. La mattina seguente, 9 aprile 1945, l’ammiraglio Canaris fu portato nudo al patibolo e strangolato con una corda di pianoforte.
  13. L’Abwehr è stato il servizio d’intelligence militare tedesco dal 1921 al 1944. Il termine Abwehr significa “difesa” e fu utilizzato dalla Reichswehr, l’esercito della Repubblica di Weimar, per convincere gli alleati, all’indomani del Trattato di Versailles del 1919, dello scopo puramente difensivo dell’intelligence tedesca. Con Ferdinand von Bredow ebbe un ruolo centrale nel tentativo di contrastare, da parte dell’aristocrazia militare tedesca, l’arrivo di Hitler alla Cancelleria del Reich, tramite un colpo di Stato militare guidato da Kurt von Hammerstein-Equord (segretamente appoggiato dal presidente Hindenburg) per ripristinare la monarchia ed eliminare nazisti, comunisti e socialdemocratici dalla scena politica. Von Bredow formò un corpo di ufficiali di intelligence di grande livello, ma seppe anche creare un grande strumento politico delle correnti conservatrici che miravano alla restaurazione della monarchia in Germania, capace di venire a conoscenza di informazioni riservatissime e di utilizzarle per la lotta al nemico, sia interno che esterno. Nonostante il nome implicasse la sola attività di controspionaggio, l’ammiraglio Canaris, assuntone il comando nel 1935, trasformò l’Abwehr della Wehrmacht in uno dei tre grandi apparati informativi di Hitler (accanto ai servizi segreti della polizia politica e delle SS) di gran lunga il più importante all’estero, dotandolo di una rete internazionale di circa 18.000 tra ufficiali e militari (agenti), a cui si aggiunsero migliaia di informatori. Il 4 febbraio 1938 esso cambiò denominazione in Amt Ausland Nachrichten und Abwehr (Ufficio Informazioni e Difesa per l’Estero). L’Abwehr era alle dirette dipendenze dell’Oberkommando der Wehrmacht (OKW), il comando supremo delle forze armate tedesche, e ad esso facevano riferimento i servizi di informazione di Heer, Kriegsmarine e Luftwaffe. La sede centrale era in 76/78 Tirpitzufer di Berlino, adiacente all’OKW. Le indagini relative all’attentato del 20 luglio 1944 contro Adolf Hitler evidenziarono che molti ufficiali dell’Abwehr (inclusi Canaris e Oster) erano stati coinvolti nel complotto o quantomeno ne erano a conoscenza. Il potente Canaris, Oster ed altri Ufficiali vennero imprigionati e condannati a morte, l’Abwehr venne sciolto. I suoi uomini e mezzi vennero incorporati nel Amt VI del Reichssicherheitshauptamt, (RSHA, Ufficio Centrale della Sicurezza del Reich sotto l’egida delle SS).
  14. Karl Dönitz (Grünau, 16 settembre 1891Aumühle, 24 dicembre 1980) è stato un ammiraglio e politico tedesco, che fu Reichspräsident (Presidente del Reich tedesco) dal 30 aprile al 23 maggio 1945, a seguito del suicidio di Adolf Hitler. Il Großadmiral Dönitz fu il comandante della flotta sottomarina (Befehlshaber der U-Boote) degli U-Boot durante la seconda guerra mondiale. Sotto il suo comando, la flotta degli U-Boot combatté la battaglia dell’Atlantico, tentando di “assediare” il Regno Unito bloccando i convogli navali carichi di rifornimenti vitali che giungevano dagli Stati Uniti e da altri Paesi alleati. Dönitz viene anche considerato un uomo accecato dall’ambizione, sempre ligio agli ordini di Hitler. In un film di propaganda in cui interpretò sé stesso lo si vede preparare cerimonie festose per i suoi sommergibili e ricoprire i marinai tedeschi di regali. La sua ammirazione per il Führer fu maniacale («Davanti a lui, mi sento come una piccola salsiccia insignificante» ebbe a dire) e Hitler lo ripagò nominandolo, nel 1942, comandante della Marina da guerra (Kriegsmarine). l’Ammiraglio Raeder – il precedente Comandante – fu infatti sostituito da Dönitz dopo aver espresso a Hitler le proprie perplessità sull’attacco all’Unione Sovietica, l’operazione Barbarossa. Quando la guerra iniziò nel 1939, in anticipo rispetto a quanti – tra i quali lo stesso Dönitz – pensavano di entrarci non prima del 1942, gli U-Boot di Dönitz comprendevano solo 46 unità, molte delle quali del tipo a corto raggio. Cionondimeno egli si arrangiò con quello che aveva, costantemente provocato da Raeder e con Hitler che insisteva affinché si dedicasse a operazioni dirette contro la flotta militare inglese. Queste operazioni avevano generalmente poco successo, al contrario di quelle che avevano per obiettivo quello indicato da Dönitz, cioè le navi mercantili. Durante il 1941, le forniture di U-Boot Tipo VII (oceanico) erano migliorate, al punto che le operazioni iniziavano ad avere un reale effetto sull’economia di guerra britannica. Anche se la produzione di navi mercantili si innalzò in risposta, siluri migliori, navi migliori e una migliore pianificazione operativa portarono a un numero crescente di affondamenti. Nel dicembre 1941, gli Stati Uniti entrarono in guerra e Dönitz pianificò immediatamente l’operazione rullo di tamburo (Operazione Paukenschlag o colpo di tamburo) contro le spedizioni di armi e materiali che partivano con navi mercantili dalla costa orientale degli USA, che venne eseguita il mese successivo con risultati drammatici per gli Alleati. Sospettando che gli Alleati avessero decifrato il codice di Enigma, Dönitz ordinò alla sua flotta di U-Boot, il 1º febbraio 1942, di modificare il sistema di cifratura per le comunicazioni, anche se le altre forze armate tedesche continuarono a usare l’originale codice Enigma, convinte della sua invulnerabilità. Per un certo periodo, questo cambio nel sistema di cifratura tra i sottomarini causò notevole confusione tra i decrittatori alleati. Poi, a causa di un errore nella trasmissione di un singolo messaggio, i tecnici di Alan Turing a Bletchley Park scoprirono che la nuova macchina di Dönitz era in realtà una “Enigma” a quattro rotori, e il suo funzionamento venne così svelato. Per la fine del 1942 la fornitura di U-Boot Tipo VII oceanico incrementò a tal punto che Dönitz fu finalmente in grado di condurre attacchi in massa, che divennero conosciuti come “das Rudel”, il «branco di lupi». Le perdite nei trasporti alleati salirono vertiginosamente, e ci fu per qualche tempo una seria preoccupazione sullo stato delle scorte di carburante britannico. Durante il 1943 la guerra nell’Atlantico prese tuttavia una brutta piega per la Germania, ma Dönitz continuò a spingere per la costruzione di altri U-Boot e per il loro sviluppo tecnologico. Alla fine della guerra la flotta di sottomarini nazista era di gran lunga la più avanzata del mondo, e gli ultimi modelli come l’U-Boot Tipo XXI servirono come esempio per le costruzioni sovietiche e statunitensi dell’immediato dopoguerra. Adolf Hitler nel suo testamento, scelse Dönitz come suo successore a Presidente del Reich, carica rimasta vacante ma i cui poteri erano ricoperti fino a quel momento dallo stesso Hitler come Führer und Reichskanzler, dopo aver destituito Göring e Himmler; il primo per aver cercato di autoassegnarsi il titolo di Führer, il secondo per aver portato avanti una trattativa segreta di resa con gli Alleati, quindi per alto tradimento. Dopo che Hitler si suicidò il 30 aprile 1945, Dönitz divenne l’ultimo capo della Germania nazista con il cosiddetto “Governo di Flensburg“; trattò la resa finale dell’8 maggio e governò fino al suo arresto da parte dei britannici, che avvenne il 23 maggio nella cittadina di Flensburg. Dedicò la gran parte dei suoi sforzi ad assicurarsi che le truppe tedesche si arrendessero agli statunitensi e non ai sovietici, in quanto i tedeschi temevano che questi ultimi li avrebbero torturati e uccisi. Fu quindi portato al campo Ashcan e trasferito a Norimberga il 10 agosto. A seguito della guerra, Dönitz fu giudicato come criminale di guerra al Processo di Norimberga. Contrariamente a molti altri imputati, non era accusato di crimini contro l’umanità, e molti storici concordano che Dönitz non avesse preso parte all’Olocausto. Comunque, venne imputato per il coinvolgimento nell’intrapresa di una guerra di aggressione e crimini contro le leggi di guerra (che poi hanno fondato l’attuale Diritto internazionale Umanitario). Nello specifico, fu accusato di aver intrapreso una guerra sottomarina indiscriminata e di avere dato ordine, dopo l’affondamento del Laconia, un mercantile armato britannico, di non soccorrere i sopravvissuti delle navi attaccate dai sottomarini. Tuttavia, la vicenda dell’ordine emanato a seguito degli eventi occorsi durante la vicenda del Laconia perse importanza dopo che l’ammiraglio Chester Nimitz ebbe testimoniato che la marina degli Stati Uniti, nella guerra contro il Giappone, aveva utilizzato nel Pacifico la guerra indiscriminata seguendo linee di condotta concordi con quelle stabilite dall’ordine emanato da Dönitz, cosicché i sottomarini degli Stati Uniti non avevano soccorso i sopravvissuti in tutte quelle occasioni in cui la loro sicurezza poteva essere in dubbio sin dal 7 dicembre 1941. Nonostante ciò, il tribunale trovò Dönitz colpevole di “crimini contro la pace“, per i quali fu condannato, e scontò dieci anni nel carcere di Spandau, a Berlino Ovest. Tra tutti i verdetti emessi a Norimberga, quello contro Dönitz fu l’unico nel quale fu presa in considerazione la tesi difensiva di aver tenuto comportamenti analoghi a quelli della controparte alleata, argomento che era stato invece esplicitamente considerato come inapplicabile per gli altri imputati fin dalle primissime fasi del processo. Le sue memorie, intitolate Dieci anni e venti giorni, apparvero in Germania nel 1958. Egli fece ogni tentativo per rispondere alla corrispondenza e alle cartoline autografate che riceveva. Quando morì, nel 1980, numerosi tra i suoi sottoposti, nonché ufficiali di marina di altre nazioni, andarono a rendergli omaggio; oggi riposa nel cimitero di Aumühle.
  15. Hermann Wilhelm Göring (a volte reso Hermann Goering) (Rosenheim, 12 gennaio 1893Norimberga, 15 ottobre 1946) è stato un politico, generale e criminale di guerra tedesco. Abile pilota da caccia delle forze aeree tedesche durante la prima guerra mondiale, nel dopoguerra entrò nel Partito nazista, diventando rapidamente il principale luogotenente di Adolf Hitler. Dotato di grande energia e determinazione, fu accanto ad Hitler con una responsabilità spesso decisiva in tutte le fasi iniziali del nazismo fino alla presa del potere e alla costituzione del Terzo Reich. Dopo la presa del potere, Göring accumulò un gran numero di titoli, cariche, riconoscimenti e beni materiali, seguendo uno stile di vita stravagante e dissoluto. Svolse una importantissima attività politica all’interno del Reich dirigendo, con il titolo supremo di Maresciallo del Reich, la creazione della Luftwaffe, la costituzione della polizia segreta, le attività repressive e il sistema concentrazionario e di sterminio. Con l’inizio della seconda guerra mondiale, Göring, pur mantenendo il ruolo e il titolo di “numero due” del regime, perse progressivamente potere e credibilità di fronte a Hitler, a causa soprattutto delle voci riguardanti la sua possibile ascesa a Führer e della crescente paura di Hitler che questo potesse accadere, nondimeno a causa delle sconfitte della Luftwaffe, non in grado di impedire la distruzione delle città tedesche, né di ostacolare la crescente superiorità aerea del nemico. Si ritirò allora nella sua residenza di Carinhall, da lui fatta costruire in onore della prima moglie, abbandonandosi ad eccessi di vario genere che ne destabilizzarono la salute sia fisica che mentale. Nel 1945, dopo un fallimentare tentativo di succedere a Hitler e intavolare trattative con i nemici occidentali, venne arrestato dalle SS; una volta rilasciato (dopo la morte di Hitler), si consegnò agli Alleati per poi essere condannato a morte nel processo di Norimberga. Si suicidò alla vigilia dell’esecuzione con una capsula di cianuro. Personalità complessa e contraddittoria, dall’intelligenza superiore alla media, Göring dimostrò con le sue azioni una brutale carica di violenza e condivise sostanzialmente, con un ruolo direttivo, tutti i crimini del nazismo. Fu proprio Göring a impartire, per conto di Hitler, l’ordine di preparare una “soluzione finale al problema ebraico” a Reinhard Heydrich, capo del servizio di sicurezza delle SS, il 31 luglio 1941. Il 19 luglio 1940, in seguito alla vittoriosa campagna di Francia, a Göring (che era già feldmaresciallo) venne conferita la carica di “Maresciallo del Reich” (Reichsmarschall) – una nuova carica istituita appositamente per lui – che lo rese il più alto ufficiale della Wehrmacht. Meno di un anno dopo, in base al decreto emesso segretamente dal Führer il 29 giugno 1941, Göring divenne il successore designato di Hitler alla guida del Reich: tale decreto stabiliva che, se il dittatore fosse morto, Göring avrebbe dovuto succedergli; se Hitler si fosse trovato impedito nell’esercizio del potere, era preciso dovere di Göring sostituirlo. Nei primi anni di guerra, al tempo delle prime fulminee vittorie in Belgio, Francia e Paesi Bassi, Göring godette di un prestigio eccezionale in qualità di capo di quella Luftwaffe che tanto aveva contribuito alle operazioni militari; ma ben presto, di fronte alla superiorità dell’aviazione alleata e ai primi clamorosi insuccessi dell’aviazione tedesca, quali il fallimento della battaglia d’Inghilterra, l’incapacità di rifornire la VI Armata tedesca durante l’assedio di Stalingrado e, dal 1944, la mancata difesa dei cieli tedeschi durante i bombardamenti alleati, la sua posizione andò indebolendosi. Negli ultimi anni, ormai privo della fiducia del Führer e messo ai margini nella direzione della condotta di guerra, nell’uomo Göring si verificò una strana decadenza: scoraggiato dalle prospettive di una guerra che si faceva sempre più difficile e aspra, e le cui sorti sembravano segnate, il Maresciallo del Reich si disinteressò di tutto quel che accadeva intorno a lui, rifugiandosi nel lusso della sua vita privata e nei suoi antichi vizi (arrivò a pesare ben 140 chili). A differenza del Reichmarschall, il fratello Albert, imprenditore che non era mai stato nazista (ma non era perseguitato proprio perché protetto da Hermann) aveva, invece, salvato moltissimi ebrei. Il 22 aprile 1945, Göring inviò un telegramma accuratamente formulato, chiedendo a Hitler di confermare che doveva effettivamente diventare il leader della Germania in conformità con il decreto del 1941. Göring aggiunse che se Hitler non avesse risposto entro le 22,00 del 23, avrebbe presunto che Hitler avesse perso la sua libertà di azione e quindi avrebbe assunto la guida del Reich. Ma Hitler – ormai asserragliato nel bunker e soggetto a frequenti crisi nervose con l’avvicinarsi della disfatta – venne così consigliato da Martin Bormann, acerrimo nemico di Göring, nel senso di interpretare la richiesta dei pieni poteri avanzata dal suo antico camerata come un “tradimento”, un tentativo di usurpare il potere, sottraendosi, al tempo stesso, alle proprie responsabilità. Perciò comandò alle SS di stanza a Berchtesgaden (con a capo il tenente colonnello Bernhard Frank), mentre Göring cercava di autoaccreditarsi come nuovo Führer della Germania, di arrestare il Maresciallo del Reich, ma non ne ordinò l’esecuzione. A ciò provvide lo stesso Bormann, ansioso di sbarazzarsi del suo vecchio nemico: ma l’ordine non fu eseguito, perché al quartier generale delle SS a Berchtesgaden arrivò nel frattempo la notizia della morte di Hitler e le SS non seppero più come regolarsi. Göring fu quindi rilasciato e si mise in viaggio – con sedici valigie al seguito contenenti i soli effetti personali – per andare incontro agli alleati che avanzavano, con l’intenzione di trattare una pace onorevole in qualità di delegato ed erede del Führer. L’8 maggio 1945, poche ore dopo che il generale Keitel ebbe firmato la resa incondizionata della Germania, egli si consegnò agli americani: fu accolto con entusiasmo e passò la sera della sua consegna tra canti e libagioni. Giunta la notizia al generale Eisenhower, i responsabili Alleati vennero aspramente redarguiti e Göring non tardò ad accorgersi che Eisenhower non aveva intenzione di trattarlo come legittimo rappresentante del Paese sconfitto, ma come un normale prigioniero di guerra. Egli fu quindi trasferito al campo Ashcan nello stesso mese, e il 10 agosto trasferito a Norimberga. Processato a Norimberga dal 18 ottobre 1945, il 1º ottobre 1946 venne riconosciuto colpevole di «aver pianificato, iniziato e intrapreso guerre d’aggressione» e di aver commesso «crimini di guerra» e «crimini contro l’umanità». Udita la sentenza di morte per impiccagione, Göring chiese di essere fucilato; il tribunale respinse la richiesta. Poche ore prima che iniziassero le esecuzioni – attorno alla mezzanotte del 15 ottobre 1946 – si tolse la vita, inghiottendo una capsula di cianuro introdotta di nascosto nella sua cella, forse da un tenente dell’esercito statunitense, Jack Wheelis, detto “Tex”, addetto alla custodia, con il quale Göring intratteneva rapporti amichevoli. Wheelis potrebbe aver fornito al Maresciallo del Reich la capsula, insieme ad alcuni effetti personali e lettere della moglie, in quanto responsabile della guardia al magazzino dove erano conservati i bagagli dei detenuti. Göring, per gratitudine nei confronti di Wheelis, gli avrebbe regalato l’orologio con il suo nome, i suoi guanti bianchi e una foto autografata recante la scritta: «A un cacciatore del Texas, con auguri di buona caccia». Il cadavere di Göring venne comunque mostrato ai testimoni delle impiccagioni del 16 ottobre 1946 subito dopo la decima e ultima impiccagione, quella di Arthur Seyss-Inquart, affinché non si creassero leggende metropolitane su una sua possibile fuga. Il corpo venne poi cremato e le ceneri furono disperse nel torrente Conwentzbach, un affluente del fiume Isar, come accaduto con molti altri Gerarchi nazisti condannati alla pena capitale come criminali di guerra. Erich von dem Bach-Zelewski, generale delle SS arrestato dagli Alleati, pur di non essere consegnato ai Russi, accettò di testimoniare al processo di Norimberga, tra gli altri, anche contro il Reichmarschall. Fu di fatto l’unico responsabile degli eccidi di massa che si autodenunciò e grazie alla sua collaborazione con i giudici non venne incriminato per le atrocità commesse, anche se un Tribunale tedesco nel 1962 lo condannò all’ergastolo per l’eccidio di sei militanti comunisti avvenuto nel 1933. La sua testimonianza è stata fondamentale per la condanna a morte di Hermann Göring, Joachim von Ribbentrop, Alfred Jodl, Wilhelm Keitel, Alfred Rosenberg, Fritz Sauckel. affermò, nel 1951, di aver procurato la capsula di cianuro a Göring, ma tale affermazione non è mai stata provata; diversi storiografi concordano che a fornire il cianuro sia stato qualche ufficiale statunitense. Anche altre persone, come ufficiali e soldati statunitensi, avrebbero infatti rivendicato di essere stati loro a passare la capsula a Göring.
  16. L’Istituto del Nastro Azzurro fra combattenti decorati al valore militare (o più semplicemente Nastro Azzurro) è un ente a struttura associativa che raccoglie tutti i Decorati italiani di ricompense al valor militare, dalle guerre d’indipendenza fino all’attualità. L’Istituto del Nastro Azzurro fu costituito in Roma il 24 febbraio 1923 prima come Legione Azzurra, poi come Associazione del Nastro Azzurro, per volontà della Medaglia d’Oro Ettore Viola e del pittore Maurizio Barricelli che vollero assumere come data costitutiva il 26 marzo, a memoria dell’istituzione da parte di Carlo Alberto di Savoia Carignano delle Medaglie al Valor Militare. Il 21 aprile il Capo del Governo Benito Mussolini consegnò al Comitato Centrale dell’Istituto, nell’Aula Senatoria del Campidoglio, l’Orifiamma Nazionale. Le sue origini si radicano nel primo provvedimento organico adottato nel Regno di Sardegna per ricompensare particolari atti di valore compiuti da militari, risalente al 21 maggio 1793, quando Vittorio Amedeo III di Savoia approvò il Regolamento “…per il distintivo di onore stabilito per li bassi ufficiali e soldati delle Regie Truppe” che istituiva una medaglia d’oro o d’argento da conferire ai sottufficiali ed ai militari di truppa del regno sardo che avessero compiuto “azione di segnalato valore in guerra”. Tale distintivo di onore rappresentava “un pubblico e permanente onorifico contrassegno di Reale gradimento” e, proseguiva il regolamento, “nel far riconoscere gli autori” doveva “dar loro una maggior considerazione, elevarne sempre più gli animi ed eccitare anche con l’apparente segno della manifestata prodezza quella emulazione nei compagni, che è tanto necessaria nel militare”. Possono fare parte dell’Istituto i Decorati di medaglia al Valor Militare (Soci Ordinari) alla condizione di non aver compiuto, dopo il conseguimento della decorazione, azioni indegne o tenuto comportamento disonorevole, essere venuti meno alle leggi dell’onore militare, della morale ed ai doveri verso la Patria. Questa nozione basilare dell’onore del Decorato era ben chiara già negli statuti iniziali dell’Istituto, dove si leggeva che potevano far parte del Nastro Azzurro tutti i combattenti che avendo ottenuto per atti di valore compiuti esclusivamente in presenza del nemico una ricompensa al Valor Militare, non abbiano macchiata, con disonesto o riprovevole comportamento, la purezza originaria di essa. Soci Ordinari sono altresì i decorati dell’Ordine Militare d’Italia (già di Savoia), della Croce d’Onore alle vittime del terrorismo o di atti ostili impegnate in operazioni militari e civili all’estero, e delle Medaglie al Valore dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Sono altresì Soci Ordinari i congiunti dei Decorati. I Soci Sostenitori sono coloro che aderiscono per condivisione degli ideali, scopi e finalità dell’Istituto. Oggi l’Istituto, sempre con sede centrale a Roma, si articola in 85 Federazioni Provinciali, Sezioni e Gruppi. Nei tumultuosi eventi politici e militari che seguirono l’8 settembre 1943, l’Istituto non fu sciolto e la sua attività non subì interruzione. Dal 9 settembre furono riammessi i Decorati di religioni ebraica che le leggi razziali avevano forzatamente allontanato. Riorganizzato per adeguare le proprie norme statutarie alla nuova forma istituzionale, rimasero ferme la sua finalità di ordine morale e la sua totale apoliticità. Lo statuto dell’Istituto in vigore oggi è quello approvato con Decreto del Presidente della Repubblica nº 158 del 10 gennaio 1966, e con successive modifiche deliberate nei vari Congressi Nazionali e sanzionate dalla Prefettura di Roma. Dalla sua istituzione, hanno ottenuto l’iscrizione al Nastro Azzurro più di 90.000 Decorati al Valor Militare. Mantenendo fede al proprio Statuto, l’Istituto, nei suoi oltre 90 anni di storia, ha svolto un’opera di alto profilo, affiancando di volta in volta iniziative di carattere patriottico ad un’attività sociale, sempre con l’obiettivo di rafforzare il concetto di Patria che è alla base dell’esistenza di ogni singolo popolo che si riconosce in una bandiera. Attraverso il proprio periodico, Il Nastro Azzurro, l’Istituto mantiene in vita il ricordo di tutti quegli Eroi che, senza distinzione di religione, classe ed ideologia politica, hanno portato nel mondo l’Eroismo del Soldato italiano, Patria comune di vincitori e vinti. L’Istituto fa parte del Consiglio nazionale permanente delle associazioni d’arma nonché della Confederazione italiana fra le associazioni combattentistiche e partigiane. Con i suoi Labari nazionale o delle Sezioni provinciali partecipa a tutte le cerimonie militari che si svolgono sul territorio nazionale.
  17. La sigla RPG, dal russo РПГ, sta per Ручной Противотанковый Гранатомёт (Ruchnoy Protivotankovyj Granatomjot), ovvero “lanciagranate portatile anticarro“, e indica una specifica serie di sistemi anticarro di fabbricazione sovietica (oggi russa). L’acronimo inglese derivato, che sta per Rocket Propelled Grenade, ha assunto un significato più ampio e generico, che comprende tutti i lanciatori portatili a mano con munizione costituita da un unico razzo inserito a candeliere nel tubo di lancio e attivato mediante un innesco elettrico che ne accende il motore. Il modello di RPG più venduto e diffuso è l’RPG-7, sviluppato dall’esercito sovietico nel secondo dopoguerra mutuando alcune delle migliori caratteristiche del Panzerfaust tedesco e del Bazooka statunitense. Esistono molti tipi di lanciatori e di granate autopropulse. Lo sviluppo delle corazze dei carri armati e il ridursi dei costi di produzione degli RPG hanno fatto sì che questo tipo di armi sia oggi diffusamente utilizzato anche contro persone, veicoli comuni e infrastrutture e da combattenti di forze irregolari o da terroristi, soprattutto nei conflitti a bassa intensità. I modelli più diffusi di lanciarazzi sono gli RPG-2, RPG-7, RPG-16, RPG-29 ed RPG-32. Per la sua versatilità, il basso costo, la semplicità di impiego, questa tipologia di armi è molto diffusa nel vicino e medio oriente, oltre che nei paesi dell’ex Unione Sovietica.
  18. Il Veicolo Tattico Leggero Multiruolo (VTLM) “Lince” è un mezzo blindato leggero di nuova generazione prodotto da Iveco Defence Vehicles di Bolzano. Il “Lince” possiede un elevato livello di protezione contro il fuoco e la sua estrema versatilità di impiego gli consente di operare in ambienti radicalmente diversi per collocazione geografica, condizioni climatiche (-32 C° +49 C°) e caratteristiche del terreno. Un aspetto importante di questo nuovo veicolo tattico sono i kit: questi possono essere montati in brevissimo tempo e comprendono blindature modulari aggiuntive, kit ideati per il guado di corsi d’acqua, grazie ai quali la scocca viene alzata e le prese d’aria motore vengono sopraelevate. Introdotto in servizio nel 2006 attualmente è impiegato in contesti operativi quali, LIBANO, AFGHANISTAN, KOSOVO, SOMALIA E REPUBBLICA CENTRAFRICANA.
  19. La Brigata paracadutisti “Folgore” è l’unica grande unità aviotrasportata dell’Esercito Italiano, posta alle dipendenze del Comando Forze Operative Nord. Istituita il 1º gennaio 1963 a Pisa, per trasformazione del preesistente Centro Militare di Paracadutismo, la Brigata ha il suo quartier generale a Livorno ed è dislocata con la maggior parte dei suoi reparti in Toscana (Siena, Pisa, Grosseto, Pistoia) con l’8º Reggimento guastatori paracadutisti a Legnago e con il 185º Reggimento artiglieria paracadutisti a Bracciano. La storia delle unità di fanteria paracadutista in Italia ha origine nel 1938, con la costituzione del Battaglione paracadutisti libici Fanti dell’Aria, mentre nel 1939 a Tarquinia nasce la prima scuola di paracadutismo in Italia. Fu solo dopo i successi delle unità paracadutiste tedesche nella fase iniziale della seconda guerra mondiale che lo Stato maggiore del Regio Esercito italiano autorizzò nel 1941 la formazione di una prima divisione, la Folgore, seguita dalla 184ª Divisione paracadutisti Nembo e dalla incompiuta 183ª Divisione paracadutisti Ciclone. Alla fine del conflitto, la sola unità ancora operante fu il Reggimento paracadutisti Nembo, già inquadrato nel Gruppo di Combattimento Folgore che, dopo il congedo dei militari brevettati, anche se in gran parte impegnati negli anni di guerra come unità di fanteria convenzionale, non disponeva più di effettive capacità di aviolancio. Anche le qualifiche di brevetto non erano più conseguibili, in quanto le condizioni di pace precludevano alle forze armate italiane di disporre di unità di paracadutisti e il Reggimento venne infatti convertito di lì a poco in un’unità di fanteria convenzionale. Il 1º gennaio 1963, a seguito di un’ulteriore espansione dei reparti, venne ufficialmente attivata la Brigata paracadutisti, su decisione del Capo di stato maggiore dell’epoca, il generale Giuseppe Aloia. Oggi dipende dal Comando delle forze operative Nord dell’Esercito Italiano. Tra i fatti d’arme storici che hanno coinvolto la Folgore, significativo fu il suo eroico comportamento sul fronte nordafricano nell’ultimo conflitto mondiale. Il 23 ottobre 1942 ad El Alamein si combatté una delle più famose battaglie della seconda guerra mondiale e i paracadutisti della Folgore entrarono nella leggenda. Quel giorno le truppe britanniche scatenarono l’offensiva decisiva contro le linee italo-tedesche in Africa settentrionale, lungo un fronte di 15 km difeso dalla Divisione Paracadutisti Folgore. L’Ottava Armata inglese schierò la 7a Divisione corazzata, i Desert Rats, veterani della guerra d’Africa, e tre divisioni di fanteria, per un totale di circa 50.000 uomini, 400 pezzi di artiglieria, 350 carri armati e 250 blindati con ingenti scorte di munizioni, viveri ed equipaggiamenti. Gli italiani schierarono circa 3.500 paracadutisti, più 1.000 uomini provenienti dal 31° Battaglione Guastatori d’Africa e da un battaglione di fanteria della Divisione Pavia, 80 di pezzi d’artiglieria e 5 carri armati. Scarse le munizioni, gli equipaggiamenti, e i viveri. I rapporti di forza erano di 1 a 13 per gli uomini, 1 a 5 per le artiglierie, 1 a 70 per i carri armati. I paracadutisti respinsero ogni tentativo di sfondamento e inflissero agli inglesi gravi perdite, che però pagarono con circa 1.100 tra morti, feriti e dispersi. La resistenza italiana si protrasse per una settimana costringendo i comandi inglesi a sospendere ogni altra iniziativa su quella linea del fronte. Il 2 novembre, con l’ordine di ripiegamento, la Folgore abbandonò le posizioni, con la sua linea di resistenza ancora intatta. I superstiti della Divisione si sarebbero poi dissolti nel corso della tragica ritirata nel deserto. Quanto ai fatti d’arme recenti, si segnalano quello del 2 luglio 1993, la famosa battaglia del Check Point Pasta a Mogadiscio, Somalia, durante la missione di pace UNOSOM II. A seguito di un agguato preparato da miliziani somali, e dopo un violento scontro a fuoco che coinvolse blindati ed elicotteri d’attacco, tre italiani morirono, tra cui due paracadutisti e quello del 15 settembre 1993, l’agguato al porto nuovo di Mogadiscio, Somalia, durante la missione di pace UNOSOM II. Due parà italiani morirono sotto il fuoco di alcuni cecchini. Tra le altre vicende degne di menzione vi è quella del 25 giugno 1967 la strage di Cima Vallona, dove una bomba piazzata da terroristi altoatesini a Sega Digon di Comelico Superiore uccise il capitano dei Carabinieri del battaglione paracadutisti Tuscania Francesco Gentile e due incursori del reggimento Col Moschin, il sottotenente Mario Di Lecce e il Sergente Olivo Dordi. Un altro incursore del Col Moschin, sergente Marcello Fagnani, rimase ferito gravemente. Altra vicenda degna di menzione Il 9 novembre 1971 la tragedia della Meloria, in cui un Lockheed C-130 della Royal Air Force, parte di una formazione di dieci aerei da trasporto che carichi di truppe si recava a Villacidro in Sardegna, si schiantò sul mare nella zona degli scogli della Meloria; l’aereo era contrassegnato col gesso sulla fiancata dal numero progressivo 4, ed era in volo a bassissima quota per motivi tattici; morirono 46 paracadutisti italiani e 6 membri dell’equipaggio inglese; inoltre un incursore del reggimento Col Moschin, il sergente maggiore Giannino Caria, morì durante le ripetute immersioni tese al recupero dei corpi alle quali aveva volontariamente partecipato, e verrà insignito della medaglia d’oro alla memoria. Il nome in codice col quale l’aereo era noto era “Gesso 4” per le modalità sopra descritte. Tra le vicende recenti, degne di nota, tra le altre, quella del 2006 in cui la caserma Vannucci della “Folgore” a Livorno subì un attentato dalle Nuove Brigate Rosse ma l’ordigno non esplose del tutto. Nel 2011 invece un ordigno dinamitardo di un gruppo anarchico ferì il tenente colonnello Alessandro Albamonte, capo di stato maggiore della brigata.
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  21. La teoria della relatività formulata da Albert Einstein, prima nella sua versione ristretta e poi in quella generale, ha modificato profondamente la teoria della relatività galileiana e ha cambiato il nostro concetto di tempo e di spazio. Per quanto sorprendenti, le previsioni di Einstein hanno ottenuto numerose conferme. Sempre alla relatività dobbiamo l’equazione più famosa della fisica: E = mc2. Il famoso dilemma del viaggiatore: immaginiamo di essere il passeggero di un treno fermo in stazione e di osservare dal finestrino un altro convoglio che attende di partire sul binario vicino. A un tratto ci accorgiamo che questo secondo treno si sta allontanando. D’istinto, per essere certi che sia l’altro treno a muoversi e non il nostro, cercheremo un riferimento sulla cui immobilità non abbiamo dubbi, per esempio il marciapiede della stazione o un cartello segnaletico. Ma se fosse notte e fosse visibile solo l’altro convoglio e non la stazione? In quel caso non sarebbe affatto facile stabilire quale dei due treni è partito: il moto non è un concetto valido in senso assoluto, ma è sempre relativo all’osservatore che lo considera. Per studiare un corpo in movimento dobbiamo munirci di un metro e di un orologio, scegliere un punto di riferimento e una terna di assi orientati nello spazio che partono dal punto, rispetto ai quali misurare le distanze; dobbiamo infine stabilire un istante iniziale rispetto a cui misurare gli intervalli di tempo. Per il passeggero che vuole capire se il suo treno è partito o meno, la stazione è un buon riferimento, ma se dovesse descrivere il movimento di una biglia che rotola sul pavimento del vagone su cui viaggia troverebbe molto più comodo scegliere un riferimento fermo rispetto al pavimento. Einstein formulò una nuova teoria della relatività basata su due principi: il primo è che le leggi della fisica non cambiano quando si passa da un riferimento inerziale a un altro; il secondo è che la velocità della luce nel vuoto, indicata con c (vale circa 300.000 km/s), è la stessa per qualsiasi osservatore, fermo o in movimento, è indipendente dalla velocità della sorgente ed è la massima velocità raggiungibile. Le conseguenze di questa affermazione hanno cambiato radicalmente i nostri concetti di tempo e spazio. Cambiano il tempo e lo spazio. Dall’equazione conseguente emerge un fatto rivoluzionario: l’intervallo di tempo misurato dall’orologio dell’osservatore in movimento è diverso da quello misurato dall’orologio a terra! E l’effetto è tanto più marcato quanto più la velocità del treno si avvicina a quella della luce, perché il rapporto V2/c2 tende a 1 e il denominatore dell’equazione diventa così sempre più piccolo; di conseguenza aumenta il valore di ∆tstazione. A questo fenomeno, noto come dilatazione dei tempi, si accompagna invece la contrazione delle lunghezze nella direzione di moto. Se, infatti, l’osservatore sulla banchina misurasse quanto è lungo il treno in marcia, otterrebbe un valore inferiore a quello misurato dal passeggero che si trova sul convoglio. Questi risultati sono conseguenza delle trasformazioni di Lorentz (di cui la formula precedente è un esempio) che hanno sostituito quelle di Galilei nella teoria della relatività ristretta. Secondo questa teoria, nel passare da un riferimento inerziale all’altro, sia le coordinate spaziali sia quelle temporali cambiano, mentre nelle trasformazioni di Galilei il tempo è sempre lo stesso, indipendentemente dal riferimento scelto. I corpi, dunque, si muovono nello spazio-tempo, perché spazio e tempo risultano indissolubilmente legati. La posizione di un corpo a un dato istante di tempo rispetto a un riferimento inerziale è un evento dello spazio-tempo e le trasformazioni di Lorentz permettono di trovare le coordinate di quell’evento rispetto a un qualsiasi altro riferimento inerziale. Sempre al seguito di Albert Einstein proseguiamo il nostro viaggio, ma ora su un’astronave che si sta avvicinando alla Terra a motori ancora spenti, di ritorno da un viaggio spaziale. Nel 1907 Einstein formulò quello che definì «il pensiero più felice della mia vita»; comprese cioè che per un osservatore in caduta libera (per esempio, l’astronauta all’interno della navicella) la gravità scompare. Ciò significa che se, all’interno dell’astronave, si lasciasse libera di muoversi una palla, questa non cadrebbe, ma rimarrebbe ferma rispetto alle pareti. L’astronave in caduta libera è quindi un riferimento localmente inerziale: se si lancia una biglia sul pavimento, questa avanza in linea retta perché vale il principio d’inerzia come sulla nave di Galileo. Il termine localmente significa che questa proprietà è valida nello spazio limitato dell’astronave, e per un intervallo di tempo piccolo, per esempio, rispetto a quello che la navicella impiega per raggiungere il suolo. Possiamo quindi formulare il principio di equivalenza: in un riferimento localmente inerziale le leggi della fisica devono avere la stessa forma che le contraddistingue nella teoria della relatività ristretta, cioè la stessa forma che avrebbero in assenza di gravità. Basandosi su questo principio, Einstein formulò le equazioni che stanno alla base della teoria della relatività generale: queste equazioni descrivono il campo gravitazionale e valgono in un riferimento qualsiasi, inerziale e non inerziale. Se in un riferimento in caduta libera la gravità scompare, come possiamo capire se stiamo precipitando in un campo gravitazionale oppure no? Supponiamo di trovarci sull’astronave e di disporre di due sfere. Lasciamole libere per un poco: come abbiamo visto prima, esse rimarranno ferme. Se però attendiamo per un tempo sufficientemente lungo, poiché il campo gravitazionale è diretto verso il centro della Terra e quindi varia mentre l’astronave cade, vedremo che i due corpi si avvicinano tra loro in direzione orizzontale. Da questo deduciamo che stiamo cadendo verso la Terra e che è opportuno accendere i motori per frenare la caduta! Le traiettorie nello spazio-tempo dei due corpi che si avvicinano non dipendono dalla loro massa: anche se le masse fossero molto più piccole (o più grandi), non cambierebbero. La gravità, quindi, determina le traiettorie che tutti i corpi lasciati liberi di muoversi devono seguire. Se non c’è gravità queste traiettorie sono rette, ma se è presente diventano curve, e se confrontiamo due traiettorie vicine vedremo che la loro distanza varia nel tempo a seconda di come è fatto il campo gravitazionale nel quale sono immerse: è per questo motivo che diciamo che la gravità curva lo spazio-tempo. Nell’articolo del 1905, in cui Albert Einstein espone i fondamenti della relatività ristretta, fa la sua prima comparsa anche la formula E = mc2, destinata a diventare l’equazione per eccellenza della fisica. Essa stabilisce che se un corpo emette un’energia “E” sotto forma di radiazione, la sua massa “m” diminuisce di una quantità “E/c2”, quindi massa ed energia possono trasformarsi l’una nell’altra. Questo avviene per esempio nei decadimenti radioattivi o nelle reazioni nucleari. L’equazione E=mc2 dice anche che una piccolissima massa può trasformarsi in una enorme quantità di energia, perché il fattore “c2” vale “9×1016”. Per esempio, così si spiega perché una stella possa splendere per miliardi di anni trasformando, attraverso le reazioni nucleari, una piccolissima parte della sua massa in un’enorme quantità di energia.
  22. Il 51° stormo dell’Aeronautica Militare italiana fu costituito il 1° ottobre 1939 sull’aeroporto di Ciampino Sud (Roma) quale Reparto Caccia e fin dall’inizio del secondo Conflitto Mondiale gli venne affidato il compito della difesa delle città di Roma e Napoli, che svolse con velivoli CR.32 e G.5O. Con l’assegnazione dei velivoli Macchi 200, 202, 205, partecipò alle operazioni belliche in Africa Settentrionale, in Russia, nei Balcani e alla difesa dei cieli di Sicilia e di Sardegna. In cinque anni di guerra, ha effettuato oltre 40.000 ore di volo, di cui 28.000 in azioni di scorta ed attacchi al suolo. Il bilancio dell’attività bellica è rappresentato da 270 aerei abbattuti, 102 velivoli probabilmente abbattuti e 934 mitragliati in volo. Nell’immediato dopoguerra lo Stormo fu riorganizzato sull’aeroporto di Lecce assieme ad altri Reparti da Caccia e nel 1947, con i velivoli Republic P.47, P.51 e Spitfire IX, fu trasferito sull’aeroporto di Treviso. Ricevuti gli aerei a getto F.84G, lo Stormo prese possesso, nel febbraio del 1953, della nuova Base di Istrana, in provincia di Treviso. La linea volo fu arricchita con l’assegnazione dei velivoli F.84F, F.86K e successivamente con il G91R. Nel 1963 il 51 diventa “bisonico” con l’assegnazione del velivolo F-104G STARFIGHTER. Il 1989 è l’anno in cui lo Stormo riceve il 103° Gruppo, primo ad avere in dotazione il nuovo velivolo AM-X. Nel corso del 1995 il 103° Gruppo è stato il primo Reparto “Combat Ready” su velivolo AM-X ad operare in missioni reali sul territorio bosniaco effettuando operazioni di supporto aereo ravvicinato nell’ambito delle operazioni belliche programmate dalla NATO. Nel marzo del 1999 il 22° Gruppo viene messo in posizione quadro e, a seguito del precipitare della situazione geo-politica nei Balcani, il 103° Gruppo viene nuovamente impegnato in prima linea nell’ambito dell’Operazione “Allied Force” inizialmente dalla Base di Istrana ed in seguito sulla Base di Amendola, effettuando 70 missioni reali con 780 sortite complessive, contribuendo significativamente all’adempimento dei compiti assegnati dall’Alleanza alla Nazione. Nel luglio del 1999 viene assegnato il 132° Gruppo con velivoli AM-X e capacità di ricognizione fotografica. A partire dal 4 novembre 2009 e fino al 20 giugno 2014, sempre nell’ambito della missione ISAF, lo Stormo è stato presente ad Herat nell’ambito del JATF (Joint Air Task Force) per il soddisfacimento delle esigenze di ”Intelligence Surveillance & Reconnaissance” e di CAS (Close Air Support) con i velivoli AMX. Nel mese di luglio del 2011, a seguito della crisi libica e del conseguente intervento militare internazionale, i velivoli dello Stormo sono stati rischierati presso l’Aeroporto di Trapani Birgi, per affiancarsi agli altri assetti della NATO durante l’Operazione ”Unified Protector”. Dal 23 luglio 2014, lo Stormo ha incorporato anche il 101° Gruppo OCU cui spetta il ruolo principale di Conversione Operativa sugli AMX per i piloti neo-assegnati. A partire dal 14 giugno 2016 e fino al 25 marzo 2019 alcuni AMX del 51° Stormo sono rischierati in Kuwait, quale contributo italiano alla componente aerea (Task Force Air) della missione di contrasto all’ISIS “Prima Parthica”, con il Task Group “Black Cats” garantendo le funzioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione. In questo periodo i velivoli del 51° Stormo hanno totalizzato oltre 6.000 ore di volo e più di 17 mila obiettivi ricogniti. Il 19 gennaio 2017 viene attivata una cellula d’allarme di difesa aerea con l’arrivo di due Eurofighter F-2000. Ma è dal 12 settembre 2019 che lo stormo torna a far parte del sistema di difesa aerea di interesse nazionale, concorrendo al controllo, sin dal tempo di pace, dello spazio aereo relativo. A seguito di questa ultima organizzazione dello stormo, al 132° Gruppo C.B.R. si aggiunge la linea volo Eurofighter Typhoon.
  23. Lo scramble (o scrambling) è un termine militare che definisce l’atto di far decollare un caccia intercettore per intercettare e identificare un aereo sconosciuto. Il termine fu introdotto durante la seconda guerra mondiale, nel corso della Battaglia d’Inghilterra, quando gli aerei da caccia britannici della Royal Air Force rimanevano in attesa delle segnalazioni da parte dei radar del sistema Chain Home incaricati di rilevare l’avvicinarsi di aerei tedeschi alla Gran Bretagna. Quando i radar individuavano aerei nemici in avvicinamento, ogni aeroporto del Dowding System riceveva una telefonata di allarme e agli equipaggi disponibili veniva dato l’ordine di scramble. Ogni minuto perso prima del decollo dei caccia, si sarebbe trasformato in un vantaggio per il nemico, in quanto più tempo si aveva a disposizione, più gli aerei britannici potevano raggiungere quote più alte, da cui attaccare le formazioni in avvicinamento in condizioni di vantaggio. Ai piloti da caccia venivano date quota e altezza degli aerei in avvicinamento e una stima grossolana del numero. La quota veniva comunicata con il termine Angels da cui la frase Angels One Five utilizzata per indicare aerei in avvicinamento a 15000 ft (piedi), titolo di un film nel dopoguerra. Gli aerei non identificati erano noti come Bogeys, mentre quelli confermati come nemici venivano chiamati Bandits. L’ordine di scramble veniva comunicato ai piloti di guardia nella base con il suono di una campana. La NATO, a partire dal periodo della guerra fredda, ha standardizzato le procedure per la gestione della intercettazione e quindi degli scramble. La funzione, nota con il termine NATO di Quick Reaction Alert – QRA (dall’inglese: reazione rapida su allarme), si sviluppa nel NATO Integrated Air Defense System (NATINADS), il sistema integrato di difesa aerea della NATO. Del sistema integrato fanno parte i Control and Reporting Center (CRC), tipicamente le postazioni radar a terra o imbarcate sugli aerei radar Airborne Warning and Control System (AWACS). Le informazioni sono poi raccolte e le decisioni sul da farsi vengono prese dai Combined Air Operation Center (CAOC), cui spetta eventualmente il compito di lanciare lo scramble ai Quick Reaction Alert Assets for Intercepts (QRAI), cioè gli aerei intercettori, o le batterie di missili antiaerei, che sono in stato di pre-allerta. In Italia, la difesa dello spazio aereo è affidata all’Aeronautica Militare che incarica di questo compito il Comando Operazioni Aeree con sede a Poggio Renatico. Il Gruppo riporto e controllo difesa aerea ed il 22º Gruppo radar assicurano la parte relativa alla sorveglianza, all’identificazione ed al controllo insieme al Combined Air Operations Centre Torrejon, in Spagna, ente NATO responsabile d’area del servizio di sorveglianza dello spazio aereo. Se viene segnalata una traccia radar sconosciuta, viene dato l’ordine di scramble agli intercettori che vengono diretti fino ad accertare l’identità del velivolo. Tale intervento, garantito da una coppia di Eurofighter Typhoon sempre pronti al decollo in massimo 10/15 minuti con copertura 24 ore su 24, 7 giorni su 7, è svolto dal 4º Stormo di Grosseto, dal 51º Stormo di Istrana, dal 36º Stormo di Gioia del Colle e dal 37º Stormo di Trapani. Il 4º Stormo e il 51º Stormo hanno competenza sul Centro-Nord Italia mentre il Centro-Sud sono coperti dal 36º Stormo e dal 37º Stormo. In base ad accordi bilaterali, l’Italia ha il compito di assicurare la difesa dello spazio aereo di Slovenia ed Albania, attività svolte rispettivamente dal 4º e dal 36º Stormo. Tutti gli Stormi sono equipaggiati con velivoli caccia Eurofighter. Non sono più utilizzati gli F-16ADV, resi al governo degli Stati Uniti in quanto finito il leasing di 47.000 ore di volo previsto dal Peace Caesar F-16 program.
  24. L’Eurofighter Typhoon, il cui prototipo era designato EFA (European Fighter Aircraft), è un aeroplano militare multiruolo (Swing Role) di quarta generazione avanzata, bimotore, con ruolo primario di caccia intercettore e da superiorità aerea. Progettazione e produzione del Typhoon fanno carico a un consorzio di tre società, Alenia Aermacchi (confluita in Leonardo, nuovo nome di Finmeccanica dal 2017), Airbus Group e BAE Systems, attraverso una holding comune, Eurofighter GmbH, costituita nel 1986. Il progetto è gestito dalla NETMA (NATO Eurofighter and Tornado Management Agency), che agisce anche come primo cliente. L’Eurofighter Typhoon è un velivolo estremamente agile, progettato per un combattimento aria-aria estremamente efficace contro altri aeromobili, ed è stato descritto come secondo solo al F-22 Raptor e al F-35 Lightning II, tutti e due statunitensi e di quinta generazione anche se il Raptor e l’F-35 costano quasi il doppio. In seguito, i velivoli prodotti hanno beneficiato di diverse migliorie, come attrezzature atte a intraprendere missioni di attacco aria-superficie e la compatibilità con un numero altrettanto crescente di diversi armamenti ed equipaggiamenti, tra cui il missile da crociera SCALP e il Brimstone della RAF. L’aereo ha visto il suo esordio in combattimento durante l’intervento militare in Libia del 2011 con la Royal Air Force e l’Aeronautica Militare italiana, eseguendo missioni di ricognizione e bombardamento a terra. Il Typhoon ha anche assunto la responsabilità primaria per le funzioni di difesa aerea per la maggior parte delle nazioni coinvolte nel progetto.
  25. Il Reparto Difesa Aerea Missilistica Integrata (ReDAMI) ha come compito principale quello di assicurare un’efficace ed efficiente direzione e coordinamento di tutte le attività addestrative, di esercitazione ed operative dei dipendenti Gruppi Radar sia nel contesto NATO, sia in quelli nazionali, garantendo sempre le funzioni di Difesa Aerea e Missilistica Integrata. Dal ReDAMI dipendono: 11° Gruppo DAMI di Poggio Renatico (FE) ed il 22° Gruppo DAMI di Licola (NA). In ambito NATO, questi due Gruppi sono inseriti nello IA&MDS (Integrated Air&Missile Defence System), dove operano alle dipendenze del CAOC (Combined Air Operation Center) di Torrejon in Spagna. Il ReDAMI di Poggio Renatico, per il tramite dei dipendenti Gruppi Radar, assicura 24 ore al giorno 365 giorni l’anno, la sorveglianza e la difesa dello spazio aereo nazionale in maniera continuativa attraverso un sistema di radar e velivoli intercettori integrato nella NATO sin dal tempo di pace. Il Reparto DAMI è nato il 15 marzo 2017, data in cui è stata sancita la riorganizzazione dell’ARS (Air Control Centre, Recognized Air Picture Production Centre, Sensor Fusion Post) in Reparto Difesa Aerea Missilistica Integrata (ReDAMI). L’ARS di Poggio Renatico nasce quale primo sito di difesa aerea, tra i Paesi del Patto Atlantico, ad impiegare il nuovo sistema NATO Air Command and Control System (ACCS) in un contesto operativo reale. L’ACCS sostituirà, nel prossimo futuro, gli attuali sistemi per il Comando e Controllo della Difesa Aerea in dotazione all’Aeronautica Militare e alla NATO permettendo di gestire, con un’unica interfaccia software, le missioni aeree sia nella fase di pianificazione che in quella di esecuzione. Al Reparto Difesa Aerea Missilistica Integrata sono assegnate funzioni di coordinamento e supervisione delle due unità operative italiane integrate nella catena di comando e controllo di Difesa Aerea Nazionale e NATO, ereditando  le mansioni e i compiti svolti dal Centro Coordinamento Gruppi Radar (CCGRAM), precedentemente costituito al fine di svolgere parte delle mansioni riconducibili al settore della Difesa Aerea Integrata in origine assegnate all’Ispettorato delle Telecomunicazioni e Assistenza al Volo (ITAV). Il Reparto Difesa Aerea Missilistica Integrata, nell’ambito della riorganizzazione organica del Comando Operazioni Aerospaziali, dal 12 aprile 2021 è stato posto alle dipendenze della neo costituita Brigata Controllo Aerospazio.
  26. L’Heinkel He 70 Blitz (“fulmine”) era un aereo postale tedesco e monoplano passeggeri veloce degli anni ’30 progettato dalla Heinkel Flugzeugwerke, successivamente utilizzato come bombardiere e per ricognizione aerea. Ha avuto una breve carriera commerciale prima di essere sostituito da tipi più grandi. L’He 70 aveva stabilito otto record mondiali di velocità all’inizio del 1933.
  27. Con il termine Patto d’Acciaio si fa riferimento all’alleanza stretta tra Italia e Germania il 22 maggio del 1939a Berlino. Tale accordo, con durata decennale, stabiliva un’alleanza politico-militaretra i due stati. Il 22 maggio 1939 nella cancelleria del Reich, alla presenza di Adolf Hitler, i ministri Ribbentrop e Ciano firmarono il cosiddetto Patto d’Acciaio, che Mussolini aveva inizialmente pensato di battezzare Patto di Sangue, ma che poi aveva più prudentemente chiamato, appunto, Patto d’Acciaio. Il fine dell’accordo era di unire le proprie forze “per la sicurezza del loro spazio vitale e per il mantenimento della pace”. I primi due articoli del trattato definiscono l’obbligo di entrambi i contraenti a mantenersi in contatto su tutte le questioni e ad assicurarsi appoggio politico e diplomatico. Il terzo articolo affronta la questione centrale, delineando un’alleanza militare sia difensiva che offensiva:“…se, malgrado i desideri e le speranze delle Parti contraenti, dovesse accadere che una di esse venisse ad essere impegnata in complicazioni belliche con un’altra o con altre Potenze, l’altra Parte contraente si porrà immediatamente come alleata al suo fianco e la sosterrà con tutte le sue forze militari, per terra, per mare e nell’aria”. L’aspetto offensivo dell’alleanza è da considerarsi una novità rispetto a quelle precedenti, caratterizzate principalmente da accordi militari di tipo difensivo (come la Triplice Intesa o la Triplice Alleanza al tempo del primo conflitto mondiale). Gli articoli successivi si rifanno ai primi tre definendo la necessità di una maggiore collaborazione in campo militare e di economia di guerra, prevedendo l’obbligo di non concludere paci separate e impegnandosi a sviluppare relazioni comuni con potenze amiche. In ultimo la durata del trattato viene definita in dieci anni a decorrere dal momento della sua firma. Tale accordo era molto impegnativo per l’Italia, che si trova in una situazione di maggiore debolezza militare. Anche Mussolini fu consapevole dei limiti italiani, per questo fece consegnare a fine maggio 1939 a Hitler il cosiddetto “Memoriale Cavallero” nel quale indicava i motivi che rendevano impossibile per l’Italia la partecipazione ad una guerra prima di tre anni. Tra questi la necessità di portare a compimento il rinnovamento dell’artiglieria, l’ampliamento della flotta e il trasferimento delle industrie di guerra nel meridione. A questo si unisce la volontà di raggiungere una distensione nei rapporti tra Vaticano e nazismo, ma anche la necessità di fortificare l’impero appena conquistato. Oltre a ciò, per ribadire l’indisponibilità italiana, il successivo 23 giugno vennero consegnate le cosiddette opzioni in Alto Adige e, il 26 giugno, la famosa lista del molibdeno. Hitler rispose al Memoriale in maniera evasiva dicendosi in linea di massima d’accordo, ma non rese pubblico il suo orientamento, provocando così il risentimento della popolazione tedesca nei confronti dell’Italia. Con il Patto d’Acciaio l’Italia si privò, così, di una politica estera autonoma, diventando a tutti gli effetti dipendente dalla politica di Hitler che, anche a pochi mesi dal trattato, portò avanti i suoi piani di invasione della Polonia e concluse il patto di non aggressione con l’Urss, senza prendere in alcuna considerazione il parere dell’alleato italiano, anzi tenendolo all’oscuro delle sue reali intenzioni. Dal canto suo Mussolini era consapevole che l’alleanza con la Germania nazista era l’unica vera possibilità che aveva per poter continuare una politica aggressiva (come nel 1939 con la conquista dell’Albania), forte dell’aiuto bellico tedesco, ritenuto invincibile. Con l’invasione della Polonia, il 1° settembre del 1939, ebbe inizio la Seconda Guerra Mondiale. Mussolini, dopo un intenso scambio di lettere con Hitler, annunciò la non belligeranza italiana, che proseguirà fino all’intervento del giugno 1940 contro una Francia ormai prostrata e in una situazione militare che sembrava preannunciare una grande vittoria tedesca. Il Patto d’Acciaio resterà in vigore fino al 3 settembre del 1943 quando, caduto il fascismo e firmato l’armistizio di Cassibile con gli alleati da parte del Generale Castellano su delega del Maresciallo Badoglio, risulterà conseguentemente annullato, anche se l’alleanza con la Germania verrà portata avanti dalla neonata Repubblica di Salò fino alla conclusione della guerra.
  28. Oberkommando der Luftwaffe, Comando Supremo e Quartier Generale dell’Aeronautica militare tedesca.
  29. Il golpe Borghese (citato anche come golpe dei forestali o golpe dell’Immacolata, anche notte di Tora Tora, in ricordo dell’attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941) fu un tentato colpo di Stato avvenuto in Italia durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 e organizzato dal Principe Junio Valerio Borghese, già Comandante della X MAS, fondatore del Fronte Nazionale, in collaborazione con Avanguardia Nazionale. Il golpe fu annullato dallo stesso Borghese mentre era in corso di esecuzione, per motivi mai completamente chiariti. Per evitare l’arresto, Borghese si rifugiò in Spagna dove rimase fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974 senza mai più rientrare in Italia benché l’ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dalla magistratura italiana fosse stato poi revocato nel 1973. Il processo per il tentato golpe, dopo una condanna in primo grado di numerosi congiurati il 14 luglio 1978, vide la sentenza d’appello del 27 novembre 1984 mandare tutti gli imputati assolti. Il 25 marzo 1986 la Cassazione confermò l’assoluzione. La Commissione parlamentare d’inchiesta formulò in proposito alcune ipotesi: «La prima suppone che all’ultimo momento solidarietà promesse o sperate sarebbero venute meno, determinando in Borghese il convincimento che il tentativo insurrezionale diveniva a quel punto velleitario e senza possibilità di successo. Sicché lo stesso fu rapidamente abbandonato, fidando nella probabile impunità assicurata dalle “coperture”, che poi puntualmente scattarono. Una seconda lettura più articolata ipotizzerebbe invece in Borghese o in suoi inspiratori l’intenzione, sin dall’origine, di non portare a termine il tentativo insurrezionale. Quest’ultimo anche nella sua iniziale attivazione sarebbe stato concepito soltanto come un greve messaggio ammonitore inviato ad amici e nemici, all’interno e all’esterno, con finalità dichiaratamente stabilizzanti». Nella relazione finale, peraltro, si specifica che agli atti della Commissione è presente una dichiarazione secondo cui, a parere di Filippo De Felice (definito “a Gelli molto vicino”): «Il contrordine…, sarebbe giunto proprio da Gelli, essendo venuta meno la disponibilità dell’Arma dei carabinieri e non essendo stato assicurato l’appoggio finale degli USA; De Felice, poi, aveva aggiunto che la mobilitazione non aveva una reale possibilità di riuscita e il fantasma di una svolta autoritaria era stato utilizzato da Licio Gelli come una sorta d’arma di ricatto. Queste indicazioni hanno trovato conferma nelle dichiarazioni di Andrea Brogi, il quale riferisce informazioni provenienti da Augusto Cauchi, del quale risultano i diretti rapporti con Gelli. Un parziale riscontro, poi, è rappresentato dalle dichiarazioni di Enzo Generali, già aderente al MSI e ad Ordine Nuovo, nonché amico del principe Borghese».
  30. Il Piano Solo fu un piano di emergenza speciale a tutela dell’ordine pubblico fatto predisporre nel 1964 da Giovanni de Lorenzo durante il suo incarico di comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, con il benestare del Presidente della Repubblica Antonio Segni. Nel 1967 il giornale l’Espresso uscì con il titolo “1964 Segni e de Lorenzo tentarono il colpo di stato”. La stampa, in particolare i giornalisti Lino Jannuzzi e Eugenio Scalfari, sostenne che Segni e de Lorenzo fecero pressione sul Partito Socialista, il quale rinunciò alle riforme ed accettò di formare un secondo governo Moro perché preoccupato dell’attuazione di tale piano. La risonanza mediatica portò ad un grande dibattito in Parlamento, dove si decise di istituire un’apposita commissione parlamentare: l’inchiesta, presieduta da Giuseppe Alessi, escluse però ogni tesi di tentato colpo di Stato. In particolare, la Commissione parlamentare d’inchiesta che si occupò del caso, istituita con la legge 31 marzo 1969, n. 93, terminò i lavori nel dicembre del 1970 escludendo perentoriamente ogni tesi dolosa di tentato colpo di stato: il Piano, rimasto allo stato di bozza, non fu ritenuto attuabile, non essendo emersa alcuna prova a favore dell’esistenza di un proposito di organizzare un golpe. Nel 1990 il governo Andreotti VI deliberò la rimozione degli omissis ed emerse che anche la sede del PSI avrebbe dovuto essere occupata, con 20.000 carabinieri da impiegare. Il progetto si proponeva di assicurare all’Arma dei Carabinieri il controllo militare dello Stato per mezzo dell’occupazione dei cosiddetti «centri nevralgici» e, soprattutto, prevedeva un progetto di «enucleazione», cioè il prelevamento e il conseguente rapido allontanamento di 731 persone considerate pericolose appartenenti al mondo della politica e del sindacato: costoro avrebbero dovuto essere raggruppati e raccolti nella sede del Centro Addestramento Guastatori di Torre Poglina (nei pressi di Alghero, in seguito principale base militare di addestramento della struttura clandestina Gladio), adattata a tempo di record dal SIFAR, e dove sarebbero stati «custoditi» sino alla cessazione dell’emergenza. La lista dei soggetti da prelevare sarebbe stata ricavata ed elaborata sulla base delle risultanze di riservati fascicoli del SIFAR, pretesi dal Generale de Lorenzo qualche anno prima. Nel frattempo l’Arma avrebbe assunto il controllo delle istituzioni e dei servizi pubblici principali, compresi la televisione, le ferrovie ed i telefoni. In pratica, all’ordine del comandante generale (che in teoria avrebbe potuto impartirlo anche sua sponte, cioè anche in assenza di istruzioni superiori), i carabinieri avrebbero catturato quei personaggi politici loro indicati e li avrebbero inviati in Sardegna via mare o su aerei coi finestrini oscurati, detenendoli in uno dei siti più impervi del territorio nazionale. Una delle varianti del piano pare prevedesse l’uso di sommergibili. Il piano, come si è ricostruito ex post (ma non ancora con piena nitidezza), avrebbe avuto origine e integrazione insieme con altri progetti militari segreti volti a distribuire sul territorio forze in grado di operare per la reazione a eventuali svolte sovversive o eversive, o a manovre di invasione, attraverso una rete clandestina già seminata da organizzazioni e strutture del tipo Stay-behind (Gladio), coordinate dalla NATO attraverso gli uomini della SHAPE infiltrati nei comandi FTASE. Dal punto di vista storico un punto fondamentale è rimasto irrisolto: il ruolo del Presidente della Repubblica Antonio Segni. Secondo Gianni Flamini, Il Generale de Lorenzo ebbe l’approvazione di Segni, se non si fosse ridimensionato il programma di centro-sinistra del costituendo secondo governo Moro, mentre per Giorgio Galli e Indro Montanelli non era nelle intenzioni del Presidente eseguire un colpo di Stato, ma agitarlo come uno spauracchio a fini politici; Montanelli aggiunse che de Lorenzo teneva Segni sotto l’incubo del golpe, e che quindi aveva bisogno di protezioni da un eventuale colpo di Stato, non che lo volesse fare lui. Inoltre, Montanelli affermò che quel piano avrebbe favorito, sia pur indirettamente, il PCI (essendo l’unica forza ben organizzata e padrona delle fabbriche e delle piazze) che avrebbe proclamato uno sciopero generale, a cui avrebbe aderito tutta la popolazione, di fronte al quale i Carabinieri avrebbero combinato poco o nulla e che, sul piano politico, avrebbe portato alla costituzione di un fronte nazionale democratico a guida comunista. Nel celebrare il centenario della nascita di Segni, nel 1991, Giulio Andreotti (Ministro della Difesa nel 1964) escluse con sicurezza che potesse covare propositi golpisti, aggiungendo che non vi fu alcuna seria minaccia di putsch.
  31. La “Notte della Repubblica” è stata una trasmissione televisiva di approfondimento giornalistico sugli anni di piombo condotta da Sergio Zavoli su Rai 2 per 18 puntate, della durata di circa 45 ore complessive, materiale poi trascritto nell’omonimo libro di Sergio Zavoli, pubblicato nel 1992. Costituisce un accurato approfondimento sugli anni di piombo, dal 1969 al 1989, un periodo travagliato della storia italiana, in cui si alternavano stragi di matrice fascista a tentativi rivoluzionari da parte della sinistra estrema. La locuzione “Notte della Repubblica” è ormai entrata a far parte del lessico comune e sta ad indicare un periodo particolarmente buio ed incerto della ancor breve storia della nostra Repubblica.
  32. Strategia della tensione” è una teoria politica che indica generalmente una strategia eversiva basata principalmente su una serie preordinata e ben congegnata di atti terroristici, volti a creare in Italia uno stato di tensione e una paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo autoritario. L’espressione fu coniata dal settimanale inglese The Observer, nel dicembre 1969, all’indomani della strage di piazza Fontana, generalmente considerata l’avvio della strategia della tensione, sebbene alcuni studiosi ne retrodatino l’inizio alla strage di Portella della Ginestra (1947) o al cosiddetto Piano Solo del generale de Lorenzo (1964). La bomba di piazza Fontana costituì la risposta di parte delle forze più reazionarie della società italiana, di gruppi neofascisti, ma molto probabilmente anche di settori deviati degli apparati di sicurezza dello Stato, non privi di complicità e legami internazionali, alla forte ondata di lotte sociali del 1968-69 e all’avanzata anche elettorale del Partito comunista italiano. L’arma stragista fu usata ancora nel 1970 (strage di Gioia Tauro), nel 1973 (strage della questura di Milano), nel 1974, all’indomani della vittoria progressista nel referendum sul divorzio (strage dell’Italicus, strage di piazza della Loggia), e ancora nel 1980 (strage di Bologna), ma non fu l’unica espressione della strategia della tensione, la quale passò anche attraverso l’organizzazione di strutture segrete, in alcuni casi paramilitari e comunque eversive (Rosa dei Venti, Nuclei di difesa dello Stato, loggia P2 ecc.), i collegamenti internazionali (le strutture Gladio o Stay-behind), la progettazione e la minaccia di colpi di Stato (il piano Solo del 1964, il tentato golpe Borghese del 1970), e infine la sistematica infiltrazione nei movimenti di massa e nelle organizzazioni extraparlamentari, comprese quelle di sinistra, al fine di innalzare il livello dello scontro.
  33. La conferenza di Yalta (o Jalta) fu un vertice tenutosi dal 4 all’11 febbraio 1945 presso Livadija, 3 km a ovest di Jalta, in Crimea, durante la Seconda guerra mondiale, nel quale i capi politici dei tre principali paesi Alleati presero alcune decisioni importanti sul proseguimento del conflitto, sull’assetto futuro della Polonia, e sull’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. La conferenza era identificata nei documenti segreti con il nome in codice “Argonaut“. I tre protagonisti furono Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Iosif Stalin, capi rispettivamente dei governi degli Stati Uniti d’America, del Regno Unito e dell’Unione Sovietica. La conferenza ebbe luogo in un momento in cui la situazione politico-strategica era fortemente favorevole all’Unione Sovietica, con l’Armata Rossa giunta a 80 chilometri da Berlino, dopo i successi dell’operazione Vistola-Oder, mentre gli Alleati occidentali, appena superata la crisi della battaglia delle Ardenne, si trovavano con le armate ancora ferme sul confine occidentale della Germania a oltre 700 chilometri dalla capitale tedesca; in Italia il fronte era bloccato da mesi sulla linea Gotica. Lo svolgimento della famosa conferenza e le decisioni politico-diplomatiche che furono raggiunte hanno dato luogo ad accese controversie in sede di analisi storiografica e di polemica politica internazionale. Per alcuni considerata l’origine della Guerra fredda e della divisione dell’Europa in blocchi contrapposti a causa soprattutto dell’aggressivo espansionismo sovietico, la conferenza di Yalta, secondo altri analisti, politici e storici rappresentò invece l’ultimo momento di leale collaborazione tra le tre grandi potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, i cui risultati sarebbero stati vanificati soprattutto a causa di una serie di decisioni prese da parte occidentale, e di situazioni verificatesi nei mesi seguenti del 1945. L’incontro si tenne in Crimea, nel Palazzo di Livadija, vecchia residenza estiva di Nicola II a Jalta, fra il 4 e l’11 febbraio 1945, pochi mesi prima della sconfitta della Germania nazista nel conflitto mondiale. Esso fu il secondo ed il più importante di una serie di tre incontri fra i massimi rappresentanti delle grandi potenze alleate, iniziati con la Conferenza di Teheran (28 novembre – 1º dicembre 1943) e conclusisi con la Conferenza di Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945). Nel dettaglio, gli accordi ufficialmente raggiunti a Yalta inclusero: 1) una dichiarazione in cui si affermava che l’Europa era libera, e che invitava allo svolgimento di elezioni democratiche in tutti i territori liberati dal giogo nazista; 2) la proposta di una conferenza (da tenere nell’aprile 1945 a San Francisco) in cui discutere l’istituzione di una nuova organizzazione mondiale, le Nazioni Unite (ONU); in particolare a Yalta si considerò l’istituzione del Consiglio di sicurezza e dell’inserimento nello stesso come membro permanente della Cina, quella nazionalista di Chiang Kai-shek su esplicita richiesta di Roosevelt che ottenne così da Stalin di poter disporre di due voti nel Consiglio di Sicurezza (la Storia ha poi disarticolato i piani americani perché furono i comunisti di Mao Tse-Tung a spuntarla nel 1949 a termine di una sanguinosa guerra civile) ; 3) lo smembramento, il disarmo e la smilitarizzazione della Germania, visti come “prerequisiti per la pace futura”; lo smembramento (che prevedeva che USA, URSS, Regno Unito e Francia gestissero ciascuno una zona di occupazione) doveva essere provvisorio, ma si risolse nella divisione della Germania in Est e Ovest terminata con la riunificazione solo nel 1990; 4) furono fissate delle riparazioni dovute dalla Germania agli Alleati, nella misura di 22 miliardi di dollari; 5) in Polonia si sarebbe dovuto insediare un “governo democratico provvisorio”, che avrebbe dovuto condurre il paese a libere elezioni nel più breve tempo possibile (accordo poi disatteso da Stalin); 6) riguardo alla Jugoslavia, fu approvato l’accordo fra Tito e Šubašić (capo del governo monarchico in esilio), che prevedeva la fusione fra il governo comunista e quello in esilio; 7) i sovietici avrebbero dichiarato guerra al Giappone entro tre mesi dalla sconfitta della Germania; in cambio avrebbero ricevuto la metà meridionale dell’isola di Sachalin, le isole Curili e avrebbero visti riconosciuti i loro “interessi” nei porti cinesi di Port Arthur e Dalian; 8) tutti i prigionieri di guerra sovietici sarebbero stati rimandati in URSS, indipendentemente dalla loro volontà. Inoltre in Romania e Bulgaria furono insediate delle Commissioni Alleate per governare tali Paesi, appena sconfitti. Nella relazione finale venne inserito l’impegno a garantire che tutti i popoli potessero scegliere i propri governanti, impegno palesemente disatteso nei decenni successivi. Gran parte delle decisioni prese a Yalta ebbero profonde ripercussioni sulla storia mondiale fino alla caduta dell’Unione Sovietica nel 1991. Per quanto, nei mesi immediatamente successivi, sovietici e anglo-americani avessero proseguito con successo la loro lotta comune contro la Germania nazista e l’Impero giapponese, molti storici hanno considerato la conferenza di Yalta il preludio della Guerra fredda. Ancora oggi, nei manuali di storia la conferenza di Yalta viene descritta come l’evento epocale in cui i tre leader mondiali si spartirono l’Europa in sfere d’influenza, benché fosse già chiaro, sulla base dell’andamento militare del conflitto, che l’Unione Sovietica sarebbe stata la Potenza dominante nell’Europa Orientale ed in parte Centrale. Tale stato di cose era stato deciso prima dalle vittorie sovietiche sui campi di battaglia del Fronte orientale nel 1942-1944, poi dall’incapacità o non volontà degli Alleati di aprire un reale secondo fronte fino allo sbarco in Normandia del giugno 1944. Altri studiosi invece ritengono che si debba far riferimento agli accordi raggiunti alla Conferenza di Teheran nel novembre 1943, cui seguirono quelli presi a Mosca nell’ottobre del 1944, come vero inizio della divisione del mondo in blocchi contrapposti. Certamente, la Conferenza di Yalta mise in evidenza il definitivo declino dell’Impero britannico e l’emergere del dualismo Stati Uniti/URSS in modo ormai irreversibile.
  34. Trattato di Potsdam è la denominazione con cui è noto nella storiografia l’ultimo dei vertici tra le tre grandi potenze alleate tenutosi dal 17 luglio al 2 agosto 1945. La conferenza era identificata nei documenti segreti con il nome in codice “Terminal”. Nel corso dell’incontro, i massimi dirigenti (i cosiddetti Tre Grandi) delle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale (Stati Uniti d’America, Unione Sovietica e Regno Unito, la Grande Alleanza) discussero e raggiunsero accordi sulla gestione dell’immediato dopoguerra. La conferenza ebbe luogo presso il Palazzo Cecilienhof a Potsdam, in Germania, nel Land del Brandeburgo. In origine la conferenza avrebbe dovuto tenersi a Berlino, ma a causa dei forti danneggiamenti subiti dalla città la sede fu spostata nell’intatto castello di Potsdam. In precedenza vi furono diversi incontri, a partire dalla conferenza di Casablanca del 12 febbraio 1943 dove emerse la richiesta di resa incondizionata, alla conferenza di Teheran di fine novembre 1943, nel corso della quale diversi leader delle forze alleate si incontrarono per definire la gestione della vittoria sul Nazionalsocialismo, mentre nel corso della conferenza di Yalta fu decisa la ripartizione del territorio tedesco in zone di occupazione coordinate da una commissione di controllo centrale. Dopo il crollo militare, la resa incondizionata della Germania dell’8 maggio 1945, e l’arresto dei leader del governo Dönitz e von Krosigk avvenuto il 23 maggio, le forze vincitrici presero ufficialmente il potere di governo in Germania tramite la dichiarazione di Berlino, la costituzione delle zone di occupazione, e l’insediamento del consiglio di controllo alleato. L’ordine del giorno della conferenza comprendeva la ridiscussione delle frontiere nell’Europa liberata, l’ammontare dei risarcimenti per i danni della guerra, la gestione e il governo del territorio tedesco, e la conduzione della guerra nel Pacifico, ancora in corso. I partecipanti alla conferenza erano: gli Stati Uniti d’America, rappresentati dal nuovo Presidente Harry S. Truman e dal suo segretario di Stato James F. Byrnes; l’Unione Sovietica, rappresentata dal segretario del PCUS Josif Stalin e dal ministro degli esteri Molotov ed il Regno Unito, rappresentato inizialmente dal Primo ministro Winston Churchill e dal ministro degli esteri Anthony Eden; dopo la sconfitta elettorale alla Camera dei comuni, dal 28 luglio la Gran Bretagna fu rappresentata dal nuovo Primo ministro Clement Attlee e dal ministro degli esteri Ernest Bevin. Queste le decisioni prese nel corso della conferenza di Potsdam che diedero luogo alla Dichiarazione di Potsdam: 1) Furono stabiliti i confini tra Polonia e Germania sulla linea Oder-Neisse e fu deciso che tutta la popolazione tedesca presente nei territori divenuti polacchi, in Cecoslovacchia e in Ungheria dovesse essere espulsa e assorbita in Germania; 2) La Germania e l’Austria furono suddivise in quattro zone di occupazione, amministrate dalle tre potenze vincitrici a cui si sarebbe aggiunta la Francia; 3) Non vi fu accordo sull’ammontare dei risarcimenti: mentre le potenze occidentali perseguivano una linea più morbida, Stalin insistette per risarcimenti molto elevati. Per questo motivo fu deciso che all’interno della propria zona di occupazione ogni potenza avrebbe gestito entità e tipologia di risarcimento in modo autonomo. Durante la Conferenza Harry S. Truman lanciò un ultimatum al Giappone, dicendo che se non si fosse arreso avrebbe subito un’“immediata e completa distruzione”.
  35. Per “Questione di Trieste” s’intende la lunga vertenza diplomatica che nel secondo dopoguerra contrappose Italia e Jugoslavia avendo come oggetto la delimitazione del confine comune dopo gli eventi bellici. La formula pone di per sé in luce la differenza con la situazione creatasi dopo il primo conflitto mondiale: allora, l’annessione all’Italia della Venezia Giulia appariva scontata ed i conflitti diplomatici si appuntarono sulla sorte dei margini orientali della regione – la Liburnia – di Fiume e della Dalmazia; viceversa, nella seconda metà degli anni ’40 e sino ai primi anni del successivo decennio ad essere in dubbio fu il destino dei margini occidentali della regione. Ottenuta con il Trattato di pace del 1947 la conservazione della sovranità su Gorizia e Monfalcone, l’Italia dovette attendere il 1954 per riprendere il controllo della sola Trieste – divenuta nel frattempo il simbolo della crisi confinaria – mentre tutta l’Istria, per non parlar di Fiume e Zara rimanevano stabilmente sotto il controllo jugoslavo. Nello svolgimento della Questione si possono distinguere diverse fasi. La prima coincide con la “Crisi di Trieste” della primavera 1945, risoltasi con l’accordo di Belgrado in base al quale la Venezia Giulia venne divisa in due zone di occupazione, A e B, amministrate da due Governi militari, rispettivamente anglo-americano (Amg/Gma) e jugoslavo (Vuja). Si trattava di una soluzione meramente provvisoria, in attesa delle deliberazioni della Conferenza della pace, ma la situazione internazionale rendeva probabile che il futuro del confine non si sarebbe discostato molto dal tracciato della linea di demarcazione (linea Morgan) tracciata fra le due zone, perlomeno nell’area più critica, quella vicino a Trieste. La seconda fase è quella relativa appunto alla Conferenza della pace di Parigi del 1946 ed al suo esito, i Trattati di pace entrati in vigore il 15 settembre 1947. Alla Conferenza il governo italiano, allora espressione di tutti i partiti antifascisti, si presentava non privo di speranze: è vero che l’Italia aveva perso la guerra dopo averla combattuta dalla parte dei nazisti, ma era anche vero che aveva cercato di riscattarsi con la Resistenza e la partecipazione alla guerra contro i tedeschi con il Corpo italiano di liberazione. All’Italia, tuttavia, non venne consentito di partecipare alla Conferenza di Parigi e da parte dei rappresentanti delle potenze vincitrici essa venne considerata semplicemente come un Paese nemico, sconfitto e da punire. Il governo di Roma non potè in alcun modo influire sulle decisioni e dovette limitarsi a cercare di ingraziarsi almeno quelli delle potenze occidentali, posto che l’Unione Sovietica aveva pubblicamente dichiarato il proprio appoggio alle rivendicazioni jugoslave. Quel che però a Londra e Washington effettivamente interessava era soltanto che Trieste, un tempo porto dell’Austria ed affaccio dell’Europa centrale sul Mediterraneo, non cadesse in mani sovietiche. Di conseguenza, in un primo momento accettarono una linea confinaria di mediazione proposta dai francesi, che teoricamente avrebbe lasciato in Italia e Jugoslavia due minoranze nazionali di equivalenti dimensioni, comportando l’assegnazione alla Jugoslavia di quasi tutta la Venezia Giulia, compresa la maggior parte dell’Istria, oltre a Fiume e Zara. In un secondo momento poi, difronte all’indisponibilità di Mosca al mantenimento della sovranità italiana su Trieste, accettarono un’ulteriore mediazione, consistente nella previsione di uno stato cuscinetto, denominato Territorio libero di Trieste (TlT), consistente nel capoluogo giuliano ed una striscia costiera tra il fiume Timavo – limite della provincia di Gorizia, conservata all’Italia nella sua parte meridionale – ed il fiume Quieto in Istria. Si riteneva, da parte occidentale, che l’inserimento di Trieste in uno stato libero sotto la protezione delle Nazioni Unite l’avrebbe meglio tutelata da eventuali colpi di mano jugoslavi che non la sovranità su di essa di un’Italia isolata e disarmata, di fronte ad una Jugoslavia armata fino ai denti e chiaramente collocata dalla parte dei vincitori. Si chiudeva così la seconda fase della Questione, ma l’entrata in vigore del Trattato di pace non coincise con la creazione del TlT, perché il Trattato medesimo si limitava a dichiarare cessata la sovranità italiana e ad indicare le procedure per arrivare alla creazione del Territorio, tramite una serie di atti di competenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il primo di tali atti, e cioè l’approvazione di una carta costituzionale chiamata Statuto, venne effettivamente compiuto, mentre invece la procedura s’incagliò sul secondo scoglio, vale a dire la nomina di un Governatore. Dietro ai veti incrociati da parte dei rappresentanti delle grandi potenze stava per l’esplodere la guerra fredda. Nel nuovo clima bipolare, a Londra e Washington Trieste venne considerata un “baluardo dell’Occidente” lungo la cortina di ferro. Contemporaneamente, sia inglesi che americani cominciarono a nutrire forti dubbi sull’effettiva vitalità del TlT e, per evitare che esso finisse per cadere in mano comunista, cioè jugoslava, ovvero sovietica, decisero di congelare la situazione sul campo, bloccando di fatto la nomina del Governatore. Di conseguenza, il TlT non prese mai vita e l’intera area rimase una sorta di res nullius, divisa in due zone, A e B, residuo di quelle create con l’accordo di Belgrado del giugno 1945. Nel nuovo scenario internazionale mutò anche il ruolo dell’Italia, che per gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia cominciò a venir considerata come un tassello essenziale della “strategia del contenimento” della minaccia sovietica. Per rafforzare la tenuta delle forze filo-occidentali che guidavano l’Italia dopo l’estromissione dei comunisti nella primavera del 1947, le diplomazie occidentali decisero di compiere un gesto di grande significato nel corso della campagna elettorale per le prime consultazioni politiche del dopoguerra, previste per il 18 aprile 1948. Pertanto, il 20 marzo del medesimo anno i governi di Parigi, Londra e Washington emisero una Nota tripartita in cui proponevano al governo sovietico di concordare un protocollo aggiuntivo al Trattato di pace che consentisse di riportare il TlT sotto la sovranità italiana. Ovviamente la proposta non venne accolta da Stalin, ma rafforzò notevolmente la posizione diplomatica italiana e probabilmente influì anche sull’esito delle elezioni del 18 aprile, che videro una netta affermazione della Democrazia Cristiana, guidata da Alcide De Gasperi. Subito dopo però, la situazione mutò radicalmente. Fra Tito e Stalin si aprì un gravissimo contrasto che culminò ben presto con l’espulsione della Jugoslavia dal neonato (1947) Cominform, l’organizzazione politica dei partiti comunisti europei a guida sovietica. Timoroso di un’invasione da parte della Russia e dei suoi satelliti, il governo di Belgrado cominciò ad avvicinarsi in politica estera all’Occidente, pur mantenendo in patria un regime di tipo stalinista. L’allontanamento della Jugoslavia dall’orbita sovietica fu assai apprezzato a Londra e Washington, perché favoriva nettamente la politica del “contenimento” nei Balcani e migliorava anche le prospettive di difesa dell’Italia, che a sua volta stava per divenire uno dei Paesi fondatori dell’Alleanza atlantica. Oltre ad aiutare la Jugoslavia dal punto di vista economico e militare, Stati Uniti e Gran Bretagna decisero che sulla Questione di Trieste la nuova priorità non era più quella di sostenere a spada tratta gli interessi italiani, bensì di “salvare la faccia a Tito”. Di conseguenza, la Nota tripartita venne congelata, anche se mai formalmente ritirata, ed i governi di Roma e Belgrado vennero caldamente invitati ad accordarsi sulla spartizione del TlT. I negoziati diretti non approdarono però ad alcun risultato e si aprì una fase di stallo destinata a durare fino al 1953. Nella primavera di quell’anno, le nuove elezioni politiche italiane videro una flessione della DC, tanto che De Gasperi fu costretto a farsi da parte. Ne seguì un periodo di instabilità politica che ridusse – come sempre in questi casi – la forza negoziale italiana. Il governo jugoslavo ne approfittò per alzare il tiro delle proprie rivendicazioni e quello italiano guidato da Giuseppe Pella, per reagire alla crisi, compì due mosse decisive: sul campo, inscenò una dimostrazione militare accompagnata dal progetto – rapidamente abortito – di un colpo di mano in zona A; a livello diplomatico, comunicò agli anglo-americani la rinuncia alle rivendicazioni sulla zona B e la propria disponibilità ad una spartizione del TlT lungo la linea Morgan, purché ciò avvenisse dietro un simulacro di provvisorietà a fini di politica interna. Inglesi ed americani si mossero nella medesima direzione e l’8 ottobre 1953 emisero una Nota bipartita con la quale comunicavano la loro intenzione di sciogliere il GMA (Governo Militare Alleato) e di trasferire all’Italia l’amministrazione della zona A. Si attendevano un sostanziale consenso, se pur a malincuore, da parte jugoslava, invece il governo di Belgrado protestò vivacemente, sia perché sia era effettivamente illuso di poter ottenere alcune posizioni chiave in zona A, all’interno della stessa area portuale di Trieste in modo da realizzarvi una sorta di Novi Trst (nuova Trieste), sia perché l’accettazione sic et simpliciter della Nota anglo-americana avrebbe privato la diplomazia jugoslava della possibilità di negoziare adeguati compensi per l’accettazione del ritorno di Trieste all’amministrazione italiana, ovvia premessa per una ri-estensione della sovranità italiana sulla città simbolo della vertenza. La procedura quindi si bloccò, mentre il clima si faceva assai teso fra Italia e Jugoslavia – che schierarono consistenti forze militari sul confine dell’Isonzo – ed anche all’interno della città di Trieste, dove ai primi di novembre scoppiarono gravi tumulti che provocarono sei morti fra i dimostranti italiani. Lo stallo venne superato appena agli inizi del 1954, quando inglesi ed americani decisero di cambiare completamente il loro approccio diplomatico e convocarono un negoziato in due fasi: dapprima una trattativa separata con la Jugoslavia e successivamente, una volta raggiunto un accordo con il governo di Belgrado, un nuovo negoziato con l’Italia, che a quel punto non avrebbe avuto molti margini per far sentire la propria opinione. Così avvenne ed una prima tornata negoziale a Londra condusse ad un’intesa a tre sulla spartizione del TlT lungo la linea Morgan con minime correzioni a vantaggio della Jugoslavia, ma in forma provvisoria – cioè con solo subentro di amministrazione e non di sovranità – in modo da consentire ai governi di Roma e Belgrado di non rinunciare formalmente alle loro rivendicazioni, cui le rispettive opinioni pubbliche apparivano assai sensibili. Ciò interessava in particolare il governo italiano, che però non fu del tutto soddisfatto del compromesso. Ne derivò quindi un ennesimo negoziato, che si concluse con la firma il 5 ottobre del Memorandum di Londra, destinato ad entrare il vigore il successivo 26 ottobre. In questo modo l’Italia potè estendere alla zona A la propria amministrazione che poi si consolidò in una sorta di “annessione fredda”, ad esempio attraverso la designazione di Trieste quale capoluogo della regione autonoma Friuli – Venezia Giulia, costituita nel 1963. Lo stesso fecero le autorità jugoslave in zona B. Quella del Memorandum d’Intesa, accordo “di carattere pratico” e non trattato internazionale, fu una soluzione volutamente ambigua: politicamente definitiva e come tale garantita da Stati Uniti e Gran Bretagna, formalmente provvisoria per consentire che la vertenza di frontiera e le sue asprezze venissero man mano dimenticate dalle opinioni pubbliche dei due Paesi confinanti. Solo a quel punto si sarebbe potuto procedere, di comune accordo, ad una definizione formale della nuova linea di confine. Questo fu quel che sarebbe poi accaduto con il Trattato di Osimo del 1975. (Fonte integrale: articolo di Raoul Pupo pubblicato su https://www.regionestoriafvg.eu/tematiche/tema/433/Questione-di-Trieste).
  36. Art.11 Cost.: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
  37. L’Africa Orientale Italiana (sigla A.O.I.) era la denominazione ufficiale dei possedimenti coloniali italiani nel Corno d’Africa, proclamata da Benito Mussolini il 9 maggio 1936 dopo la conquista italiana dell’Etiopia. Univa all’annesso Impero d’Etiopia le colonie dell’Eritrea e della Somalia. Era a sua volta divisa in sei governatorati: Governatorato di Amara, Governatorato dell’Eritrea, Governatorato di Harar, Governatorato di Galla e Sidama, Governatorato dello Scioa e Governatorato della Somalia. Era delimitata a occidente da una serie di bassure, che partono a nord dalla foce del fiume Barca seguendo la valle di detto fiume, poi quella del suo affluente di sinistra proveniente dalla zona di Càssala, il bassopiano del Sudan, alcune paludi, parte del Lago Rodolfo e arrivano all’oceano Indiano nella regione dell’Oltregiuba, presso la foce del fiume Tana, poco a nord di Mombasa. Confinava con il Sudan Anglo-Egiziano e la Colonia e protettorato del Kenya a occidente e con il mar Rosso, il golfo di Aden e l’oceano Indiano a oriente. Tra l’Africa Orientale Italiana e il golfo di Aden si trovavano la Somalia francese e quella britannica, quest’ultima poi annessa alla Somalia italiana dopo la sua conquista da parte delle truppe italiane durante la seconda guerra mondiale. Cessò di fatto di esistere alla fine del novembre 1941, dopo la sconfitta italiana subita nella campagna contro gli Alleati durante la seconda guerra mondiale. La perdita formale della colonia avvenne alla firma del Trattato di pace a Parigi nel 1947. L’Africa Orientale Italiana era stata suddivisa in cinque governi con un regio decreto il 1º giugno 1936, al cui vertice vi era comunque la capitale Addis Abeba, sede del Viceré d’Etiopia e del governatorato centrale (poi divenuto anch’esso governo con il regio decreto dell’11 novembre 1938, col nome di Scioa). I Governi erano suddivisi in Commissariati di Governo, retti da un Commissario di Governo coadiuvato da un Vice Commissario, solitamente titolare anche della Residenza con sede nel capoluogo del Commissariato. I Commissariati erano suddivisi in Residenze, suddivise talora in Vice Residenze. Di regola la sede di Commissariato era dotata di scuole elementari, ufficio postale e telegrafo, infermeria con medico, pista per aeroplani. Le sedi di Residenze erano dotate di ufficio postale, telegrafo e infermeria con medico. I 6 governatori dipendevano dal Viceré d’Etiopia. Le capitali dei governi italiani erano ad Asmara per l’Eritrea, a Gondar per l’Amara, a Gimma per la Galla e Sidama, ad Harar Jugol per l’Harar, a Mogadiscio per la Somalia. I territori di Amara, Galla-Sidama e Harar formavano all’epoca l’Impero d’Etiopia. Presso le colonie orientali erano stati istituiti anche un servizio dell’Azienda Autonoma Statale della Strada (Regio decreto n. 1804 del 24 luglio 1936) e gli organi giudiziari italiani (Regio decreto n. 2010 del 21 agosto 1936). Dopo il Regio decreto dell’11 novembre 1938 che creò il nuovo Governatorato dello Scioa al posto del Governatorato di Addis Abeba, riorganizzò l’A.O.I. in Governi, con rispettivi capoluoghi e commissariati. Precedentemente alla costituzione dell’Africa Orientale Italiana, l’area era sottoposta al controllo di un alto commissario nominato dal capo del governo italiano, secondo la legge n. 783 dell’11 aprile 1935. Dal 15 gennaio 1935 venne nominato Emilio De Bono, che mantenne la carica fino al 27 novembre dello stesso anno, cui gli successe Pietro Badoglio. Con la dichiarazione della nascita dell’Impero il 9 maggio del 1936, Badoglio divenne il primo Viceré d’Etiopia e Duca di Addis Abeba, fino a quando, nel giugno, viene designato Rodolfo Graziani. Il 21 dicembre 1937 gli successe Amedeo di Savoia, duca di Aosta, che siede sul trono dell’Etiopia fino alla definitiva perdita dei territori nel 1941. Lo seguono brevemente Pietro Gazzera (dal 23 maggio al 6 luglio) e Guglielmo Nasi (fino al 27 novembre 1941). Quanto alla presenza militare in A.O.I., il Regio Esercito poteva contare in questo periodo in Africa Orientale su due divisioni, la 65ª Divisione fanteria “Granatieri di Savoia”, con i reggimenti 10º e 11º e la Divisione fanteria “Cacciatori d’Africa”, con i reggimenti di fanteria 210º “Bisagno” e 211º “Pescara”. A questi si aggiunsero trentuno battaglioni di Camicie Nere, svariati gruppi di artiglieria autonoma sia nazionale che coloniale, 24 carri medi M11/39, 39 carri leggeri CV33, sei squadriglie autoblindo Lancia 1ZM, una di autoblindo Fiat 611 e ventinove Brigate coloniali inquadrate nelle Forze armate dell’Africa Orientale Italiana. In totale si trattava di quasi seimila ufficiali, 91 000 uomini di truppa nazionale e 182 000 uomini di truppa locale. La Regia Marina schierava, per i territori coloniali, la Flotta del Mar Rosso, costituita dalla III Squadriglia cacciatorpediniere (Battisti, Manin, Nullo, Sauro), dalla V Squadriglia cacciatorpediniere (Leone, Pantera, Tigre), da due incrociatori ausiliari tipo RAMB e da una nave ospedale (RAMB IV). Infine l’Aeronautica dell’Africa Orientale si costituiva innanzitutto di alcuni gruppi da bombardamento terrestri, il XLIV Gruppo di Addis Abeba (SIAI(Savoia)-Marchetti S. 79), il 29º di Sciasciamanna (SM. 81), il 4º Gruppo volo di Dire Daua (SM. 81) e il 27º di Dessiè (Caproni Ca. 133). Inoltre, vi erano anche alcune squadriglie di caccia, ossia la 410ª di Giggiga (Fiat CR. 32), la 211ª di Dire Daua (CR. 32), la 412ª di Gura (CR. 42) e la 413ª di Assab (CR. 42), per un totale di 223 aerei di diversa tipologia ma, tranne per i Savoia SIAI-Marchetti S.M.79, tutti ormai obsoleti al tempo della dichiarazione di guerra.
  38. Papa Leone X, nato Giovanni di Lorenzo de’ Medici (Firenze, 11 dicembre 1475Roma, 1º dicembre 1521), è stato il 217º papa della Chiesa cattolica dal 1513 alla sua morte. Giovanni era il secondogenito di Lorenzo de’ Medici e Clarice Orsini e portò alla corte pontificia lo splendore e i fasti tipici della cultura delle corti rinascimentali. Fu l’ultimo papa a essere semplice diacono al momento dell’elezione. Leone X (Giovanni de’ Medici), conquistò a tal punto gli ebrei che essi «rivaleggiarono con i cristiani» nell’omaggiare il Papa, offrendogli in dono stoffe preziose e ricchi ornamenti. Leone X si spinse a istituire una cattedra di ebraico, e diede l’incarico al convertito Sante Pagnini da Lucca di tradurre la Bibbia in latino; il suo medico personale, Bonet de Lattes, era un rabbino. Nel 1519 Leone X autorizzò gli ebrei spagnoli a costruire una loro casa di preghiera, che essi chiamarono sinagoga Catalana-Aragonese.
  39. Bonet de Lattes o de Lates, noto anche come il nome ebraico di Jacob ben Emanuel Provinciale, rabbino, era un medico e astrologo ebreo, meglio conosciuto per la sua invenzione di un anello equinoziale e per la sua relazione come medico con i papi Alessandro VI e Leone X. Egli ottenne grande considerazione presso i due Pontefici, come è testimoniato da una lettera in ebraico inviatagli da Johannes Reuchlin, filosofo, umanista e teologo tedesco (autore de De rudimentis hebraicis), che lo prega di chiedere al Sommo Padre di intercedere affinché il processo intentatogli dall’Inquisizione potesse svolgersi nella sua diocesi d’origine.
  40. Nel 1518 Papa Leone X concesse che nella casa in piazza Montanara di Joan Giacomo Fagiot de Montecchio fosse aperta la prima tipografia ebraica, dove furono stampate, tra le altre, le opere di un autore ebreo romano, Elia di Ascer.
  41. Papa Pio XII (in latino: Pius PP. XII, nato Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli; Roma, 2 marzo 1876Castel Gandolfo, 9 ottobre 1958) è stato il 260º papa della Chiesa cattolica e 2º sovrano dello Stato della Città del Vaticano dal 1939 alla sua morte. Nel 1990, a conclusione della prima fase di beatificazione, ha ricevuto il titolo di servo di Dio. Nel 2009, a conclusione della seconda fase, ha ricevuto il titolo di venerabile, che ne attesta l’eroicità delle virtù per la Chiesa. La causa di canonizzazione è affidata alla Compagnia di Gesù. Nella prima fase della guerra, è dimostrato che il Pontefice prese parte a un tentativo di alcuni generali tedeschi di spodestare Hitler e svolse il ruolo di intermediario nei contatti intercorsi tra i cospiratori e la Gran Bretagna. Nell’aprile del 1940 ebbe più di venti incontri segreti con i congiurati tedeschi, il cui capo era il generale Ludwig Beck e il rappresentante del governo inglese Francis D’Arcy Osborne. Il possibile accordo di pace, nel caso che i congiurati fossero riusciti a sbarazzarsi di Hitler, fu scritto su carta ufficiale della Santa Sede. Si adoperò affinché l’Italia non entrasse in guerra. Tale fu, con tutta probabilità, lo scopo della visita assolutamente irrituale per l’epoca che il Santo Padre fece al Quirinale, al re Vittorio Emanuele III, il 28 dicembre 1939. Nonostante ciò, il 10 giugno 1940, anche l’Italia entrò nel conflitto. Durante la guerra, vari e ripetuti furono gli appelli del Papa in favore della pace. Va ricordato in particolare il radiomessaggio natalizio del 1942, in cui Pacelli delineò un nuovo ordine mondiale basato sul rispetto reciproco fra le Nazioni e i popoli. In tale messaggio il Papa denunciò anche lo sterminio delle persone sulla base della razza. Mussolini commentò il radiomessaggio del 1942 con sarcasmo: «Il Vicario di Dio — cioè il rappresentante in terra del regolatore dell’universo — non dovrebbe mai parlare: dovrebbe restare tra le nuvole. Questo è un discorso di luoghi comuni che potrebbe agevolmente essere fatto anche dal parroco di Predappio». Durante il conflitto, il Pontefice si mostrò preoccupato sia per un’eventuale vittoria della guerra da parte dell’Unione Sovietica, sia per un trionfo della Germania Nazista arrivando al punto di dichiarare, in un colloquio con il Ministro degli Esteri spagnolo nel 1942, che “la vittoria del nazionalsocialismo rappresenterebbe il più grande pericolo di persecuzione per i cristiani”. Il 19 luglio 1943, dopo il violento bombardamento di San Lorenzo a Roma, si recò nei quartieri colpiti. Fu un’uscita eccezionale del Pontefice dal Vaticano, soprattutto all’epoca (in seguito sarebbe uscito dai confini della Città-Stato Stato solo in casi estremamente rari). Il Papa uscì nuovamente il 13 agosto, dopo il successivo bombardamento nel quartiere di San Giovanni. Durante tale visita spalancò le braccia alla folla recitando il salmo De profundis, in un gesto che rimase immortalato in una famosa foto. Dopo l’armistizio dell’8 settembre e la fuga dei Savoia dalla capitale, Pio XII rimase a Roma, all’interno della Città del Vaticano. Non elevò alcuna protesta per la cruenta occupazione nazista della città, effettuata in armi e causando la morte di alcune centinaia di difensori, tra militari e civili. Inviò però il Segretario di Stato Cardinale Maglione, ai primi di ottobre del 1943, dall’ambasciatore germanico in Vaticano Ernst von Weizsäcker per rappresentargli che i tedeschi, in qualità di protettori di Roma e del Vaticano, avevano la responsabilità di schierare forze di polizia sufficienti a prevenire o reprimere un moto insurrezionale partigiano. Nei giorni successivi, quando i tedeschi imposero agli ebrei romani di versare oro in cambio di un’effimera e temporanea salvezza, il Vaticano contribuì fornendo 20 dei 50 chili d’oro richiesti, secondo la testimonianza di Ugo Foà, rabbino capo della comunità romana, il Vaticano fece sapere ufficiosamente che se non fosse stato raccolto abbastanza oro avrebbe prestato la differenza per raggiungere i 50 kg, ma non ce ne fu bisogno. Il Papa fu messo a conoscenza dell’avvenuto rastrellamento del ghetto di Roma dalla principessa Enza Pignatelli, sua ex-allieva, che aveva assistito in parte alla razzia e subito si era recata in Vaticano, chiedendo udienza al Pontefice, che la ricevette immediatamente. Secondo lo storico della Chiesa Alberto Melloni, i tedeschi avrebbero invece organizzato il ratto degli ebrei romani proprio per fare un affronto a papa Pacelli. Pio XII si mise senza indugio in comunicazione telefonica con il cardinale Segretario di Stato Luigi Maglione perché prendesse informazioni e si interessasse della questione. Seguì un colloquio tra il cardinale Maglione e l’ambasciatore tedesco presso il Vaticano, Ernst von Weizsäcker, personalità all’epoca vicina a posizioni antinaziste (si veda precedente nota n.22) , al quale il segretario di Stato chiese di «intervenire in favore di quei poveretti», lamentandosi per il fatto che «proprio a Roma, sotto gli occhi del Padre comune [il Papa], fossero fatte soffrire tante persone unicamente perché appartenenti a una stirpe determinata». Alle richieste di Weizsäcker sul possibile comportamento della Santa Sede, nel caso fossero continuati i rastrellamenti di ebrei, Maglione rispondeva che: «La Santa Sede non vorrebbe essere messa nella necessità di dire la sua parola di disapprovazione». Weizsäcker allora propose e ottenne che la protesta vaticana fosse affidata a una lettera del rettore della Chiesa tedesca a Roma Alois Hudal, indirizzata al generale comandante militare tedesco di Roma Reiner Stahel, in cui il prelato auspicava la «non reiterazione degli arresti, per evitare un intervento pubblico del Papa contro di questi». Per il resto, Pio XII mantenne un riservato silenzio che ancor oggi reca imbarazzo alla Santa Sede. Durante il corso della guerra, nonostante le numerose informazioni ricevute Pio XII non condannò mai ufficialmente né si impegnò pubblicamente per fermare le deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento. Offrì, però, rifugio presso la Santa Sede a molti ebrei e a esponenti politici antifascisti tra cui Alcide De Gasperi e Pietro Nenni, appellandosi al fatto che la Città del Vaticano era uno Stato sovrano. Non sempre però i tedeschi rispettarono l’extra-territorialità di alcune altre aree a Roma di pertinenza della Santa Sede: nell’inverno del 1943 fecero irruzione nella basilica di San Paolo fuori le mura e vi presero alcuni prigionieri. È stato scoperto di recente un piano segreto di Hitler che prevedeva l’occupazione del Vaticano e l’arresto di Pio XII, il quale secondo il dittatore nazista ostacolava i piani della Germania. Per evitare che Hitler e il regime nazista potessero tenere prigioniero Papa, Pio XII, al corrente delle intenzioni di Hitler, preparò una lettera di dimissioni da utilizzare in caso di propria cattura, dando istruzioni di tenere un successivo conclave a Lisbona. Alcuni autori hanno espresso forti critiche verso il comportamento tenuto dalla Santa Sede dopo l’attentato di Via Rasella e l’eccidio delle Fosse Ardeatine (23-24 marzo 1944). Si è speculato che, almeno cinque ore prima dall’uccisione della prima vittima della rappresaglia tedesca, la segreteria di Stato vaticana fosse in possesso di un’autorevole informazione circa l’attentato e l’intenzione dei tedeschi di sopprimere dieci italiani per ogni tedesco ucciso. Robert Katz, autore dell’accusa, è stato condannato per diffamazione in quanto tali affermazioni sono solamente un’intuizione storica non corrispondente a fatti dimostrati. Resta il fatto che, a posteriori, l’atteggiamento papale nei confronti della Germania nazista durante il secondo conflitto mondiale appare, in generale, informato a molta prudenza ancorché si sia indubbiamente esposto all’inizio del conflitto nell’infruttuoso tentativo di far destituire il dittatore tedesco.
  42. Il termine Olocausto indica, a partire dalla seconda metà del XX secolo, il genocidio di cui furono responsabili le autorità della Germania nazista e i loro alleati, dello sterminio di tutte le categorie di persone dai nazisti ritenute “indesiderabili” o “inferiori” per motivi politici o razziali, tra cui gli ebrei d’Europa. Oltre agli ebrei, furono vittime dell’Olocausto le popolazioni slave delle regioni occupate nell’Europa orientale e nei Balcani, neri europei, prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, massoni, minoranze etniche come rom, sinti e jenisch, gruppi religiosi come testimoni di Geova e pentecostali, omosessuali e portatori di handicap mentali e/o fisici. Tra il 1933 e il 1945, furono complessivamente circa 15-17 milioni le vittime dell’Olocausto, di entrambi i sessi e di tutte le età, tra cui 4-6 milioni di ebrei. La parola “Olocausto” deriva dal greco ὁλόκαυστος (holòkaustos, “bruciato interamente”), a sua volta composta da ὅλος (hòlos, “tutto intero”) e καίω (kàiō, “brucio”), ed era inizialmente utilizzata ad indicare la più retta forma di sacrificio prevista dal giudaismo. L’Olocausto, in quanto genocidio degli ebrei, è identificato più correttamente con il termine Shoah (in ebraico: שואה?, lett. “catastrofe, distruzione”), che ha trovato ragioni storico-politiche nel diffuso antisemitismo secolare. L’eliminazione di circa i due terzi degli ebrei d’Europa venne organizzata e portata a termine dalla Germania nazista mediante un complesso apparato amministrativo, economico e militare che coinvolse gran parte delle strutture di potere burocratiche del regime, con uno sviluppo progressivo che ebbe inizio nel 1933, con la segregazione degli ebrei tedeschi, e che poi proseguì, estendendosi a tutta l’Europa occupata dal Terzo Reich durante la seconda guerra mondiale, con il concentramento e la deportazione, e quindi culminò dal 1941 con lo sterminio fisico per mezzo di eccidi di massa sul territorio da parte di reparti speciali (le Einsatzgruppen, vedi successiva nota n.353) e, soprattutto, in strutture di annientamento appositamente predisposte (campi di sterminio), in cui attuare quella che i nazisti denominarono soluzione finale della questione ebraica. L’annientamento degli ebrei nei centri di sterminio non trova nella storia altri esempi a cui possa essere paragonato, per le sue dimensioni e per le caratteristiche organizzative e tecniche dispiegate dalla macchina di distruzione nazista.
  43. Un gentlemen’s agreement (dall’inglese, con il significato letterale di “accordo fra gentiluomini“) è un patto informale tra due parti, generalmente orale o meno frequentemente scritto. Si basa essenzialmente sul presupposto che entrambe le parti rispetteranno la parola data sul proprio onore in quanto, a differenza di un contratto formale, esso non può essere difeso giudizialmente. Non avendo natura coercitiva, è opinione comune che l’incentivo a non venire meno a un gentlemen’s agreement risieda nella reciproca convenienza a rispettarlo (per esempio, guadagno per entrambe le parti, oppure limitazione di un danno o di un rischio che senza l’accordo potrebbe essere peggiore per entrambi). Era un gentlemen’s agreement, ad esempio, il patto tra Italia e Regno Unito del 2 gennaio 1937 che precedette i cosiddetti Accordi di Pasqua, stipulati il 16 aprile 1938, giorno di Sabato santo, che appianavano i contrasti nelle politiche medio-orientali dei due Paesi e garantivano la libera disponibilità al transito nel lago Tana e nel Canale di Suez.
  44. Helmut Rosenthal, nome di fantasia dell’autore. La circostanza dello sterminio della famiglia dell’ambasciatore ad Auschwitz è frutto esclusivamente di invenzione letteraria dell’Autore e non corrispondente assolutamente alla realtà.
  45. Il campo di concentramento di Auschwitz (in tedesco: Konzentrationslager Auschwitz, abbreviato KL Auschwitz o anche KZ Auschwitz) è stato un vasto complesso di campi di concentramento e di sterminio situato nelle vicinanze della cittadina polacca di Oświęcim (in tedesco chiamata Auschwitz). Durante la seconda guerra mondiale, tra il 1940 e il 1944, vi furono sterminati più di un milione di prigionieri, in gran parte ebrei. Oltre al campo originario, denominato Auschwitz I, durante il periodo dell’Olocausto nacquero diversi altri campi del complesso, tra cui il famigerato campo di sterminio di Birkenau (Auschwitz II), situato appunto a Birkenau (in polacco Brzezinka), il campo di lavoro di Monowitz (Auschwitz III), situato per l’appunto a Monowitz, (in polacco Monowice), e altri 45 sotto-campi costruiti durante l’occupazione tedesca della Polonia in cui i deportati venivano utilizzati per lavorare, in condizioni di schiavitù, nelle diverse industrie tedesche costruite nei dintorni. Il complesso dei campi di Auschwitz, il più grande mai realizzato dal nazismo, svolse un ruolo fondamentale nel progetto di “soluzione finale della questione ebraica” – eufemismo con il quale i nazisti indicarono lo sterminio degli ebrei (nel campo, tuttavia, trovarono la morte anche molte altre categorie di internati) – divenendo rapidamente il più efficiente centro di sterminio della Germania nazista. Auschwitz, nell’immaginario collettivo, è diventato il simbolo universale del lager, nonché sinonimo di “fabbrica della morte”, realizzato nel cuore dell’Europa orientale del XX secolo. Mentre l’Armata Rossa dell’Unione Sovietica si avvicinava ad Auschwitz nel gennaio del 1945, verso la fine della seconda guerra mondiale, le truppe naziste mandarono la maggior parte della popolazione del comprensorio di Auschwitz, con le cosiddette “marce della morte“, verso altri campi in Germania e Austria. Le truppe sovietiche liberarono il campo il 27 gennaio 1945 alle 8:00 un giorno universalmente commemorato dal 2005 come “Giorno della Memoria“. Nel 1947 il parlamento polacco deliberò la creazione di un memoriale-museo che comprese l’area di Auschwitz I e Auschwitz II. Nel 1979 il sito venne dichiarato patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. La denominazione iniziale Auschwitz Concentration Camp è stata modificata in Memorial and Museum Auschwitz Birkenau – German Nazi Concentration and Extermination Camp. Quanto alla stima delle vittime del complesso di Auschwitz, nel 1990 il numero riportato sulla targa commemorativa fu messo in discussione, scatenando un acceso dibattito non sopito. Il numero riportato passò da quattro milioni di vittime ad un milione e mezzo, allineandosi con le stime degli storici moderni che propendono per un numero compreso tra 1.100.000 e 1.500.000 morti. La cifra di quattro milioni, che ebbe origine sotto la spinta dell’orrore per la scoperta dei campi di sterminio nazionalsocialisti, è stata successivamente contestata da molti storici, che pure non hanno mai trovato un accordo sulla stima definitiva che comunque oscillerebbe tra uno e due milioni di vittime. Gli studi sulla questione e quelli effettuati da Piper – direttore del Dipartimento di Ricerca storica del Museo di Auschwitz -(che propende per 1.100.000 morti) lo convinsero a portare avanti – con successo – la sostituzione della targa commemorativa.
  46. Il termine DEFCON (acronimo per indicare la locuzione della inglese DEFense readiness CONdition, in italiano “condizione di prontezza difensiva”) indica lo stato di allerta delle forze armate degli Stati Uniti d’America. Sono previsti cinque gradi di allerta, che passano da DEFCON 5, il livello più basso, a DEFCON 1, indicante una guerra nucleare imminente o già in corso. Il sistema DEFCON è stato sviluppato dallo Stato maggiore congiunto e dagli Unified Combatant Command statunitensi. II più alto livello di allerta militare che si sa con certezza essere stato raggiunto a oggi è DEFCON 2, dichiarato pubblicamente in una sola occasione, nell’ottobre 1962, durante l’amministrazione Kennedy, quando si ebbe la crisi dei missili di Cuba. La costruzione di rampe missilistiche sovietiche sul territorio cubano e la notizia dell’imminente arrivo di missili a testata nucleare sull’isola di Cuba misero gravemente a repentaglio la sicurezza sul territorio degli Stati Uniti, per la vicinanza e la rapidità con la quale un eventuale attacco sovietico avrebbe potuto essere portato contro il Paese. DEFCON 3 sarebbe stato invece raggiunto nel febbraio 2022, durante la crisi russo-ucraina.
  47. Il Trattato del Nord Atlantico, anche conosciuto come Patto Atlantico, è un trattato difensivo firmato da Stati Uniti, Canada e vari paesi dell’Europa occidentale nel 1949. Ha dato origine alla NATO (North Atlantic Treaty Organization), rappresentando nel corso della guerra fredda il cosiddetto blocco occidentale. Il Patto Atlantico venne firmato a Washington, negli Stati Uniti, il 4 aprile 1949. Ad esso aderirono anche paesi non geograficamente atlantici (ossia senza sbocchi sull’Oceano Atlantico) come l’Italia, la Grecia, la Turchia ed altri. La ratifica alla firma del trattato da parte degli Stati Uniti avvenne con una votazione al Senato il 21 luglio 1949. Il trattato è stato richiamato in occasione dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 al World Trade Center e al Pentagono, in occasione della guerra al terrorismo. La nascita dell’accordo trova origine dal timore, molto radicato in quel periodo, di un possibile attacco dell’Unione Sovietica a una delle nazioni dell’Europa occidentale. Una settimana dopo l’ingresso ufficiale della Germania Ovest nella NATO (6 maggio 1955) l’Unione Sovietica ed altre nazioni a regime comunista costituirono a loro volta il Patto di Varsavia. La chiave di lettura più importante del trattato risiede nell’articolo V in cui viene dichiarato che ogni attacco ad una nazione tra quelle appartenenti alla coalizione verrà considerato come un attacco alla coalizione stessa. In tal caso, ciascuno Paese membro, nell’esercizio del diritto di autodifesa individuale o collettiva riconosciuto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate. L’altra norma che fa scattare il casus foederis è l‘articolo IV, che prevede che “le parti si consulteranno ogni volta che, nell’opinione di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata”: fu richiesto sette volte, di cui quattro dalla Turchia (nel 2003 per la guerra in Iraq; nel giugno e nell’ottobre 2012, e poi di nuovo nel 2020, in seguito ad aggressioni siriane) e poi da Lettonia, Lituania e Polonia nel 2014 (dopo l’invasione russa della Crimea) ed a novembre 2021 (in seguito alla crisi dei migranti provocata dalla Bielorussia al confine polacco) ed infine dalla Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022. I dodici originari Stati firmatari sono: USA, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo; a essi successivamente si aggiunsero Grecia e Turchia (1952), Repubblica federale tedesca (1955), Spagna (1982) ed altri Paesi, anche già appartenenti al cessato e contrapposto “Patto di Varsavia”, come Polonia, Repubblica Ceca ed Ungheria (1999), Slovacchia e Bulgaria (2004), Romania (2004) ed Albania (2009) o già appartenenti alla ex Jugoslavia, come Croazia (2009), Slovenia (2004), Montenegro (2017) e Macedonia del Nord (2020). Attualmente, con la recentissima entrata nel gruppo della Finlandia (2023), Nazione storicamente neutrale, i Paesi aderenti sono passati a 31 e pende tuttora la richiesta di adesione da parte della Svezia, cui il Parlamento Turco (la Turchia è membro dal 1952) non ha ancora dato l’autorizzazione essendo necessaria l’unanimità dei membri.
  48. Peace keeping, in senso letterale “mantenimento della pace“. È l’insieme delle operazioni, anche di carattere non strettamente militare, condotte da forze armate multinazionali costituite da contingenti messi a disposizione dagli Stati membri di un’organizzazione internazionale, a carattere universale, come l’Organizzazione delle Nazioni Unite, o regionale, quali l’Organizzazione degli Stati americani, l’Unione Africana, l’Unione Europea, ecc., allo scopo di mantenere la pace in aree di crisi. In particolare, essa si sviluppa con la presenza di personale civile e militare di Paesi aderenti all’ONU o ad altra Organizzazione di carattere sovranazionale regionale ovvero di truppe costituenti le Forze internazionali di pace delle Nazioni Unite (i cosiddetti “Caschi blu”), che con il consenso delle parti coinvolte in un conflitto, garantisce, coordina o semplicemente osserva l’attuazione di un accordo in relazione al contenimento o alla soluzione di un conflitto preesistente o di cui vi è il pericolo dello scoppio. A volte l’operazione può assicurare l’accesso e la distribuzione di aiuti umanitari o favorire la ricostruzione di infrastrutture e garantire il ritorno allo stato di diritto, attraverso la riforma degli organismi statali e della società civile in paesi devastati dalla Guerra. (Fonte: ISPI-Istituto per gli Studi di Politica Internazionale ed Enciclopedia Treccani)
  49. Peace enforcing, applicazione di misure coercitive, inclusa la forza militare, per imporre la pace in un determinato Paese o territorio in guerra attraverso specifiche missioni autorizzate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Nell’ambito delle operazioni di peace-enforcing sono previste azioni di difesa della popolazione civile da eventuali aggressioni, creazione e controllo di aree protette e demilitarizzate, contenimento dell’intensità del conflitto, separazione dei belligeranti, liberazione di territori occupati. Per raggiungere gli obiettivi prefissati, le Nazioni Unite possono anche ricorrere all’utilizzo di agenzie e organizzazioni regionali. Le missioni di Peace enforcement guidate dalle Nazioni Unite si fondano sulle norme del capitolo VII dello Statuto dell’ONU e delle misure che esso mette a disposizione del Consiglio di Sicurezza quando il conflitto è ormai iniziato, tra queste l’uso della forza, da impiegare come ultima ratio. “L’articolo 42 è quello che consente l’impiego di forze armate per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale quando tutti gli strumenti non armati, previsti dall’articolo 41, sono falliti. Le missioni di peace-enforcement, imposizione della pace, nascono quindi come diramazioni dirette della volontà del Consiglio di Sicurezza. Anche se l’art. 43 della Carta delle Nazioni Unite prevede la creazione di una forza di enforcement fino ad ora si è preferito l’impiego di organizzazioni regionali e/o forze multinazionali. Le operazioni di peace-enforcement presentano comunque più rischi per i militari impiegati rispetto agli altri tipi d’intervento. Si tratta, infatti, di azioni molto simili a campagne di guerra con il relativo uso di armamenti pesanti e sistemi d’arma sofisticati. Il “costo politico” di un simile coinvolgimento non è irrilevante, specialmente per i governi delle democrazie occidentali, in considerazione del numero di caduti e di feriti che risulterebbero dagli scontri. Nel panorama delle poche missioni di peace-enforcement svolte dall’ONU nel cinquantennio della sua vita, non è possibile trarre ancora un bilancio visto, gli esiti a volte contraddittori. Anche se si può operare una distinzione concettuale fra i tre tipi di missioni che prevedono l’impiego di forze armate ONU, preventive – diplomacy e peacebuilding, peace-keeping e peace-enforcement, spesso queste perdono le connotazioni tipiche di ognuna adattandosi alle necessità contingenti. Si è assistito spesso all’evoluzione di missioni che nate come forze d’interposizione o d’osservazione, sono state chiamate ad assumere compiti d’imposizione della pace intervenendo direttamente contro una delle parti in conflitto, ritrasformandosi poi in forze di peace-keeping dopo l’accordo per la fine delle ostilità. Non sono mancati neanche casi di trasformazioni in senso opposto, dove missioni nate con compiti di peace-keeping, al riesplodere degli scontri hanno ristabilito la pace facendo l’uso della forza. Le operazioni d’imposizione della pace si differenziano essenzialmente da quelle di mantenimento poiché non presuppongono il consenso delle parti in causa. In ogni caso tutte le missioni che prevedono il dispiegamento di Forze Armate incontrano la stessa difficoltà cioè quella di riuscire a dispiegare, in tempi brevi, un adeguato numero di militari, sufficientemente addestrati ed equipaggiati, in grado di garantire la propria la sicurezza, quella del personale civile dell’ONU e compiere il mandato assegnatogli.” (Fonti: Enciclopedia Treccani, sezione dedicata al lessico del XXI secolo; “Le missioni della Guardia di Finanza all’estero” brani tratti dal sito web: https://www.tesionline.it/tesi/brano/le-operazioni-di-peacenforcement/14114)
  50. Difesa o Guerra preventiva (o colpo preventivo) è il tentativo di respingere o sconfiggere un’offensiva o un’invasione percepita come inevitabile, o per ottenere un vantaggio strategico in un’imminente guerra, presumibilmente inevitabile, prima che la minaccia si materializzi. E’ un concetto con radici storiche ben note ma applicato come metodo d’approccio in modo massivo dall’Amministrazione americana all’indomani dell’attacco terroristico alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001. L’obiettivo militare della guerra scatenata dall’Amministrazione Bush Jr. è quindi stato fatto intendere come quello di impedire a taluni Paesi dotati di armi di distruzione di massa (Weapons of Mass Destruction) di minacciare gli Stati Uniti ed alterare gli equilibri mondiali, così come ritenuti dagli Stati Uniti. Così G.W. Bush si scagliò contro Iraq ed Afganistan con operazioni militari e giustificò proprie sanzioni e, in generale un atteggiamento bellicoso verso Iran e Corea del Nord, accusati di agire da fiancheggiatori del terrorismo e di sviluppare armi di distruzione di massa, definendo questo malvagio sodalizio con il termine axis of evil (assi del male). La Storia ci ha poi consegnato una realtà almeno in parte diversa come nel caso dell’Iraq di Saddam Hussein dove l’accusa di essere in possesso di armi di distruzione di massa (nello specifico, il possesso di un arsenale chimico e biologico che non fu mai trovato) si è rivelata una bufala, ma costituì una delle basi legali all’intervento militare in Iraq. Infatti, Ora sappiamo, anche in base al rapporto di John Chilcot, presidente della commissione d’inchiesta britannica, che l’intervento militare Usa in Iraq del 2003, sostenuto caldamente da Tony Blair, era basato su falsi rapporti. (Fonte: Articoli vari su rete Internet e, in particolare l’articolo pubblicato al seguente indirizzo web dell’ISPI: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/iraq-la-madre-di-tutte-le-bufale-16215).
  51. La Legione Condor è stata un’unità militare di aeronautica formata da volontari e mezzi aerei provenienti dalla Germania nazista e impiegata durante la guerra civile spagnola in supporto alle forze nazionaliste di Francisco Franco. I primi aeroplani tedeschi arrivarono in Marocco all’inizio dell’agosto 1936 con lo scopo di effettuare il trasporto aereo delle truppe nazionaliste del generale Francisco Franco, successivamente (dal 1938) noto come il Caudillo de España, verso la madrepatria spagnola. L’assistenza militare tedesca si espanse rapidamente nei mesi successivi; all’inizio di novembre del 1936 venne ufficialmente organizzata e rinominata legione Condor. Essa consisteva in circa 100 aeroplani e 5.000 uomini al comando del Generalmajor Hugo Sperrle; attraverso la rotazione dei contingenti impiegati, un totale di circa 20.000 tedeschi prestò servizio in Spagna. A dispetto di una posizione ufficiale di non intervento, Adolf Hitler giustificò questo impegno come parte “della lotta contro il bolscevismo“. Il bombardamento di Guernica effettuato dai velivoli della Legione Condor il 26 aprile 1937 e duramente condannato dalla comunità internazionale, ispirò il famoso dipinto di Pablo Picasso Guernica che drammatizzava le sofferenze della popolazione civile nel conflitto. Anche se non si trattava del primo bombardamento effettuato dalle forze tedesche, le gravi distruzioni causate (circa 200 morti e il 60% delle case distrutte) rappresentarono un chiaro segnale di quello che sarebbe successo a molte città durante la seconda guerra mondiale.
  52. Il nazismo diede vita a un elaborato sistema di propaganda, con l’uso delle nuove tecnologie pertinenti alla settima arte: il cinema. Esso si appellava alle masse mediante slogan che puntavano direttamente agli istinti e alle emozioni della gente, insomma alla “pancia” del popolo: per questa ragione non sorprende affatto che i nazisti considerassero la Cinematografia come uno strumento propagandistico di enorme portata. L’interesse dimostrato da Adolf Hitler e dal suo ministro della propaganda Joseph Goebbels per i film, non fu solamente il risultato di una passione personale. La strumentalizzazione del film per propaganda fu pianificata dal Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori già dal 1930, allorché il partito stesso creò per la prima volta una sezione dedicata ai film. Film che ebbero, secondo lo storico Saul Friedländer, come tema dominante gli ebrei, considerati dal mito nazista, da una parte «un prodotto di scarto e un problema clinico […]», e dall’altra una minacciaː «l’umanità ariana si trovava dinnanzi il pericolo mortale di un dominio ebraico del mondo […]». Goebbels, che affermava di essere “il Patrono del film tedesco”, sosteneva realmente che un cinema che intrattenesse e conferisse fascino al governo sarebbe stato uno strumento propagandistico più efficace rispetto a un cinema nazionale nel quale l’NSDAP (il Partito Nazionalsocialista) e la sua politica fossero stati onnipresenti. Obiettivo principale della politica nazista in materia di cinema fu quella di promuovere l’escapismo (forma estrema di svago, spesso attraverso metodi ricreativi, il cui scopo è estraniarsi da una realtà nei confronti della quale si prova disagio), teso a distrarre il popolo dai veri problemi e a mantenere alto l’umore di tutti. La propaganda aperta era riservata a documentari e cinegiornali. In quel contesto si sono create e consolidate le basi di un sistema di propaganda di cui oggi viene sfruttato ampiamente tesi ed impostazione, potendo ora utilizzare anche l’arma dei Social.
  53. Lo Sicherheitsdienst (SD, Servizio di Sicurezza) era il servizio informazioni e intelligence delle SS dal 1932 al 1945 e venne creato nel 1932 da Reinhard Heydrich (si veda la nota seguente n.71). A seguito della presa del potere da parte dei nazisti, l′importanza di questa organizzazione crebbe con il passare degli anni, soprattutto durante la guerra. Era in qualche modo in competizione con le SA ma sotto la guida di Heydrich, il 9 giugno 1934 divenne l′unico “Servizio Segreto del Partito”. Nel 1938 si trasformò nel Servizio segreto di Stato, così come del Partito, appoggiando la Gestapo e lavorando con l′Amministrazione Generale e degli Interni. L′SD era incaricato dell′individuazione dei reati o dei potenziali nemici del nazismo, e dell′eliminazione degli oppositori. Al fine di espletare il suo compito, l′SD creò un′organizzazione di agenti e informatori operante in tutto il Reich, e successivamente nei territori occupati dalle truppe naziste. L′organizzazione consisteva di poche centinaia di agenti a tempo pieno e di diverse migliaia di informatori. L′SD era l′agenzia che raccoglieva le informazioni, mentre la Gestapo, e in alcune occasioni la Reichskriminalpolizei erano le agenzie esecutive del sistema di polizia politica. Sia l′SD sia la Gestapo erano in effetti sotto il controllo di Heinrich Himmler, in qualità di capo della polizia tedesca e delle SS.
  54. Reinhard Tristan Eugen Heydrich (Halle, 7 marzo 1904Praga, 4 giugno 1942) è stato un generale tedesco delle SS. Considerato uno dei più potenti gerarchi della Germania nazista e da taluni persino come l’uomo più pericoloso del Terzo Reich, Heydrich ebbe sotto il suo controllo l’intero apparato delle SS e fu stretto collaboratore di Heinrich Himmler, che lo mise a capo del Reichssicherheitshauptamt (RSHA) (Ufficio Principale di Sicurezza del Reich). È noto soprattutto per il suo ruolo decisivo nella pianificazione e organizzazione dello sterminio degli ebrei e per aver diretto la conferenza di Wannsee, nel corso della quale furono analizzati i punti organizzativi della cosiddetta soluzione finale del problema ebraico. Nella primavera del 1941 venne nominato da Adolf Hitler governatore del Protettorato di Boemia e Moravia, dove mise in atto sanguinose repressioni per annientare la resistenza antitedesca sviluppatasi sotto il suo predecessore Konstantin von Neurath, ma morì circa un anno dopo a causa delle ferite riportate in un attentato organizzato dai partigiani cecoslovacchi con il supporto dell’intelligence britannica.
  55. Abteilung III – Abwehr: questa Sezione si occupava di controspionaggio, anche in collaborazione con la Gestapo. Sotto il comando del generale Franz-Eccard von Bentivegni, con una parentesi del colonnello Heinrich (agosto-settembre 1943).
  56. All’inizio del 1940 le uniche basi di sommergibili tedeschi erano situate ad Amburgo ed a Danzica, sedi anche dei cantieri navali dove venivano realizzati gli U-Boot. Solo tra il 1941 ed il 1944 furono realizzate e rese operative le cinque basi fortificate di Saint-Nazaire, La Rochelle, Lorient, Brest e Bordeaux nella Francia occupata, dalle quali partivano i famigerati “branchi di lupi” che fecero strage di naviglio militare e civile alleato.
  57. Villa Wolkonsky (o Volkonsky) è l’attuale residenza ufficiale dell’ambasciatore britannico in Italia. Si trova a Roma, immersa in una proprietà che copre undici ettari della collina dell’Esquilino, appena dentro le Mura Aureliane, non lontano dalla Basilica di San Giovanni in Laterano. L’area è ricca di vestigia storiche ed archeologiche, tra cui le trentasei arcate dell’acquedotto di Nerone, costruito dall’imperatore come raccordo all’Acquedotto Claudio del 52 d.C. per rifornire con l’acqua proveniente da Subiaco la Domus Aurea ed il ninfeo presso il tempio del Divo Claudio. Sono presenti, altresì tombe di origine romana. Agli inizi dell’Ottocento questa zona era ancora impiegata per usi agricoli, quando venne acquistata da Aleksandr Michajlovič Belosel’skij-Belozerskij, che era diventato ambasciatore russo presso la corte sabauda a Torino. La figlia Zinaida Aleksandrovna Belosel’skaja, nel 1811, sposò a San Pietroburgo il principe Nikita Grigor’evič Volkonskij, aiutante di campo dello Zar Alessandro I di Russia; solo nove anni dopo giunse a Roma per la prima volta, immergendosi nella vita culturale della città. Rimastavi tre anni, la principessa Zinaida tornò a Mosca: la lasciò nel 1829, morto lo zar Alessandro I, per stabilirsi di nuovo a Roma dove si dedicò alla proprietà regalatale dal padre. Nel 1922 la famiglia Campanari, nel frattempo divenuta proprietaria dell’immobile, vendette la villa al governo tedesco e la casa divenne la nuova residenza dell’ambasciatore tedesco, alla ripresa dei rapporti diplomatici con l’Italia interrotti con la prima guerra mondiale. Nel 1943, con l’occupazione tedesca dell’Italia, la villa smise di essere formalmente un’ambasciata; uno degli ufficiali italiani catturati dopo aver fronteggiato gli invasori tedeschi a Porta San Paolo nella battaglia del 10 settembre 1943 (all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre) ricorda di essere stato recluso nei locali della villa, mentre altri militari e civili venivano detenuti nella vicina famigerata prigione di via Tasso. I locali di Via Tasso erano la dépendance dell’Ambasciata a disposizione dell’addetto culturale tedesco. Dopo la liberazione di Roma nel 1944 il governo italiano la sequestrò tenuto conto del suo uso per scopi non-diplomatici e, finita la guerra, divenne preda bellica, facendo poi parte dei beni considerati come riparazione dalla Commissione Alleata di Controllo. Per un breve periodo fu occupata dalla Legazione Svizzera e dalla Croce Rossa Italiana. Nel 1946 l’ambasciata britannica – che si trovava a villa Bracciano in via XX Settembre – fu distrutta da un attentato terroristico di matrice sionista attuato dall’Irgun; il governo italiano mise quindi subito a disposizione del personale britannico villa Wolkonsky, che da allora divenne sede dell’ambasciata. Nel 1951 il governo inglese ne acquistò formalmente la proprietà. Villa Wolkonsky divenne residenza ufficiale dell’ambasciatore e la Cancelleria venne installata nella villetta della principessa Zenaide, quella costruita tra gli archi dell’acquedotto e già ingrandita durante il periodo tedesco.
  58. L’appoggio che Mussolini, sorretto da manifestazioni di piazza evidentemente organizzate ad hoc, dette alla Finlandia attaccata dall’Unione Sovietica fu argomento di discussione negli incontri dell’Ambasciatore Attolico con Hitler e von Ribbentrop a Berlino. Infatti, il patto di non aggressione tra Germania e Russia (detto Motolov-Ribbentrop) produsse, almeno a parole, una sorta di appoggio dei tedeschi alla politica espansionistica sovietica in tutta la zona a ridosso dei Balcani, aerea quest’ultima che storicamente costituiva una zona d’influenza dell’Italia ed avrebbe così minacciato le mire espansionistiche dell’Italia su Jugoslavia e zona balcanica in generale. Tanto produsse incomprensioni tra Hitler e lo stesso von Ribbentrop, da un lato, che spingevano per l’entrata in guerra dell’Italia affianco della Germania e Mussolini, con Ciano e lo stesso Attolico che cercavano di prendere tempo ed indurre il Führer a ricostituire lo Stato polacco (nel frattempo smembrato tra III Reich e Unione Sovietica) in vista di una proposta di pace con Gran Bretagna e Francia. (Fonte: Collana di testi diplomatici del Ministero degli Affari Esteri – 11. Bernardo Attolico – pagg.114/120).
  59. Hans Georg von Mackensen (Berlino, 26 gennaio 1883Costanza, 28 settembre 1947) è stato un politico, ambasciatore e militare tedesco. Mackensen nacque in una famosa famiglia militare. Suo padre era il feldmaresciallo August von Mackensen, suo fratello il generale Eberhard von Mackensen. Hans Georg fu educato da bambino con il principe Augusto Guglielmo di Prussia nel 1902 ed iniziò la carriera di ufficiale nel 1. Garde-Regiment zu Fuß. La formazione durò fino al 1907, ma contemporaneamente studiò legge. Nel maggio 1933 aderì al partito nazista. Dal dicembre 1933 fino a 15 aprile 1937 servì come ambasciatore a Budapest, e alla fine del 1936 fu stato nominato come successore di Bernhard Wilhelm von Bulow a ministro degli Esteri. Dopo esser stato sostituito nel suo incarico dal suocero Konstantin Freiherr von Neurath il 4 febbraio 1938, Mackensen fu il nuovo ambasciatore a Roma al posto di Ulrich von Hassell, allontanato a causa della sua critica alla politica italiana. Il 30 gennaio 1942, ricevette il grado di SS-Gruppenführer. Nel suo nuovo incarico si adoperò per una rapida destituzione di Benito Mussolini, ma non secondo quanto intendeva Hitler. Di conseguenza, dopo un colloquio con quest’ultimo, avvenuto il 4 ottobre 1943, rassegnò le dimissioni dal suo incarico. Rimase tuttavia generale delle SS ed in questa veste assistette al primo dei discorsi di Posen del 4 ottobre 1943, tenuto in quella città per la prima volta da Heinrich Himmler. Nel maggio del 1945 venne catturato dai francesi e tenuto come prigioniero di guerra fino all’aprile del 1946. Morì un anno dopo la sua liberazione.
  60. La battaglia terrestre di Narvik venne combattuta tra il 9 aprile e l’8 giugno 1940 nei dintorni della città norvegese di Narvik, e vide contrapposti un contingente di truppe tedesche al comando del generale Eduard Dietl, che si era impossessato della città con un attacco a sorpresa, ed una forza Alleata composta da reparti norvegesi, britannici, francesi e polacchi. La battaglia, uno dei maggiori scontri della campagna di Norvegia della seconda guerra mondiale, si concluse con la ritirata delle truppe Alleate, che pure erano riuscite a riprendere la città ai tedeschi. All’alba del 7 aprile 1940 unità navali tedesche lasciarono i porti della Germania settentrionale facendo rotta a nord, per dare avvio all’operazione Weserübung, il piano d’invasione di Danimarca e Norvegia; sei gruppi navali tedeschi partirono scaglionati verso altrettante località strategiche lungo la costa norvegese, mentre altre forze andavano ad ammassarsi sul confine terrestre tra Danimarca e Germania. L’azione, progettata dal generale Nikolaus von Falkenhorst e fortemente appoggiata dal comandante della Kriegsmarine Erich Raeder, era stata voluta da Adolf Hitler poco più di un mese prima, sfruttando come casus belli il cosiddetto “incidente dell’Altmark“. Il timore che una forza Alleata potesse impossessarsi dei porti norvegesi rappresentava un grave pericolo per la prosecuzione della guerra da parte della Germania: quasi il 70% del ferro di cui necessitava l’industria tedesca proveniva infatti dai minerali ferrosi estratti nelle miniere di Kiruna e Gällivare, nella neutrale Svezia; nei mesi estivi questi carichi raggiungevano la Germania attraverso i porti svedesi sul Baltico, ma d’inverno il golfo di Botnia gelava quasi completamente, obbligando i mercantili tedeschi a trovare un’altra strada. I carichi di minerale ferroso erano quindi trasportati per ferrovia nel porto di Narvik, sempre libero dai ghiacci, e discendevano poi via mare la lunga costa norvegese fino ai porti della Germania settentrionale. Se questa importante via di rifornimento fosse stata interrotta, lo sforzo bellico tedesco ne avrebbe risentito pesantemente. L’occupazione di Narvik costituiva quindi uno dei cardini dell’Operazione Weserübung: il porto era l’obiettivo del Marinegruppe 1 del commodoro Friedrich Bonte, composto da 10 cacciatorpediniere ognuno dei quali imbarcava 200 soldati del Gebirgsjägerregiment 139 (“139º Reggimento fanteria da montagna“) del generale Eduard Dietl; sfruttando le forti tempeste del mare di Norvegia come copertura dalla ricognizione aerea britannica, le unità tedesche si diressero indisturbate verso il loro lontano obiettivo. Quello che i tedeschi ignoravano era però che gli Alleati avevano appena lanciato un’operazione analoga: fin dal suo insediamento come Primo Lord dell’Ammiragliato, Winston Churchill aveva progettato di occupare il porto di Narvik con un contingente di truppe Alleate, ma il piano era stato respinto dal Governo britannico, preoccupato per la violazione della neutralità norvegese che esso implicava. Solo dopo lunghe negoziazioni, il 28 marzo 1940 i vertici Alleati autorizzarono il lancio dell’operazione Wilfred: il piano consisteva più che altro nel minamento delle acque territoriali norvegesi per impedirne il transito ai mercantili tedeschi, ma una sua appendice (Piano R4) prevedeva, in caso di reazione della Germania contro la Norvegia, di occupare Narvik con un contingente di truppe franco-britanniche. Quello stesso 7 aprile l’operazione era appena agli inizi, con tre gruppi navali britannici inviati a stendere i campi minati nelle acque norvegesi; contemporaneamente, tre brigate di fanteria britanniche erano tenute pronte per mettere in atto il Piano R4 qualora se ne fosse presentata la necessità. I primi avvistamenti della forza d’invasione tedesca si ebbero intorno alle ore 7:00, quando i ricognitori britannici rilevarono alcune navi tedesche dirette a Trondheim: l’Ammiragliato mise subito in allarme la Home Fleet dell’ammiraglio Charles Forbes, temendo che i tedeschi stessero per mettere in atto il temuto “sfondamento atlantico”, un attacco in massa da parte della flotta di superficie contro i convogli diretti in Gran Bretagna; la reazione britannica arrivò comunque troppo in ritardo per impedire ai tedeschi di portare a termine tutte le loro operazioni di sbarco.
  61. L’attacco decisivo sul fronte occidentale iniziò, per i tedeschi, con un colpo di sfortuna: il 10 gennaio 1940, dopo una serie di rinvii dovuti soprattutto al freddo eccezionale di quell’inverno ma anche in attesa di una improbabile soluzione pacifica del conflitto, Hitler fissò al successivo giorno 17 l’inizio dell’offensiva decisiva contro la Francia. Ma lo stesso giorno, un piccolo aereo da collegamento tedesco che aveva perso la rotta a causa del maltempo fu costretto ad un atterraggio di fortuna in territorio belga, vicino ad un paese a sedici chilometri da Maastricht. Ai tre soldati belgi subito accorsi in bicicletta, si presentò uno spettacolo curioso: dei due membri dell’equipaggio, entrambi incolumi, uno, nascosto dietro un cespuglio, stava cercando affannosamente di bruciare delle carte. Fu proprio il fumo di questo piccolo falò a richiamare l’attenzione dei militari su di lui e sul maggiore Reinberger, ufficiale di collegamento presso una squadriglia aerea, e la sua borsa di cuoio giallo zeppa di documenti segretissimi riguardanti il piano tedesco del Feldmaresciallo Beck per l’invasione del Belgio e dell’Olanda, quei piani, appunto, che lo sfortunato ufficiale, maledicendo il giorno in cui aveva accettato un passaggio sull’aereo di un collega diretto a Colonia con un carico di biancheria da lavare, stava invano cercando di distruggere. La notizia dell’aereo costretto ad atterrare in territorio belga con i piani dell’invasione, arrivò a Berlino nella nottata del 10 gennaio, e fece piombare il comando tedesco nella costernazione più profonda: Hitler, furibondo, silurò un paio di ufficiali, poi si consultò con il Feldmaresciallo Jodl (capo di stato maggiore dell’OKH, l’Oberkommando della Herr, il comando supremo dell’esercito) e con il Reichmarschall Goring (Capo della Luftwaffe), per decidere se proseguire secondo i piani o rinviare tutto. Si decise di proseguire, dato che mancava meno di una settimana all’attacco e belgi e francesi non avrebbero avuto tempo di organizzarsi. Col passare dei giorni crebbe l’incertezza: “Se il nemico è in possesso di tutti i documenti, la situazione è catastrofica”, disse Jodl la mattina del 12 gennaio. Hitler, sempre più incerto, decise il 13 un rinvio di qualche giorno, benché il servizio segreto dell’Abwehr gli avesse garantito che tutti i documenti erano stati ridotti in cenere. Le notizie di una mobilitazione parziale in Belgio e Olanda, unita alle sfavorevoli previsioni meteorologiche, spinsero alla fine per un rinvio a tempo indeterminato: dai documenti tedeschi emergeva infatti che se le cattive condizioni del tempo ebbero un certo peso nella decisione (ed altrettanto ne ebbe la riluttanza dei generali tedeschi a lanciare un’offensiva in pieno inverno), il motivo principale che indusse Hitler a rinviare l’attacco fu che egli si rese conto di non poter più contare sul fattore sorpresa, giacché Belgio e Olanda si stavano rapidamente preparando alla difesa, e sarebbero sicuramente stati aiutati dalla Francia. Hitler disse quindi a Jodl che l’intera operazione doveva essere rielaborata con altri e nuovi criteri, in modo da garantirsi la segretezza e la sorpresa. E’ a questo punto che salì alla ribalta tra gli strateghi tedeschi ed ottenne l’incondizionata approvazione di Hitler, il piano elaborato a suo tempo dal generale von Manstein, che aveva già un nome in codice, Sichelschnitt, cioè Colpo di falce: l’obiettivo non era più quello di conquistare qualche base aerea e navale lungo la manica, come prevedeva il piano di Beck caduto in mano ai belgi, e che era denominato Fall Gelb, cioè Caso Giallo (in pratica un aggiornamento del piano di invasione usato nel 1914 dalla Germania imperiale), bensì di sfondare nelle Ardenne, ai lati di Sedan, per passare la Mosa e spingersi fino ad Abbeville, sulla Manica, tagliando fuori il grosso del nemico nelle Fiandre. Annientate queste forze, sosteneva von Manstein, sarebbe stato facile sbaragliare il resto dell’esercito francese: “Mein Fuhrer, noi non vogliamo sconfiggere il nemico, ma distruggerlo”. (Fonte: studio pubblicato sul sito internet del Liceo classico Giovanni Berchet di Milano).
  62. “Costituzione materiale”: l’insieme dei principi elaborati e delle prassi utilizzate dalla classe politica che ha dominato i 76 annisuccessivi alla sua promulgazione, per colmare le lacune della Costituzione scritta o per adattarla ai mutamenti storici senza modificarla formalmente.
  63. Winston Churchill, prima di accettare l’incarico di Primo ministro, rivestiva nel War Cabinet (Gabinetto di guerra) di Chamberlain, la carica di Primo Lord dell’Ammiragliato, ovvero di Capo della Royal Navy, la Marina Militare Britannica, incarico che aveva già rivestito durante il periodo della Prima Guerra mondiale, in cui l’evento più noto e controverso fu la fallita campagna di Gallipoli, della quale Churchill fu promotore insieme all’ammiraglio John Fisher e al generale Kitchener. L’operazione aveva l’obiettivo di eliminare le difese turche nello stretto dei Dardanelli per consentire alle truppe da sbarco britanniche, australiane e francesi di raggiungere Costantinopoli e unirsi così all’esercito russo. La flotta predisposta per l’azione non riuscì tuttavia ad annientare le difese dei turchi e Churchill, essendo il ministro responsabile, venne considerato il colpevole dell’insuccesso. Per questo, nel 1915, anche su forte pressione dei conservatori, dovette dare le dimissioni. (Fonte. Enciclopedia Wikipedia).
  64. L’Allied Joint Force Command (JFC)-Naplesè un comando militare NATO situato in Italia, con sede a Lago Patria, frazione di Giugliano in Campania, nella città metropolitana di Napoli. Costituisce uno dei due comandi strategici operativi del Comando Operazioni Alleate del Supreme Headquarters Allied Powers Europe (SHAPE – Quartier generale delle potenze alleate in Europa) l’altro è l’Allied Joint Force Command-Brunssum, con sede a Casteau in Belgio.
  65. La Caserma Ederle, in inglese Camp Ederle, è una base militare dell’Esercito degli Stati Uniti situata a Vicenza, sede dello United States Army Africa (USARAF). Una seconda installazione militare, la Caserma Del Din è stata inaugurata nel 2013 nella stessa città. Le due caserme, che comprendono gli alloggi dell’esercito statunitense, un piccolo sito di comunicazioni e un punto di rifornimento munizioni USAREUR, costituiscono la doppia sede di una guarnigione di diverse unità statunitensi operanti in Europa individuata dal 3 ottobre 2015 come Vicenza Military Community. Accorpata al Darby Military Community di Pisa e Livorno, costituisce lo United States Army Garrison (USAG) Italy[2]. Presso la Caserma Ederle hanno sede, tra gli altri reparti: lo United States Army Africa (USARAF), ex Southern European Task Force (SETAF), che costituisce la componente dell’esercito statunitense posta alle dipendenze dello United States Africa Command, Il 173rd Airborne Brigade (Sky Soldiers) che è una unità di paracadutisti dell’United States Army e la 207th Military Intelligence Brigade.
  66. La Sesta Flotta degli Stati Uniti, in inglese United States Sixth Fleet, è una flotta della United States Navy stanziata principalmente nel Mar Mediterraneo, ma operativa anche nell’Atlantico occidentale, nei mari circostanti l’Africa (nell’oceano Indiano fino all’altezza del Kenya) e nei mari del Nord Europa. La base della Sesta Flotta è la Naval Support Activity Naples di Napoli, dove si trova anche il Comando della United States Naval Forces Europe, da cui dipende. La base è situata affianco dell’aeroporto di Napoli-Capodichino.
  67. Giuseppe Bastianini(Perugia, 8 marzo 1899Milano, 17 dicembre 1961) partecipò alla prima guerra mondiale come sottotenente degli Arditi. Fu membro della Massoneria. Aderì giovanissimo al Partito Nazionale Fascista e divenne segretario del fascio di Perugia nonché vicesegretario del PNF dal 1921 al 1923. Da quell’anno fino al 1927 fu membro del Gran Consiglio del Fascismo. A seguito della seduta del Gran Consiglio del 13 ottobre 1923, venne nominato segretario dei fasci all’estero, carica che mantenne sino al novembre 1926: sotto la sua guida la penetrazione fascista tra gli Italiani all’estero si accrebbe, ma al contempo aumentarono le frizioni (come dimostra il caso originato dall’assassinio di Nicola Bonservizi). Eletto nel 1924 deputato al Parlamento, fu sottosegretario all’Economia nazionale dal 1926 al 1927. Nel 1927 passò alla diplomazia svolgendo missioni a Tangeri, Lisbona e Atene. Nel 1932 fu nominato ambasciatore a Varsavia. Scelto dal Duce come ambasciatore a Londra nel 1939 in sostituzione di Grandi, cercò inutilmente di contrastare l’entrata in guerra dell’Italia. Rientrato in Patria nel giugno 1940, nell’inverno successivo partecipò alle operazioni militari sul fronte greco-albanese, guadagnandosi una decorazione al valor militare; nel frattempo, dal marzo 1939, era stato nominato consigliere nazionale alla Camera dei fasci e delle corporazioni. Conquistata con l’aiuto dei Tedeschi la Jugoslavia, il 7 giugno 1941 fu posto alla guida del Governatorato della Dalmazia su ordine del Duce. La sua opera come governatore venne valutata in modo del tutto opposto: Renzo De Felice lo ritenne uomo capace e realista, alieno da inutili violenze e disposto, quando possibile, ad aiutare le popolazioni locali e gli ebrei; gli jugoslavi invece lo accusarono di crimini di guerra e ne chiesero invano la consegna. L’11 ottobre 1941 Bastianini istituì il Tribunale Straordinario della Dalmazia, che in meno di un mese, in una serie di processi lampo senza istruttoria, irrogò 48 condanne a morte, 35 delle quali furono immediatamente eseguite. Il 27 giugno 1942 diede ordine di creare il campo di concentramento di Melada, in cui furono internati migliaia di civili rastrellati nell’entroterra nel corso delle operazioni antipartigiane e in cui persero la vita circa mille prigionieri, 300 dei quali fucilati come ostaggi. Procedette all’Italianizzazione della regione, rendendo obbligatorio l’insegnamento dell’italiano – accanto al croato e al serbo-montenegrino – nelle scuole e procedendo all’aggiunta del nome italiano dei toponimi, nonché modificando diversi nomi delle strade. Furono inoltre istituite delle borse di studio per gli studenti dalmati italiani e non italiani che avessero voluto proseguire gli studi in Italia, di cui fecero uso 52 ragazzi italiani e 211 tra croati e serbi. Bastianini fu duro nei confronti di quegli elementi serbi e croati considerati non fidati, che furono espulsi o imprigionati. La creazione del Governatorato della Dalmazia – ponendo ampie fasce di territorio sotto la diretta giurisdizione italiana – permise la salvezza di numerosi ebrei che furono inclusi o che riuscirono a rifugiarsi nella zona italiana, potendo così sfuggire alle persecuzioni tedesche e croate. Circa 4.000 ebrei vennero concentrati nel campo di concentramento di Arbe ai fini di proteggerli dalla deportazione e da morte certa. A questi furono garantite condizioni di vita molto migliori rispetto agli slavi deportati nello stesso campo, che invece subirono ogni sorta di privazione. Nelle sue memorie – che non parlano minimamente del suo periodo in Dalmazia e delle sue attività repressive – Bastianini afferma invece che per la sua difesa degli ebrei venne definito dal Ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop “ebreo onorario”: “Quell’epiteto era un omaggio fattomi da Ribbentrop quando mi trovavo in Dalmazia dove avevo aperto le porte agli ebrei che fuggivano dal territorio jugoslavo per non venire presi dagli ustascia e consegnati alla Gestapo”. Tale episodio non risulta peraltro avvalorato in alcun testo storico. Al Governatorato della Dalmazia venne sostituito da Francesco Giunta. Partecipò alla riunione del Gran Consiglio del fascismo del 24 luglio 1943 e votò l’Ordine del giorno Grandi contro Mussolini. Condannato a morte in contumacia nel Processo di Verona, Bastianini sfuggì all’esecuzione rifugiandosi sulle montagne toscane del Chianti e poi in Svizzera fino alla fine della guerra. Al termine della seconda guerra mondiale il governo jugoslavo del Maresciallo Tito lo accusò di essere un criminale di guerra, per il suo ruolo di Governatore della Dalmazia, insieme al generale Mario Roatta e a Francesco Giunta, suo successore in tale veste. Per tali accuse non venne mai portato a processo in Jugoslavia. La Commissione italiana d’inchiesta per presunti criminali di guerra, nominata dallo Stato maggiore dell’esercito in accordo col Governo italiano per rispondere alle accuse elevate da diversi paesi nei confronti di centinaia di militari e civili accusati di diversi crimini, il 6 maggio 1946 sostenne che il comportamento di Bastianini era improntato a “eccessivo ossequio verso Mussolini” e di essersi circondato “di elementi fascisti che, non di rado, trascesero ad eccessi, così da provocare nella popolazione locale vivo risentimento anche contro il Governatore Bastianini dal quale non videro rispettate quelle esigenze fondamentali alle quali sentivano di avere diritto”, ma la Corte d’Assise speciale di Roma nel 1947 lo assolse da ogni accusa, così come la Commissione per le sanzioni contro il fascismo. Nel 1959, tornato a Milano, pubblicò presso la piccola casa editrice “Vitagliano” le sue memorie, dal titolo “Uomini, cose, fatti: memorie di un ambasciatore”, ripubblicato da Rizzoli nel 2005 con il titolo Volevo fermare Mussolini. (Fonte: Enciclopedia libera Wikipedia ed articoli tratti da Fonti aperte).
  68. Sir Oswald Ernald Mosley (Londra, 16 novembre 1896Orsay, 3 dicembre 1980) è stato un politico britannico. È stato il fondatore nel 1932 dell’Unione Britannica dei Fascisti, formazione politica di estrema destra, vicina al Partito Nazionale Fascista di Benito Mussolini, che almeno nella prima parte della sua storia, ebbe una certa popolarità tra gli ambienti conservatori per la sua verace adesione all’anticomunismo ed al protezionismo, che testate giornalistiche come il Daily Mail ed il Daily Mirror sostennero pubblicamente in più di un’occasione. Alcuni politici di destra arrivarono ad ipotizzare un’alleanza tra conservatori e blackshirts (camicie nere britanniche) in funzione anti-laburista. Oswald Mosley è il padre di Max Mosley, ex presidente della FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) (Fonte: Enciclopedia libera Wikipedia e Fonti aperte).
  69. “Governo Tory”: Governo del Partito Conservatore britannico.
  70. La Brigata bersaglieri “Garibaldi” è una delle Grandi Unità che la Forza Armata dell’Esercito italiano annovera fra le “Forze di Proiezione”. Costituita nel 1975 a Pordenone su base 8° reggimento bersaglieri fu assegnata alla Divisione Corazzata “Ariete”. Dopo lo scioglimento della Divisione nel 1991 si trasferisce in Campania e diviene la prima unità composta da personale volontario. Costituita da reggimenti su personale in Ferma Prefissata, Breve e Servizio Permanente, è equipaggiata ed organizzata per essere facilmente rischierata all’estero. Dislocata in Campania e Calabria, si compone di reparto comando, due reggimenti bersaglieri, un reggimento carri, un reggimento di cavalleria, un reggimento d’artiglieria, un reggimento genio ed un reggimento logistico. (Fonte: Sito web www.esercito.difesa.it dell’Esercito Italiano).
  71. La BrigataMeccanizzata “Pinerolo” è una delle Grandi Unità destinate alla “presenza e sorveglianza” del territorio nazionale ed ha sede attualmente nella città di Bari. Costituita nel 1821 prende parte alle tre guerre d’Indipendenza, alla grande guerra, alla campagna d’Africa Orientale ed alla seconda guerra mondiale, durante la quale combatte sul fronte occidentale, in Albania ed in Grecia, dove si scioglie nel 1943. La grande unità, ricostituita nel 1952, ha configurazione pluri-arma, è posta alla guida di un Generale di Brigata ed è alimentata con personale Volontario, in Ferma ed in Servizio Permanente. Si compone di un reparto comando, due reggimenti di fanteria, un reggimento bersaglieri, uno carri, uno d’artiglieria, un reggimento genio guastatori ed un reggimento logistico. (Fonte: Sito web www.esercito.difesa.it dell’Esercito Italiano).
  72. L’elicottero d’attacco ARH 129-D Mangusta, è stato il primo elicottero d’attacco ad essere progettato e costruito in Europa Occidentale. Attualmente è in corso di progettazione il sostituto Leonardo AW249. Il nome “Mangusta” fu una trovata commerciale per suggerire la capacità di battere il “Cobra”, nome sia dell’animale sia del suo competitor americano Bell AH-1, elicottero concorrente dell’A129 nel momento in cui quest’ultimo fu sviluppato. La prima unità militare italiana ad avere in dotazione questo elicottero completamente progettato e realizzato in Italia è stato il 5º Reggimento ALE “Rigel”, all’epoca inquadrato nel 5º Corpo d’armata. Lo ARH-129D è la versione potenziata con nuova dotazione optronica, Rafael TOPLITE III che comprende FLIR ed un nuovo laser, con funzione di telemetro, designatore bersagli, marcatore di bersagli per altri lanciatori e scoperta sorgenti laser. Le rampe di lancio degli Spike (missile anticarro leggero a corto raggio) sono elevabili, per semplificare e migliorare la sicurezza del lancio in combattimento. Di tale versione sono previsti 24 esemplari, più l’ammodernamento di ulteriori 24 esemplari CBT. Lo A-129 CBT è la versione potenziata per l’Esercito Italiano che incorpora le stesse migliorie della versione A-129 International (trasmissione potenziata, rotore pentapala, cannone da 20mm) ma mantiene i motori originali RR mk1004. La trasmissione potenziata rende possibile una nuova motorizzazione con prestazioni migliori. Nel rapporto esercito del 2015 è stato ridefinito come A-129 EES (Elicottero da Esplorazione e Scorta). L’Italia utilizza n. 60 AW129 Mangusta CBT consegnati al dicembre 2016 e risultano in servizio ulteriori n. 32 AH-129D operativi e n. 16 AH-129C utilizzati per l’addestramento. E’ stata progettata ma non ancora consegnata una nuova versione, il A129 Multi-RoleA129 LBH: versione d’assalto, multiruolo con una struttura completamente differente dai A129 standard, in quanto modificata per creare lo spazio per trasportare otto soldati in aggiunta ai due di equipaggio (l’acronimo LBH significa Light Battlefield Helicopter). (Fonte: Blog “Si vis pacem para bellum”, articolo del 21 febbraio 2021).
  73. La Brigata Alpina “Julia” è una delle Grandi Unità specializzate per il combattimento in montagna che la Forza Armata dell’Esercito italiano annovera fra le sue fila. Costituita come 3° Raggruppamento Alpino nel 1923 assunse la denominazione attuale nel 1934. Impiegata nel 1939 in Albania, vi restò sino allo scoppio della seconda guerra mondiale impegnata sul fronte greco. Inviata in Russia con l’ARMIR nel 1942, rientrò in Patria nel 1943 decimata. Sciolta a seguito dell’armistizio si ricostituì nel 1949. Formata da reggimenti alimentati con Volontari in Ferma ed in Servizio Permanente, è la struttura portante di una Grande Unità Multinazionale, composta anche da reparti Sloveni ed Ungheresi. Dislocata in Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige, si compone di un reparto comando, tre reggimenti d’arma base, uno d’artiglieria, un reggimento genio guastatori ed un reggimento logistico. Anche la Brigata Alpina “Taurinense” è una delle Grandi Unità specializzate per il combattimento in montagna che la Forza Armata annovera fra le sue fila. Costituita anch’essa come I Raggruppamento Alpino nel 1923 assunsee la denominazione attuale nel 1934. Impiegata nel corso della seconda guerra mondiale sul fronte occidentale (Francia 1940, Croazia, Bosnia ed Erzegovina 1942) e quindi in Montenegro nel 1943, dopo l’armistizio concorse alla formazione della Divisione Italiana Partigiana “Garibaldi”. Ricostituita nel 1952, è la prima fra le unità da montagna ad essere alimentata con Volontari. Impiegata all’estero a più riprese, è dislocata in Piemonte e si compone di tre reggimenti d’arma base, uno d’artiglieria, uno di cavalleria, un reggimento genio, un reggimento logistico ed il reparto comando. (Fonte: Sito web www.esercito.difesa.it dell’Esercito Italiano e Fonti aperte su internet).
  74. Reggimento elicotteri “Altair” è stato a lungo inquadrato nelle truppe alpine e impiegato su tutto l’arco alpino; ha sviluppato particolari capacità di volo in ambiente montano. Alimentato con personale volontario, il reggimento è basato sull’aeroporto “Sabelli” di Bolzano (BZ). Lo Stendardo del Reggimento è decorato di cinque Medaglie d’Argento al Valor Civile, una Croce d’Argento al Merito dell’Esercito ed una Croce di Bronzo al Merito della Croce Rossa Italiana. (Fonte: Sito web www.esercito.difesa.it dell’Esercito Italiano).
  75. La classe FREMM (Fregate Europee Multi Missione), sviluppata in collaborazione tra Italia e Francia, ha la sua origine nel “Programma Fregate di nuova generazione” ed in configurazione Stealth (invisibile ai radar), con la definizione della Specifica Operativa Generale risalente al gennaio 2003. E’ un fiore all’occhiello della cantieristica navale militare italiana, richiesta anche dalla Marina Militare degli Stati Uniti (U.S. Navy); è composta da due sottoclassi specializzate: General Purpose (GP) ovvero Multiruolo ed Antisommergibile (ASW), caratterizzate da una base progettuale comune su cui si innestano diverse peculiarità a seconda della tipologia d’impiego. Attualmente le Unità in forza alla Marina Militare italiana sono: Nave Carlo Bergamini – Nave Virginio Fasan – Carlo Margottini – ASW, Carabiniere – ASW, Alpino – ASW. Le Navi presentano le seguenti caratteristiche generali: lunghezza: 144,6 m; larghezza 19,7 m; pescaggio massimo (in corrispondenza del bulbo) ca. 8,70 m; dislocamento a pieno carico:  ca. 6.900 t.. L’armamento consiste nei seguenti sistemi missilistici multipli per la difesa antiaerea MBDA Aster15 e Aster30; sistemi missilistici multipli per bersagli navali o terrestri Sylver A-50, Sylver A-70; sistemi missilistici da crociera multipli per bersagli a lungo raggio Scalp Naval ed a medio raggio MBDA Teseo Mk2 Block IV, 2 sistemi lanciasiluri da 32 mm. a caricamento automatico, un cannone del tipo Oto Melara 127/64 mm con rifornimento automatico delle munizioni per bersagli terrestri e navali, 2 cannoni Oto-Melara da 76/62 mm con guida antimissile, 2 cannoni Oto-Melara/Oerlikon da 25/80 mm, 2 lanciarazzi Oto Melara SCLAR-H DLS, 2 sistemi anti-siluro SLAT, 2 elicotteri NH90 o EH101.
  76. I pattugliatori polivalenti d’altura (PPA) della classe Thaon di Revelrappresentano il programma per una futura classe di unità navali multiruolo della Marina Militare, che sostituiranno le fregate classe Soldati e le corvette classe Minerva. L’intero sistema elettronico è stato realizzato da Leonardo, che fornisce un Combat Management System di nuova generazione ad architettura aperta, modulare e riconfigurabile, progettato per essere un sistema C4I completo (ovvero di comando, controllo, comunicazione, computer ed intelligence) con accesso ai servizi di rete della Coalizione (NATO) così come a quelli Strategici Nazionali. Nella plancia è stato previsto un innovativo sistema denominato “cockpit” realizzato insieme a Fincantieri, che consentirà per la prima volta la gestione integrata delle operazioni relative sia alla conduzione della nave sia al sistema di combattimento, con un numero ridotto di addetti, grazie anche all’impiego di tecnologie di realtà aumentata. Esso comprende un radar AESA 3D Kronos Dual Band, composto da quattro facce fisse. Ognuna di esse comprende a sua volta due pannelli radar, uno in banda C (per la sorveglianza e il tracciamento aerei a medio-lungo raggio e per la sorveglianza e il tracciamento anti-missile balistico, oltre che per la guida dei missili superficie-aria del sistema SAAM-ESD) ed uno in banda X (per la sorveglianza di superficie e per la sorveglianza e il tracciamento aerei a corto raggio). La variante Full è equipaggiata col sistema completo, la Light+ ha solo i pannelli in banda C e la Light avrà solo quelli in banda X. L’armamento di base, comune a tutte e tre le versioni è costituito da: un cannone (a prua) OTO Melara 127/64 munito del munizionamento Vulcano e da un cannone (sull’aviorimessa di poppa) OTO Melara 76/62, del tipo sovrapponte, munito di munizionamento Davide/Strales e con predisposizione per il Vulcano. Sempre sull’aviorimessa di poppa, trovano posto 2 mitragliere a controllo remoto Oto Melara / Oerlikon KBA 25/80 e 2 lanciarazzi ODLS-20 per le contromisure AAW e ASW. Le unità montano poi un impianto missilistico di ultima generazione VLS Sylver A-50 per il lancio in verticale di 16 missili Aster 15, Aster 30 e Aster 30 B1NT, già implementato nelle versioni Light+ e Full, mentre nel caso della versione Light vi sarà solo la predisposizione per una loro possibile installazione. Tutte le versioni avranno la predisposizione per un sistema di 4 lanciatori binati per il lancio di 8 missili anti-nave e land attack OTOMAT TESEO Mk-2E. Per quanto riguarda la capacità silurante nelle versioni Light e Light+ sarà presente la predisposizione per 2 lanciatori trinati per siluri da 324mm MU-90 Impact, mentre nella versione Full essi sono già implementati. Sulle PPA versione Full vengono installati due lanciatori ODLS 20 (OTO Decoy Launching System) a controllo remoto il cui ruolo principale è fornire alla nave una difesa passiva dai radar e dai missili dotati di seeker IR, ma anche decoy ASW, (nelle altre due versioni vi è solo la predisposizione per la loro installazione). Importante infine, la presenza di un Hangar e un ponte di volo per 2 elicotteri NH90 o un AgustaWestland AW101.
  77. Il Sommergibile Salvatore Todaro è il primogenito della nuova classe di Unità Subacquea della Marina Militare progettato, combinazione vuole, proprio con la Germania ed avente la sigla U-212A. Varato nel novembre 2003, è stato consegnato alla Marina Militare il 29 marzo 2006, al termine di un intenso periodo di collaudi in mare. Il porto di assegnazione del Sommergibile Todaro è Taranto, sede del Comando della Flottiglia Sommergibili, dal quale l’Unità stessa dipende organicamente. Il Sommergibile Todaro è un battello di medie dimensioni, caratterizzato dall’impiego di tecnologie innovative che permettono prestazioni molto avanzate. In particolare, il tipo di propulsione silenziosa basata sull’impiego delle celle a combustibile, le fuel cells, in cui l’idrogeno e l’ossigeno vengono fatti reagire per produrre energia elettrica, rappresenta un sistema innovativo per la generazione di energia in molteplici settori, anche non militari. Dalla sua consegna in avanti, il sommergibile è stato impiegato anche in missioni a lungo raggio dette “expeditionary” per la lotta al terrorismo internazionale. I battelli sono dotati di periscopi a telemetria ottica e laser, sistemi sonar e radar ad alta tecnologia, nonché di sistemi passivi d’arma (anti-mine, anti-siluro ed antimissile). E’ armato con 24 siluri di ultima generazione A-184 Black Sharp Advanced lunghi sei metri l’uno. (Fonte: sito web marina militare www.marina.difesa.it).
  78. I sottomarini della classe Nazario Sauro hanno costituito la classe più numerosa di battelli costruiti per la Marina Militare Italiana. I battelli sono stati realizzati in otto esemplari dalla Fincantieri, in quattro sottoclassi, ciascuna costituita da due unità. I classe Sauro sono battelli d’attacco a propulsione diesel-elettrica del tipo a unico scafo resistente, di forma cilindrica, dotati di un propulsore che agisce su un unico asse con elica a sette pale a basso numero di giri per ridurre le vibrazioni. I battelli della classe Sauro sono più grandi e potenti dei precedenti della classe Toti ed in grado di operare in tutto il Mediterraneo e anche oltre. I battelli della III e della IV Serie tra il 1999 e il 2002, sono stati sottoposti a lavori di ammodernamento che hanno comportato la sostituzione dell’intero sistema di combattimento e la sostituzione di molti apparati ormai sorpassati. I lavori di ammodernamento hanno visto l’installazione di una nuova versione del sistema elettronico integrato Sactis, del Sonar integrato di combattimento STN Atlas ISUS 9020 e del sistema radio IRSC della tedesca Hagenuk Marinekommunikation, un sistema di telecomunicazione integrato in grado di gestire comunicazioni satellitari. Il sistema integrato di Comando, Controllo e Lancio Armi ISUS 9020 della tedesca STN ATLAS Elektronik è dotato di cartografia elettronica e capace di gestire i siluri italiani A-184 A3 della WASS. Il sonar integrato ISUS 9020 è sistema di rilevamento del rumore proprio ed è in media frequenza un sonar attivo e intercettatore in alta frequenza. Il sistema periscopico MOD.324 dell’americana Kollmorgen è dotato di intensificatore di luce e apparati di videoregistrazione. Il sistema di guerra elettronica è costituito da una suite ESM BLD 727 della Elettronica SpA, società del gruppo Finmeccanica, mentre il Radar MM/BPS 704-V2 completa la dotazione elettronica. Dopo gli ammodernamenti questi battelli rispondono pienamente alle attuali esigenze operative e possono svolgere operazioni di sorveglianza occulta (controllo e difesa di particolari zone di mare), localizzazione, ombreggiamento ed attacco a sottomarini ed unità di superficie, appoggio ad operazioni speciali, raccolta informazioni, e inoltre hanno ottenuto brillanti successi in numerose operazioni ed esercitazioni internazionali. I sommergibili della I e II classe sono stati nel frattempo radiati mentre il solo Nazario Sauro (il 1° della 1a serie) è utilizzato come battello museale presso il porto antico di Genova ormeggiato nella Darsena davanti al Galata – Museo del Mare, prima nave-museo in Italia visitabile in acqua.
  79. L’incrociatore portaeromobili STOVL (decollo corto e atterraggio verticale, acronimo inglese di Short Take-Off and Vertical Landing) Giuseppe Garibaldi, matricola C 551, è un’unità della Marina Militare che prende il nome dal nostro Eroe del Risorgimento. L’unità, varata nel 1983 presso i cantieri navali di Monfalcone, è stata la prima portaerei nella storia della Marina Militare ad entrare in servizio attivo nel 1985 dato che due unità portaerei, l’Aquila e lo Sparviero, furono approntate nel corso della seconda guerra mondiale ma non entrarono mai in servizio. La nave ha ricoperto il ruolo prestigioso di nave ammiraglia della Marina Militare dal 1987 al 2011, quando è passato alla nuova portaerei Cavour. Dopo il rientro in servizio a seguito di una profonda ristrutturazione ed ammodernamento, la nave ha preso parte nel 2011, nell’ambito della guerra civile libica, all’Operazione Unified Protector mettendo a disposizione della NATO otto caccia Harrier II a decollo verticale per lo svolgimento dell’operazione militare in Libia, svolgendo il ruolo di nave comando dal 25 marzo al 26 luglio. Gli 8 cacciabombardieri a decollo verticale AV-8B Harrier II a bordo del Garibaldi hanno lanciato 160 missili/bombe a guida laser su obiettivi sul suolo libico, con 1.221 ore di volo complessive. (Fonte: Enciclopedia libera Wikipedia e Fonti aperte su internet).
  80. Il Vulcano (A 5335) è un’unità navale ausiliaria per il supporto logistico (LSS – logistic support ship) della Marina Militare costruita dal cantiere navale Fincantieri di La Spezia. La nave, destinata a sostituire le unità della classe Stromboli, in servizio dalla fine degli anni settanta e prossime al termine della loro vita operativa, è lunga 193 metri e può assicurare il supporto logistico per un periodo considerevole ad un gruppo navale composto da 4/5 unità maggiori, essendo in grado di trasportare carburante, olio lubrificante, munizioni, cibo e acqua, medicinali e altri materiali per condurre operazioni di rifornimento in mare, assistenza tecnica per attività manutentive di secondo e terzo livello oltre che assistenza medica.
  81. Ipattugliatori d’altura del Corpo della Guardia Costiera italiana appartengono a varie Classi, tra le quali quelli della classe Saettia Mark II o Diciotti (noto per il suo impiego in attività di controllo dell’immigrazione clandestina), unità di altura realizzate dalla Fincantieri negli stabilimenti del Muggiano di La Spezia. La classe è una versione modificata dell’unità sperimentale Saettia, costruita dalla Fincantieri come unità dimostrativa DA-360T, che per il suo allestimento poteva essere considerata sia come una grossa motocannoniera missilistica con alcune capacità maggiorate, specie in termini di armi contraerei con un CIWS, sia che come una piccola corvetta avendo capacità operative analoghe a unità navali di maggiori dimensioni e con una segnatura radar molto bassa, poiché la sezione trasversale è molto ridotta e sono state adottate forme di scafo particolarmente idonee a tale scopo. Lo scafo dell’unità prototipo ha un lungo castello che si prolunga quasi fino alla zona poppiera. Nonostante le dimensioni ridotte della sovrastruttura la nave ha la possibilità di essere dotata di sistemi di combattimento particolarmente articolati in rapporto alle sue dimensioni. La nave venne costruita negli stabilimenti del Muggiano, impostata nel giugno 1984, varata nel dicembre dello stesso anno e completata nel dicembre 1985. L’armamento era costituito da un cannone da 76 mm Compatto della Oto Melara nella zona prodiera, una mitragliera binata Breda/Mauser da 30 mm a poppa e quattro missili antinave Otomat. Sull’unità era stata testata la mitragliera binata antiaerea da 30 mm che era la versione ridotta del CIWS Dardo e che ha successivamente costituito l’armamento principale dei pattugliatori della Classe Zara della Guardia di Finanza. Lo scafo aveva un lungo castello che si prolungava fin quasi a poppa, con la zona poppiera occupata dalla mitragliera binata antiaerea.
  82. I nuovi pattugliatori d’altura del Corpo della Guardia di Finanza “Green” sono realizzati dal Cantiere Navale Vittoria in collaborazione con Damen Shipyards Group. La nave è lunga oltre 60 metri, larga 9,5 metri, ha un pescaggio di 3,5 metri ed è in grado di raggiungere una velocità massima superiore a 26 nodi. Possiede la prua ad ascia o Axe Bow in grado di garantire un’ottima tenuta al mare anche in condizioni meteo-marine difficili, senza dover limitare la velocità. L’unità si caratterizza per l’introduzione di una propulsione diesel-elettrica alle andature di pattugliamento fino a 9 nodi che le consente di essere un mezzo a basse emissioni e a ridotto impatto ambientale. Ai due motori diesel principali di propulsione sono affiancati motori elettrici reversibilida 270 kw ciascuno che possono fungere da motori di propulsione in pattugliamento o fornire energia elettrica alle altre andature. A bordo l’imbarcazione può ospitare fino a 30 persone di equipaggio a cui si potranno aggiungere ulteriori 8 per il personale dell’Agenzia Europea Frontex. Al termine della costruzione, l’unità otterrà la più alta classe prevista dal Registro Navale Italiano e le notazioni Efficient Ship Eedi (Energy Efficiency Design Index – Indice di efficienza energetica nella progettazione), notazione addizionale di classe dedicata all’efficienza energetica delle navi, Green Plus e Green Passport Plus legata all’impatto ambientale, tutte rilasciate dal RINA. E’ armato con 3 gruppi di mitragliatrici binate Browning M2 HB da 12,7mm ed è dotato di 2 gommoni MST 650 WJ.
  83. McDonnell Douglas AV-8B Harrier II è una famiglia di aerei cacciabombardieri monomotori a getto da attacco al suolo appartenenti alla seconda generazione di aerei a decollo corto e atterraggio verticale o V/STOL, sviluppati e prodotti dalla Boeing/BAE Systems a partire dagli anni novanta sulla base del progetto di generazione precedente messo a punto dalla British Aerospace negli anni ottanta. Nella versione AV-8B Harrier II Plus Simile è dotato di radar APG-65 ed è in uso al Corpo dei marine alla Marina Spagnola e all’Aviazione Navale Italiana. Il suo armamento è composto dal Cannone 1 GAU-12U “Equalizer” 25 mm e 300 colpi (Configurazione Americana, Spagnola e Italiana). I Punti d’aggancio per bombe e missili sono 9 con capacità di 5 987 kg (STOVL), incluse bombe a caduta libera, bombe a grappolo, bombe al napalm, B61, bombe laser-guidate della serie Paveway, missili AGM-65 Maverick, designatore laser LITENING, più di quattro AIM-9 SideWinder e missili a guida IR similari. Il radar APG-65 presente sulla variante AV-8B+ gli permette di equipaggiarsi con missili AIM-120 AMRAAM a guida radar. Inoltre, può portare bombe della serie a guida INS/GPS chiamate JDAM.
  84. L’Agusta Westland AW101 è un elicottero multiruolo medio pesante da 15 tonnellate, utilizzato in ambito militare e civile, propulso da tre turbine. È stato sviluppato grazie ad un’associazione d’imprese tra l’italiana Agusta e la britannica Westland Aircraft per soddisfare il requisito di un elicottero multiruolo per impiego navale. Successivamente le due aziende si fusero nella società AgustaWestland, il cui pacchetto azionario venne poi rilevato interamente da parte di Finmeccanica. Dal 1º gennaio 2016 le attività di AgustaWestland sono confluite nel settore elicotteri di Finmeccanica, rinominata, dal 2017, Leonardo divisione elicotteri. Alcuni operatori, tra cui le forze armate di Regno Unito, Danimarca, Norvegia e Portogallo, utilizzano il nome Merlin per i loro AW101 in servizio. L’elicottero viene prodotto presso gli stabilimenti di Yeovil in Inghilterra, di Vergiate e Brindisi in Italia. Sono stati assemblati su licenza alcuni esemplari anche in Giappone e negli Stati Uniti d’America.
  85. Il Comando operativo aeronavale della Guardia di Finanzain acronimo COAN, con sede nel comune di Pomezia, presso l’Aeroporto di Pratica di Mare, è l’articolazione operativa aeronavale della Guardia di finanza. Dipende dal “Comando Aeronavale Centrale”, retto da un Generale di corpo d’armata, che svolge le funzioni di alta direzione. Grazie alla disponibilità di mezzi aerei e navali e di personale altamente qualificato per il contrasto ai traffici illeciti perpetrati nell’alto mare, svolge la sorveglianza delle frontiere marittime nazionali e comunitarie anche nell’ottica di una costante e qualificata collaborazione con la “Agenzia Europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea”(FRONTEX). (Fonte: sito web www.gdf.gov.it)
  86. Zona S.A.R. (“Search and Rescue”): l’obbligo per gli Stati di garantire la sicurezza della vita umana in marediscende da tre convenzioni internazionali: la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare SOLAS (acronimo di Safety of Life at Sea) del 1974; la Convenzione internazionale di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio marittimo, disciplinante le cd. “zone SAR” adottata nel 1979 e la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS). Con il termine “Ricerca e Soccorso” si identificano una serie di operazioni di salvataggio condotte da personale addestrato a tale scopo e all’impiego di specifici mezzi navali, aerei o terrestri volti alla salvaguardia della vita umana in particolari situazioni di pericolo e ambienti ostili quali montagna, gole o mare. Ogni paese stabilisce la propria “zona SAR” (“Search and Rescue”), nella cui area di competenza è tenuto a prestare soccorso (a una disciplina differente sono invece soggette le operazioni di C-SAR, ovvero “Combat SAR”, attuabili in tempo di guerra, senza l’esclusione di un eventuale intervento anche armato in caso di necessità). Le convenzioni odierne in materia di salvataggio in mare sono l’esito di una codificazione di consuetudini marittime radicate nel principio di “solidarietà marinara” insito già nella Convenzione di Bruxelles del 1910, implicante obblighi di salvataggio imposti, da ciascuno Stato contraente, ai comandanti delle navi mercantili e alle navi pubbliche di propria bandiera. L’attività di “S.A.R.” si esplica in due fasi: soccorso e sbarco. (Fonte: articolo di Silvia Casu del 3.3.2019 ed aggiornato il 26.5.22, pubblicato sul sito web www.iusintinere.it).
  87. Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, è stata fondata nel 2004 per assistere gli Stati membri dell’UE e i paesi associati Schengen nella protezione delle frontiere esterne dello spazio di libera circolazione dell’UE. In quanto Agenzia dell’UE, Frontex è finanziata dal bilancio dell’Unione e dai contributi dei paesi associati a Schengen.
  88. Il Reparto Difesa Aerea Missilistica Integrata (Rep. DAMI) è l’articolazione, alle dipendenze del Comando Operazioni Aeree (COA), attraverso la quale lo stesso COA esercita il Comando e Controllo (C2) sugli assetti della Difesa Aerea e Missilistica impegnati in attività operativa reale e di esercitazione. Compito principale del Reparto DAMI è quello di assicurare il servizio di Difesa Aerea e Missilistica dirigendo, coordinando e sovrintendendo a tutte le attività di esercitazione e reali dei dipendenti 11° Gruppo DAMI e  22° Gruppo Radar AM di Licola, e dei sistemi in dotazione alla difesa aerea nazionale. In ambito NATO, questi due Gruppi sono inseriti nello IA&MDS (Integrated Air&Missile Defence System), dove operano alle dipendenze del CAOC (Combined Air Operation Center) di Torrejon in Spagna. La sorveglianza dei cieli è un’attività di fondamentale importanza per la sicurezza del Paese ed è per questo motivo che, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, il Rep. DAMI di Poggio Renatico, assicura, tramite i Gruppi radar dipendenti, la sorveglianza e la difesa dello spazio aereo nazionale in maniera continuativa attraverso un sistema, integrato nella NATO, di radar e velivoli intercettori. Fonte: sito web istituzionale www.aeronautica.difesa.it).
  89. Il velivolo da scoperta Gulfstream G550 CAEW è un velivolo del tipo AWACS (Sistema Radar aviotrasportato). Il suo ruolo principale consiste nell’effettuare sorveglianza aerea, funzioni di comando, controllo e comunicazioni, per permettere la supremazia aerea e fornire supporto alle forze di terra. Questo particolare tipo di radar (denominato radar Airborne Early Warning and Control (AEW & C) permette la trasmissione e la ricezione del segnale, guidando elettronicamente il fascio di onde elettromagnetiche utili per l’identificazione e la localizzazione degli obiettivi. Il radar riesce ad intercettare un bersaglio nel raggio di 370 km, permettendo nello stesso tempo di coordinare le operazioni per l’intercettazione di quest’ultimo con sistemi missilistici terra-aria o aria-aria. Attualmente il sistema è in uso nelle aeronautiche militari di Israele, Singapore e Italia. (Fonte: Sito web istituzionale www.aeronautica.difesa,it ed Enciclopedia libera sul web Wikipedia).
  90. L’EurofighterTyphoon (nomenclatura aeronautica F-2000A) è un caccia di ultima generazione, il più avanzato aereo da combattimento mai sviluppato in Europa, in grado di offrire capacità operative di ampio respiro e un’efficacia impareggiabile nel settore della Difesa Aerea. L’inserimento di questi velivoli nel servizio d’allarme nazionale, garantito dai reparti dell’Aeronautica Militare per la Difesa Aerea 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, permette di fornire una maggiore capacità a quel complesso dispositivo che, in pochi minuti, assicura il decollo dei caccia per intercettare e identificare qualunque traccia aerea sospetta rilevata dai radar. E’ il frutto della collaborazione industriale tra Germania, Gran Bretagna, Italia e Spagna. L’Eurofighter è un velivolo estremamente agile, progettato per un combattimento aria-aria estremamente efficace contro altri aeromobili, ed è stato descritto come secondo solo al F-22 Raptor e al F-35 Lightning II, tutti e due statunitensi e di quinta generazione anche se l’F-35 costa il doppio e l’F-22 Raptor (non esportabile al di fuori degli USA per le sue tecnologie d’avanguardia) molto di più. In seguito, i velivoli prodotti hanno beneficiato di diverse migliorie, come attrezzature atte a intraprendere missioni di attacco aria-superficie e la compatibilità con un numero altrettanto crescente di diversi armamenti ed equipaggiamenti, tra cui il missile da crociera SCALP e il Brimstone della RAF. L’aereo ha visto il suo esordio in combattimento durante l’intervento militare in Libia del 2011 con la Royal Air Force e l’Aeronautica Militare italiana, eseguendo missioni di ricognizione e bombardamento a terra. Il Typhoon ha anche assunto la responsabilità primaria per le funzioni di difesa aerea per la maggior parte delle nazioni coinvolte nel progetto. (Fonte: Sito web istituzionale www.aeronautica.difesa,it ed Enciclopedia libera sul web Wikipedia).
  91. L’Heinkel He 70 Blitz (in lingua tedesca: fulmine, saetta) era un monomotore con configurazione alare ad ala di gabbiano invertita montata bassa, impiegato inizialmente come aereo di linea ed aereo postale dalla Deutsche Luft Hansa (DLH) e successivamente come bombardiere, ricognitore ed aereo da addestramento dalla Luftwaffe durante la seconda guerra mondiale. Al momento della sua presentazione nel 1932 il Blitz si dimostrò nettamente superiore ai suoi concorrenti internazionali, soprattutto grazie alla velocità che era in grado di raggiungere, ben 335 km/h., un record per l’epoca. (Fonte: Enciclopedia libera del web Wikipedia).
  92. La Carl Zeiss è un’azienda con sede a Oberkochen, in Germania, attiva a livello mondiale in ambito tecnologico per la produzione e commercializzazione di una vasta gamma di prodotti ottici, meccanici ed elettronici: ottica di consumo, microscopia, tecnica medicale, metrologia industriale, tecnica dei semiconduttori, sistemi optoelettronici. L’azienda prende il nome dal suo fondatore, Carl Zeiss, che il 17 novembre 1846 scelse come sede della sua fabbrica di apparecchi ottici di precisione la piccola città di Jena, nella Turingia. (Fonte: Enciclopedia libera del web Wikipedia).
  93. l’Atto normativo proprio del Presidente del Consiglio dei Ministri è il D.P.C.M., ovvero Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il DPCM, dal punto di vista formale, è considerato un atto normativo di secondo grado. In altre parole, nella gerarchia giuridico-istituzionale, il DPCM ha un rango inferiore rispetto alla legge, ai decreti legge e ai decreti legislativi che sono atti normativi di primo grado. A causa della pandemia da coronavirus, tuttavia, i DPCM sono diventati uno strumento molto utilizzato dal Capo del Governo pro tempore Giuseppe Conte grazie alla loro rapidità: entrano, infatti, immediatamente in vigore, senza passaggi parlamentari. I DPCM, in ogni caso, devono successivamente trovare legittimazione in un decreto legge.
  94. La Francia è una repubblica semi-presidenziale in cui il potere esecutivo è condiviso dal presidente della Repubblica e dal primo ministro; il primo è eletto direttamente dal popolo e nomina il secondo sulla base del risultato elettorale. Il presidente viene eletto a suffragio universale diretto a doppio turno. Per essere eletti al primo turno serve la maggioranza assoluta dei voti; se nessuno dei candidati la ottiene, vanno al ballottaggio i due che al primo turno hanno ricevuto il maggior numero di consensi. Con questo sistema si assicura sempre la maggioranza assoluta al presidente eletto. Il voto per il presidente e per il Parlamento è separato. Risulta possibile, quindi, una coabitazione tra un presidente di un partito e una maggioranza opposta, anche se dopo la riforma che ha armonizzato le durate del mandato presidenziale e della legislatura, portando entrambe a 5 anni, l’eventualità è più rara. L’ultima coabitazione della V Repubblica è avvenuta tra il 1997 e 2002 tra il presidente neogollista Jacques Chirac e il primo ministro socialista Lionel Jospin. (Fonte: www.ispionline.it)
  95. Art. 11 Cost. testo attuale: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
  96. Harold Sidney Harmsworth,Lord Rothermere (Londra, 26 aprile 1868Bermuda, 26 novembre 1940) fu nominato Baronetto, di Horsey nella contea di Norfolk, nel 1910. Fu elevato al titolo nobilliare, come Barone Rothermere, di Hempstead nella contea del Kent, nel 1914. E’ stato un editore, giornalista e nobile britannico. Fondatore, assieme al fratello Alfred C. W. Harmsworth del quotidiano inglese Daily Mail e successivamente del Daily Mirror. Fu uno dei pionieri del giornalismo popolare. Durante gli anni trenta fu uno dei maggiori sostenitori britannici della Germania Nazista. Presumibilmente era convinto che il Partito Nazionalsocialista avrebbe aiutato a restaurare la monarchia tedesca. Ha coltivato contatti per promuovere il sostegno britannico alla Germania.
  97. Ci si riferisce al Daily Mail. Lord Rothermere era amico e sostenitore di Benito Mussolini e di Adolf Hitler, che influenzarono la linea del Daily Mail fino al 1939. Durante quel periodo fu l’unico periodico britannico a sostenere il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori. Rothermere era in rapporto di corrispondenza con Hitler; il 1º ottobre 1938 spedì un telegramma al fǖhrer in cui appoggiò l’invasione da parte della Germania della regione dei Sudeti (ovvero Boemia, Moravia, e parte della Slesia), esprimendo speranza che “Adolf il Grande” potesse diventare una figura di spicco nel Regno Unito. (Fonte: enciclopedia libera del web Wikipedia).
  98. Il Secret Intelligence Service (SIS)è l’agenzia di spionaggio per l’estero del Regno Unito. È più comunemente noto con il nome di MI6 (Military Intelligence, Sezione 6). Dipende dal Foreign Office ed è sotto la formale direzione del Joint Intelligence Committee (JIC). L’insegna del SIS era un tempo costituita da una C in verde (il primo direttore firmava tutti i documenti ufficiali con inchiostro verde) con l’immagine di un cervello all’interno di essa, e con le parole Semper Occultus. (Fonte: enciclopedia libera del web Wikipedia).
  99. Articolo 5 del Patto Atlantico. Testo originale: “Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali.”
  100. Franklin Delano Roosevelt è stato un insigne politico statunitense, 32º presidente degli Stati Uniti d’America dal 1933 al 1945. Figura centrale del XX secolo, è stato l’unico presidente degli Stati Uniti a essere eletto per più di due mandati consecutivi, vincendo le elezioni presidenziali per quattro volte (1932, 1936, 1940, 1944), rimanendo in carica dal 1933 fino alla sua morte, nell’aprile del 1945, poco dopo l’inizio del quarto mandato. Larga parte della sua fama è dovuta al vasto e radicale programma di riforme economiche e sociali attuato fra il 1933 e il 1937, conosciuto con il nome di New Deal, grazie al quale gli Stati Uniti riuscirono a superare la grande depressione dei primi anni trenta. Fra le sue più importanti innovazioni vanno ricordati il Social Security Act — con il quale vennero introdotte per la prima volta negli Stati Uniti l’assistenza sociale e le indennità di disoccupazione e vecchiaia — e la creazione della Securities and Exchange Commission (SEC), l’Agenzia federale per il controllo del mercato azionario.
  101. Società delle Nazioni.Organizzazione internazionale istituita dalle potenze vincitrici della Prima guerra mondiale allo scopo di mantenere la pace e sviluppare la cooperazione internazionale in campo economico e sociale. Fu fondata nell’ambito della conferenza di pace di Parigi del 1919, formalmente il 28 giugno 1919 con la firma del trattato di Versailles. L’idea di creare un sistema politico e giuridico capace di prevenire i conflitti internazionali si affermò ad opera soprattutto del presidente statunitense Wilson, che si fece interprete delle tesi internazionaliste e pacifiste sostenute in particolare nei Paesi anglosassoni. Per questo impegno, Woodrow Wilson, il maggior promotore della Società delle Nazioni, fu insignito del premio Nobel per la pace nel 1919. La Società delle Nazioni operò a partire dal 1920. I membri permanenti variarono di frequente a causa delle travagliate vicende internazionali del ventennio tra le due guerre: gli USA restarono, tuttavia, estranei all’organizzazione che pure avevano fortemente contribuito a creare. Agli originari quattro membri (Francia, Gran Bretagna, Giappone, Italia) si aggiunse (1926) la Germania, che si ritirò nel 1933, insieme al Giappone seguito nel 1937 dall’Italia, mentre l’URSS, ammessa nel 1934, fu espulsa nel 1939 dopo l’invasione della Finlandia. Per le sue debolezze intrinseche, in particolare dovute alla regola dell’unanimità e al predominio delle grandi potenze, la Società delle Nazioni non seppe fronteggiare le crisi internazionali che negli anni Trenta condussero allo scoppio della Seconda guerra mondiale e si sciolse (1946) dopo l’entrata in vigore dello statuto dell’ONU. (Fonte: Enciclopedia on line della Treccani – Dizionario di Storia 2011).
  102. Nel 2005 l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga dichiarò (cfr. intervista a Cossiga a Blu notte – Misteri italiani, episodio “OSS, CIA, GLADIO, i Rapporti Segreti tra America e Italia”, 2005) che durante la Guerra Fredda il ruolo dell’Italia consisteva nello sganciamento di testate nucleari su Praga e Budapest, in caso di un primo attacco dei sovietici contro i paesi NATO. In un’altra intervista, dichiarò “…l’Ungheria era sotto il tiro della nostra aviazione in caso di ritorsione nucleare…” (Fonte: Rivista Limes n.3/95 “Il richiamo dei Balcani”. Colloquio di Lucio Caracciolo con Francesco Cossiga; http://temi.repubblica.it/limes/perche-contiamo-poco/78)
  103. 5 maggio 1938: Hitler visita Napoli. In una foto dell’Archivio Luce il dittatore con Vittorio Emanuele III passa in rassegna il picchetto d’onore al molo Beverello, prima di salire sul motoscafo che lo porterà a bordo di una nave per assistere alle esercitazioni militari nel golfo. “La giornata a Napoli era stata organizzata per essere una dimostrazione di forza alla stampa estera e al III Reich. L’imponente esercitazione navale vedeva coinvolte 2 navi di linea, 18 incrociatori, 7 esploratori, 18 caccia, 31 torpedinierie, 85 sommergibili, 24 MAS, 5 navi ausiliarie e i transatlantici Rex e Roma accompagnati da altre 12 navi mercantili per il trasporto del pubblico. La rivista navale era un evento molto particolare e, nonostante il sentimento antigermanico di alcune frange dell’aristocrazia italiana, parteciparvi era molto ambito. Infatti chi non era stato invitato cercò, tramite le proprie conoscenze, di procurarsi un invito. I conti Bonacossa, la marchesa de Seta e i marchesi de Pinedo richiesero espressamente tramite varie lettere gli inviti per la rivista. I marchesi Serlupi inviarono un biglietto di ringraziamento per l’invito. Venne anche segnalata la presenza a Napoli del dr. Hermann Schmitz, amministratore delegato della grande industria tedesca IG Farben. Hitler arrivò in stazione alle 9,40 circa, erano ad attenderlo il re e Umberto di Savoia. Dopo i saluti di rito fu condotto al molo Beverello dove venne imbarcato sulla Cavour, che avrebbe ospitato tutte le autorità ed i rispettivi seguiti, circa quaranta persone per le autorità italiane e undici persone tra Hitler ed il suo seguito, tra cui l’ammiraglio generale Raeder. La rivista prevedeva tra l’altro alcune manovre sincronizzate dei sommergibili e la simulazione di un attacco da parte degli incrociatori e di una squadriglia di aerosiluranti. Sia l’esercitazione navale che l’entusiasmo popolare furono molto apprezzati dalla delegazione tedesca, anche per il fatto che la Germania non disponeva di una flotta. Filippo Anfuso,futuro ministro degli esteri della RSI scrisse a proposito dell’impressione di Hitler: <<Allorché varie decine di sommergibili allineati nel golfo di Napoli si immersero in una manovra simultanea, Mussolini scrutò Hitler, il quale gli offerse uno sguardo che lo fece giubilare più di tutti i discorsi che il Cancelliere doveva dedicargli o gli aveva dedicato. Era invidia!>>. Sulla Cavour si svolse anche un pranzo a cui parteciparono alcuni dei membri delle delegazioni. Le esercitazioni proseguirono fino alle 18, ora in cui Hitler venne fatto sbarcare dopo un giro delle Isole Flegree. Il Führer venne quindi condotto a palazzo Reale e successivamente presenziò ad un’adunata in piazza del Plebiscito prima di prendere parte alla cena a palazzo alle 20,15. Alle 21 presso il teatro San Carlo la delegazione tedesca assistette alla rappresentazione dei primi atti dell’Aida. Lo spettacolo fu molto apprezzato dal seguito tedesco, molto meno lo fu la corte napoletana, specialmente al momento dei saluti: ‘Il re accompagna il Führer al treno. Noi invece veniamo congedati come se fossimo dei lustrascarpe’. Hitler lasciò Napoli alle 23.30 per rientrare a Roma”.

(testo fra virgolette da A.Lucidi, La visita di Hitler in Italia, Alma Mater Studiorum-Università di Bologna).

  1. Dopo essere stato pomposamente ricevuto alla stazione Ostiense la sera del 3 maggio 1938, il capo nazista, a bordo di un lungo corteo di automobili, partì da piazzale Adolf Hitler, (oggi piazzale dei Partigiani), alla volta del Quirinale. La giornata del 4 maggio fu quella della vera e propria visita. Il Fuhrer, con accanto Mussolini, compì diverse visite “istituzionali” fra cui quella al Pantheon. Qui, dopo aver deposto alcuni mazzi di fiori sulle tombe dei Savoia, rimase alcuni minuti da solo ammirando la maestosità della cupola, di cui era un estimatore. Poi fu la volta dell’Altare della Patria, dove Hitler e Mussolini passarono attraverso cinquemila uomini in perfetta divisa: a destra milizie tedesche, a sinistra italiane. La successiva sfilata su via dei Fori imperiali, messa a lucido per l’occasione, fu, come riportarono i giornali di regime, la “riproposizione dei fasti della Roma antica”. (Fonte: articolo sul web dal titolo “Una giornata particolare: la visita di Hitler a Roma” sul sito www.passaggilenti.com.)
  2. Nel 1925 l’ingegnere italiano Corradino D’Ascanio e il barone Pietro Trojani fondarono la Società D’Ascanio-Trojani che si prefiggeva di costruire un elicottero realmente funzionante. Dopo i primi due prototipi D’AT1 e D’AT2, che a malapena riuscirono a sollevarsi dal suolo, venne realizzato il D’AT3, una macchina relativamente grande rispetto agli altri prototipi, dotata di due rotori coassiali e controrotanti. Il controllo avveniva utilizzando delle ali ausiliarie e piccole superfici di controllo comandabili sul bordo d’uscita delle pale, un’idea in seguito utilizzata anche da altri progettisti di elicotteri, tra cui Bleeker e Kaman. Venivano inoltre impiegate tre piccole eliche montate sulla struttura per controllare sui tre assi rollio, beccheggio e imbardata. Pilotato dal maggiore Marinello Nelli all’aeroporto di Ciampino di Roma, il D’AT3 migliorò di poco i record FAI dell’epoca ottenendoli per l’altezza (17,4 m), durata (8 minuti e 45 secondi) e distanza (1078 m), ma si rivelò il primo prototipo di elicottero realmente funzionante e utilizzabile. Ciononostante le autorità militari non permisero all’inventore di accedere ai finanziamenti pubblici, indispensabili allo sviluppo del prototipo. Nel 1932 la Società D’Ascanio-Trojani, esaurite le disponibilità finanziarie, si sciolse e l’ingegnere D’Ascanio venne assunto dalla Piaggio per la progettazione di eliche. L’azienda consentì al progettista abruzzese, nel 1939, di costruire due prototipi di elicotteri, il “PD1” e “PD2” che andarono distrutti nel 1943, a causa dei bombardamenti alleati sugli stabilimenti di Pontedera. In Unione Sovietica due ingegneri aeronautici, Boris N. Yuriev e Alexei M. Cheremukhin, che lavoravano al Tsentralniy Aerogidrodinamicheskiy Institut (TsAGI, l’istituto centrale di aeroidrodinamica), realizzarono e fecero volare il TsAGI 1-EA, un elicottero basato su una struttura tubolare aperta, un rotore principale a quattro pale e due coppie di rotori gemelli da 1,8 metri di diametro con funzione anticoppia sistemate l’una sul muso e l’altra in coda. Potenziato da due motori M-2, copia russa del motore rotativo Gnome Monosoupape della prima guerra mondiale, lo TsAGI 1-EA fu in grado di compiere diversi voli a bassa quota con successo. Il 14 agosto 1932 Cheremukhin portò l’elicottero a una quota di 605 metri, superando abbondantemente il record di D’Ascanio, ma poiché l’Unione Sovietica non era ancora un membro della FAI il record non gli venne riconosciuto. Un altro modello di elicottero era lo Kamov A7-3A che vantava 220 km di autonomia a 130 Km/h e con 500 kg di carico, vagamente somigliante a un popolare aereo da caccia sovietico di quegli anni, il Polikarpov I-16. Costruito in una dozzina di esemplari per la V-VS venne testato sul campo nel 1940 durante la Guerra d’inverno contro la Finlandia, per aggiustare il tiro dell’artiglieria in qualità di ricognitore, per terminare la sua carriera agli inizi dell’operazione Barbarossa, utilizzato dai disperati comandi sovietici persino per l’attacco al suolo. Tutti i velivoli vennero persi dopo appena due settimane di servizio operativo. Questo è stato quindi probabilmente il primo elicottero d’assalto della storia, armato con bombe e razzi, protetto in coda da una piccola mitragliatrice. L’ingegnere di origine russa Nicolas Florine (Nikolay Florin) in quegli anni (a partire dal 1927 sino al 1936) costruì il primo elicottero a rotori in tandem (denominato “TIPO I”) che nella sua evoluzione successiva (denominata “TIPO II”) effettuò il primo volo in Belgio a Sint-Genesius-Rode presso il Laboratoire Aérotechnique de Belgique (oggi von Karman Institute) nell’aprile 1933 e raggiunse la quota di sei metri e il record di resistenza in volo di nove minuti. Sebbene i rotori non fossero controrotanti, la compensazione della coppia era comunque ottenuta attraverso una leggera inclinazione dell’asse dei rotori in direzioni opposte. La scelta di non usare rotori controrotanti fu determinata dalla volontà di sfruttare la stabilizzazione fornita dall’effetto giroscopico. L’uso della co-rotazione dei rotori e la mancanza di cerniere nell’attacco delle pale con l’asse, rese l’elicottero particolarmente stabile in confronto alle macchine contemporanee. Tuttavia, i successivi sviluppi con i prototipi denominati “TIPO III” dettero risultati deludenti e nel 1937 il progetto fu abbandonato. (Fonte: Enciclopedia libera del Web Wikipedia).
  3. Presso il Corpo della Guardia di Finanza, l’elicotteroAgusta-Bell 412HP, è entrato in linea a partire dal 1993 in un totale di 22 esemplari. Quattro, dotati di caratteristiche ed equipaggiamenti adatti al soccorso in montagna, sono stati consegnati tra il 2000 e il 2001. Nel 2003 sono giunte altre tre macchine. Questo tipo di elicottero è anche dotato di verricello da 270 Kg e per missioni di elisoccorso può ricevere sino a sei barelle e un operatore sanitario. L’AB412HP è un bimotore a lungo raggio che vanta un’autonomia oraria di ben sei ore, e permette pattugliamenti diurni e notturni sino a 150 Km dalla costa. (Fonte: articolo sul web del 6.7.2019 al sito www.coccardetricolori.it)
  4. Regime di prorogatio, l’attività di un organo pubblico elettivo allorché continua a operare, pur essendo scaduti i termini legali della sua nomina, per il mancato o ritardato rinnovo dei suoi componenti. (Fonte: Enciclopedia Treccani, vocabolario on line).
  5. Heinrich Luitpold Himmler(Monaco di Baviera, 7 ottobre 1900Luneburgo, 23 maggio 1945) è stato un generale, politico e criminale di guerra tedesco, Reichsführer delle Schutzstaffel (SS) dal 1929, comandante della polizia dal 1936 e delle forze di sicurezza del Terzo Reich (Reichssicherheitshauptamt) dal 1939. Dopo il misterioso volo in Scozia di Rudolf Hess (fino ad allora considerato “delfino” del Führer) nel 1941 e il suo internamento in Gran Bretagna, Himmler fu considerato uno dei più influenti gerarchi militari nazisti assieme a Hermann Göring: i due, infatti, erano gli ufficiali più alti in grado di tutte le forze militari di quel tempo e perciò considerati, insieme al Ministro (civile) della Propaganda Goebbels, i più potenti e influenti dopo lo stesso Hitler. Nel 1943 venne anche nominato ministro dell’Interno del Reich. Come Göring, Himmler cercò di trattare la resa con gli Alleati e perciò fu destituito da Hitler, ormai senza potere, nell’aprile 1945; catturato dagli inglesi per essere giudicato come criminale di guerra dal Tribunale militare internazionale di Norimberga, si diede la morte con una capsula di cianuro il 23 maggio 1945. Fu uno dei maggiori responsabili dell’instaurazione del cosiddetto “Nuovo ordine nazionalsocialista” nonché il diretto organizzatore della Soluzione finale della questione ebraica assieme ai suoi sottoposti Reinhard Heydrich e Adolf Eichmann. In particolare, Il nome di Himmler è comunque indissolubilmente legato all’origine ed alla perpetrazione dell’Olocausto. Egli delegò prima il suo braccio destro Reinhard Heydrich e, in seguito, Adolf Eichmann a portare avanti il programma di sterminio degli Untermenschen, ovvero degli inferiori rispetto alla razza ariana. Fu la guerra contro l’Unione Sovietica a offrire le condizioni per procedere all’esecuzione di una vera e propria campagna di annientamento. Per questo vennero costituite unità speciali, le famigerate Einsatzgruppen, per procedere all’eliminazione di tutti gli ebrei, i funzionari comunisti e gli zingari nelle retrovie del fronte. Himmler si preoccupò anche della salute mentale dei propri uomini che operavano in queste missioni. Difatti, uno dei problemi più complessi da risolvere fu individuato nel riuscire a procedere all’eliminazione di grandi masse di persone, come in occasione delle fucilazioni di massa a Babi Yar, in Ucraina, senza che agli esecutori ne derivassero danni psichici o rimorsi di coscienza. La soluzione finale di Himmler, per “l’omicidio pulito e corretto”, venne comunicata ai Gruppenführer nel discusso discorso di Posen del 4 ottobre 1943. Alla fine, la soluzione venne trovata nell’istituzione dei campi di concentramento. Il primo lager venne tuttavia costruito già nel 1933, subito dopo la vittoria alle elezioni del Partito nazista, a Dachau, vicino a Monaco di Baviera, per internare gli avversari politici. All’inizio della seconda guerra mondiale, nei sei grandi campi di concentramento allora già esistenti, erano rinchiusi circa 21.000 detenuti, ma, nel 1940, questo numero era già salito a 800.000. Dopo i campi di concentramento, l’istituzione dei campi di sterminio fu solo una conseguenza per l’attuazione della cosiddetta “Soluzione finale”: Auschwitz, Sobibór, Chełmno, Treblinka, Bełżec, tutti istituiti nel Governatorato Generale, cioè la parte della Polonia occupata non annessa al Terzo Reich, per tenere nascosto il più a lungo possibile ciò che si stava facendo. Con le sorti della guerra ormai compromesse, Himmler si presentò l’ultima volta presso il Führerbunker di Hitler a Berlino, il 20 aprile 1945, in occasione del compleanno del Führer. Nelle stesse ore, nella tenuta di Felix Kersten, medico e massaggiatore personale di Himmler, lo stava aspettando Norbert Masur, un inviato del Congresso mondiale ebraico. All’incontro, avvenuto il 21 aprile, Masur chiese che fossero immediatamente liberati tutti gli ebrei detenuti nelle località da cui fosse possibile raggiungere i confini con la Svizzera e con la Svezia, oltre alla consegna, senza resistenza, dei campi di concentramento alle truppe alleate e la liberazione di una lista di detenuti svedesi, francesi e norvegesi, oltre a mille donne ebree recluse a Ravensbrück. Himmler si dimostrò disposto a patteggiare. Promise che gli ebrei olandesi rinchiusi a Theresienstadt e le mille donne ebree di Ravensbrück sarebbero stati liberati e che tutti i campi di concentramento sarebbero stati abbandonati, indenni, all’avvicinarsi delle truppe alleate. In realtà, Himmler sapeva benissimo che, in quegli stessi momenti, erano in corso le marce della morte dai campi di Sachsenhausen, Dachau e Flossenbürg, e lui stesso aveva impartito ordini specifici perché tutti i detenuti fossero eliminati prima dell’arrivo degli alleati. Pochi giorni dopo, il 23 aprile, Himmler incontrò, nella cantina del consolato svedese di Lubecca, il conte Folke Bernadotte, proponendogli la resa tedesca sul fronte occidentale ma non su quello orientale; gli Alleati occidentali si guardarono bene dal prendere in considerazione la proposta di pace di Himmler; tuttavia l’offerta fatta venne divulgata attraverso la stampa e, il 28 aprile, Radio Londra annunciò: “Il Reichsführer delle SS sostiene che Hitler è morto e di esserne il successore”. A Berlino, un Hitler in preda a un attacco d’ira incontenibile lo sollevò da tutti i suoi incarichi politici e militari e ne ordinò l’arresto e la fucilazione, ordini che non furono eseguiti a causa della difficile situazione di stallo in cui si trovavano tutti i reparti dell’esercito del Terzo Reich. Tuttavia, il 1º maggio, Himmler si presentò ugualmente al nuovo Presidente del Reich, il grandammiraglio Karl Dönitz, nel tentativo di assicurarsi un posto nel nuovo governo tedesco e credendo che gli Alleati avrebbero avuto bisogno della sua esperienza nella polizia per contrastare l’avanzata del bolscevismo. Nonostante ripetuti incontri, i colloqui si risolsero in un nulla di fatto; Himmler decise allora di nascondersi, cercando di confondersi con i militari sbandati della Wehrmacht. Il 12 maggio Himmler e un piccolo drappello di uomini delle SS attraversarono l’Elba, con l’obiettivo di raggiungere la Baviera. Tra questi, vi erano l’SS-Sturmbannführer Josef Kiermaier, sua guardia del corpo, l’SS-Standartenführer Rudolf Brandt, suo assistente personale, i due aiutanti maggiori l’SS-Obersturmbannführer Werner Grothmann e l’SS-Sturmbannführer Heinz Macher, oltre ad altri sette uomini delle SS e al professor Karl Gebhardt, medico di Ravensbrück. Il 22 maggio, alla periferia del villaggio di Barnstedt, fra Bremervörde e Amburgo, il piccolo drappello e Himmler, che aveva assunto l’identità di Heinrich Hitzinger, vennero fermati da una pattuglia di militari britannici e tradotti nel campo di prigionia 031, presso Bramstedt. Himmler, rivelando la propria identità, chiese allora di avere un colloquio con il capitano T. Sylvester, comandante del campo, nel vano tentativo di assicurarsi un trattamento privilegiato. Il giorno successivo, 23 maggio 1945, Himmler fu sottoposto a un nuovo interrogatorio e a un’ulteriore perquisizione, per evitare che nascondesse del veleno. Fu allora che spezzò la capsula di cianuro che aveva inserito in una fessura tra i denti. I britannici gli somministrarono immediatamente un emetico e lo sottoposero a una lavanda gastrica, nel tentativo di tenerlo in vita, ma, dopo dieci minuti di agonia, Himmler morì. Nei giorni successivi, ufficiali statunitensi e sovietici ispezionarono la salma per accertarsi della vera identità. Il 26 maggio il cadavere fu interrato da alcuni soldati britannici in qualche punto di un bosco nei pressi di Luneburgo. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Ben nota era la sua passione per l’occulto. Himmler, infatti, si considerava come il fondatore di un nuovo ordine pagano, che sarebbe giunto a diffondersi per tutta l’Europa. La grande passione per la storia tedesca, i cui ideali dovevano formare le nuove generazioni, spinsero Himmler a fondare la Forschungsgemeinschaft Deutsches Ahnenerbe, Associazione per la ricerca e la diffusione dell’eredità ancestrale tedesca, che avrebbe dovuto svolgere ricerche nel campo della storia antica, studiando i fatti da un punto di vista scientifico, in maniera oggettiva e senza falsificazioni. Questa associazione finanziò una serie di scavi, alla ricerca di antiche presenze nordiche per tutta l’Europa, e una missione tedesca in Tibet. Anche per questo suo credo nel 1936 fece richiesta che il suo nominativo venisse cancellato dagli elenchi dei battezzati nella Chiesa cattolica (“Kirchenaustritt“). Altro esempio concreto di questa sua forte passione per il paganesimo è Wewelsburg. Un’antica leggenda voleva che solo un castello della Vestfalia fosse sopravvissuto all’assalto degli slavi dall’Est. Per questo, nel 1934, il Reichsführer fece perlustrare in lungo e in largo la Germania occidentale, finché non trovò le rovine della fortezza di montagna di Wewelsburg, presso Paderborn, così chiamato dal nome del cavaliere brigante Wevel von Büren, che era stata un centro della resistenza dei sassoni agli unni e che era stata ricostruita, in forma triangolare, nel XVII secolo. Himmler decise allora di trasformare la fortezza nel quartier generale delle SS. Nel 1937, al termine dei lavori di ristrutturazione, Wewelsburg si era trasformato in un vero sacrario, con decine di statue di Enrico I l’Uccellatore, di Federico di Hohenstaufen e di altri eroi tedeschi. La parte più importante era il Sacrario dei defunti, una sorta di rifacimento della tavola rotonda di re Artù, che doveva ospitare le spoglie dei dodici più importanti generali delle SS.
  6. La sede dell’ambasciata di Germania presso la Santa Sede si trovò tra il 1920 e il 1944 nella Villa Paolina Bonaparte a Roma, vicino alla breccia di Porta Pia, dove si trova dal 1950. Grazie al sequestro della proprietà tedesca nel 1946 ed alla conseguente requisizione come bottino di guerra, ora è la sede dell’ambasciata di Francia presso la Santa Sede. Cfr. https://va.ambafrance.org/La-Villa-Bonaparte. L’edificio e il parco vennero acquistati dall’Impero germanico nel 1906, e nel 1909 la Villa divenne sede della Legazione prussiana presso la Santa Sede. Lo rimase fino al 1920, quando la Legazione prussiana venne trasformata in Ambasciata del Reich tedesco presso la Santa Sede (ormai Repubblica di Weimar, ma il nome ufficiale rimase: Deutsches Reich), mantenendo la stessa allocazione. Tra la liberazione di Roma nel 1944 e la fine della guerra nel 1945, l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede von Weizsäcker venne accolto e protetto nel territorio della Città del Vaticano. (Fonte: Prof. Lutz Klinkhammer, Vicedirettore dell’Istituto Storico germanico di Roma).
  7. Rudolf Walter Richard Hess (Heß) (Alessandria d’Egitto, 26 aprile 1894Berlino Ovest, 17 agosto 1987) è stato un politico e militare tedesco. La sua carriera lo ha portato a diventare un uomo tra i più influenti del Terzo Reich e del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori. Nel 1939, Rudolf Hess fu nominato ufficialmente numero tre del partito, dopo Hitler e Göring. Tuttavia Hess non fu mai uomo d’apparato: relegato sempre a occasioni di pura facciata, per la sua posizione di “moderato” venne escluso dalle riunioni di partito, in cui venivano deliberate decisioni importanti e spietate (come lo sterminio delle SA nella Notte dei lunghi coltelli, le persecuzioni antisemite nella Notte dei cristalli e l’entrata in guerra della Germania), alle quali invece non mancò mai il suo segretario particolare, l’ambizioso Martin Bormann, poi divenuto Segretario ed assistente personale di Hitler. Non si oppose all’invasione della Polonia, che fu poi la causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. Il 10 maggio 1941, Hess decollò da Augusta a bordo di un Messerschmitt Bf 110 modificato con due serbatoi di carburante aggiuntivi, diretto in Scozia, per raggiungere il castello del duca di Hamilton (considerato un fautore del dialogo con il Terzo Reich) nel Lanarkshire. Qui si paracadutò. Fu consegnato all’esercito britannico, che provvide al suo internamento. La versione ufficiale britannica vide in Hess un uomo in crisi, con disturbi mentali, sconvolto dagli orrori della guerra, messo da parte dal regime, intenzionato a proporre, tramite il duca e all’insaputa del dittatore, un utopistico piano di pace ai britannici – considerati fratelli d’origine – basato sulla spartizione del potere a livello mondiale. Hitler, parlando alla radio subito dopo il viaggio di Hess, lo definì “un pazzo”: esattamente quanto Hess gli aveva chiesto di dire, in caso di fallimento della missione, nella sua ultima lettera. I veri motivi di quel viaggio non sono mai stati chiariti e la misteriosa vicenda della missione di Hess nel Regno Unito è stata interpretata in vario modo. Una prima interpretazione, suffragata da documentazione ufficiale sia britannica sia tedesca, e dalla stessa deposizione del protagonista, vede la missione come un’iniziativa individuale di Hess, che nell’ottica del dittatore nazista si configurava come un atto di grave insubordinazione, se non di alto tradimento. Un’altra interpretazione, che si colloca nel filone del revisionismo storico, vede questa missione avvenuta con il consenso (se non con l’ordine) di Hitler. Le proposte di Hitler sarebbero state giudicate inaccettabili o l’interlocutore inaffidabile (dopo la conferenza di Monaco) dal governo di Londra e, a questo punto, vi sarebbe stata una coincidenza di interessi tra gli opposti belligeranti per far apparire il volo di Hess come un’iniziativa individuale di un uomo disturbato. Lo stesso Hess, al termine della guerra, avrebbe avuto interesse a presentare il suo volo come un’iniziativa individuale, al fine di alleggerire la propria posizione processuale, presentandosi come un insubordinato invece che come un emissario di Hitler. Nessun documento ufficiale avvalora questa tesi, ma rimane la constatazione della severità della condanna inflittagli a Norimberga e della durezza del regime di detenzione, non tanto con riferimento alle sue colpe, ma confrontando il suo trattamento con quello riservato ad altri esponenti politici e militari nazisti autori di crimini. (Fonte: Enciclopedia libera del web Wikipedia).
  8. Arthur Neville Chamberlain (Edgbaston, 18 marzo 1869Reading, 9 novembre 1940) è stato un politico inglese, autorevole membro del Partito Conservatore nonché Primo Ministro del Regno Unito dal 28 maggio 1937 al 10 maggio 1940, allorquando rassegnò le dimissioni dopo l’invasione tedesca della Francia. Contraddistinto da una notevole carriera non solo politica, divenne Ministro della Salute negli anni ’20, Cancelliere dello Scacchiere negli anni ’30 e infine Primo Ministro nel ‘37, venendo ricordato soprattutto per la sua politica estera “accomodante” nei confronti dei regimi fascisti europei, nota come appeasement, che lo ha reso un personaggio controverso nella storiografia inglese. La reputazione di Chamberlain rimane controversa ancora oggi ed è stata oggetto di diverse e contrastanti valutazioni, sebbene nel corso del tempo sia in parte mutata la tendenza generale nei suoi riguardi: nei primi anni successivi alla Seconda guerra mondiale prevalevano i giudizi severi nei confronti del Primo Ministro che non si era dimostrato abbastanza fermo nei confronti di Hitler, favorendo quindi indirettamente l’arroganza dei nazisti. La sua grande reputazione, anche per tutti gli incarichi svolti brillantemente durante la sua lunga carriera, fu velocemente erosa sia da libri pubblicati sin dallo scoppio della Seconda guerra mondiale stessa (come il celeberrimo Guilty Men, del 1940, dove si accusavano diversi politici di non aver saputo agire, a partire proprio da lui), sia dagli scritti di Winston Churchill (come The Gathering Storm, il primo di una collana pubblicata dal 1948), il quale però era interessato a ritrarsi fin da principio come il più accanito avversario di Hitler, e ciò anche sulla base di giudizi ingenerosi e non di rado faziosi nei confronti del suo predecessore. Winston Churchill, d’altro canto, non risparmiò da subito le critiche verso l’ottimismo di Chamberlain, commentando gli accordi di Monaco del 1938 con la celebre frase: “… potevano scegliere tra il disonore e la guerra, hanno scelto il disonore ed avranno la guerra”: Churchill scrisse nelle sue memorie che nel 1938 la Germania era ancora debole militarmente e poteva essere attaccata con una buona probabilità di successo invece di perseguire la strada “disonorevole” degli accordi di Monaco, ma tale opinione è stata smentita dagli storici recenti. Lo stesso John Fitzgerald Kennedy, il futuro presidente USA, il cui padre Joseph era stato ambasciatore in Gran Bretagna in quei momenti cruciali e che poté così consultare documenti riservati, nel suo pamphlet Perché l’Inghilterra dormì evidenziò come l’apparente arrendevolezza delle potenze occidentali nel 1938 fosse dovuta essenzialmente alla consapevolezza della loro impreparazione militare. L’impreparazione militare tedesca declamata da Churchill più di quanto fosse nella realtà, trasse in inganno Hitler. Negli ultimi anni, invece, si è tentato di giungere a una maggiore comprensione del contesto storico in cui Neville Chamberlain si trovò ad agire, un contesto in cui non erano lontani gli echi della recente Grande guerra ed il desiderio della popolazione, già durante colpita da tanti lutti, di vivere in pace. Ciò nonostante, Chamberlain è ancora visto in maniera negativa tra i Primi Ministri britannici del Novecento. (Fonte: Enciclopedia libera del web Wipededia ed altre Fonti aperte sul web).
  9. Lebensraum,“Spazio vitale”– ha costituito l’idea centrale della geopolitica e, successivamente, del nazionalsocialismo, secondo cui alcuni popoli avrebbero avuto una sorta di «diritto naturale» ad espandersi su territorî limitrofi a spese di altri. Il termine Lebensraum è una definizione nata in biogeografia, successivamente estesasi all’utilizzo in ambiente geopolitico. Con questo termine si indica maggiormente la teoria nazionalsocialista tedesca dello spazio vitale, che ambiva a dare alla Germania le maggiori risorse ed il più ampio spazio su cui operare e a riunire le popolazioni tedesche sparse in Europa sotto un unico grande Reich. Un concetto simile, lo spazio vitale, albergava anche nel pensiero fascista italiano, del quale riassumeva e giustificava le aspirazioni di espansione territoriale, non solo nel corno d’Africa ma soprattutto nell’area dei Balcani. La parola lebensraum venne coniata da Friedrich Ratzel nel 1897, in applicazione ad analisi fito e zoogeografiche, per riferirsi a un’area geografica all’interno della quale si sviluppa una determinata specie, per poi ricevere riconoscimento in ambiente scientifico dopo la pubblicazione del suo studio biogeografico nel 1901. Un termine che, in tale contesto, otteneva una valenza di carattere darwinistico-sociale. Il Lebensraum subì poi il passaggio dalla biogeografia alla geopolitica principalmente grazie a Karl Haushofer, generale e uno dei maggiori teorici della geopolitica tedesca. Haushofer concepiva il Lebensraum come espansione della Germania verso est, a discapito dei Paesi slavi. I corsi di geopolitica tenuti da Haushofer a Monaco di Baviera, suscitarono l’entusiasmo del suo allievo Rudolf Hess, il quale lo presentò a Hitler durante la prigionia a Landsberg. Hess tenne memoria delle numerose e lunghe visite di Haushofer a Landsberg, dove Hitler stava completando il Mein Kampf. Il termine Lebensraum venne ripreso dunque da Hitler, che lo menziona esplicitamente nel suo Mein Kampf: «Senza considerazione per le tradizioni e i pregiudizi, il nostro popolo deve trovare il coraggio di unire il proprio popolo e la sua forza per avanzare lungo la strada che porterà il nostro popolo dall’attuale ristretto spazio vitale verso il possesso di nuove terre e orizzonti, e così lo porterà a liberarsi dal pericolo di scomparire dal mondo o di servire gli altri come una nazione schiava». (Fonte: Vocabolario Treccani on line ed Enciclopedia libera sul web Wikipedia ed altre Fonti aperte sul web).
  10. Al Processo di Norimberga nel 1946 Rudolf Hess, imputato in quattro capi d’accusa, fu considerato colpevole di “cospirazione per commettere crimini contro la pace” e di “aver pianificato, iniziato e intrapreso delle guerre d’aggressione”. Fu condannato all’ergastolo. Per l’esecuzione della pena fu rinchiuso nel carcere di Spandau, a Berlino Ovest. Numerose furono in seguito le richieste di grazia, soprattutto dopo che Hess era rimasto l’unico detenuto del carcere dopo la liberazione degli altri nazisti condannati a pene detentive, rimaste sempre inascoltate per l’intransigenza dell’URSS e il mancato appoggio del Regno Unito. Il 17 agosto 1987, a 93 anni, Hess fu trovato impiccato in prigione, ufficialmente morto suicida alla vigilia della sua probabile scarcerazione, dopo che Michail Gorbačëv aveva deciso di annullare il veto sovietico. La sua famiglia sostenne che fosse stato assassinato dal Secret Intelligence Service (MI6) britannico per impedire che egli potesse rivelare verità scomode sulle condotte di guerra inglesi e, soprattutto, sui veri motivi del suo volo solitario in Scozia del 1941 e sui conseguenti retroscena inconfessati. Sul suo corpo fu trovata una nota lasciata per la famiglia, in cui ringraziava per tutto ciò che avevano fatto per lui, la quale però era stata scritta durante una precedente ospedalizzazione nel 1969. Il suo avvocato Alfred Seidl sostenne che Hess fosse troppo vecchio e fragile per aver eseguito da solo tale azione. Hess fu sepolto a Wunsiedel, in Baviera. Sulla sua lapide, sotto il suo nome, si leggevano le parole Ich hab’s gewagt («Ho osato»), citazione di Ulrich von Hutten. Il 20 luglio 2011 la sua tomba fu smantellata e i suoi resti esumati, dopo che la chiesa evangelica proprietaria del terreno su cui sorgeva il sepolcro decise di non rinnovare il contratto di affitto del suolo alla nipote di Hess, poiché la tomba era diventata meta di pellegrinaggi da parte di esponenti dell’estrema destra tedesca. Gli eredi di Hess decisero di far cremare i resti e di disperderne le ceneri in mare. Nonostante la sua posizione di “moderato” e i suoi non facili rapporti con Hitler e gli altri gerarchi nazisti a partire dalla fine degli anni trenta, al punto da porlo progressivamente ai margini dell’establishment nazista, Hess è poi diventato un punto di riferimento nel secondo dopoguerra per i circoli neonazisti tedeschi, molto probabilmente perché, prima della sua morte, era rimasto ormai l’unico dei fondatori del partito nazionalsocialista e storico suo gerarca ancora in vita e, successivamente, perché vi era un luogo, il suo sepolcro, ove poter svolgere visite ed organizzare manifestazioni ad alto contenuto ideologico e forte impatto emotivo. (Fonte: Enciclopedia libera del web Wikipedia ed altre fonti aperte).
  11. Siamo al 3 gennaio 1940 e l’invasione della Francia, come sappiamo, avvenne soltanto il 10 maggio, mentre la cosiddetta “battaglia d’Inghilterra” cominciò solo il successivo 10 luglio. Pertanto l’autore, nella sua narrazione fantastica, ipotizza che, pur avendo le due Nazioni alleate dichiarato guerra alla Germania nazista il 3 settembre 1939, a mente dell’art. 5 del Patto atlantico, invece, non avrebbero potuto invocare la procedura di assistenza militare in chiave difensiva delle altre Nazioni alleate della NATO non essendo state ancora aggredite.
  12. L’invasione della Polonia avvenne il 1° settembre 1939.
  13. Hitler e Mussolini dichiararono guerra agli Stati Uniti d’America l’11 dicembre 1941. Indro Montanelli racconta nei suoi “Diari” (New York, 1953) :”Giovanni Ansaldo (giornalista e voce critica interna al fascismo, ndr) viene convocato urgentemente da Ciano che, disperato, gli riferisce di un Mussolini intenzionato a seguire Hitler anche nella guerra contro l’America. «Cosa posso fare per dissuaderlo?», chiede il Ministro. Una cosa sola – risponde Ansaldo – provi a mostrargli un elenco telefonico di New York. Forse capirà.” La decisione dissennata dei due dittatori non era richiesta dalle previsioni contenute nel cosiddetto Patto tripartito, detto anche Asse Roma-Berlino-Tokyo (firmato a Berlino il 27 settembre 1940 dai rappresentanti di Germania, Giappone ed Italia e poi sottoscritto da altre Nazioni satelliti), nel quale, all’art.3, si parlava di intervento affianco dell’alleato in risposta ad un attacco ricevuto. Fu, quindi, un vero e proprio regalo fatto al Giappone dai due dittatori europei, un azzardo che costò carissimo ad entrambi, ma soprattutto ai loro popoli che già iniziavano a provare su di loro i nefasti effetti della guerra già in atto da due anni.

(Fonte: https://www.stamptoscana.it/11-dicembre-1941-la-dichiarazione-di-guerra-allamerica/)

  1. Il Patto Atlantico venne firmato a Washington, negli Stati Uniti, su iniziativa di questi ultimi, il 4 aprile 1949. A esso aderirono, oltre al Canada, anche paesi non geograficamente atlantici (ossia senza sbocchi sull’Oceano Atlantico) come l’Italia, la Grecia, la Turchia ed altri. La ratifica alla firma del trattato da parte degli Stati Uniti avvenne con una votazione al Senato il 21 luglio 1949. La nascita dell’accordo trova origine dal timore, molto radicato in quel periodo, di un possibile attacco dell’Unione Sovietica a una delle nazioni dell’Europa occidentale. Una settimana dopo l’ingresso ufficiale della Germania Ovest nella NATO (6 maggio 1955) l’Unione Sovietica ed altre nazioni a regime comunista costituirono a loro volta il Patto di Varsavia. (Per i dettagli, si veda la precedente nota n.64)
  2. L’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite recita testualmente: “Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”.
  3. Lo statuto della Società delle Nazioni non prevedeva né una Forza Amata propria (l’ONU invece prevede i cd. “Caschi blu”) né una vera e propria possibilità di intervento in aree di crisi, ma sostanzialmente solo sanzioni economiche, l’espulsione dal Consesso delle Nazioni che violavano i patti e la possibilità per singole Nazioni incaricate di intervenire con i cosiddetti “mandati”. La natura e le modalità con cui intervenire nei mandati furono stabiliti nell’articolo 22 dello Statuto della Società delle Nazioni. I territori che furono sottoposti a mandato erano le ex-colonie dell’Impero tedesco e i territori arabi dell’Impero ottomano che passarono sotto la supervisione della Società dopo la Prima guerra mondiale. I mandati erano divisi in tre tipologie (A, B, C) ed i territori erano governati dagli Stati mandatari finché non fossero stati capaci di autogovernarsi. Le Nazioni mandatarie erano quattro: l’Impero britannico, la Francia, il Belgio e il Giappone. In realtà, però, i territori soggetti a mandato erano amministrati come delle colonie vere e proprie e non raggiunsero mai l’indipendenza fino al termine della seconda guerra mondiale, con l’eccezione dell’Iraq, che si unì alla Società delle Nazioni il 3 ottobre 1932. (Fonte: Enciclopedia libera del web Wikipedia e fonti aperte).
  4. Il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) è un dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, istituito dall’art. 4 della legge 3 agosto 2007, n. 124, per il coordinamento della ricerca informativa e per assicurare unitarietà nella programmazione delle attività operative di AISE e AISI, i nostri attuali Servizi Segreti.
  5. M.I.S.E.acronimo del Ministero per l’industria e lo sviluppo economico. Nella nostra realtà fattuale, questo Ministero è denominato “Ministero delle Imprese e del Made in Italy”, secondo la riformulazione adottata dall’attuale Governo dopo le elezioni politiche del 2022.
  6. Tecnicamente si parla di re-internalizzazione industriale ed è un processo determinato da una decisione politica di far rientrare nei confini nazionali uno o più apparati produttivi, in precedenza de-localizzati all’estero, ritenuti strategici per la Nazione.
  7. ll fenomeno della cd. Delocalizzazione delle imprese comporta il trasferimento del processo produttivo, o di alcune fasi di esso, in aree geografiche o Paesi in cui esistono vantaggi competitivi. Questi consistono generalmente nel minore costo dei fattori produttivi e in particolare della manodopera. In concreto, il fenomeno della delocalizzazione delle imprese italiane in Cina ha comportato anche il trasferimento in quel territorio anche del Know-how, ovvero del complesso delle cognizioni ed esperienze per il corretto impiego di una tecnologia cioè, non solo il trasferimento degli impianti ma anche del possesso di cognizioni specifiche necessarie per svolgere in modo ottimale un’attività. Ciò nel tempo ha comportato inevitabilmente anche un impoverimento delle capacità produttive italiane ed un conseguente arricchimento di quelle cinesi, quindi, in sostanza, una sorta di “suicidio” industriale per l’apparato produttivo nazionale.(Fonte: articolo disponibile all’indirizzo web: https://intermarketandmore.finanza.com/la-delocalizzazione-in-cina-e-il-suicidio-industriale-dell-occidente-21284.html)
  8. La Compagnia Britannica delle Indie Orientali (British East India Company), fino all’Atto di Unione del 1707 Compagnia inglese delle Indie Orientali, nacque il 31 dicembre 1600, quando la regina Elisabetta I d’Inghilterra accordò una “Carta” o “Patente reale” che le conferiva per 21 anni il monopolio del commercio nell’Oceano Indiano. Prima fra le compagnie commerciali europee create nel XVII secolo per conquistare “le Indie” e dominare i flussi commerciali con l’Asia, trovò il suo posto accanto alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali, la celebre VOC (Vereenigde Oostindische Compagnie), e prese il sopravvento sulla Compagnia francese delle Indie Orientali, che condusse alla rovina conquistando tutti i suoi possedimenti in India, segnando profondamente il futuro Impero britannico. Il primo Governatore fu Thomas Smyth, nominato il 31 dicembre 1600, e che mantenne la carica solo per quattro mesi. Società anonima, sarebbe diventata l’impresa commerciale più potente della sua epoca, fino ad acquisire funzioni militari e amministrative regali nell’amministrazione dell’immenso territorio indiano. Colpita in pieno dall’evoluzione economica e politica del XIX secolo, declinò progressivamente e poi scomparve nel 1874. Dal suo quartier generale di Londra, la sua straordinaria influenza si estese a tutti i continenti: la Compagnia presiedette alla creazione dell’India britannica, il cosiddetto Raj, fondò Hong Kong e Singapore, ingaggiò Capitan Kidd per combattere la pirateria, impiantò la coltura del in India, tenne Napoleone prigioniero a Sant’Elena, e si trovò direttamente implicata nel celebre Boston Tea Party che funse da detonatore per la guerra d’indipendenza degli Stati Uniti. (Fonte: Enciclopedia libera del web Wikipedia e fonti aperte).
  9. L’Istituto per la Ricostruzione Industriale (in acronimo I.R.I.) è stato un ente pubblico economico italiano con funzioni di politica industriale. Istituito nel 1933, durante il fascismo, nel dopoguerra allargò progressivamente i suoi settori di intervento e divenne il fulcro dell’intervento pubblico nell’economia italiana. Nel 1980 l’IRI era un gruppo di circa 1.000 società con più di 500.000 dipendenti. È stata a suo tempo una delle più grandi Holding di aziende non petrolifere al di fuori degli Stati Uniti d’America; nel 1992 chiuse l’anno con 75.912 miliardi di lire di fatturato e 5.182 miliardi di lire di perdite. Ancora nel 1993 l’IRI era il settimo conglomerato (grande Compagnia divisa in settori che si occupano di affari diversi) al mondo per dimensioni, con un fatturato di circa 67 miliardi di dollari. Trasformato in società per azioni nel 1992, cessò di esistere dieci anni dopo. ((Fonte: Enciclopedia libera del web Wikipedia e fonti aperte).
  10. Gli Small Modular Reactorspossono essere impiegati sia per la produzione di calore, che di elettricità o di entrambe. I piccoli reattori modulari avanzati (SMR) sono una parte fondamentale dell’obiettivo di sviluppare opzioni di energia nucleare sicure, pulite e convenienti. Gli SMR avanzati attualmente in fase di sviluppo negli Stati Uniti rappresentano una varietà di dimensioni, opzioni tecnologiche, capacità e scenari di implementazione. Questi reattori avanzati, previsti per dimensioni variabili da decine di megawatt fino a centinaia di megawatt, possono essere utilizzati per la generazione di energia, il calore di processo, la desalinizzazione o altri usi industriali. I progetti SMR possono impiegare acqua leggera come refrigerante o altri refrigeranti ad acqua non leggera come gas, metallo liquido o sale fuso. Gli SMR avanzati offrono molti vantaggi, come impronte fisiche relativamente ridotte, investimenti di capitale ridotti, capacità di essere collocati in luoghi non praticabili per centrali nucleari di più grandi dimensioni e sono progettati per aggiunte di potenza incrementali. Gli SMR offrono anche distinti vantaggi di salvaguardia, sicurezza e non proliferazione. (Fonte: Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti, articolo disponibile su internet al seguente indirizzo https://www-energy-gov.translate.goog/ne/advanced-small-modular-reactors-smrs?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc).
  11. Sull’argomento della fusione nucleare senza scorie radioattive cfr. Articolo al seguente indirizzo web: https://www.internazionale.it/notizie/adam-vaughan/2022/02/10/fusione-nucleare
  12. La fusione fredda (cd. Cold fusion) è un fenomeno nel quale due atomi di isotopi idrogeno (tipicamente Deuterio-Deuterio o Deuterio-Trizio) si fondono per produrre atomi di elio ed energia. (Cfr. Articolo disponibile sul web al seguente link: https://bologna.repubblica.it/cronaca/2011/01/14/news/fusione_nucleare_a_freddo_a_bologna_ci_siamo_riusciti-11237521/).
  13. L’idrogeno verde rappresenta la variante pulita dell’idrogeno: non è presente in natura e si produce attraverso le fonti rinnovabili, a seguito del processo di elettrolisi, da cui è possibile produrre idrogeno verde la cui successiva trasformazione produce energia e vapore acqueo, senza generare effetti inquinanti. (Fonte: cfr. Link: https://www.gruppoiren.it/it/everyday/energie-per-domani/2022/idrogeno-verde-come-utilizzarlo.html).
  14. Sull’argomento dei giacimenti di gas nel mar Egeocfr. Articolo disponibile al link: https://www.iassp.org/2021/01/e-corsa-allo-sfruttamento-dei-giacimenti-di-gas-nel-mediterraneo/.
  15. Sull’argomento dei giacimenti di gas situati tra Cipro e Turchia cfr. Articolo al seguente link: https://www.ilsole24ore.com/art/maxi-scoperta-gas-largo-cipro-minacce-turchia-ABRULHZB?refresh_ce=1
  16. Sull’argomento dei giacimenti di gas gestiti dall’ENI nel Mediterraneo orientale (Egitto/Libano/Israele) cfr. Articoli disponibili ai seguenti link: https://www.startmag.it/energia/eni-total-israele-libano/; https://www.eni.com/it-IT/attivita/egitto-zohr.html;
  17. Sull’argomento dei giacimenti di gas esistenti sul territorio nazionale e nella zona economica esclusiva di mare cfr. Articolo disponibile al seguente link: https://www.cagliaripad.it/560523/giacimenti-di-gas-in-italia-uno-anche-nel-mar-di-sardegna/
  18. da un rapporto delloUS Geological Survey (USGS) del 2008che ha stimato che la regione dell’Oceano Artico possiede maggiori riserve di idrocarburi dell’Arabia Saudita. Circa il 13% percento del petrolio e il 30% del gas non scoperti nel mondo sono situati in mare aperto a meno di 500 metri d’acqua. (Fonte: Cfr. https://www.amistades.info/post/la-dimensione-geo-strategica-dell-artico).

sull’argomento degli enormi giacimenti di gas esistenti nel Mar Nero cfr. Articoli disponibili ai seguenti link: https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/La-Romania-e-il-gas-naturale-del-Mar-Nero-tanto-peggio-per-la-transizione-energetica-209760; https://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/DocumentiVis/Osservatorio_Strategico_2020/04_OS_Num_4_2020/03_Bressan_OS_04_2020.pdf

  1. Breve storia del Qatar: dal 1871 iniziò l’espansione nella parte orientale dell’Arabia da parte dell’impero Ottomano, che si stabilì sulle coste di al-Hasa, avanzando in Qatar, collocandosi nelle principali città del Paese. Questa avanzata non fu vista di buon occhio dagli inglesi, in quanto andava a intaccare i loro interessi nella regione del Golfo persico. Nel 1874, per prevenire ulteriori invasioni, il Residente politico inglese Edward Ross consigliò di inviare dei rinforzi a Zubarah e disse al governo inglese di rimanere al di fuori degli affari interni al Qatar. Il culmine di questa situazione arrivò nel 1893, con la battaglia di Al Wajibah, quando le truppe Effendi arrivarono nella località di Al Wajibah ove vi furono duri scontri a fuoco e molte perdite, fino alla ritirata all’interno del forte di Shebaka e poi in quello al Bidda, fino all’arrivo dell’assedio da parte di Jassim bin Mohammed, che bloccò gli approvvigionamenti. Così, le truppe ottomane si videro obbligate ad accettare la sconfitta e liberarono i prigionieri qatarini, in cambio dell’uscita sicura della cavalleria a Hofuf. Dopo questa vittoria, il Qatar non fu indipendente totalmente dagli ottomani, ma questa vittoria pose le basi per la sua autonomia. Nel 1916, Abdullah bin Jassim Al Thani, sceicco del Qatar firmò con l’impero Britannico un trattato, pur non essendo d’accordo con alcuni punti, che rappresentavano una violazione della sovranità della Nazione. Nel 1939, iniziarono le prime trivellazioni petrolifere e, nel 1935, lo sceicco rinnovò il trattato britannico, firmando inoltre anche un nuovo accordo con la Oil Company per la suddivisione del petrolio, venendo nominato commissario dell’impero nel 1949. La lavorazione del petrolio e l’estrazione viene arrestata. a causa della Seconda Guerra Mondiale, bloccando anche il commercio delle perle e portando degli effetti devastanti all’interno dell’economia del Qatar fino agli anni 50′, quando iniziarono le prime esportazioni di petrolio. Grazie all’adesione alleNazioni Unite, all’OMS e all’UNESCO, il Qatar iniziò ad avere nel anni 60′ un rilievo internazionale, confrontandosi con molti altri paesi e, nel 1968, il protettorato britannico all’interno del Golfo terminò. In questo modo, nell’aprile del 1970 si arrivò a redigere la prima Costituzione del Paese, ed il 29 maggio fu emanato il decreto che permise la formazione di tutte le agenzie governative e del governo stesso, che si riunì per la prima volta il 3 giugno dello stesso anno. Finalmente, il 3 settembre del 1971, Khalifa bin Hamad Al Thani, sceicco e Primo Ministro, dichiarò il Qatar uno stato indipendente.
  2. Nel 1930 il mercato delle perle, che aveva trainato l’economia qatariota, collassò, aggravando la situazione già povera e precaria del paese. Nel 1939 vennero scoperti giacimenti di petrolio, ma, a causa della II Guerra Mondiale, la produzione iniziò 10 anni dopo. Nel 1971 il Qatar dichiarò la sua indipendenza dalla Gran Bretagna, rifiutando l’idea di unirsi all’Arabia Saudita o agli Emirati Arabi Uniti. Sei mesi dopo la dichiarazione d’indipendenza lo Sceicco Khalifa bin Hamad Al-Thani, cugino dell’emiro e per molti anni governatore di fatto del paese, prese il potere con un colpo di stato ed avviò una serie di politiche di apertura nei confronti di Iran, Iraq e Palestina.
  3. Know-how:il complesso delle cognizioni ed esperienze per il corretto impiego di una tecnologia o anche, più semplicemente, di una macchina o di un impianto; estens., il possesso di cognizioni specifiche necessarie per svolgere in modo ottimale un’attività, una professione, etc.
  4. L’Africa Orientale Italiana (sigla A.O.I.) era la denominazione ufficiale dei possedimenti coloniali italiani nel Corno d’Africa, proclamata da Benito Mussolini il 9 maggio 1936 dopo la conquista italiana dell’Etiopia. Univa all’annesso Impero d’Etiopia le colonie dell’Eritrea e della Somalia. Era a sua volta divisa in sei governatorati: Governatorato di Amara, Governatorato dell’Eritrea, Governatorato di Harar, Governatorato di Galla e Sidama, Governatorato dello Scioa e Governatorato della Somalia. Era delimitata a occidente da una serie di bassure, che partono a nord dalla foce del fiume Barca seguendo la valle di detto fiume, poi quella del suo affluente di sinistra proveniente dalla zona di Càssala, il bassopiano del Sudan, alcune paludi, parte del Lago Rodolfo e arrivano all’oceano Indiano nella regione dell’Oltregiuba, presso la foce del fiume Tana, poco a nord di Mombasa. Confinava con il Sudan Anglo-Egiziano e la Colonia e protettorato del Kenya a occidente e con il mar Rosso, il golfo di Aden e l’oceano Indiano a oriente. Tra l’Africa Orientale Italiana e il golfo di Aden si trovavano la Somalia francese e quella britannica, quest’ultima poi annessa alla Somalia italiana dopo la sua conquista da parte delle truppe italiane durante la seconda guerra mondiale. Cessò di fatto di esistere alla fine del novembre 1941, dopo la sconfitta italiana subita nella campagna contro gli Alleati durante la seconda guerra mondiale. La perdita formale della colonia avvenne alla firma del Trattato di pace a Parigi nel 1947. (Fonte: Enciclopedia libera del web Wikipedia e fonti aperte sul web. Per ulteriori dettagli, vedasi la precedente nota n.54).
  5. Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz (Burg bei Magdeburg, 1º giugno 1780Breslavia, 16 novembre 1831) è stato un generale, scrittore e teorico militare prussiano. Maggior generale nell’esercito prussiano, combattente durante le guerre napoleoniche, è famoso per avere scritto il trattato di strategia militareDella guerra” (Vom Kriege), pubblicato per la prima volta nel 1832, ma mai completato, a causa della morte precoce dell’autore. Quasi tutta la sua vita si svolse sotto il regno di Federico Guglielmo III.
  6. Il termine tedesco Anschlus (letteralmente annessione, connessione, collegamento) o Anschluß (vecchia ortografia) si riferisce, in senso strettamente politico, all’annessione dell’Austria alla Germania nazista avvenuta il 12 marzo 1938 con l’obiettivo di formare la “Grande Germania“. Questo termine si contrappone all’Ausschluss, l’esclusione (espulsione/estromissione) dell’Austria dalla Germania, a seguito della vittoria del Regno di Prussia nella guerra Austro-Prussiana del 1866, che poi consentì a Guglielmo I di Prussia di essere incoronato Kaiser di Germania il 18 gennaio 1871, costituendo così il II Reich. (Fonte: https://www.skuola.net/storia-contemporanea/unificazione-nazionale-tedesca.html)
  7. La crittografia (o criptografia, dal greco κρυπτóς [kryptós], “nascosto”, e γραφία [graphía], “scrittura”) è la branca della crittologia che tratta delle “scritture nascoste”, ovvero dei metodi per rendere un messaggio non comprensibile/intelligibile a persone non autorizzate a leggerlo, garantendo così, in chiave moderna, il requisito di confidenzialità o riservatezza tipico della sicurezza informatica. Un tale messaggio si chiama comunemente crittogramma e i metodi usati sono detti tecniche di cifratura. Durante la seconda guerra mondiale, la crittografia ha giocato un ruolo di primaria importanza e la superiorità degli alleati in questo campo è stata determinante. La Germania nazista considerava inattaccabile la sua macchina Enigma, tuttavia già nel 1932 l’ufficio cifrario polacco era riuscito a forzarla così come gli inglesi che più volte sono riusciti a decifrare i messaggi tedeschi generati da essa durante la guerra, e poi dalla macchina Lorenz a partire dal 1941. In più occasioni la superiorità in campo crittografico si è rivelata essere un fattore discriminante per le vittorie alleate come ad esempio nella Battaglia di Capo Matapan, in cui gli inglesi erano riusciti a decifrare i messaggi della marina tedesca che fornivano l’esatta posizione della flotta italiana che fu quindi distrutta nel marzo 1941, e nello Sbarco in Normandia, in cui gli alleati inviarono falsi messaggi sul loro sbarco a Calais facendo sì che i tedeschi spostassero in quella zona le loro migliori truppe, soprattutto corazzate, in modo tale da avere una bassa resistenza nei punti di sbarco prescelti. Gli inglesi seppero della riuscita dell’inganno decifrando i messaggi tedeschi generati dalla macchina Lorenz. (Fonte: Enciclopedia libera del web Wikipedia e fonti aperte sul web).
  8. Nella storia della crittografia, la macchina per cifrare ECM Mark II fu usata dagli Stati Uniti d’America per cifrare messaggi durante la seconda guerra mondiale e gli anni ’50. Essa era anche conosciuta come SIGABA o Converter M-134C, dall’Esercito, o CSP-888/889, dalla Marina che chiamò CSP-2900 un’altra versione della stessa. Come molte sue simili dell’epoca, SIGABA usava un sistema elettromeccanico di rotori per cifrare i messaggi ma con un maggior numero di aggiunte rispetto ai progetti precedenti, per aumentarne la sicurezza. Nessun successo da parte di alcun crittoanalista nemico fu portato a termine mentre essa fu utilizzata. Un esemplare di questa macchina crittografante perfettamente funzionante è effettivamente conservato presso il Comando JFC-NATO di Lego Patria in provincia di Napoli.
  9. William Friedman era di origine moldava ed ebrea; figlio di un interprete del Servizio postale dello Zar, emigrò negli stati Uniti per sfuggire alla crescente attività antisemita in Russia. Proprio al servizio del governo statunitense svolse una brillante carriera militare come Ufficiale crittologo. Negli anni trenta diresse la divisione ricerca del SIS (Signals Intelligence Service). Nel settembre del 1940 il lavoro della sua divisione portò alla decifrazione del codice giapponese denominato PURPLE, usato dal Ministero degli Esteri giapponese per interloquire con le ambasciate giapponesi nel mondo, consentendo così alle autorità americane l’accesso ai messaggi segreti trasmessi o ricevuti dai diplomatici giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Tanto, comunque, non riuscì ad evitare o contenere l’attacco aereo giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941, nonostante taluni dispacci giapponesi intercettati dagli americani, anche a causa di numerose falle nel sistema di Comando e Controllo militare statunitense dell’epoca.
  10. Il Signal Intelligence Service (SIS) era la divisione di decodifica dell’esercito degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. È stata fondata nel 1930 per compilare codici per l’esercito. Fu ribattezzata Signal Security Agency nel 1943 e nel settembre 1945 divenne Army Security Agency. Per la maggior parte della guerra ebbe sede ad Arlington Hall (ex campus dell’Arlington Hall Junior College for Women), su Arlington Boulevard ad Arlington, Virginia, dall’altra parte del fiume Potomac da Washington (DC) . Durante la seconda guerra mondiale, fu ridenominata in Agenzia per la sicurezza dell’esercito, e le sue risorse furono poi riassegnate alla nuova, attuale, National Security Agency (NSA).
  11. Il Dipartimento della guerra degli Stati Uniti (inglese: Department of War), era un’articolazione del governo federale degli Stati Uniti nata nel 1789 all’inizio della presidenza di George Washington per essere una struttura di governo dell’Esercito. La sua sede era a Washington in Pennsylvania Avenue. Al suo vertice vi era il segretario alla Guerra degli Stati Uniti d’America. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1947, sotto la presidenza Truman, con il National Security Act il Dipartimento della guerra fu abolito e creato il NME (National Military Establishment), l’attuale Dipartimento della Difesa dal 1949, quando Il NME incorporò anche le funzioni di governo del Dipartimento della Marina. Questo rimase come divisione subordinata, insieme ai neo-costituiti dipartimenti dell’Esercito e della Aviazione per la United States Air Force divenuta contemporaneamente forza armata autonoma. La sede dell’attuale Dipartimento della Difesa è presso il Pentagono, inaugurato già il 15 gennaio 1943 quale complesso per uffici aperto ufficialmente ai corpi dirigenti delle forze armate statunitensi.
  12. Lo spoils system (traduzione letterale dall’inglese: sistema del bottino) è la pratica politica, nata negli Stati Uniti d’America tra il 1820 e il 1865, secondo cui gli alti dirigenti della pubblica amministrazione cambiano con il cambiare del governo, scelti dalle compagni (o nel caso americano dal Presidente) vincitrici delle elezioni. Le forze politiche al governo affidano dunque la guida della macchina amministrativa a dirigenti che ritengono poter e voler far loro raggiungere gli obiettivi politici prefissati. Nell’accezione più negativa e tutta italiana, le forze politiche al governo distribuiscono a propri affiliati e simpatizzanti le varie cariche istituzionali, la titolarità di uffici pubblici e posizioni di potere, come incentivo a lavorare per il partito o l’organizzazione politica, in modo da garantire gli interessi di chi li ha investiti dell’incarico e, possibilmente, diminuire le voci critiche interne.
  13. Dušan “Duško” Popov(Titel, 10 luglio 1912Opio, 10 agosto 1981). Famoso agente doppiogiochista, nome in codice Tricycle, del MI5 britannico, cercò di avvisare l’FBI dell’imminente attacco a Pearl Harbor, ma J. Edgar Hoover non gli credette e lo tenne confinato in un esilio dorato da playboy. Nelle sue memorie affidate al libro autobiografico “Spia contro spia” racconta che l’informazione sull’attacco a Pearl Harbor gli fu data dal suo superiore all’Abwehr che aveva raccolto una richiesta dei giapponesi di informazioni circa l’attacco dei britannici alla base della Regia Marina militare di Taranto. Infatti, nel 1941 l’Abwehr, che lo aveva reclutato sin dallo scoppio del conflitto, lo inviò negli Stati Uniti per reperire finanziamenti con cui retribuire una rete associata di spie, ma Popov, incuriosito dell’interesse giapponese per l’attacco compiuto dagli inglesi alla base navale di Taranto utilizzando una portaerei e associando a questo fatto l’interesse di Tokyo per la base americana nelle Hawai, confezionó un dettagliato questionario riguardante Pearl Harbor, ipotizzando che i giapponesi l’avessero presa di mira per il loro attacco all’America. Popov passò il questionario ai servizi inglesi e, appositamente autorizzato, poi a quelli americani, che furono così messi al corrente dei piani giapponesi 4 mesi prima dell’attacco. Tuttavia il capo dell’FBI, Edgar Hoover, non si fidava di Popov che nel frattempo, per i suoi comportamenti da playboy, era stato accusato di prossenitismo. Gli americani finirono per non dar peso alle informazioni di Duško, che rischiò anche di essere scoperto dai tedeschi. Duško Popov ha ispirato Jan Fleming, all’epoca del conflitto mondiale Ufficiale presso il medesimo Servizio MI5 britannico, per la figura dell’agente 007.
  14. Sulla presenza di ordigni nucleari presso le basi aeree di Aviano e Ghedi cfr. Articolo al seguente link: https://www.ilsole24ore.com/art/nucleare-italia-oltre-100-ordigni-usa-ecco-dove-sono-stati-dislocati-AEp5NH2B.
  15. Camp Darby è una base militare dell’Esercito Italiano, dove sono stanziate e operano unità militari statunitensi, situata nella Tenuta di Tombolo del comune di Pisa. La base, chiamata in precedenza USAG Livorno, è stata riorganizzata come sito satellite dello United States Army Garrison (USAG) Italy (dall’inglese: Guarnigione dell’Esercito degli Stati Uniti d’America in Italia), che ha la sua sede centrale a Vicenza, e rinominata dal 3 ottobre 2015 Darby Military Community (DMC), la quale include lo stesso Camp Darby, il deposito di Livorno e il deposito munizioni di Pisa dello United States Army.
  16. Édouard Daladier (Carpentras, 18 giugno 1884Parigi, 10 ottobre 1970) è stato un politico francese. Fu Primo ministro della Francia (rectius: Presidente del Consiglio dei Ministri) per tre volte: la prima dal 31 gennaio al 26 ottobre 1933, la seconda dal 30 gennaio al 9 febbraio 1934 e la terza dal 10 aprile 1938 al 21 marzo 1940, quando venne sostituito da Paul Reynaud. Partecipò alla conferenza di Monaco (con Chamberlain per gli inglesi, Mussolini per l’Italia e Hitler per la Germania) nel 1938 come capo del governo francese. Come Chamberlain, Daladier cedette alle richieste del dittatore tedesco, supportato da Mussolini, pur di scongiurare il pericolo di una guerra. Convinto di aver evitato lo scoppio del conflitto, il Primo ministro francese ostacolò non solo un accordo con l’Unione Sovietica, ma pose addirittura fuorilegge il partito comunista francese dopo la conclusione del Patto Molotov-Ribbentrop (23 agosto 1939). Ostile all’espansionismo tedesco, dopo l’invasione della Polonia, avvenuta il 1º settembre 1939, Daladier dichiarò guerra alla Germania nazista il 3 settembre successivo, dopo il governo di Londra. Nel marzo 1940 abbandonò la Presidenza del Consiglio e assunse il portafoglio della Difesa e degli Esteri, ma dopo la rapida Campagna di Francia, in cui i francesi furono sconfitti dalle forze naziste (cui si unirono, il 10 giugno, gli italiani), il 5 luglio 1940 fu definitivamente espulso dalla compagine governativa. Arrestato dopo la firma dell’armistizio, Daladier fu tra gli imputati del processo di Riom, tenuto dal 10 febbraio all’11 aprile 1942 dal governo di Vichy, insieme con Blum, La Chambre, Gamelin e altri alti esponenti della Terza Repubblica. Era un maldestro tentativo del governo collaborazionista di screditare i simboli del regime parlamentare, ma essendo venute a galla anche alcune responsabilità di esponenti di Vichy (come lo stesso Pétain), Hitler ne ordinò la sospensione. Daladier venne comunque deportato in Germania nell’aprile 1942 e rinchiuso in un lager; sopravvissuto alla prigionia, dopo essere stato liberato nel corso della battaglia di Itter del 5 maggio 1945, poté rientrare in patria alla fine delle ostilità, riprendendo la sua attività politica. Si candidò alla prima Assemblea costituente, nel 1945, ma non fu eletto; l’anno seguente però riuscì nell’intento per la seconda Assemblea costituente. Rieletto deputato alle elezioni legislative del novembre 1946, mantenne il seggio sia alle elezioni del 1951 sia in quelle del 1956. Fu anche eletto sindaco di Avignone nel 1953. Fu favorevole al governo di Mendès France e al suo tentativo di rinnovamento del Partito Radicale. Nel 1957 presiedette il Raggruppamento delle Sinistre Repubblicane. Nel 1958 si oppose al ritorno di Charles de Gaulle e votò contro la concessione dei pieni poteri. Arrivato solo al terzo posto al primo turno delle elezioni legislative del 1958, si ritirò dal secondo turno e si dimise anche da sindaco di Avignone. Morì a Parigi il 10 ottobre 1970, a 86 anni; il suo corpo è sepolto nel Cimitero di Père-Lachaise.

 

  1. L’aeroporto di Berlino-Tempelhof (in tedesco: Zentralflughafen Berlin-Tempelhof) era un aeroporto di Berlino, situato nella parte sud del quartiere centrale di Tempelhof-Schöneberg. Fu operativo dal 1923 al 2008. Per le Forze armate degli Stati Uniti, Tempelhof era noto come TCA (Tempelhof Central Airport). Tempelhof veniva spesso chiamato City-Airport, ovvero “aeroporto cittadino”, e gestiva principalmente voli pendolari verso altre località della Germania e verso destinazioni europee, poiché la sua pista (con poco più di 2.000 metri) era relativamente corta e quindi poco adatta agli aerei di grandi dimensioni utilizzati per i voli intercontinentali. La Lufthansa venne fondata proprio a Tempelhof il 6 gennaio 1926. Il vecchio terminal, originariamente costruito nel 1927, ospitò politici e celebrità da tutto il mondo durante gli anni trenta. Come parte del progetto di Albert Speer per la ricostruzione di Berlino durante il periodo nazista, all’architetto Ernst Sagebiel venne ordinato di sostituire il vecchio terminal con uno nuovo nel 1934. I lavori di questa nuova costruzione in granito iniziarono nel 1936 e vennero completati nel 1941. Il complesso di sale dell’aeroporto e gli edifici vicini, concepiti per essere il punto di accesso all’Europa, erano noti per le loro dimensioni (l’aeroporto fu definito come il 3º più grande edificio al mondo dopo il Pentagono di Washington e il Palazzo del Parlamento di Bucarest) e sono stati descritti dall’architetto britannico Norman Foster come “la madre di tutti gli aeroporti”. La Weserwerke iniziò la produzione bellica nei nuovi edifici di Tempelhof per l’assemblaggio dei bombardieri Junkers Ju 87 Stuka e successivamente per i caccia Focke-Wulf Fw 190. Le truppe sovietiche presero Tempelhof durante la Battaglia di Berlino, il 24 aprile 1945, e lo consegnarono alle forze statunitensi il 4 luglio dello stesso anno.
  2. Lo Junkers Ju 52/3m era un trimotore da trasporto e passeggeri, prodotto dall’azienda tedesca Junkers dall’inizio degli anni trenta ed utilizzato prima come velivolo civile, successivamente come trasporto e bombardiere medio, principalmente dalla Luftwaffe. Lo Ju 52 fu utilizzato da compagnie aeree di molte nazioni come, ad esempio, Finlandia, Spagna e Svezia. In Cina esso fu utilizzato per il trasporto della posta e, applicandovi i galleggianti, in Canada venne usato anche per il trasporto del legname. Naturalmente chi ne fece il maggior uso fu la tedesca Lufthansa. Dotato di lussi quali la presenza di una macchina da scrivere e delle mascherine per l’ossigeno, lo Ju 52 poteva volare da Berlino a Roma in otto ore, sorvolando le Alpi, un’abilità impressionante per un velivolo del tempo e tanto più per un aereo da trasporto. L’ultimo Ju 52 prestò servizio nell’aeronautica svizzera verso la fine degli anni ottanta, oltre 50 anni dopo il primo volo di questo velivolo indubbiamente longevo. Questo aereo venne anche costruito, nel dopoguerra, in Spagna dalla Construcciones Aeronáuticas, S.A. (CASA) col nome CASA 352 ed in Francia dall’Ateliers Aéronautiques de Colombes (AAC) con la denominazione Amiot AAC.1 Toucan.
  3. Il governo provinciale tirolese decise nel 1920 l’istituzione di un aeroporto stazione a Innsbruck ed il 1º giugno 1925 il primo aeroporto fu messo in funzione nella parte occidentale della città, nel quartiere di Reichenau ed inaugurato con la rotta Monaco -Innsbruck- Monaco di Baviera dal Süddeutsche Aero Lloyd, seguita poi da altre linee.
  4. Helmuth James Conte von Moltke (Kreisau, 11 marzo 1907Berlino, 23 gennaio 1945) è stato un giurista e avvocato tedesco, fondatore del circolo di Kreisau, il gruppo cospirazionista di ispirazione conservatrice e cristiana che si oppose al regime di Adolf Hitler. Era il propronipote dell’omonimo Feldmaresciallo Helmuth von Moltke, noto Generale e stratega prussiano, vincitore degli Austriaci nel 1866 e dei Francesi nel 1870-71. Nato a Kreisau, in Slesia, sua madre era la figlia di Sir James Rose-Innes ed entrambi membri della Scienza cristiana. Studiò a Breslavia, Vienna, Heidelberg e Berlino. Nel 1931 si sposò con Freya von Moltke. Nel 1928, si iscrisse al movimento Löwenberger Arbeitsgemeinschaften e nel 1934 rifiutò di aderire al Partito nazista. Dal suo ufficio di Berlino aiutava i rifugiati ad emigrare in Gran Bretagna, dove inoltre completò il suo percorso di studi ad Oxford. Nel 1939 venne reclutato per il fronte orientale della Abwehr al comando dell’ammiraglio Wilhelm Canaris, potendo così accedere ad alcune informazioni che lo resero un forte oppositore del regime. A Berlino fondò il Circolo di Kreisau di cui fecero parte intellettuali, politici e alti militari che si prefissero l’obiettivo di destituire Hitler e costruire una nuova Germania in un contesto europeo libero e progredito. Venne arrestato nel gennaio 1944 dalla Gestapo a seguito del fallito attentato a Hitler del 20 luglio 1944 (Operazione Valchiria) e fu condannato dal cosiddetto Tribunale del Popolo presieduto dal famigerato Roland Freisler, che inventò le accuse provanti il suo diretto coinvolgimento nell’attentato. Fu giustiziato per alto tradimento nel carcere di Plötzensee. Il Circolo Kreisau, come peraltro altri circoli simili sorti nella Germania dell’epoca da genuini e spontanei sentimenti anti-nazisti, tra i quali la Rosa bianca, non riuscì però mai a creare un rete, una sinergia tra di essi per opporsi al Regime in modo compatto ed efficace, ma costituirono comunque la base e l’ispirazione per diverse cospirazioni segrete per tentare di assassinare il Führer e rovesciare il suo regime sanguinario. Nel 1992, un documentario sulla sua vita è stato nominato per il premio Oscar, The Restless Conscience.
  5. Carl Friedrich Goerdeler (Schneidemühl, 31 luglio 1884Berlino, 2 febbraio 1945) è stato un politico conservatore tedesco, sindaco di Lipsia dal 1930 al 1937 e coinvolto nella resistenza al regime nazionalsocialista. Si oppose attivamente all’ideologia razziale nazista. Egli abbandonò il DNVP (Partito popolare nazionale tedesco) nel 1931 quando il partito iniziò la sua collaborazione con lo NSDAP (Partito Nazionalsocialista tedesco dei lavoratori). Dopo l’ascesa al potere di Hitler avvenuta nel gennaio 1933 Goerdeler fu uno dei pochi politici che si opposero alle politiche razziali ed antisemite del Terzo Reich, cercando di difendere le proprietà degli uomini di affari ebrei di Lipsia dalla forzata “arianizzazione” delle loro imprese. Quando le autorità nazionalsocialiste imposero, nel 1936, la demolizione di un monumento del compositore ebreo-tedesco Felix Mendelssohn, Goerdeler protestò vivacemente e cercò di ricostruirlo senza però riuscirvi a causa dell’opposizione dei nazisti. In seguito a questi fatti egli decise di non accettare la ricandidatura alla carica di borgomastro di Lipsia e nel 1937 si ritirò dal servizio. Tra il 1937 ed il 1938 Goerdeler effettuò numerosi viaggi in Francia, Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti cercando di avvisare chiunque fosse disposto ad ascoltarlo (tra cui Winston Churchill e Robert Vansittart) della pericolosità dell’aggressiva politica estera hitleriana. Nel 1938 Goerdeler fu profondamente deluso degli accordi della Conferenza di Monaco che, pur riconducendo il territorio dei Sudeti sotto il controllo della Germania, egli considerava indesiderabili perché privavano della possibilità di un putsch contro il regime nazionalsocialista. Infatti, secondo Goerdeler, una ferma linea di condotta da parte delle democrazie europee e l’ipotesi di un conflitto, diversamente da come invece avvenne a conclusione della Conferenza di Monaco, avrebbero così spinto la popolazione tedesca a ribellarsi ad Hitler. A questo proposito scrisse ad un amico americano: “…il popolo tedesco non voleva la guerra; l’esercito avrebbe fatto qualunque cosa per evitarla; […] il mondo era stato avvertito ed informato di ciò con largo anticipo. Se quest’avviso fosse stato ascoltato ora la Germania sarebbe libera dal suo dittatore e si volgerebbe contro Mussolini. In poche settimane avremmo potuto iniziare a costruire una duratura pace mondiale su basi di giustizia, ragione e decenza. Una Germania purificata, governata da persone rispettabili, sarebbe stata pronta a risolvere il problema spagnolo senza ritardi, collaborando con Gran Bretagna e Francia a deporre Mussolini e con gli Stati Uniti per creare la pace in Estremo Oriente. Si sarebbe aperta la strada ad una solida collaborazione in campo economico e sociale per la creazione di relazioni pacifiche tra Capitale, Lavoro e Stato, per il rilancio di concetti etici e per un nuovo tentativo di migliorare la qualità della vita […].Nonostante la delusione per le conclusioni di Monaco, Goerdeler proseguì nei suoi sforzi per rovesciare il regime nazista. Goerdeler era un risoluto ed inflessibile ottimista, dotato di un accentuato senso civico unito a profonde convinzioni religiose; egli credeva che solo se fosse stato in grado di convincere un numero di persone a sufficienza, avrebbe avuto la possibilità di sovvertire il regime nazista. A partire dal 1938, Goerdeler collaborò alla creazione di un gruppo dissidente composto da politici conservatori e militari tra i quali spiccavano Ulrich von Hassell, ambasciatore tedesco in Italia, il generale Ludwig Beck, ex capo di Stato Maggiore dell’esercito, il feldmaresciallo Erwin von Witzleben e Johannes Popitz, ministro delle Finanze dello Stato prussiano. Questo primo nucleo, al quale si aggiunsero negli anni numerosi elementi tra i quali Henning von Tresckow e Claus von Stauffenberg, iniziò ad elaborare la futura costituzione, che avrebbe dovuto entrare in vigore dopo la deposizione di Hitler, ed una lista di ipotetici ministri. Se l’attentato del 20 luglio 1944 (Operazione Valchiria) avesse avuto successo, Goerdeler sarebbe diventato Cancelliere del nuovo governo formato dopo il rovesciamento di Hitler. Le idee di Goerdeler circa la nuova Costituzione si basavano sul concetto di un forte potere esecutivo associato ad un alto livello di decentralizzazione. Il Reichstag avrebbe dovuto essere eletto in parte secondo lo schema uninominale anglosassone (first pass the post) invece che sulle liste di partito, ed in parte dai membri delle amministrazioni locali. Il Reichsrat avrebbe dovuto includere rappresentanti delle chiese tedesche, dei sindacati, delle università e dei diversi gruppi di imprenditori. Nella stesura della futura Costituzione Goerdeler chiese l’aiuto, attraverso il suo amico Dietrich Bonhoeffer, del cosiddetto «Circolo di Friburgo» composto da un gruppo di professori dell’università di Friburgo tra i quali figuravano Adolf Lampe, Erich Wolf, Walter Eucken, Constantin von Dietze e Gerhard Ritter. Opponendosi alla visione del cosiddetto «Circolo di Kreisau» (che gravitava attorno alla figura di Helmuth James Graf von Moltke), Goerdeler immaginava una Germania post-nazista basata sul capitalismo liberista e si oppose sempre duramente alle idee del Circolo, che reputava troppo socialiste. Le simpatie monarchiche ed estremamente anticomuniste posero spesso Goerdeler in contrasto con gli altri membri della Resistenza tedesca. Uno dei più gravi punti d’attrito fu l’opposizione di Goerdeler all’uccisione di Hitler: egli voleva catturarlo e processarlo (non aveva, però, obiezioni per una condanna a morte comminata dopo un “equo” processo). Il 17 luglio 1944 venne spiccato dalla Gestapo un mandato di cattura per Goerdeler che riuscì a sfuggire in un primo momento all’arresto fino a quando, il 12 agosto 1944, fu catturato in Prussia orientale in seguito alla delazione di una locandiera, Helene Schwärzel. Processato il 9 settembre presso il Volksgerichtshof (Tribunale del Popolo) egli venne condannato a morte ma non venne immediatamente giustiziato: per mesi subì le torture della Gestapo che sperava di ottenere da lui i nomi di altri cospiratori. Goerdeler fu infine impiccato presso la prigione di Plötzensee, a Berlino, il 2 febbraio 1945. Mentre attendeva di essere giustiziato scrisse una lettera d’addio che terminava con le seguenti parole: «Chiedo al mondo di accettare il nostro martirio come atto di penitenza in nome del popolo tedesco».
  6. Ernst Jünger (Heidelberg, 29 marzo 1895Riedlingen, 17 febbraio 1998) è stato uno scrittore e filosofo tedesco del XX secolo. Conosceva la cerchia degli ufficiali prussiani che parteciparono al fallito attentato per assassinare Hitler del 20 luglio 1944, compiuto da Claus von Stauffenberg. Pur essendone a parte, non fu condannato né imprigionato ma solamente congedato dall’esercito. Hitler in persona, ammiratore dell’uomo e della sua opera, fece un’eccezione per lui, risparmiandolo dalla vendetta che travolse i protagonisti della resistenza tedesca e i loro familiari. Visse la fine della guerra nella casa di campagna di Hannover, dove le truppe britanniche arrivarono nell’aprile 1945.
  7. Il Conte Peter Yorck von Wartenburg (Oleśnica Mała, 13 novembre 1904Berlino, 8 agosto 1944) è stato un giurista tedesco. Apparteneva alla nobile famiglia Yorck von Wartenburg, discendente del principe Luigi Ferdinando di Prussia. Il trisnonno di Peter era il feldmaresciallo Ludwig Yorck von Wartenburg mentre il filosofo Paul Yorck von Wartenburg era suo nonno. Nel 1938, date le sue convinzioni umanistiche e liberal-cristiane, non gli fu permesso di esercitare la professione di avvocato dal partito nazista. Allora Yorck von Wartenburg si legò a un suo lontano parente, il conte Helmuth James Graf von Moltke, entrando a far parte di quella cerchia di pensatori che credevano di poter abbattere il nazismo in maniera pacifica. Yorck von Wartenburg e Graf von Moltke fondarono anche un gruppo composto di soli aristocratici nemici del regime, del quale fece anche parte il fratello di Claus Schenk von Stauffenberg, Berthold, ed il diplomatico Adam von Trott zu Solz. Con Fritz-Dietlof Graf von der Schulenburg ed Ulrich Wilhelm von Schwerin von Schwanenfeld discusse sui difetti della costituzione nazista. Alla morte del fratello Marion durante la campagna di Polonia del 1939, la sua opposizione al nazismo divenne maggiore e più dura, ed entrò nel Circolo di Kreisau. Nel possibile governo che si sarebbe andato a creare alla morte di Adolf Hitler, Yorck von Wartenburg avrebbe avuto il ruolo di Vice cancelliere di Stato, ma a causa del fallimento del colpo di stato di Stauffenberg, tutte le speranze di abbattere il nazismo si rivelarono vane. Arrestato il giorno seguente alla fucilazione di Stauffenberg, fu processato dal Volksgerichtshof (Tribunale del popolo). L’inchiesta fu sostenuta dal famigerato giudice Roland Freisler. Condannato a morte, fu impiccato l’8 agosto 1944.
  8. Operazione Valchiria, 20 Luglio 1944. L’Europa è sfinita da cinque anni di guerra sanguinosa. La Germania, attanagliata a ovest dalle truppe anglo-americane sbarcate in Normandia e a est dalla Russia in travolgente controffensiva, era ormai di fatto sconfitta. Molti generali ritenevano necessario porre fine al conflitto e scendere a patti con gli Alleati. Rimaneva solo un ostacolo: Adolf Hitler. Il Fuhrer. Il “caporale Boemo”, come lo chiamava una certa aristocrazia militare. L’unica mossa possibile era di rimuoverlo dalla posizione di potere con un colpo di stato. A prendere questa ardua decisione fu un gruppo di ufficiali, che passeranno alla storia come “I Cospiratori”.C’erano sentimenti di vergogna, disgusto, per come era stata condotta la guerra, per le atrocità compiute dai nazisti. La ribellione era ormai un doveroso atto d’onore. Nonostante il giuramento prestato, la voce della coscienza ebbe la meglio sulle regole dell’obbedienza. Per portare a termine l’operazione, chiamata Walküre, Valchiria, fu individuato un uomo, il Colonnello Claus Shenk Von Stauffenberg, da poco rientrato dalla guerra di Tunisia, in cui aveva perso l’occhio sinistro, due dita della mano sinistra e la mano destra. Trentasei anni, con una famiglia aristocratica alle spalle, era un uomo molto colto,raffinato, cattolico osservante. Un ufficiale pronto a tutto, pur di salvare la Germania. Si scelse di agire a Rastenburg, nella foresta di Gierloz, vicino al confine sovietico, dove si trovava il quartier generale di Hitler, il 20 luglio. Nella sala conferenze della “tana del lupo” erano presenti in tutto 24 persone. Nel piano iniziale avrebbero dovuto esplodere due bombe, ma Von Stauffenberg, rischiando di essere scoperto, riuscì ad innescarne solo una, che sistemò sotto il tavolo di quercia, accanto alla sedia di Hitler. Purtroppo la solerzia di un ufficiale, il colonnello Heinz Brandt, che la spostò per far sedere più comodo il Fuhrer, mandò a monte l’attentato. L’ordigno esplose alle 12.42, uccidendo quattro persone, tra cui lo stesso Brandt, e lasciandone ferite altre venti. Hitler si bruciò i pantaloni e riportò ustioni alle gambe, oltre a un danno al timpano dell’orecchio destro, ma sopravvisse. Le notizie si accavallarono, ci fu lentezza nel prendere decisioni importanti, nonostante l’appoggio delle truppe della Riserva presenti a Berlino, i generali esitarono in assenza di certezze circa la morte di Hitler e non avviarono immediatamente l’operazione Valchiria. Le milizie non furono subito mobilitate secondo i piani di Von Stauffenberg e la cospirazione fu soffocata in un bagno di sangue. La sera stessa Von Stauffenberg, il generale Olbricht, il colonnello Von Quirnheim ed il tenente Von Haeften vennero arrestati e fucilati nel cortile del Bendlerblock, quartier generale dei cospiratori. Secondo lo storico Ian Kershaw, cinquemila persone, legate per parentela, amicizia o semplice conoscenza con i cospiratori furono arrestate dalla Gestapo e trasferite nei lager. Duecento furono giustiziate, impiccate con delle corde e poi appese a ganci da macellaio. Quando finirono le corde, usarono quelle dei pianoforti. I partecipanti al complotto furono sommariamente giudicati dal Tribunale del Popolo, con processi- farsa brevissimi tra il 7 e l’8 agosto 1944, senza difesa, costretti a sfilare con abiti informi e malridotti, senza cinture a tenere su i pantaloni.Per sfuggire al processo e all’umiliazione, il feldmaresciallo Von Kluge ed i generali Wagner e Von Tresckow si suicidarono. Durante un interrogatorio fu fatto il nome del feldmaresciallo Erwin Rommel, che era a conoscenza della cospirazione. Nonostante non ci fosse stata una partecipazione attiva da parte sua nel complotto, il 14 ottobre 1944 Rommel fu costretto a suicidarsi. Tutte le esecuzioni furono filmate minuziosamente e mostrate a Hitler, che aveva voluto vedere i cospiratori appesi come animali al macello.Oggi a Berlino, nel luogo dove furono eseguite le sentenze di morte, la prigione di Plötzensee, c’è un museo commemorativo per le vittime del processo.
  9. Padre Alfred Delp (Mannheim, 15 settembre 1907Berlino, 2 febbraio 1945) è stato un gesuita tedesco che prese parte alla resistenza contro il regime nazista in Germania. Religioso, gesuita ed uomo coraggioso, si oppose fermamente ad alcune scelte politiche del tempo che riteneva incomprensibili, sapendo dire di no anche a costo della propria esistenza. Alfred Delp, nasce il 15 settembre 1907 a Mannheim, nel Baden-Württemberg Settentrionale, da una famiglia di media estrazione. La madre era di religione cattolica, il padre protestante. Prese parte con slancio ed intima convinzione, quale religioso e fine intellettuale, al Circolo di Kreisau, una di quelle forme di associazionismo cattolico, riunito intorno al celebre giurista conte Helmuth James von Moltke (1907-1945) che prese nettamente le distanze dal regime hitleriano e dai suoi nefasti effetti. In questo scenario, fatto di resistenza, umana e culturale, forte fu l’appoggio del gesuita nell’offrire non solo la propria intelligenza, ma soprattutto il suo coraggio ed il suo cuore, nella difesa della verità che, egli affermava, altro non è che il Cristo. Fallito il tentativo di far cader il regime, con l’attentato ad Hitler del 20 luglio 1944 e fucilati dopo un processo sommario il colonnello Von Stauffemberg e gli altri congiurati, iniziò la ricerca di coloro che opponevano la ragione ed il cuore alla violenza. Il 28 luglio 1944 viene arrestato al termine della Santa messa, condotto nel carcere di Berlino – Plötzensee ed interrogato. In tale contesto, durato pochi mesi, ebbe modo di emettere i voti solenni, alla presenza di un confratello e divenire cosi, per sempre, religioso della Compagnia di Gesù e di celebrare, di nascosto, diverse Eucarestie. Prima di essere condannato a morte, dopo un processo molto sbrigativo, gli fu chiesto di scegliere fra la vita ed il proprio Ordine religioso. Padre Delp scelse di essere un gesuita, pur di essere coerente con la professione religiosa e quell’ideale nel quale credeva fermamente.
  10. Adam von Trott zu Solz (Potsdam, 9 agosto 1909Berlino, 26 agosto 1944) è stato un diplomatico e membro della resistenza tedesca. Figlio di August, ministro dell’educazione del Regno di Prussia tra il 1909 e il 1917, e discendente dal lato materno del padre fondatore degli Stati Uniti John Jay, studiò giurisprudenza al Balliol College di Oxford. Rientrato in Germania nel 1934 esercitò la professione di avvocato e si avvicinò al circolo anti-nazista di Kreisau. Nel 1939 grazie all’interessamento del diplomatico Ernst Heinrich von Weizsäcker (vedi precedente nota n.22) fu assunto al ministero degli esteri e dopo pochi mesi fu inviato in missione in Gran Bretagna per sondare le intenzioni del governo inglese, occasione che cercò di sfruttare per creare contatti con il fronte interno anti-nazista ma che fu trattata con scetticismo dal Foreign Office inglese, che lo sospettava essere in realtà una spia. Nuovi incontri che puntavano alla collaborazione con le forze alleate avvennero in Svizzera tra il 1943 e il 1944 ma furono analogamente infruttuosi. Nel 1944 prese parte al complotto del 20 luglio; con il fallimento dell’attentato fu arrestato, condannato a morte e infine impiccato nel carcere berlinese di Plötzensee.
  11. Dietrich Bonhoeffer (Breslavia, 4 febbraio 1906Flossenbürg, 9 aprile 1945) è stato un teologo luterano tedesco, protagonista della resistenza al Nazismo. Figlio di Karl, un eminente psichiatra di origine berlinese, e di Paula, insegnante, una delle poche donne laureate in quel tempo, Bonhoeffer nacque il 4 febbraio 1906 a Breslavia (allora in Germania, attualmente parte della Polonia), da una famiglia molto in vista dell’alta borghesia, con relazioni anche col mondo politico e culturale. Bonhoeffer fu intensivamente iniziato ai piani della congiura — senza esito — del gruppo composto dal Maggiore Generale Hans Oster, dal Giurista von Dohnanyi e dall’Avvocato Josef Müller, che volevano fermare Hitler prima dell’inizio della guerra sul fronte occidentale. Qualche tempo dopo subì, per opera della Gestapo, una scorreria armata e conseguente saccheggio durante un raduno giovanile in cui teneva un corso biblico per studenti. Gli fu vietato di parlare a causa della sua “attività di disturbo per il popolo” e gli fu intimato di presentarsi regolarmente presso la stazione di polizia. L’organizzazione della Abwehr (Servizio segreto militare) sotto la guida di Canaris, liberò Bonhoeffer dall’obbligo di comunicare i propri spostamenti alla stazione di polizia in Pomerania, dichiarandolo indisponibile. Oster e Dohnanyi lo impiegarono come uomo della Abwehr a Monaco, cioè il più lontano possibile dalla Pomerania. In questo modo egli entrava a far parte della cerchia della resistenza militare attiva. Bonhoeffer doveva tuttavia comunicare ancora i suoi spostamenti alla polizia di Monaco. Qui soggiornò nell’abbazia benedettina di Ettal, dove scrisse l’Etica e attese agli incarichi dell’Abwehr con alcuni viaggi all’estero. Su incarico dell’Abwehr, e grazie alla disponibilità di passaporti e visti, intraprese viaggi in Svizzera, Svezia, Norvegia e Italia. Questi si svolsero in tre tappe. Nel 1941 portò a conoscenza degli amici all’estero che esisteva e operava un’organizzazione politica sotterranea e fornì informazioni ai gruppi di resistenza cui faceva riferimento. Poi eseguì una ricognizione degli obiettivi di pace perseguiti dagli alleati ed infine nel 1942 incontrò Georg Bell, vescovo di Chichester nonché suo amico, e gli comunicò i singoli dettagli, compresi i nomi dei partecipanti, del colpo di Stato che si stava preparando. Il governo inglese avrebbe dovuto appoggiare, in caso di riuscita, gli autori del colpo di Stato così da metterli in condizione di creare un nuovo governo tedesco. Di lì a poco la situazione cominciò a farsi pericolosa. Col fratello Klaus, il cognato Hans von Dohnanyi e l’Avv. Müller entrò in contatto con l’ammiraglio Wilhelm Canaris, capo del servizio segreto militare (Abwehr), che con altri ufficiali stava organizzando una congiura per assassinare Hitler (il putsch del 20 luglio 1944), ma il 5 aprile 1943 il capo del tribunale militare Manfred Roeder e l’agente della Gestapo Franz Xavier Sonderete lo arrestarono. Nel frattempo la Gestapo aveva trovato dei documenti della Abwehr che dimostravano la partecipazione alla congiura di Bonhoeffer fin dal 1938. Hitler era fuori di sé. Revocò l’ordine di eliminazione immediata dei cospiratori al fine di accertare ulteriori ramificazioni. Questo spiega perché le esecuzioni furono rimandate per lungo tempo. Insieme con altri congiurati, venne impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg all’alba del 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine della guerra, insieme all’ammiraglio Canaris, per espresso ordine di Hitler.
  12. Henry Morgenthau Jr. (New York, 11 maggio 1891Poughkeepsie, 6 febbraio 1967) è stato un politico statunitense, Segretario del Tesoro degli Stati Uniti durante la presidenza di Franklin Delano Roosevelt. Membro della massoneria ebraica del BenéBerith, aveva stilato un piano programmatico per ridurre sostanzialmente la Germania ad una sorta di colonia agricola, addirittura riuscendo durante la Conferenza di Quebec del 15 settembre 1944, a convincere, con un abile lavorio diplomatico, Roosevelt e Churchill ad assecondare il suo piano. Il piano Morgenthau era appoggiato e voluto anche dai sovietici, desiderosi di espandersi in Europa sulla scia dell’avanzata vittoriosa in atto sul fronte orientale. Infatti, il braccio destro di Morgenthau era il sottosegretario al Tesoro Harry Dexter White che, denunciato nel 1948 da una ex spia filo-sovietica di aver fatto parte dei un apparato segreto comunista, morì pochi giorni dopo la sua deposizione davanti alla commissione per le attività anti-statunitensi per un infarto probabilmente dovuto ad un avvelenamento. Quest’ultimo vedeva nell’annientamento della Germania la scomparsa del più importante baluardo europeo per impedire l’invasione sovietica dell’Europa. Tuttavia, e fortunatamente, Morgenthau non riuscì nel suo intento, poiché Roosevelt, avvicinandosi le elezioni del 1944, ebbe timore di una campagna di stampa e dell’opinione popolare contrarie ad un piano così freddo e crudele e gli tolse il suo appoggio. Insediatosi alla Casa Bianca, il nuovo Presidente americano Harry Truman comprese immediatamente l’importanza di avere nella Germania un baluardo determinante contro l’avanzata sovietica in Europa e si liberò sbrigativamente di Morgenthau e del suo piano cinico e disumano optando poi nel 1947 per quello, diametralmente diverso, giusto, umano ed equilibrato noto come Piano Marshall.
  13. Ludwig August Theodor Beck (Biebrich, 29 giugno 1880Berlino, 21 luglio 1944) è stato un generale e poi Feldmaresciallo tedesco. Fu capo di Stato Maggiore della Wehrmacht e cervello della fallita congiura del 20 luglio 1944 contro Hitler, detta “Operazione Valchiria”. Il Feldmaresciallo Beck ebbe contatti con i governi britannici e francesi nella speranza di convincerli ad opporsi a Hitler. Alla firma del patto di Monaco del 1938 e la conseguente annessione dei Sudeti, Beck, fiero oppositore delle guerre di conquista, condannò il gesto del Führer accusandolo di condurre la Germania verso un’imminente catastrofe. Avversario del nazismo, si dimise infine nel settembre del 1938 quando, una volta divenuta chiara l’imminenza di un attacco alla Cecoslovacchia, chiese a Hitler garanzie contro eventuali future azioni militari. Le dimissioni arrivarono dopo che il Führer espresse le sue opinioni circa l’obbedienza incondizionata che l’esercito e le altre forze militari dovevano alla sua volontà. Fu il vero capo della resistenza interna alla dittatura e l’organizzatore dell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944. Dopo il fallimento dello stesso fu arrestato per ordine del generale Friedrich Fromm (comandante dell’esercito territoriale) e invitato ad uccidersi: tentò una prima volta, davanti a tutti, ma il colpo lo ferì soltanto. Sostenuto da due soldati, fu costretto ad attendere la fucilazione degli altri congiurati prima che uno degli uomini di Fromm gli amministrasse il colpo di grazia, sparandogli alla nuca. Beck, insieme ad altri cospiratori, fu sepolto in segreto, quella notte, nell’antico cimitero di San Matteo a Berlino-Schöneberg. Poco dopo, i morti furono riesumati dalle SS, cremati nel crematorio di Wedding e le ceneri sparse sui campi fognari di Berlino. Il Feldmaresciallo Beck fu anche autore dei piani d’invasione della Francia, che poi sarebbero caduti misteriosamente nelle mani degli Alleati a causa della cattura di un aereo da ricognizione tedesco atterrato fortunosamente sul territorio belga. I piani di invasione di Beck verranno successivamente sostituiti con quelli, radicalmente diversi, ideati dal generale Erich von Manstein, modificati dallo stesso Hitler e sarebbero poi stati messi in atto da Walther von Brauchitsch nel maggio 1940.
  14. L’Ammiraglio Canaris animò un’organizzazione soprannominata “Orchestra Nera” che nel 1938, dopo l’annessione dei Sudeti, avvisò il Generale Francisco Franco – il Caudillo de España – dei piani tedeschi per l’invasione della Gibilterra britannica e gli chiese di impedire il passaggio di truppe germaniche attraverso la Spagna. Nello stesso anno, e successivamente nel 1939, l’Ammiraglio fu coinvolto nello studio di due piani per assassinare Hitler. Lo stesso Servizio Abwher da lui diretto accolse tra le proprie fila, scientemente, diversi oppositori del Regime nazista e formò agenti doppiogiochisti che lavorarono efficacemente a favore degli Alleati con determinante attività di informazione e disinformazione, come testimoniano alcune eminenti figure tra le quali spicca Dušan “Duško” Popov, agente serbo doppiogiochista dell’Abwehr e contemporaneamente dell’MI5 britannico, che ha poi ispirato Ian Fleming nella creazione della figura dell’Agente 007 (si veda la precedente nota n.164).
  15. Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg (Jettingen-Scheppach, 15 novembre 1907Berlino, 21 luglio 1944) è stato un militare tedesco di alto grado che svolse un ruolo di primo piano nella progettazione e successiva esecuzione dell’attentato del 20 luglio 1944 ad Adolf Hitler (noto anche come Operazione Valchiria), e nel successivo tentativo di colpo di stato. Il suo cognome completo era Schenk Graf von Stauffenberg, in quanto la famiglia Stauffenberg aveva aggiunto il termine Graf (conte), come parte del cognome, dopo l’abolizione dei titoli nobiliari da parte della Repubblica di Weimar. Claus Schenk von Stauffenberg nacque nel 1907, a Jettingen-Scheppach, in Baviera, proveniente da un’aristocratica famiglia cattolica, gli Stauffenberg, casata risalente al XIII secolo. Suo padre era il conte Alfred Schenk von Stauffenberg e sua madre era la contessa Karoline von Üxküll. Tra i suoi antenati poteva vantare il feldmaresciallo conte Ludwig Yorck von Wartenburg e il feldmaresciallo conte August Neidhardt von Gneisenau. Essi, assieme a Gerhard von Scharnhorst e Carl von Clausewitz, intrapresero una radicale opera di rinnovamento di tutto il sistema militare prussiano dopo la sconfitta contro Napoleone Bonaparte alla battaglia di Jena, avendo anche un ruolo fondamentale nella creazione dello stato maggiore prussiano, la prima istituzione del genere al mondo. Dopo l’infanzia e adolescenza trascorse a Stoccarda, il 1º aprile del 1926, all’età di 19 anni, si arruolò volontario nel reggimento nel quale aveva prestato servizio suo zio, il conte Nikolaus von Üxküll: il 17º Cavalleria di Bamberga. Dopo la prima guerra mondiale, l’esercito tedesco era stato drasticamente ridotto nelle dimensioni e gli aspiranti ufficiali dovevano prima prestare servizio nella truppa. Divenne tenente il 1º maggio 1930. Inizialmente, pur non condividendone alcuni aspetti, aderì al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, per poi rigettare la propria fede nel Governo Hitler, quando la guerra volse per il peggio. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, prestò servizio come ufficiale di stato maggiore della 1ª Divisione Leggera (Leichte Infanterie-Division), divenuta poi 6. Panzer-Division in Polonia dal settembre 1939 al giugno 1940, quando fu trasferito al comando supremo di Berlino. Dopodiché prese parte alla campagna di Francia e all’operazione Barbarossa, l’attacco tedesco all’Unione Sovietica. Successivamente fu inviato in Tunisia come ufficiale di Stato Maggiore della 10ª Divisione Panzer, col grado di tenente colonnello, ma il 7 aprile 1943 venne ferito gravemente durante un attacco aereo della Royal Air Force. Il famoso chirurgo Ernst Ferdinand Sauerbruch riuscì a salvargli la vita, ma non poté impedire la perdita della mano destra, dell’occhio sinistro e due dita (anulare e mignolo) della mano sinistra. Nell’ottobre del 1943, venne promosso colonnello ed assegnato allo Stato Maggiore della riserva a Berlino, sotto il comando del generale Friedrich Olbricht. Nonostante le sue condizioni, von Stauffenberg, per spirito di fedeltà alla patria, continuò a prestare servizio nell’esercito, ma con animo risoluto a liberare la Germania dal malgoverno di Hitler, dopo essersi reso conto che questi stava portando il proprio paese verso la distruzione. Il suo pensiero fu esposto in una lettera che inviò alla moglie nel marzo del 1943: «Sento il dovere di fare qualcosa per salvare la Germania; noi tutti, ufficiali dello Stato Maggiore, dobbiamo assumere la nostra parte di responsabilità». Fu così che venne ordita la congiura degli ufficiali tedeschi contro il Führer, e al complotto parteciparono, insieme a Stauffenberg, anche altri alti militari, tra i quali il Feldmaresciallo generale Ludwig Beck, già capo di Stato Maggiore della Wehrmacht, e il generale Henning von Tresckow, esperto in strategia. L’attentato fu fissato per il 20 luglio 1944 e si sarebbe realizzato nella sede del quartier generale di Hitler, la cosiddetta Tana del Lupo, a Rastenburg, e venne denominato Operazione Valkiria. Alcune circostanze resero, però, più difficile l’attuazione del piano originale. Per il forte caldo, infatti, la riunione si svolse in un edificio in legno, con le finestre aperte, e non nel bunker dove l’esplosione, non potendosi sfogare all’esterno, sarebbe stata enormemente più devastante. Inoltre, Stauffenberg aveva predisposto originariamente due bombe, ma, nella fretta, a causa dell’anticipazione della riunione di 30 minuti, riuscì ad armarne solo una. Infine, il tavolo della riunione, costruito in solido legno di quercia, attutì ulteriormente la forza d’urto dell’esplosione. La bomba, contenuta all’interno di una valigetta, fu posizionata vicino ad Hitler dallo stesso Stauffenberg, ma venne successivamente spostata dal colonnello Heinz Brandt qualche metro più lontano, facendo fallire l’attentato. Immediatamente dopo lo scoppio, Stauffenberg, come pianificato, fece ritorno a Berlino, per assumere il comando militare dell’operazione in Bendlerstrasse, per condurre da quella sede il colpo di Stato. Hitler, tuttavia, sopravvisse quasi incolume all’esplosione e Stauffenberg, Beck, Olbricht, il capo di stato maggiore colonnello Albrecht e altri congiurati vennero fatti arrestare dalle SS e dalla Gestapo, così come tutti coloro che, in qualche modo, erano venuti a contatto con loro. Gli arrestati furono torturati per ottenere rivelazioni, poi vennero trucidati, spesso senza nemmeno un processo. Anche Stauffenberg fu arrestato e fucilato alla schiena, assieme agli altri congiurati, nella stessa notte del 20 luglio 1944, nel cortile del Bendlerblock, sede del Comando Supremo dell’Esercito, a Berlino; le ceneri dei congiurati furono sparse nelle fogne cittadine su ordine di Hitler affinché «i resti dei traditori non contaminassero il suolo tedesco». Fu poi detto che, prima di essere ucciso, Stauffenberg avesse gridato: «Lunga vita alla sacra Germania!». Su ordine del Führer, tutti i membri delle famiglie dei colpevoli dovevano essere eliminati. Questo portò anche all’arresto, alla deportazione e uccisione di molti innocenti, che avevano la disgrazia di condividere il nome, anche senza essere parenti, dei congiurati. Per quanto riguarda la famiglia Stauffenberg, il 26 settembre 1933, Claus aveva sposato Nina von Stauffenberg, da cui ebbe complessivamente cinque figli: Berthold Maria Schenk Graf von Stauffenberg (che diventerà Generalmajor della Bundeswehr, attualmente in congedo), Heimeran Schenk Graf von Stauffenberg, Franz-Ludwig Schenk Graf von Stauffenberg, Valerie Ida Huberta Karoline Anna Maria Schenk Gräfin von Stauffenberg e Konstanze Schenk Gräfin von Stauffenberg, nata poco tempo dopo la morte del Colonnello. Quanto al loro destino a seguito del fallimento dell’Operazione Valchiria, il fratello maggiore, Berthold, fu giustiziato. La moglie di Stauffenberg, Nina, e i suoi quattro figli (la donna nel 1944 era incinta della quinta figlia, Konstanze, che sarebbe nata il 17 gennaio 1945, a Francoforte sull’Oder, durante la sua prigionia), furono arrestati dalle SS. I quattro figli furono messi sotto falso nome in un orfanotrofio in Bassa Sassonia. Successivamente, e fino alla fine della guerra, Nina venne tenuta prigioniera per futuri scambi presso il lago di Braies in provincia di Bolzano. Liberati dall’arrivo delle truppe alleate, tutti i membri della famiglia poterono finalmente riunirsi dopo la fine della guerra. Nina è morta il 2 aprile 2006. Secondo alcune fonti è emerso anche un possibile coinvolgimento, o per lo meno un incoraggiamento, al tirannicidio da parte del Vaticano e del papa stesso. Come documentano i rapporti al Foreign Office di sir d’Arcy d’Osborne, rappresentante diplomatico del Regno Unito presso la Santa Sede, Pio XII manteneva, tramite vari emissari, dei rapporti costanti con gli oppositori tedeschi del Fuhrer. Stauffenberg, cattolico praticante, amico personale di molti esponenti del Circolo di Kreisau frequentato sia da alti membri ecclesiastici che da civili e militari della dissidenza interna contro Hitler (come attestano sia il diario che alcune lettere del suo fondatore, il conte Helmuth James Graf von Moltke), incontrò pochi giorni prima dell’attentato il vescovo Konrad von Preysing Lichtenegg Moos, uno dei maggiori oppositori tra le gerarchie cattoliche, insieme al vescovo Clemens August von Galen, al regime nazista. Nel dopoguerra, a Berlino, la Bendlerstrasse (ove aveva sede il Bendlerblock – l’edificio ove erano presenti alcuni Dipartimenti dell’OKW della Wehrmacht) fu ribattezzata Stauffenbergstrasse. Vi è stato eretto un monumento alla Resistenza tedesca e, nelle vicinanze, è stato realizzato un museo, aperto nel 1994, che onora tutti i partecipanti al “complotto del 20 luglio”, insieme ad altri oppositori al nazismo.
  16. Eduard Wagner (Kirchenlamitz, 1º aprile 1894Zossen, 23 luglio 1944) è stato un generale tedesco e membro della congiura del 20 luglio 1944. Dopo il servizio militare nella prima guerra mondiale, entrò nella Reichswehr. Durante la seconda guerra mondiale, prestò servizio come Quartiermastro generale (Ufficiale anziano di Stato Maggiore, responsabile generale della sicurezza nelle aree di retroguardia del gruppo dell’esercito) tra il 1941 e il 1944, venendo promosso generale d’artiglieria il 1º agosto 1943. Il suo incarico era di enorme importanza all’interno della Wehrmacht, essendo egli incaricato di tutto l’aspetto organizzativo riguardo l’equipaggiamento, il vettovagliamento ed armamento dell’esercito combattente, il feldheer. Wagner fu uno dei cospiratori contro Adolf Hitler nel complotto dell’Operazione Valchiria; partecipò infatti all’attentato del 20 luglio 1944 disponendo l’aereo che portò Stauffenberg da Rastenburg a Berlino di rientro dopo l’esplosione dell’ordigno che si pensava avesse ucciso il Führer. Dopo il fallimento del colpo di Stato, temendo il suo imminente arresto da parte della Gestapo, si suicidò sparandosi alla testa, a mezzogiorno del 23 luglio 1944. Tuttavia, sul comportamento complessivo di Wagner vi sono anche molte ombre. Infatti, nel maggio 1941, elaborò con Reinhard Heydrich il regolamento che assicurava la cooperazione dell’esercito e dell’Einsatzgruppen nell’uccisione degli ebrei sovietici. Sul fronte orientale, ebbe il compito di garantire l’adeguatezza dell’abbigliamento invernale fornito alle forze tedesche; il 27 novembre 1941, affermò: “Siamo alla fine delle nostre risorse, sia di personale sia di materiale. Stiamo per confrontarci con i pericoli del pieno inverno”. Alla fine di febbraio 1943, Otto Bräutigam, diplomatico ed avvocato tedesco del Ministero degli Esteri. – Dipartimento del Reich per i territori orientali occupati – ebbe la possibilità di leggere una relazione personale di Wagner su una discussione avuta con Heinrich Himmler, in cui Himmler aveva espresso l’intenzione di uccidere circa l’80% della popolazione di Francia e Inghilterra dopo la vittoria tedesca. Fu probabilmente questo che spinse Wagner ad opporsi ad Hitler ed a partecipare al complotto del 20 luglio 1944. (Fonte: Enciclopedia libera del Web Wikipedia – versione tedesca – ed altre fonti aperte sul web)
  17. Job Wilhelm Georg Erdmann Erwin von Witzleben (Breslavia, 4 dicembre 1881Berlino, 8 agosto 1944) è stato un generale (feldmaresciallo) tedesco, prestò servizio nella prima e nella seconda guerra mondiale. Nominato feldmaresciallo nel 1940 dopo la vittoriosa campagna di Francia, fu giustiziato a seguito del fallito attentato a Hitler del 20 luglio 1944. Nel 1944, appunto, von Witzleben prese parte alla progettazione e alla realizzazione dell’Operazione Valchiria. Secondo i piani dei cospiratori, il generale Ludwig Beck avrebbe dovuto assumere il ruolo di capo di Stato, mentre proprio von Witzleben sarebbe dovuto diventare Comandante supremo della Wehrmacht. Dopo lo scoppio della bomba nel quartier generale di Hitler nella Prussia orientale, von Witzleben tardò a raggiungere Stauffenberg e gli altri cospiratori al Bendlerblock (utilizzato da diversi dipartimenti dell’Oberkommando der Wehrmacht (OKW) dal 1938, in particolare l’Oberkommando des Heeres e l’agenzia di intelligence Abwehr) a Berlino per assumere il comando della Wehrmacht. Quando si presentò al quartier generale era ormai sera e il tentativo di colpo di Stato era ormai chiaramente fallito. Dopo meno di un’ora von Witzleben lasciò Berlino per tornare a Zossen, dove riferì la situazione al generale dell’artiglieria Eduard Wagner, tornando poi alla sua tenuta di campagna, a 30 miglia di distanza, dove fu arrestato il giorno successivo dal Generalleutnant (tenente generale) Viktor Linnarz dell’ufficio del personale dell’OKH. Fu impiccato l’8 agosto 1944, a seguito della sentenza di morte emessa contro di lui dal famigerato tribunale del Popolo (Volksgerichtshof). Durante il processo, come ultima umiliazione pubblica, von Witzleben fu costretto a presentarsi in udienza senza poter indossare cinture o bretelle; ciò lo obbligava a tirarsi su di continuo i pantaloni mentre era in piedi di fronte alla corte: questo gli valse gli insulti dell’invasato presidente della corte Roland Freisler. Dopo la sua condanna a morte, Von Witzleben si rivolse a Freisler ed affermò sprezzante: «Potrete anche consegnarci al boia, ma da qui a una manciata di mesi le più grandi potenze della terra, disgustate e furiose, vi distruggeranno per sempre. E se sarete fortunati, con molta più lungimiranza e correttezza, vi obbligheranno a rendere conto per tutti gli orrendi e reali crimini a cui noi oggi abbiamo tentato di mettere fine anzitempo», profezia che si rivelò corretta.
  18. Friedrich Olbricht (Leisnig, 4 ottobre 1888Berlino, 21 luglio 1944) è stato un generale tedesco, compartecipe dell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944. La sua sfiducia per il nazismo fu chiara subito, soprattutto dopo il Putsch di Monaco del 1923. Si schierò allora al fianco di altri Ufficiali, Hans Oster, Erwin von Witzleben e Georg Thomas, i quali avevano preso le distanze dal nuovo movimento nazional-socialista, preoccupati per il fascino che quest’ultimo esercitava su numerosi militari. Nel 1926 ricoprì il ruolo di responsabile del “Dipartimento degli affari militari esteri”, presso il Ministero degli Esteri del Reich. Nel 1933, fu nominato comandante in capo della divisione di Dresda. Nei giorni successivi alla Notte dei lunghi coltelli, riuscì a salvare numerosi uomini, già arrestati e prossimi all’esecuzione, assegnando loro, sotto protettorato militare, incarichi politico-militari. Nel 1935 fu promosso al grado di capo di stato maggiore del IV Corpo d’armata di stanza a Dresda e nel 1938 diventò comandante della 4ª Divisione Fanteria. Lo stesso anno tentò, senza successo, la reintegrazione del generale Werner von Fritsch, costretto a cedere la sua carica a causa di un’accusa di omosessualità (vedi anche Scandalo Fritsch-Blomberg) costruita ad arte. Dall’inverno del 1941 curò la stesura dell’Operazione Valchiria, piano militare a cui ricorrere, almeno apparentemente, in caso di rivolte intestine, ma che, in realtà, costituì l’ossatura del fallimentare colpo di stato del 20 luglio 1944. In collaborazione con i circoli di opposizione, orbitanti attorno alla figura del colonnello-generale Ludwig Beck, dell’ex borgomastro di Lipsia Carl Friedrich Goerdeler e del maggior generale Henning von Tresckow, organizzò tentativi di attentati alla vita di Adolf Hitler, al fine di deporre il regime nazista. Nel 1943, ordinò il trasferimento del colonnello Claus Schenk von Stauffenberg presso il suo ufficio all’Alto comando. Costui sarebbe diventato la figura chiave del complotto ed ebbe l’incarico di piazzare una bomba direttamente nella Tana del Lupo a Rastenburg. Il giorno del colpo di Stato, 20 luglio 1944, Olbricht ed il colonnello Albrecht Ritter Mertz von Quirnheim diedero il via all’Operazione Valchiria, mobilitando la Riserva. Tuttavia, quando fu chiaro che la bomba piazzata da Stauffenberg non aveva ucciso il Führer, il tentativo di prendere possesso dei luoghi chiave a Berlino (come ad esempio la sede del Governo, il Ministero degli Interni, il Quartier generale delle SS), assieme a tutti i suoi distretti, fallì. I Nazisti riuscirono a riprendere il controllo in poche ore, grazie alle truppe rimaste fedeli al regime. Alle 21:00 dello stesso giorno, soldati del distaccamento di Berlino arrestarono Olbricht e numerosi cospiratori. Il colonnello generale Friedrich Fromm convocò una sommaria corte marziale. Olbricht, Quirnheim, Haeften e Stauffenberg furono condotti nel cortile del Benderblock (sede dell’OKW della Wehrmacht) e velocemente giustiziati da un plotone d’esecuzione, mentre il colonnello generale Ludwig Beck invece si suicidò. Ciò costituì una palese violazione, da parte del Generale Fromm, dell’ordine di Hitler di consegnargli i congiurati vivi, presumibilmente dovuta al fatto di essere stato messo a conoscenza del complotto, pur non avendoci partecipato, ma non avendo fatto nulla per fermarlo né altrimenti avendolo comunicato al Führer o alle alte Gerarchie naziste. Fromm, quindi, temendo per la sua vita, reagì ordinando di giustiziare immediatamente tutti i cospiratori di cui era a conoscenza, mentre il Führer aveva ordinato al maggiore Remer di catturarli vivi.
  19. Hans Paul Oster (Dresda, 9 agosto 1887Flossenbürg, 9 aprile 1945) è stato un generale tedesco. Maggior generale dell’Esercito tedesco, fu una figura di spicco dell’opposizione al regime nazista di Adolf Hitler. Riuscì ad operare fino al 1944, quando fu arrestato in seguito al fallito attentato del 20 luglio. Faceva parte dal 1935 del servizio d’intelligence militare, l’Abwehr. Ufficiale della Wehrmacht, già nel 1937 aveva progettato di rovesciare Hitler, con il Conte Hans-Jürgen von Blumenthal e altri ufficiali che dovevano marciare all’interno della Cancelleria del Reich e arrestarlo (la cosiddetta Cospirazione Oster), con l’appoggio della Gran Bretagna. Il piano venne però cancellato quando il Primo Ministro del Regno Unito Neville Chamberlain decise di adottare una politica di appeasement nei confronti della Germania nazista. Nel 1938, promosso colonnello, diviene capo del dipartimento centrale, organizzazione e personale dell’Abwher. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, Oster informò il governo olandese della data esatta della prevista invasione dei Paesi Bassi. Nel 1942 è promosso Generalmajor (generale di divisione). Nel 1943 però, le accuse sempre più pesanti di aver aiutato gli ebrei, portarono alle sue dimissioni. Nel 1944, venne arrestato dalla Gestapo il giorno dopo il fallito attentato del 20 luglio. Dopo un processo farsa presso il Tribunale del Popolo presieduto dal Giudice Roland Freisler, l’8 agosto 1944 fu condannato a morte assieme a Dietrich Bonhoeffer e Wilhelm Canaris, suo Superiore e Capo dell’Abwehr. Il 9 aprile 1945 fu impiccato, come molti altri congiurati, nel campo di concentramento di Flossenbürg. Per ulteriore umiliazione Oster fu impiccato nudo. Il campo di concentramento fu liberato pochi giorni dopo dagli Alleati. Di famiglia evangelica, di lui è stato scritto che avesse una concezione chiara dell’etica, specialmente religiosa.
  20. Henning Hermann Robert Karl von Tresckow (Magdeburgo, 10 gennaio 1901Ostrów Mazowiecka, 21 luglio 1944) è stato un generale tedesco della Heer (la forza armata di terra della Wehrmacht) durante la seconda guerra mondiale. Membro molto attivo della resistenza tedesca, ha partecipato ai falliti attentati contro Adolf Hitler: quello delle bottiglie di Cointreau (Operazione Spark) e quello del 20 luglio 1944 (Operazione Valchiria). Studiando i possibili scenari bellici si rese conto dei gravi rischi che la politica estera di Adolf Hitler comportava per la Germania. Per quanto fosse favorevole alla rivendicazione del corridoio polacco, fu però molto critico su numerose decisioni prese dal Führer, dall’Anschluss all’invasione della Cecoslovacchia, alla cui pianificazione, tuttavia, partecipò in prima persona. All’inizio della seconda guerra mondiale servì, col grado di maggiore, nello stato maggiore della 228ª divisione di fanteria in Polonia, guadagnandosi la Croce di Ferro di prima classe. Assistette anche come testimone alle atrocità commesse dalla Gestapo e dalle SS contro i prigionieri e fu scioccato dal fatto che le proteste sollevate dall’unico generale che ebbe il coraggio di parlare (il colonnello generale Johannes Blaskowitz) vennero liquidate da Hitler come “stupidaggini da bambini”. Quale capo dell’ufficio operazioni del Gruppo d’armate Centro (Heeresgruppe Mitte), riuscì a riunire sistematicamente attorno a sé, ponendoli in posizioni chiave, numerosi ufficiali che avevano le sue stesse idee (come i colonnelli Rudolf Christoph Freiherr von Gersdorff, Georg Schulze-Büttger e Berndt von Kleist, il maggiore Carl-Hans Graf von Hardenberg, i tenenti Philipp von Boeselager assieme al fratello Georg, Heinrich Graf von Lehndorff-Steinort e diversi altri), creando presso il quartier generale del Gruppo d’armate Centro un gruppo di ufficiali cospiratori, in costante contatto con il movimento di resistenza berlinese, che faceva capo a Carl Friedrich Goerdeler e al generale Beck. Quando, nel 1942, il colonnello – poi maggior generale – Hans Oster, vice capo dell’Abwehr (il servizio segreto militare) e attivissimo cospiratore, già coinvolto nel 1938 in un tentativo di rovesciare il nazismo, reclutò alla causa contro Hitler il colonnello generale Friedrich Olbricht (Intendente generale dell’esercito territoriale) si creò un forte collegamento tra il gruppo Tresckow e i cospiratori del gruppo berlinese. La prima occasione di agire sarebbe dovuta arrivare il 13 marzo del 1943, quando finalmente Hitler, dopo mille rinvii, avrebbe visitato il fronte orientale presso Smolensk dove misero in atto l’operazione Spark, ovvero l’eliminazione di Hitler mediante un pacchetto che conteneva due bottiglie di Cointreau che dovevano esplodere durante il loro volo di ritorno. Assieme ad altri congiurati, Tresckow si allenò con il tiro con la pistola per uccidere sia Adolf Hitler che Heinrich Himmler durante il pranzo alla mensa ufficiali, nel momento in cui si sarebbero seduti. Avevano predisposto in modo tale da porre il Führer e il suo delfino sotto un fuoco incrociato; tuttavia, anche a causa della cancellazione della visita da parte di Himmler, vi fu la decisa opposizione del feldmaresciallo von Kluge, che, benché personalmente connivente, convinse i congiurati a non mettere in atto il piano per il rischio di una guerra civile che un Himmler vivo avrebbe comportato, opponendo le SS all’esercito. Tresckow aveva però un piano di riserva, consistente nel porre una bomba sull’aereo di Hitler, in modo tale che, esplodendo in volo, avrebbe sicuramente eliminato il dittatore. Il 14 marzo, assieme al suo aiutante Fabian von Schlabrendorff, mise la bomba, di fabbricazione inglese con innesco chimico, all’interno di una cassa di bottiglie di liquore Cointreau, chiedendo poi al tenente colonnello Heinz Brandt, che era al seguito di Hitler, di recapitarlo al suo amico colonnello Hellmuth Stieff, di servizio al quartier generale di Rastenburg. La bomba fu posta nella stiva. L’aereo sarebbe dovuto esplodere sopra Minsk, ma la fortuna aiutò ancora Hitler, perché l’innesco non funzionò a causa della temperatura troppo bassa all’interno della stiva, che formò una patina di ghiaccio. Appena avuta notizia del fallimento, il tenente Schlabrendorff si precipitò a Rastenburg, con un pretesto, per recuperare, come fece, la cassa esplosiva prima che venisse aperta. Una settimana dopo, il 21 marzo 1943, il Gruppo d’armate Centro organizzò un’esposizione di bandiere e armi, catturate all’Armata Rossa, presso lo Zeughaus Berlin, l’arsenale di Berlino. Hitler sarebbe dovuto intervenire insieme a Hermann Göring e Heinrich Himmler. Il colonnello Gersdorff si offrì come volontario per una missione suicida, portando addosso delle bombe che avrebbe fatto esplodere, gettandosi addosso ad Hitler, al quale avrebbe dovuto fare da guida nell’esposizione. A causa di una drastica riduzione del tempo dedicato alla visita e dal conseguente cambio di programma anche questo tentativo fallì, e Gersdorff riuscì a liberarsi delle bombe senza farsi scoprire. Altri tentativi analoghi fallirono, un po’ a causa di particolari fortuiti, un po’ per l’abitudine di Hitler di cambiare programma all’ultimo momento. Nel frattempo, Tresckow cercò instancabilmente di convincere alcuni dei suoi influenti superiori, dallo zio (il feldmaresciallo Fedor von Bock) al feldmaresciallo von Kluge e al generale von Manstein, ad unirsi alla cospirazione per il bene della Germania. Nessuno degli alti ufficiali che Tresckow tentò di coinvolgere andarono oltre la silente approvazione. È un fatto che nessuno di essi denunciò mai Tresckow per i propri discorsi, che, da soli, potevano ben essere considerati alto tradimento. Il ruolo di Tresckow nel più importante tentativo di rovesciare il nazismo fu piuttosto marginale, dato che, servendo sul fronte russo con von Kluge dapprima al comando di un reggimento e poi, promosso maggior generale, come capo di stato maggiore della 2ª armata, non aveva materialmente la possibilità di poter operare personalmente. Tuttavia, durante una lunga licenza per malattia, tra l’agosto e il settembre del 1943, egli risiedette a Berlino ed ebbe un ruolo importante nella “riscrittura” dei piani relativi all’Operazione Valchiria, il complotto che revisionò con l’aiuto del colonnello Claus Schenk von Stauffenberg. Quando quest’ultimo si assunse personalmente l’onere materiale di uccidere Hitler, dal fronte russo Tresckow gli consigliò di procedere con il tentativo di colpo di Stato in Germania, anche nel caso in cui l’attentato non fosse andato a buon fine. Riteneva di importanza fondamentale che, anche agli occhi del mondo, rimanesse traccia di un tentativo forte da parte dei tedeschi stessi di liberarsi del nazismo. Henning von Tresckow si suicidò il 21 luglio 1944, con una bomba a mano alla testa, dopo aver saputo del fallimento del colpo di Stato del 20 luglio. Per proteggere gli altri congiurati cercò di simulare un attacco partigiano nella terra di nessuno; il piano fu talmente ben congegnato che inizialmente nessuno sospettò nulla, tanto che il corpo di Tresckow venne sepolto come eroe di guerra, con tutti gli onori militari, nella tenuta di famiglia di Wartenberg (odierna località polacca di Chełm Dolny, nel comune urbano-rurale di Trzcińsko-Zdrój). Quando, però, gli agenti nazisti scoprirono il suo coinvolgimento nella congiura, il suo corpo venne riesumato e bruciato nel forno crematorio del campo di concentramento di Sachsenhausen. La moglie e i figli vennero arrestati dalla Gestapo, ma riuscirono a sopravvivere alla guerra. La mattina del 21 luglio, il giorno del suicidio, Tresckow era riuscito a spedire una lettera d’addio alla moglie assieme ad un ritaglio di giornale che riportava questa poesia: «Colui che riesce a mantenere intatti i sogni dell’infanzia / A conservarli dentro al suo petto nudo e indifeso, / Colui che, incurante dell’irrisione di questo mondo, / osa vivere come sognava da bambino, / Fino all’ultimo giorno: questo sì che è un uomo, un uomo vero» Nel corso della guerra ottenne anche la Croce tedesca in oro, intermedia tra la Croce di Ferro di 1ª classe e la Croce di cavaliere, ed altre decorazioni. Appartenente alla migliore nobiltà prussiana, Henning von Tresckow fu militare assai ben preparato. Abilissimo organizzatore, costituì una delle anime più accese del movimento di resistenza interna al nazismo, pagando con la vita le indecisioni, la disorganizzazione e, in ultima analisi, il fato avverso del 20 luglio 1944.
  21. Albrecht Ritter Mertz von Quirnheim (Monaco di Baviera, 25 marzo 1905Berlino, 21 luglio 1944) è stato un ufficiale tedesco che fece parte dell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944. Dopo la sua maturità, si arruolò nella Reichswehr, nel 1923. La sua amicizia con il colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, che sarebbe diventato l’esecutore dell’attentato del 20 luglio, iniziò nel 1925. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Quirnheim venne nominato ufficiale di stato maggiore. Egli aveva inizialmente accolto con favore l’ascesa al potere di Hitler del 1933, ma cominciò a prendere le distanze dal regime man mano che diventava più consapevole della sua brutalità. Nel 1941, per esempio, il suo sostegno per un trattamento più umano dei civili nell’Europa orientale, occupata dai nazisti, innescò una controversia tra Alfred Rosenberg, ministro del Reich per i territori orientali occupati, e Erich Koch, commissario del Reich per l’Ucraina. Nel 1942, pur essendo promosso tenente colonnello e poi a Capo di Stato Maggiore della XXIV armata sul fronte orientale, Quirnheim rafforzò i suoi legami con la resistenza, attraverso il suo fratellastro Wilhelm Dieckmann. Venne promosso colonnello nel 1943, anno in cui sposò Hilde Baier. Nel settembre 1943, cominciò il coinvolgimento di Quirnheim nel complotto per assassinare Hitler. Lui, il suo superiore generale Friedrich Olbricht e l’Oberst (Colonnello) Stauffenberg elaborarono l’Operazione Valchiria, un piano d’azione che mirava alla presa di potere a Berlino da parte dei congiurati, da attuare non appena Hitler fosse stato ucciso dall’esplosione. Subito dopo l’attentato al Fuhrer a Rastenburg, nella Prussia orientale, il 20 luglio 1944, Quirnheim esortò il generale Olbricht ad attivare immediatamente l’Operazione Valchiria, anche se non poteva essere sicuro che Hitler fosse davvero morto. Presto, però, cominciarono ad arrivare notizie che Hitler era sopravvissuto al tentativo di assassinio. In poche ore Quirnheim, Stauffenberg, Olbricht e Werner von Haeften vennero arrestati, sommariamente processati dal Colonnello Generale Friedrich Fromm, uccisi e sepolti nel cimitero di Matthäus, nel distretto berlinese di Schöneberg. Vi è una lapide a ricordo dell’azione nel cimitero. Heinrich Himmler ordinò poi che i corpi venissero riesumati, bruciati e le ceneri disperse. Pochi giorni dopo i genitori di Quirnheim e una delle sue sorelle vennero arrestati dalla Gestapo, mentre il fratellastro Wilhelm Dieckmann venne giustiziato il 13 settembre 1944.
  22. Hans-Jürgen Adam Ludwig Oscar Leopold Bernhard Arthur von Blumenthal (Potsdam, 23 febbraio 1907Berlino, 13 ottobre 1944), rampollo dell’alta nobiltà prussiana, è stato un militare tedesco, oppositore monarchico del nazismo. Blumenthal fu membro della resistenza dei monarchici al regime nazista e fu il maggiore responsabile della distribuzione di volantini anti-nazisti. Nel 1938 fu clandestinamente negli USA, divulgando informazioni sulle crudeltà delle SA e delle SS. Arruolato come ufficiale per la campagna di Polonia, ebbe modo di vedere dal vero le atrocità dei campi di concentramento e scrisse un resoconto sulle condizioni dei civili polacchi al suo comandante Hyazinth Strachwitz, un convinto antinazista, che fece reclamo a Hubert Lanz, il quale respinse la missiva del collega. Successivamente fece circolare tra gli alunni della scuola militare di Monaco il libretto Wir Soldaten (“Noi soldati”), che raccontava appunto delle crudeltà commesse dai soldati tedeschi in Polonia e faceva propaganda contro Adolf Hitler. Nell’agosto 1939 era nel frattempo entrato a far parte dell’Abwehr e fu uno dei principali responsabili del sabotaggio di alcune istituzioni naziste. Divenne amico di Claus Schenk von Stauffenberg e Dietrich Bonhoeffer, affascinato dal senso mistico di questi, e partecipò alla cospirazione del 20 luglio 1944. Il 23 luglio 1944 venne arrestato dalla Gestapo mentre era in vacanza con la famiglia a Rostock e, giudicato dal Tribunale del Popolo, presieduto dal giudice-boia di Hitler, Roland Freisler, fu condannato a morte, pena portata a termine tramite impiccagione. Venne infatti impiccato ad un gancio da macellaio presso il carcere di Plötzensee. È ricordato dal maggiore cronista degli attentati ad Hitler, Fabian von Schlabrendorff, come il maggiore membro della resistenza monarchica al nazismo.
  23. Werner Karl von Haeften (Berlino, 9 ottobre 1908Berlino, 21 luglio 1944) è stato un militare tedesco durante la seconda guerra mondiale, compartecipe dell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944. Haeften si laureò in giurisprudenza all’università di Berlino e dopo la conclusione degli studi lavorò presso una banca ad Amburgo, dove svolse l’attività di consulente fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, quando si arruolò nell’esercito tedesco. All’inizio del conflitto prestò servizio con il grado di tenente dapprima come ufficiale della riserva e successivamente come comandante di un plotone di fanteria sul fronte orientale durante l’Operazione Barbarossa, dove nell’inverno del 1942 fu ferito gravemente e rimpatriato. Non riuscì a riprendere servizio prima del 1943 quando, finito il periodo di convalescenza, ricevette un incarico a Berlino allo Stato Maggiore della riserva come aiutante del colonnello Claus Schenk von Stauffenberg. Il tenente Haeften si trovava nel Bendlerblock, sede del Ministero della guerra e utilizzato come quartier generale della cospirazione, insieme ai principali congiurati (Stauffenberg, il generale Friedrich Olbricht, il colonnello Albrecht Mertz von Quirnheim e il generale Ludwig Beck) quando fu arrestato dal maggiore Otto Ernst Remer e immediatamente condannato a morte insieme agli altri cospiratori su ordine del generale Friedrich Fromm, comandante della riserva a conoscenza dei piani dell’attentato. Buona parte dei militari cospiratori ad eccezione di Beck, al quale fu concesso di suicidarsi, furono uccisi poco dopo la mezzanotte da un plotone di esecuzione composto da dieci uomini del reggimento Großdeutschland nel cortile dello stesso edificio. Quando fu il turno di Stauffenberg, un attimo prima della sua fucilazione, Haeften si frappose tra lui e il plotone, rimanendo ucciso dai proiettili destinati al colonnello. Immediatamente dopo l’esecuzione il corpo del tenente Haeften fu traslato nel cimitero di Schöneberg, ma su ordine di Heinrich Himmler fu riesumato, cremato e le ceneri furono disperse. Successivamente, anche suo fratello Hans subì la medesima sorte e fu giustiziato il 15 agosto nel carcere di Plötzensee.
  24. Julius Leber (Biesheim, 16 novembre 1891Berlino, 5 gennaio 1945) è stato un politico tedesco. Fu deputato del Partito Socialdemocratico di Germania al Reichstag dal 1924 fino al 1933; massone, dopo l’avvento al potere di Hitler fu tra i più tenaci oppositori del regime, finendo più volte in carcere tra il 1933 ed il 1937. Fece parte della congiura contro Hitler in cui figuravano Ernst von Harnack, Ludwig Schwamb, Ludwig Beck e Claus Schenk von Stauffenberg. Secondo i congiurati, Leber avrebbe dovuto diventare il nuovo Ministro degli Interni dopo il colpo di stato. Tradito da un informatore, Leber fu arrestato dalla Gestapo il 5 luglio 1944, quindici giorni prima dell’attentato a Hitler. Giudicato dal tribunale speciale del popolo, il Volksgerichtshof, fu condannato a morte il 20 ottobre 1944. Fu giustiziato il 5 gennaio 1945 a Berlino nella prigione di Plötzensee. A Julius Leber è stato dedicato un ponte nella città di Berlino.
  25. Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa. L’Ufficio Storico del V Reparto dello SMD è stato costituito il 1° dicembre 2006 e nel corso del 2013 ha acquisito tutte le competenze della Commissione Italiana di Storia Militare (CISM) che, istituita nel 1986, ha cessato di esistere nel 2012. L’Ufficio promuove iniziative, studi e pubblicazioni a scopo scientifico, illustrativo e divulgativo, con particolare riferimento all’organizzazione e/o partecipazione a manifestazioni, mostre e convegni nazionali e internazionali in coordinamento e collaborazione con gli Uffici Storici di Forza armata e del Comando Generale della Guardia di Finanza, nonché di esperti di comprovato spessore scientifico scelti in ragione degli incarichi ricoperti, anche in ambito universitario, degli studi svolti e delle opere pubblicate. Coordina le attività dell’archivio storico documentale e fotografico dello Stato Maggiore dell’Esercito e delle altre Forze Armate, nonché la raccolta, conservazione e valorizzazione dei fondi documentali delle varie unità dell’Esercito dall’epoca risorgimentale ad oggi.
  26. Esfiltrazione: Termine utilizzato soprattutto nel gergo militare e significa mettere in salvo, al riparo, portare fuori da una situazione e da un ambiente ostili.
  27. Heinz Wilhelm Guderian (Kulm, 17 giugno 1888Schwangau, 14 maggio 1954) è stato un generale tedesco. Tra i più abili generali della seconda guerra mondiale, è considerato il padre e l’ufficiale più importante delle truppe corazzate tedesche, che contribuì a organizzare durante gli anni trenta e guidò poi sul campo con grande efficacia nel periodo iniziale della guerra, conseguendo una serie di clamorosi successi nelle campagne di Polonia e di Francia ma anche durante l’Operazione Barbarossa di invasione del territorio sovietico. Si oppose fermamente alla strategia d’attacco voluta da Hitler sul fronte russo. Entrato in contrasto con Hitler, a causa di una ritirata tattica non autorizzata e contraria alle direttive del Führer favorevoli a una difesa ad oltranza sulle posizioni raggiunte, ed anche con il nuovo comandante del Gruppo d’armate Centro, feldmaresciallo von Kluge (con cui aveva già duramente polemizzato in precedenza sin dal fronte francese), Guderian venne bruscamente destituito il 26 dicembre 1941 dal suo comando del Panzergrueppe 2 (ridenominato 2. Panzerarmee) e collocato a riposo, nonostante i grandi servigi resi al Terzo Reich dal punto di vista teorico-organizzativo e con le sue vittoriose campagne di guerra alla testa dei panzer. Dopo circa un anno a riposo ma con seri problemi di salute cardiaci, nel febbraio 1943 (dopo la catastrofe di Stalingrado) venne invece inaspettatamente richiamato da Hitler e designato Inspekteur der Panzertruppen (Ispettore generale delle truppe corazzate) e diede un grande impulso in collaborazione col ministro degli armamenti Albert Speer alla produzione di carri armati e alla riorganizzazione delle truppe corazzate. Mentre sul piano organizzativo e tecnico i risultati raggiunti da Guderian nel suo nuovo incarico furono indubbiamente notevoli, sul piano dell’impiego delle forze corazzate e più in generale della strategia globale della guerra il generale entrò nuovamente in contrasto con Hitler. Contrariamente ai suoi suggerimenti volti a ricostituire con metodo le Panzer-Division e riportarle a piena forza prima di pianificare e sferrare nuove offensive, il Führer, assillato da molteplici impegni operativi sui teatri bellici e da esigenze politico-strategiche, ritenne necessario l’impiego costante e prolungato delle forze corazzate così com’erano in quanto ritenute indispensabili per puntellare il precario fronte tedesco all’est. Guderian si oppose anche alla progettata “Operazione Zitadelle” (“Operazione Cittadella”, conosciuta anche come battaglia di Kursk) che, nei fatti, si concluse con un grave fallimento strategico, e provocò sensibili perdite alle preziose riserve corazzate tedesche, impegnate prematuramente contro un fronte difensivo sovietico accuratamente preparato e dotato di grandi riserve corazzate e meccanizzate pronte ad intervenire. Privo di potere reale dal punto di vista strategico-operativo, Guderian dovette limitarsi a consigliare un impiego più oculato e concentrato delle Panzer-Divisionen, consigli vanificati inesorabilmente dalla realtà del campo di battaglia e dalla necessità di frenare le continue offensive sovietiche su tutto il fronte orientale. Anche riguardo all’impiego delle riserve mobili sull’“Invasionfront” Guderian, favorevole alla costituzione di una grande riserva centrale da impiegare in blocco, entrò in contrasto con Hitler ed anche con Rommel; in concreto Rommel e Hitler, scettici sulle possibilità di movimento delle Panzer-Divisionen in campo aperto di fronte alla superiorità aerea Alleata, impegnarono le riserve corazzate in modo frammentario, limitandosi a inefficaci contrattacchi tattici. Heinz Guderian venne inaspettatamente nominato capo di stato maggiore generale dell’Oberkommando des Heeres (OKH, l’Esercito) in sostituzione di Kurt Zeitzler il 21 luglio 1944 dopo l’attentato a Hitler da parte di von Stauffenberg. Non coinvolto nel complotto, e ritenuto da Hitler generale affidabile, capace e non legato alla casta degli ufficiali reazionari e aristocratici della Wehrmacht, Guderian assunse quindi quest’ultimo e importante incarico, dedicandosi prevalentemente a rafforzare il franante fronte orientale per impedire un’invasione della Germania orientale, che era anche la sua regione di origine. Dopo la riuscita stabilizzazione, grazie anche agli sforzi di Guderian, del fronte est sulla Vistola, in Prussia Orientale e sul Baltico nell’estate 1944, Guderian si scontrò ancora una volta ripetutamente con Hitler: il generale fu in contrasto con il Führer sull’offensiva delle Ardenne (ritenuta un inutile spreco di forze corazzate da trattenere invece ad est), sulla battaglia di Budapest (a cui Hitler, contrariamente a Guderian, dava enorme importanza), sulla condotta della battaglia sulla Vistola, sull’Oder e in Prussia nell’inverno 1944-1945. Infine, il 28 marzo 1945, dopo un ultimo violento alterco con Hitler, Heinz Guderian venne destituito e, inviato in licenza (ufficialmente) per motivi di salute. Fu sostituito dal generale Hans Krebs che avrebbe diretto l’esercito tedesco nell’ultimo mese di guerra e sarebbe morto suicida durante la Battaglia di Berlino. Consegnatosi agli Alleati il 10 maggio in Tirolo, trascorse in detenzione i tre anni successivi, con la minaccia di essere estradato in Polonia per essere giudicato per crimini di guerra. Rilasciato il 17 giugno 1948, si ritirò a vita privata, morendo a Schwangau il 17 maggio 1954.
  28. Johannes Erwin Eugen Rommel (Heidenheim, 15 novembre 1891Herrlingen, 14 ottobre 1944) è stato un generale (feldmaresciallo) tedesco, durante la seconda guerra mondiale. Di origine sveva, dimostrò ottime doti di comando già nella prima guerra mondiale dove guidava un plotone di fucilieri del battaglione da montagna del Wurttemberg con il grado di tenente (Oberleutenant), ricevette la più alta decorazione al valore dell’Impero tedesco, la Pour le Mérite, per i risultati raggiunti con il suo reparto durante la battaglia di Caporetto nel 1917. Nel corso della seconda guerra mondiale Rommel si distinse alla guida di una Panzer-Division durante la campagna di Francia nel 1940 e quindi, godendo della piena fiducia di Adolf Hitler, assunse il comando dell’Afrikakorps tedesco in Nordafrica dove per quasi due anni dimostrò grande abilità tattica, infliggendo una serie di sconfitte alle truppe britanniche grazie alla sua capacità nella conduzione di agili e spericolate manovre con i mezzi corazzati nel deserto, ma al contempo evidenziando i suoi grossi limiti strategici e operazionali che compromisero non poco la conduzione della guerra dell’Asse in Nordafrica. Promosso al grado di feldmaresciallo, stimato dai suoi soldati e temuto dai nemici, divenne un personaggio di rilievo internazionale e uno dei beniamini della propaganda tedesca, che esaltò in modo esponenziale la sua immagine e lo fece conoscere con il soprannome di “La volpe del deserto” (Wüstenfuchs). Tornato dall’Africa nel marzo 1943, diresse, dopo l’armistizio dell’8 settembre seguente, l’occupazione dell’Italia settentrionale (operazione Achse); quindi gli venne assegnato nel 1944 il comando delle difese del Vallo Atlantico, con il compito di fermare la prevista offensiva alleata in Occidente. Nonostante il suo impegno e le sue capacità, commise il grave errore di andare in licenza durante le settimane cruciali in previsione dello sbarco alleato – che di fatto lo sorpresero a casa con la famiglia in Germania – e durante la prima parte della battaglia di Normandia non riuscì a impedire l’avanzata degli Alleati. Ferito durante un attacco aereo alleato, fu richiamato in patria per convalescenza. Il feldmaresciallo Rommel era ormai da tempo cosciente dell’inevitabile sconfitta della Germania, e a causa di qualche sporadico contatto con taluno degli Ufficiali cospiratori dell’Operazione Valchiria del 20 luglio 1944, cadde in disgrazia presso Hitler, nonostante non fosse affatto coinvolto nell’attentato e, anzi, i suoi scritti rivelassero la sua disapprovazione di qualunque tentativo di sovvertire l’ordine costituito in Germania. In considerazione della sua popolarità, la Gestapo gli propose che se si fosse suicidato la sua famiglia sarebbe stata risparmiata. Ufficialmente fu dichiarato morto a causa delle ferite di guerra e gli fu attribuito un funerale di Stato in pompa magna.
  29. La guerra lampo (in tedesco Blitzkrieg) è una tattica militare basata sulla combinazione di meccanizzazione delle truppe, potere aereo (supremazia aerea) e telecomunicazioni, volta allo sviluppo di manovre rapide e travolgenti destinate a sfondare le linee nemiche nei loro punti più deboli per poi procedere all’accerchiamento ed alla distruzione delle unità così disperse ed isolate, senza dar loro la possibilità di reagire e senza mai fornire al nemico punti statici di riferimento facilmente aggredibili, dato il costante stato di movimento delle unità attaccanti. Sebbene utilizzata, dal punto di vista moderno, per la prima volta dalle grandi unità dell’esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale, tramite un uso combinato di fanteria meccanizzata, aviazione, artiglieria e mezzi corazzati, essa era stata teorizzata, probabilmente, già a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Anche se essa venne teorizzata, nel senso moderno del termine, per la prima volta in Germania principalmente da Alfred von Schlieffen e Hans von Seeckt, rispettivamente alla vigilia della prima e della seconda guerra mondiale, tra i primi pionieri nella teoria del Blitzkrieg troviamo il colonnello inglese J.F.C. Fuller che nel 1918 stese un piano denominato 1919 che prevedeva lo sfondamento del fronte occidentale con 5.000 carri armati. In una delle sue opere più note Panzer Leader, il Generale Guderian, uno dei più grandi teorici e sviluppatori dell’impiego delle truppe corazzate, scrive: <<In questo anno, 1929, mi convinsi che i carri isolati o di supporto alla fanteria non avrebbero mai avuto un’importanza decisiva. I miei studi […] mi hanno persuaso che i carri non saranno mai in grado di produrre il loro pieno effetto fino a quando le altre armi a sostegno delle quali essi devono inevitabilmente fare affidamento non siano stati messi in condizione di muoversi alla stessa velocità. In questo genere di formazione i carri devono svolgere il ruolo primario […] sarebbe sbagliato dotare di carri le divisioni di fanteria. Ciò che è necessario sono divisioni corazzate che includano tutte le armi di supporto necessario a permettere ai carri armati di combattere con piena efficacia>>. Guderian iniziò a sperimentare nelle esercitazioni l’uso combinato di squadre corazzate, arrivando ben presto alla felice intuizione che, dotando ogni carro di adeguati sistemi di trasmissione radio, le formazioni blindate avrebbero potuto facilmente operare manovre complesse che fino ad allora erano state considerate assolutamente fuori discussione. Fin dal 1933 Guderian insisté presso il Comando Supremo affinché ogni mezzo corazzato fosse dotato di radio. Allo scoppio della guerra, soltanto l’esercito tedesco poteva vantare un simile sistema di sincronizzazione fra i carri, tanto che, a seguito delle disastrose sconfitte subite nella Campagna di Francia, gli eserciti alleati adeguarono velocemente la dotazione delle loro unità corazzate. Malgrado la notevole versatilità, la tattica della Blitzkrieg non mancò di rivelarsi gravemente inefficace in alcune situazioni. In particolare <<…Senza il vantaggio della sorpresa il nemico poteva predisporre le adeguate contromisure, con una migliore preparazione intellettuale e dottrinale poteva reagire con più efficacia e prontezza, con una maggiore mobilità poteva intraprendere contrattacchi mirati là dove le punte avanzanti mostravano segni di crisi, con buone e numerose armi anticarro poteva erodere il potenziale offensivo dei carri tedeschi o per lo meno rallentarli considerevolmente, con la superiorità aerea poteva dominare il campo di battaglia impedendo le concentrazioni di veicoli sulle strade. Se poi, una volta circondato, rifiutava di arrendersi e proseguiva caparbiamente a combattere, l’avversario non solo avrebbe trattenuto le forze tedesche in seconda schiera e preziose riserve mobili, ma avrebbe anche provocato l’allargarsi della distanza con le avanguardie che avrebbero potuto trovarsi pericolosamente isolate e soggette a contrattacchi. Data l’avidità di carburante e anche di munizioni delle truppe corazzate, questo poteva significare un vero e proprio disastro>> (cfr. Nicola Zotti, La Blitzkrieg: una sintesi, su warfare.it, www.warfare.it). Nella prima parte della seconda guerra mondiale, la Blitzkrieg venne messa in pratica solo dalla Germania nazista. Nei tardi anni trenta essa aveva riorganizzato il suo esercito per includere un certo numero di divisioni d’élite, le Panzer-Division, costituite quasi interamente da carri armati, fanteria su semicingolati per il trasporto truppe (Panzergrenadier) e camion per i rifornimenti. A questo aggiunsero una nuova arma, il bombardiere in picchiata (in particolare lo Junkers Ju 87 detto Stuka) per sostituire l’artiglieria e permettere attacchi dirompenti anche molto oltre le linee nemiche. La teoria venne usata per la prima volta contro la Polonia, dove si rivelò efficace anche se la meccanizzazione delle truppe era in quel momento ancora limitata. Dimostrò il suo vero valore nel 1940 durante la campagna di Francia, quando una grande concentrazione di panzer, al comando dei generali Ewald von Kleist, Hermann Hoth e soprattutto Heinz Guderian, seguendo il piano ideato dal generale Erich von Manstein, fece breccia nelle linee difensive e corse verso la costa prima che i difensori potessero organizzare un serio contrattacco. Un’interpretazione altrettanto efficace del Blitzkrieg fu data dal generale Erwin Rommel, che sul fronte africano riuscì a sconfiggere forze molto superiori usando abili tattiche basate sull’impiego dei panzer in gruppi mobili per colpire le retrovie e i fianchi del nemico, facendoli proteggere da sbarramenti fissi di cannoni anticarro con cui decimare i carri avversari. Infine le colonne corazzate impiegate del feldmaresciallo von Manstein fecero miracoli nel contrastare l’avanzata sovietica verso Rostov nell’inverno 1942-1943. Il termine Blitzkrieg viene usato principalmente per descrivere la tattica tedesca nella prima parte della seconda guerra mondiale, comunque la tattica in generale non era una loro esclusiva, e venne impiegata ogni volta che se ne presentò l’opportunità, specialmente dalle forze sotto il comando del generale George Patton durante l’avanzata in Normandia, dalle armate corazzate dell’Armata Rossa (guidate da abili generali come Pavel Rybalko e Michail Katukov) durante le grandi offensive del 1944-1945 sul fronte orientale e, in forma differente, dai giapponesi nella loro rapida avanzata durante il 1941 e 1942 dove i trasporti marittimi, l’artiglieria leggera, e le marce forzate, sostituirono largamente i camion e i carri armati.

 

  1. Le Panzer-Division tedesche furono il punto di forza fondamentale della Wehrmacht durante la seconda guerra mondiale, e si distinsero per la grande potenza d’urto e l’efficienza bellica, sia offensiva che difensiva, su tutti i teatri d’operazione dove furono impiegati, dalle steppe russe, alle sabbie africane, alle pianure franco-belghe. Utilizzate spesso, in particolare nella seconda parte della guerra (1943-1945), come reparti di riserva mobili impegnati per contenere attacchi nemici, risolvere situazioni d’emergenza o impedire catastrofici crolli del fronte tedesco, vennero continuamente rischierate da un teatro bellico all’altro in cui combatté il Terzo Reich, ristabilendo o capovolgendo spesso a favore della Germania le sorti dei combattimenti sul campo di battaglia. Particolarmente temute dalle forze nemiche, le Panzerdivisionen tedesche ottennero clamorosi successi durante la fase iniziale della guerra (1939-1942), sfruttando la loro superiorità tattica e le maggiori capacità dei loro ufficiali nella conduzione di operazioni veloci con reparti mobili, malgrado spesso la inferiorità qualitativa e numerica dei loro materiali e equipaggiamenti, come accadde spesso nella campana di Francia, dove i carri pesanti francesi Char B1 “Eure” pur essendo certamente superiori ai Panzer II, II e IV tedeschi, furono male impiegati, sparsi sul territorio solo a supporto della fanteria e non raggruppati in formazioni autonome come, invece, fecero i tedeschi. Dal 1942, lo sviluppo e conseguente impiego di nuovi e performanti mezzi corazzati consentì, durante la seconda fase della guerra, la superiorità tedesca sulle forze meccanizzate nemiche, sia sul fronte orientale (dove vennero in grande maggioranza impiegate) che su quello occidentale. Tale superiorità, attenuatasi solo negli ultimi mesi di guerra a causa delle continue perdite di equipaggi addestrati, delle carenze di materiali e carburanti, e della schiacciante superiorità numerica degli avversari (che con il tempo acquisirono anch’essi buone capacità operative), fu dovuta in parte all’eccellente equipaggiamento di cui erano dotate negli ultimi anni del conflitto, ma soprattutto alle capacità tattiche degli ufficiali comandanti delle minori unità in grado di muovere armonicamente e in modo coordinato i vari reparti di carri e di cooperare utilmente con i distaccamenti anticarro e esploranti della divisione corazzata e all’esperienza, al coraggio e all’abnegazione degli equipaggi che spesso rimanevano in combattimento senza tregua per anni. Die schwarze (I neri), come erano soprannominati i soldati delle panzertruppen, per le loro famose divise nere decorate con i teschi d’argento degli Ussari della morte (o Ussari testa di morto) di Federico il Grande di Prussia, annoverarono nei loro ranghi, durante tutta la guerra, numerosi ufficiali prestigiosi e pluridecorati, veri e propri assi capaci di accumulare un gran numero di vittorie contro i mezzi corazzati del nemico. Durante la seconda guerra mondiale le Panzerdivisionen persero oltre 18.000 carri armati sul solo fronte est e alcune altre migliaia all’ovest, in Africa e in Italia, ma rivendicarono la distruzione di oltre 90.000 mezzi corazzati nemici (di cui almeno 70.000 sul fronte orientale). La Wehrmacht entrò in combattimento il 1º settembre 1939 con un organico di sei divisioni corazzate, dotate di oltre 300 carri armati ciascuna, ma con una netta maggioranza di mezzi leggeri Panzer I e Panzer II di mediocre valore nel caso di scontri con altri mezzi meccanizzati nemici, rafforzati solo da una compagnia di carri medi Panzer IV; i nuovi carri Panzer III, considerati dall’esercito tedesco i carri armati da battaglia principali, stavano appena entrando in servizio e solo 148 erano disponibili all’inizio della campagna di Polonia. Ogni Panzerdivision era costituita da due Panzer-Regiment con quattro battaglioni corazzati in totale (Panzer-Abteilung). La Panzerwaffe iniziò la guerra con un totale di 3.200 carri armati, di cui oltre 2.200 mezzi leggeri; utile impiego ebbero invece 178 carri leggeri Panzer 35(t) e 78 carri medi Panzer 38(t) di origine ceca. Nonostante la carenza di mezzi veramente potenti ed efficienti, le sei Panzerdivision, che vennero tutte schierate sul confine polacco per ottenere il massimo effetto d’urto, sguarnendo completamente di forze corazzate il fronte occidentale, ebbero un ruolo decisivo durante la breve campagna polacca. Guidate audacemente dagli ufficiali tedeschi addestrati alle nuove tattiche della Guerra lampo, pur subendo localmente alcuni insuccessi contro le difese fisse polacche (specialmente alle porte di Varsavia), le forze corazzate tedesche diedero una prima impressionante dimostrazione di efficienza e di rapidità di movimento contro l’antiquato esercito polacco. Quattro delle sei Panzerdivisionen furono raggruppate nel Gruppo d’armate Sud del generale von Rundstedt e vennero spinte direttamente su Varsavia e poi su Brėst-Litowsk, mentre la sola 3. Panzer-Division venne assegnata al generale Heinz Guderian (comandante del 19º Panzerkorps e grande esperto di guerra corazzata) per attaccare nel corridoio di Danzica. Una sesta Panzerdivision, inizialmente denominata Panzer-Division “Kempf” e poi 10. Panzer-Division, venne schierata in Prussia orientale per cooperare con le forze del generale Guderian. Le perdite di carri armati tedeschi in Polonia furono modeste: solo 217 mezzi corazzati furono totalmente distrutti. Mentre l’esercito tedesco sbaragliava la Polonia, gli alleati occidentali rimasero sostanzialmente inerti, non effettuando manovre offensive di rilievo contro le modeste forze di seconda linea lasciate dalla Wehrmacht all’ovest e non sfruttando la totale assenza di Panzerdivisionen in quel teatro bellico. Un grave errore strategico che pose le basi per la disfatta delle forze franco-britanniche nelle successiva campagna di Francia.

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. Rapporto tra investimenti pubblici ed indebitamento della Germania nazista tra il 1933 ed il 1939:

     ANNO

Investimenti

nei servizi pubblici

Investimenti

nelle forze armate

Indebitamento

dello stato

Disoccupati

(in milioni)

1933

0,6

0,7

12,0

  6.0

1935

1,0

5,2

14,6

3,1

1937

1,2

11,0

25,5

0,5

1939

0,9

26,0

43,0

0,4

 

 

(Le cifre degli investimenti in servizi pubblici, forze armate e dell’indebitamento dello stato sono indicate in miliardi di marchi).

Questo cosiddetto “miracolo economico” fu possibile solo perché il libero mercato era praticamente abolito. La dittatura totale che Hitler creò in pochissimo tempo non riguardò solo la società ma anche l’economia. Hitler non aveva la minima intenzione di creare un’economia stabile, lo scopo dell’economia era unicamente preparare la guerra che Hitler vide come l’ultimo obiettivo della sua politica. Lo sviluppo economico della Germania in quegli anni era talmente squilibrato per il totale dirigismo statale e talmente gonfiato dalla smisurata produzione militare che poteva finire solo in due modi: o, prima o poi, in un crollo verticale dell’economia, o nella guerra. Hitler lo sapeva benissimo, infatti nel 1938 disse: “La nostra situazione economica è tale che potremmo reggerla solo per pochi anni ancora. Pertanto non abbiamo tempo, dobbiamo agire.” (Cfr. https://www.viaggio-in-germania.de/seconda-guerra-mondiale1.html)

  1. Il Feldmaresciallo Beck è il medesimo che vediamo tra i membri del Circolo Kreisau econgiurati dell’Operazione Valchiria.
  2. Il deposito di mezzi corazzati di Lenta, in provincia di Vercelli è, o forse era, il segreto meglio custodito della nostra Difesa. Tra le risaie del Vercellese, a pochi chilometri da Arborio, in una base dell’Esercito sono ricoverati quasi 3000 mezzi corazzati. Contrariamente agli altri paesi occidentali, per quasi vent’anni, l’Italia non si è liberata dei tank tolti dal servizio per intervenuta obsolescenza, ma li ha progressivamente accantonati in un grande deposito a cielo aperto. Stando ai documenti sui trattati del disarmo internazionale, nel 2012 l’Italia aveva a disposizione 1.173 carri armati e 3.071 cingolati da combattimento, frutto degli approvvigionamenti necessari per contenere l’eventuale attacco (sovietico) sul fronte orientale della penisola. Una cifra paurosa: gli inglesi hanno solo 270 tank, i francesi il doppio, ma di ultima generazione, essendosi entrambi completamente liberati di tutti quelli obsoleti o vendendoli o smaltendoli. Recentemente, il grande deposito dell’Esercito Italiano è stato interessato da notevole attività. I nuovi aiuti militari promessi all’Ucraina dal governo Draghi comprendono infatti mezzi che da alcuni anni si trovano in quella che una volta era la base operativa del 15° Gruppo Squadroni Cavalleggeri di Lodi, poi disciolto. L’elenco delle forniture al Governo Ucraino prevede infatti la consegna di semoventi d’artiglieria, mezzi cingolati e antiaerei. Per quanto riguarda l’artiglieria cingolata, quelli oggetto della probabile fornitura sono i semoventi di fabbricazione statunitense M109 con cannone da 155 mm che in passato hanno equipaggiato i reparti italiani. Il nostro Paese infatti ne aveva in linea circa 300, 221 dei quali sottoposti a un programma d’aggiornamento nei primi anni Novanta (dall’iniziale versione “G” si era passati alla “L”, caratterizzata da una gittata più lunga, da 24 a 30 chilometri grazie ai proietti autopropulsi). Da circa vent’anni i semoventi risultano in riserva, quasi tutti proprio nel deposito di Lenta: in passato almeno una settantina era stata venduta al Pakistan e dieci sono stati dati a Gibuti, in cambio della concessione di una base. Esclusa invece l’eventualità di imitare l’Olanda e inviare a Kiev i modernissimi PzH (Panzerhaubitze) 2000, con gittata di 40 chilometri di fabbricazione tedesca considerati i migliori al mondo (ne abbiamo in servizio una settantina). Altri mezzi che da Lenta potrebbero raggiungere la terra ucraina sono i sistemi Sidam (Sistema Italiano Difesa Aerea Mobile), torrette quadrinate antiaeree da 25 millimetri installate su veicoli cingolati M113. Data l’età, è ovvio che tali mezzi andranno certamente ricondizionati e sottoposti ad un riammodernamento tecnologico, inserendo apparati radar per la scoperta e l’inseguimento dei bersagli. Più che sistemi antiaerei, gli M113/Sidam potrebbero essere impiegati in appoggio alle operazioni della fanteria grazie all’elevato volume di fuoco delle mitragliatrici KBA. E a proposito di mezzi per la fanteria, da Lenta dovrebbero prendere la via per Ucraina anche gli universali M113, veicoli cingolati da trasporto truppa risalenti agli anni Sessanta e settanta di cui l’Esercito Italiano ne aveva immesso in servizio oltre quattromila. Oltre al normale trasporto truppe ne furono realizzate anche diverse varianti quali portamortaio, versione comando, recupero mezzi, ambulanza etc. Al pari delle torrette Sidam anche gli M113 sono mezzi che necessitano un ricondizionamento tecnologico per essere immessi in un conflitto ad alta densità come quello russo-ucraino. Già in passato l’Esercito ha provato a vendere parte di quel parco blindati unico al mondo: con tanto di listino e a prezzo di saldo: per portare a casa un semovente M109 completo di cannone da 155 millimetri servivano 40 mila euro. Trentamila invece era il prezzo di un Leopard I (nelle varie versioni nel tempo realizzate), il carro armato più usato dagli italiani di cui Lenta custodisce ben 668 esemplari. I n.1.903 M113 parcheggiati al deposito andavano in vendita a 15 mila euro, mentre 6 mila euro era la media del ricavato dai rottami fuori mercato. Pezzi, questi, da cui l’esercito contava di intascare 300 mila euro visto che in questa fase ce ne sono 500 in smantellamento. In tutto i tank in saldo erano circa 2.300. Non è la prima volta che l’Esercito italiano prova a liberarsi dei carri vecchi o per i quali l’obsolescenza programmata non ne consigliava economicamente più il prosieguo dell’utilizzo. Nel 2007 sulla Gazzetta ufficiale circolò un avviso per mettere in vendita 150 cingolati M113 a benzina che oggi sono probabilmente solo un mucchio di ferro inutilizzabile ma all’epoca andarono all’asta a 756 mila euro. Nel deposito si trovano anche 2.700 tra i già citati Leopard I, autoblindo Centauro I e cingolati trasporto truppe VCC-1, più moderni, nonché vecchi carri armati M60 di costruzione americana. A tal proposito, la Leonardo ha messo a punto un sistema semplice ed a costi contenuti per ricondizionare questi ultimi e renderli dei carri armati di terza generazione (cd. Programma M60-A3 realizzato per il Reale esercito del Barhain): la piattaforma veicolare e cingolata viene ricondizionata facilmente (upgrade del motopropulsore, trasmissione, corazzatura modulare ai cingoli, istallazione di un sistema antincendio ed anti-esplosione, etc.), poi la torretta viene svuotata in modo che ne rimanga solo lo scheletro esterno vuoto, ulteriormente corazzata con moderni sistemi modulari, sostituita la vecchia canna con un cannone a guida laser da 120/45 con visore all’infrarosso (lo stesso utilizzato sul moderno Blindo Centauro II) di ultima generazione, munito di un modernissimo sistema di controllo di tiro (FCS); la torretta viene poi dotata di tecnologia e strumentazione di bordo d’avanguardia, in modo da renderla una cella di sicurezza per l’equipaggio autonoma dal resto del carro e sicura a 360°, in grado di resistere a minacce esterne anche dal cielo e di lanciare contromisure.
  3. Per fare alcuni esempi, i carri armati tedeschi pesanti come il Panzer VI, meglio noto come “Tigre I”, che vide il suo primo impiego in servizio solo nel 1942, erano armati con un cannone a guida ottica manuale da 88/56 millimetri; la parte maggiormente corazzata, la torretta, era spessa 110 millimetri, facilmente perforabile dai moderni proiettili dei cannoni da 120 millimetri dei moderni mezzi corazzati già da 2.000 metri, per non parlare dei cd. droni kamikaze che colpiscono dall’alto. Il Tigre I è (era) lento nei movimenti e vulnerabile soprattutto nella parte posteriore ove la corazzatura era leggera. D’altro canto, i carri pesanti “Ariete MK2”, prodotti dal Consorzio italiano “Iveco-Leonardo”, in dotazione all’Esercito italiano, come peraltro anche i blindati “Centauro II”, sempre di produzione italiana (Consorzio CIO: Iveco-OTO Melara) dispongono, oltre che di un lanciatore multiplo di razzi anticarro molto efficace, di un cannone a guida laser da 120/45 millimetri con calcolatore balistico per il controllo del tiro di ultima generazione (FCS), visore stabilizzato con vista termica e telemetro laser. Esso è inoltre dotato di sistemi di protezione idonei a fronteggiare minacce attuali anche aeree e missilistiche con lancio di contromisure. I carri ed i blindati italiani sono protetti da minacce nucleari, batteriologiche e chimiche e dispongono di un nuovo sistema antincendio e anti-esplosione che consente di salvaguardare la sicurezza dell’equipaggio. La corazzatura del carro Ariete MK2 è di 580 millimetri rispetto ai 110 del “Tigre I”, tra le più spesse tra i carri pesanti moderni e non è perforabile né dai proiettili convenzionali del Tigre, né da munizioni in uso al altri mezzi corazzati tedeschi dell’epoca. Se consideriamo, invece la maggior parte dei carri medi e pesanti tedeschi in servizio all’inizio del 1940, come i Panzer I, II, III e IV, essi montavano normalmente cannoni da 20 millimetri o al più da 37 millimetri ovvero un obice da 75 millimetri, come nel caso del Panzer IV, inadatto a colpire carri nemici perché pensato contro la fanteria, con bassa velocità di volata ed altrettanto bassa velocità di penetrazione delle blindature. Erano protetti da corazzature molto blande, generalmente non più di 30 millimetri o 50 sulla torretta del Panzer IV, facilmente perforabili anche con le armi controcarro a spalla della moderna fanteria appiedata o da un drone kamikaze. Questi mezzi tedeschi non reggono il confronto neanche con i moderni mezzi blindati più leggeri, con minor potenza di fuoco e minore corazzatura, come il VCC-80 Dardo ed il VBMFreccia, tutti di produzione italiana (IVECO). Quest’ultimo è armato, nella versione controcarro, con un cannone da 25 millimetri a guida laser e controllo elettronico, un mortaio da 120 millimetri, quattro lanciatori a tubo per missili anticarro, un moderno sistema di contromisure da minacce esterne, ed è dotato di una corazzatura frontale minima di 25/30 millimetri modulabile, alla quale c’è da aggiungere la corazzatura anti-mine nella parte bassa dello scafo. Peraltro, a fattor comune per tutti i moderni mezzi corazzati e blindati dell’Esercito italiano, essi hanno sistemi elettronici di protezione da razzi e missili anticarro, che consentono l’individuazione automatica della minaccia, ad esempio l’esplosione del proiettile da parte di un carro nemico o anche lo sgancio di una bomba dal cielo, con conseguente lancio delle contromisure per neutralizzarlo. In particolare, su i mezzi corazzati e blindati italiani c’è un radar a scansione elettronica attiva che ingaggia in tempo reale le minacce in condizioni operative anche estreme, fornendo al mezzo una protezione sull’arco dei 360°. Il tutto viene gestito tramite un computer di bordo che è in grado di scoprire e classificare un’eventuale minaccia ostile. Infine, un ultimo ovviamente impietoso confronto tra mezzi di due diverse epoche: i moderni mezzi in dotazione all’esercito italiano, oltre a costituire l’ossatura di moderne e velocissime unità da combattimento che operano in continua sinergia operativa con mezzi aerei e con collegamento e coordinamento via satellite, possono operare h24 e quindi anche in tempo di notte con le strumentazioni radar e visori ottici ad infrarossi, potendo utilmente ingaggiare a distanza i mezzi corazzati in uso alla Wehrmacht in quell’epoca (che potevano operare solo alla luce del giorno) senza essere visti e potendoli quindi colpire senza il rischio di subire un contrattacco.  
  4. Fu sotto la direzione del Ministro per gli armamenti Albert Speer dal 1942 in poi che fu dato impulso alla realizzazione di questi micidiali ordigni, antesignani dei nostri missili balistici da crociera. V1, V2, V3 Le tre principali “armi segrete” con cui i Tedeschi tentarono di risollevare le loro sorti sul finire della Seconda guerra mondiale. La V1, la cui sigla ufficiale era Fi103, dal nome della prima ditta costruttrice, la Fieseler A.G. di Kassel, era una bomba volante della Luftwaffe, e precisamente un piccolo aereo senza pilota (fusoliera di 8 m ca., apertura alare 5 m), di massa 2.130 kg, propulso da un pulsoreattore sistemato sopra la fusoliera e lanciato mediante un razzo a perossido di idrogeno su una rotaia inclinata diretta verso l’obiettivo. Il progetto della V1 fu avviato a partire dal 1936 (il pulsoreattore, ideato da P. Schmidt, di Monaco, era già operativo dal 1929) e intensificato a partire dal 1942; la costruzione in serie ebbe inizio nel settembre 1943 e proseguì sino alla fine della guerra, principalmente nel gigantesco stabilimento sotterraneo di Nordhausen (in cui venivano montate anche le V2). L’uso bellico iniziò il 13 giugno 1944, con un bombardamento della zona di Londra da basi sulla costa della Manica; sino alla fine della guerra furono prodotte circa 30.000 bombe (di cui 23.000 nel solo 1944). La V1 fu un’arma essenzialmente terroristica, ma poco rilevante dal punto di vista strettamente militare a causa della scarsa precisione, della non manovrabilità, della bassa quota e della bassa velocità: passata la sorpresa iniziale, la difesa contraerea britannica diventò molto efficace, giungendo ad abbattere oltre il 70% delle bombe. La V2, la cui sigla ufficiale era A4 (Aggregat 4), era un missile monostadio a propellenti liquidi, alto 14 m e di massa 12 t, con carico utile di quasi una tonnellata di esplosivo ad alto potenziale, traiettoria suborbitale, gittata di circa 300 km, provvisto di radiocomando e guida giroscopica. Il suo progetto si può far risalire al 1932; la costruzione in serie iniziò nel 1943 e sino alla fine della guerra ne furono costruiti 5.789 esemplari. L’uso bellico iniziò l’8 settembre 1944, con un bombardamento su Londra. Complessivamente giunsero 1.115 missili sulla Gran Bretagna (principalmente nella zona di Londra) e 1.675 su obiettivi continentali (principalmente la città di Anversa). La supremazia degli Alleati nei cieli rese peraltro molto difficoltosi la costruzione, il trasporto e il lancio di collaudo dei missili. La V3 era un cannone a grandissima gittata (200 km ca.) con una canna del calibro di circa 10 cm e lunga 120 m, incassata in una struttura di cemento armato; il principio di funzionamento era basato sull’accensione successiva di cariche di lancio regolarmente disposte lungo la canna, in camere laterali. Il progetto, camuffato sotto la denominazione di Hochdruckpumpe («pompa ad alta pressione»), raggiunse la fase operativa nel maggio 1943, allorché fu iniziata la costruzione di una grande batteria sotterranea a Mimoyecques, sulla costa francese della Manica, a 150 km da Londra; la batteria comprendeva due complessi di 25 canne, orientati per colpire la capitale inglese al ritmo di una salva al minuto. L’arma non fu usata: nel novembre 1944 un bombardamento aereo danneggiò gravemente la postazione, scambiata per una base di lancio dalle V2. Furono tuttavia realizzate altre due batterie con minore numero di canne più corte, utilizzate durante l’offensiva delle Ardenne (dicembre 1944) e successivamente distrutte dai Tedeschi nel corso della ritirata. (Fonte: Enciclopedia Teccani).
  5. In un ipotetico confronto bellico, quindi, tra moderni mezzi corazzati e blindati dell’Esercito italiano e mezzi corazzati tedeschi operativi nella seconda guerra mondiale nel periodo 1939/1942, la gittata minima operativa dei moderni mezzi corazzati italiani, che non scende mai sotto i due chilometri, avrebbe consentito sempre l’ingaggio del mezzo nemico entro tale soglia e la sua distruzione grazie ai precisi sistemi di puntamento laser e geo-satellitari, senza che i mezzi corazzati tedeschi avessero potuto individuare o anche solo accorgersi del mezzo attaccante. Tra l’altro, tutti i mezzi corazzati o blindati italiani moderni sono in grado di operare ognitempo, ovvero in qualsiasi condizione di tempo e di luogo, sono anfibi, e possono ingaggiare il combattimento h24 attraverso i visori notturni stabilizzati con vista termica e telemetro laser. I moderni mezzi corazzati non hanno necessariamente bisogno di una previa ricognizione aerea, come invece accadeva nella seconda guerra mondiale, per individuare i mezzi e le colonne nemiche, potendo fare uso della propria tecnologia di bordo, radar ed ed eventualmente alla bisogna anche attraverso droni ricognitori.
  6. Una munizione circuitante, o drone suicida, o drone kamikaze (in inglese loitering munition o anche suicide drone o kamikaze drone), è un’arma o sistema d’arma, in cui la munizione è un drone armato che sorvola una zona, attendendo, in cerca dell’obiettivo, per poi attaccare solo una volta che quest’ultimo è stato localizzato oppure quando questo si espone. La fase di sorvolo a circuito permette la selezione degli obiettivi da colpire, la raccolta di ulteriori informazioni prima dell’attacco e l’aborto della missione di attacco, qualora non sussistessero più i motivi o i vantaggi del portare a termine l’attacco o se si prospettassero perdite collaterali notevoli. Le munizioni circuitanti hanno quindi un evidente vantaggio sulle munizioni d’artiglieria e missilistiche dato che permettono il recupero della munizione in caso di rinuncia alla missione. Le armi vaganti sono emerse per la prima volta negli anni ’80 per essere utilizzate nel ruolo di soppressione delle difese aeree nemiche (SEAD) contro i missili terra-aria (SAM) e sono state impiegate per il ruolo SEAD da varie forze militari negli anni ’90. A partire dagli anni 2000, le armi vaganti sono state sviluppate per ruoli aggiuntivi che vanno da attacchi a raggio relativamente lungo e supporto al fuoco fino a sistemi di campo di battaglia tattici a corto raggio che si adattano a uno zaino. A partire dagli anni 2000, le armi vaganti o circuitanti sono state sviluppate per ruoli aggiuntivi oltre al ruolo SEAD iniziale, che vanno da attacchi a raggio relativamente lungo e supporto al fuoco fino all’uso tattico sul campo di battaglia a corto raggio come l’AeroVironment Switchblade che viene schierato a livello di comando plotone e si inserisce facilmente in uno zaino. Un uso documentato di munizioni vaganti/circuitanti è stato nel conflitto del Nagorno-Karabakh del 2016 in cui un IAI Harop è stato utilizzato contro un autobus che fungeva da trasporto di truppe per i soldati armeni. Le munizioni vaganti possono essere semplici come un veicolo aereo senza pilota (UAV) con esplosivi attaccati che vengono inviati in una potenziale missione kamikaze e possono anche essere costruite con quadricotteri commerciali standard con esplosivi ad essi agganciati. Le munizioni appositamente costruite sono più elaborate in termini di capacità di volo e controllo, dimensioni e design della testata e sensori di bordo per localizzare i bersagli. Alcune munizioni vaganti utilizzano un operatore umano per localizzare i bersagli, mentre altre, come IAI Harop, possono funzionare autonomamente cercando e lanciando attacchi senza intervento umano. Un altro esempio sono le soluzioni UVision HERO: i sistemi di loitering sono gestiti da remoto, controllati in tempo reale da un sistema di comunicazione e dotati di una telecamera elettro-ottica le cui immagini vengono ricevute dalla stazione di comando e controllo.
  7. La Luftwaffe (letteralmente: “Arma dell’aria”, era l’aviazione militare tedesca, parte integrante della Wehrmacht durante il secondo conflitto mondiale. Coinvolta in tutti i teatri di guerra, contribuì, soprattutto durante i primi anni del conflitto, alla buona riuscita della tattica della “guerra lampo” adottata dalle forze armate tedesche. Vittoriosa in Polonia e in Francia, subì una prima battuta d’arresto nella battaglia d’Inghilterra scontrandosi contro la Royal Air Force britannica, per poi rivolgere gran parte della sua attenzione al fronte orientale, dove durante l’operazione Barbarossa conquistò in un primo tempo la superiorità aerea sull’inesperta aviazione sovietica. Il procedere del conflitto e il rovesciamento delle sorti della guerra significarono per la Luftwaffe la progressiva concentrazione delle forze nella difesa dello spazio aereo tedesco minacciato dai bombardieri britannici e statunitensi. L’avanzata Alleata fu però inesorabile e l’aviazione tedesca, in crescente inferiorità numerica e con insufficienti quantità di carburante, perse progressivamente il controllo dei cieli su tutti i fronti e non riuscì ad arginare l’offensiva Alleata nonostante l’impiego congiunto dei reparti contraerei (FlaK) e di rivoluzionari caccia a reazione, i Messerschmitt Me 262 (i primi caccia a reazione della storia), la cui produzione non fu mai numericamente sufficiente a influire realmente sui combattimenti contro le soverchianti forze aeree degli avversari. La Luftwaffe ebbe sotto il proprio controllo anche le unità di paracadutisti (Fallschirmjäger) e altre formazioni terrestri. Nell’estate 1939, la Luftwaffe contava 9 Jagdgeschwader (Stormi caccia) in gran parte equipaggiati con i veloci ed agili caccia Messerschmitt Bf-109, 4 Zerstörergeschwader (Squadroni cacciabombardieri) dotati dei Messerschmitt Bf-110, 11 Kampfgeschwader (Stormi di Bombardieri) montati su Heinkel He-111 o Dornier Do-17, e 4 Sturzkampfgeschwader (Stormi di bombardieri in picchiata, gli Junkers Ju-87 detti Stuka). Gli aerei operativi all’inizio del conflitto erano 4.021 (1.191 bombardieri, 361 bombardieri in picchiata, 788 caccia, 431 caccia pesanti e 488 velivoli da trasporto).
  8. L’Aeronautica Militare (abbreviata in AM), in ambito internazionale Italian Air Force (abbreviata in ITAF è, assieme a Esercito Italiano, Marina Militare ed Arma dei Carabinieri, una delle quattro forze armate italiane ed è, in particolare, quella deputata alla difesa dello spazio aereo nazionale. Il suo personale consta di n. 41.105 militari effettivi, n. 4.036 civili e n. 13.100 riservisti. Dispone complessivamente di n. 962 aeromobili (compresi gli ordini), di cui n.90 cacciabombardieri di V ed ultima generazione F-35 in vari allestimenti.
  9. Normalmente, la forza d’attacco aerea è integrata anche dagli elicotteri d’attacco Agusta Westland AW-129 “Mangusta” dell’Aviazione leggera dell’esercito (A.L.E.) con i loro missili e razzi anticarro ed i mezzi corazzati semoventi d’artiglieria PzH-2000, dotati di cannoni da 155/52 millimetri che possono sparare proiettili ad alta precisione e grande potenza distruttiva, che possono essere schierati sia in appoggio aereo alla fanteria meccanizzata sia autonomamente in attacchi mirati ad obiettivi sensibili. Novanta nuovissimi cacciabombardieri di quinta generazione a decollo corto ed atterraggio verticale (STOVL) F-35 lightning II, i più datati ma sempre ottimi cacciabombardieri Panavia Tornado a medio raggio, i velivoli di attacco al suolo AMX, i caccia intercettori Eurofighter 2000 Typhoon, i cacciabombardieri Harrier II a decollo ed atterraggio verticale ed i velivoli a pilotaggio remoto da ricognizione ed attacco al suolo Predator e Reaper.
  10. La Kriegsmarine (in tedesco: Marina da Guerra) era il nome della Marina militare tedesca durante la seconda guerra mondiale, erede della Kaiserliche Marine. Il trattato di Versailles aveva imposto rigorosi limiti alla marina tedesca e le aveva proibito la progettazione e realizzazione di sommergibili, portaerei, aerei navali e artiglieria costiera pesante; il dislocamento delle nuove navi non poteva superare le 10.000 tonnellate. Ma il 18 giugno del 1935 fu firmato il trattato navale anglo-tedesco che, pur limitando la forza della marina tedesca al 35% di quella inglese, permetteva alla Germania di avere sommergibili e altri tipi di navi che il trattato di Versailles le aveva proibito. Nel 1937 ebbe così inizio un ambizioso piano di costruzioni navali (piano Z) e al settembre del 1939 la marina tedesca contava 3 corazzate cosiddette “tascabili”, 2 incrociatori pesanti, 6 incrociatori leggeri, 22 cacciatorpediniere, 20 torpediniere e 59 U-Boot. Nel corso del conflitto entrarono in servizio le corazzate Tirpitz e Bismarck, l’incrociatore pesante Prinz Eugen, le navi da battaglia veloci Scharnhorst e Gneisenau e altri 15 cacciatorpediniere. L’unica Portaerei progettata dalla Kriegsmarine nell’ambito del Piano Z fu la Graf Zeppelin, i cui lavori iniziarono nel 1936 ma che non entrò mai in servizio in quanto mai completata. Alla fine della guerra, la marina militare tedesca subì un forte ridimensionamento dovuto alle limitazioni imposte ai paesi sconfitti. Il riarmo e la riorganizzazione nell’ambito NATO in funzione anti sovietica avverrà dal 1956 con il nome di Bundesmarine.
  11. La portaerei Graf Zeppelin fu progettata come nave portaerei della Marina da guerra tedesca che, tuttavia, rimase non completata. Il nome le derivava dal costruttore di dirigibili Ferdinand Graf von Zeppelin. La Graf Zeppelin venne commissionata su volere di Adolf Hitler il 16 novembre 1935 e la costruzione della chiglia cominciò il 28 dicembre dell’anno successivo. Nel 1937 l’ammiraglio Erich Raeder presentò un progetto, nell’ambito del piano Z, per la costruzione di altre quattro portaerei da realizzarsi entro il 1945 ma due anni dopo il piano venne ridimensionato in due esemplari. L’incarico di costruire la Flugzeugträger A (“portaerei A”), più tardi battezzata Graf Zeppelin, fu assegnato ai cantieri navali Deutsche Werke AG di Kiel e contemporaneamente fu assegnata la commessa per la gemella Flugzeugträger B (“portaerei B”) al cantiere Friedrich Krupp Germaniawerft AG, sempre di Kiel. Era usuale che con la commessa non venisse comunicato il nome della nave; questo non per ragioni di segretezza, bensì perché il comandante supremo della Marina aveva il diritto di sceglierne il nome, che per lo più veniva assegnato solo poco prima del varo, e sicuramente non senza influssi da parte della politica. Il varo della prima, e finora unica, portaerei tedesca ebbe luogo l’8 dicembre 1938, con un discorso tenuto dal comandante supremo della Luftwaffe Hermann Göring, nonostante alla nave mancasse ancora gran parte degli allestimenti. La decisione di costruire le navi portaerei fu contestata: Hermann Göring, Comandante in capo della Luftwaffe non vedeva di buon occhio le intrusioni nella sua aviazione e non perse occasione per mettere in discredito Raeder. Inoltre, l’ammiraglio Karl Dönitz aprì un “fronte interno” alla marina stessa, spingendo verso una maggiore attenzione all’arma sottomarina. Le manovre di Göring erano tese a ritardare l’entrata in servizio della nave, per mettere il progetto in cattiva luce: la costruzione della nave fu interrotta nell’ottobre 1939. Fu affondata nel Mar Baltico il 18 giugno 1947. Aveva una velocità massima di 33,8 nodi pari a 62 Km/ora. L’equipaggio era stato previsto in 1.720 marinai e 306 unità del personale di volo. Quanto ai velivoli che avrebbe potuto imbarcare furono previsti n.10 Fieseler Fi-167 multiruolo, n.10 caccia Messerschmitt Bf-109 e n.13 bombardieri in picchiata Junkers Ju-87 Stuka, per un totale di 33 aeromobili.
  12. La Bismarck fu una nave da battaglia tedesca della seconda guerra mondiale, così battezzata in onore del cancelliere del XIX secolo Otto von Bismarck (1815-1898). È famosa per l’affondamento dell’incrociatore da battaglia Hood e per l’epica caccia successiva che le venne data e che portò al suo affondamento. Sin dal suo affondamento, la Royal Navy ha sempre affermato con sicurezza che ad abbattere la possente nave da guerra fossero stati i numerosi colpi subiti nello scontro con la Home Fleet. Tuttavia i sopravvissuti della stessa corazzata tedesca hanno sempre raccontato che il capitano Lindemann, resosi ormai conto della situazione disperata in cui si trovava la sua nave, ne avesse ordinato l’auto affondamento per evitarne la cattura da parte del nemico. Benché per decenni si sia dibattuto sulla questione, una dettagliata spedizione condotta nel 2002 confermò la versione data dai marinai tedeschi: il relitto della Bismarck, infatti, risulta sorprendentemente ben conservato e, anzi, la cintura corazzata e lo scafo, ad eccezione di una sezione di circa trenta metri della poppa, sono praticamente intatti, a malapena ammaccati dai pezzi da 356 mm della King George V e non vi sono le falle che i siluri, che secondo la marina britannica avrebbero affondato la corazzata, avrebbero dovuto aprire sotto la linea di galleggiamento. L’8 giugno 1989 il relitto, in ottime condizioni (è ancora visibile il legno di teak del ponte superiore), è stato localizzato da una spedizione statunitense condotta dall’oceanografo Robert Ballard, lo stesso che quattro anni prima aveva scoperto il relitto del Titanic. Giace ai piedi d’una catena montuosa sommersa alla profondità di 4.791 m, circa 650 chilometri a ovest del porto francese di Brest, in Bretagna. Le esatte coordinate del relitto sono a conoscenza solo del governo tedesco, che lo ha dichiarato sacrario militare. Eponima della classe Bismarck, l’unica altra unità della stessa classe fu la Tirpitz.
  13. La Tirpitz fu una nave da battaglia della Kriegsmarine tedesca, seconda e ultima unità della Classe Bismarck. Essa fu concepita, insieme alla gemella Bismarck, per essere la punta di diamante della marina tedesca. Entrata in servizio molto dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, la nave partecipò a pochissime azioni belliche, passando la maggior parte della sua vita a nascondersi nei fiordi norvegesi dagli attacchi degli Alleati; di fatto essa ebbe funzione di “fleet in being“, cioè quella di tenere occupata una gran quantità di forze nemiche per via della sua pericolosità potenziale. Dopo l’affondamento della gemella Bismarck, fu soprannominata dai norvegesi “La solitaria regina del Nord” (Den ensomme Nordens Dronning). Fu affondata in un attacco aereo britannico il 12 novembre 1944 presso Tromsø, in Norvegia. Dei 1.700 membri dell’equipaggio presenti a bordo, 1.058 persero la vita (tra cui il nuovo comandante, capitano di vascello Weber), mentre 87 furono salvati dalle squadre di salvataggio che praticarono fori nello scafo con le fiamme ossidriche.
  14. La Admiral Graf Spee fu un incrociatore pesante della classe Deutschland che servì nella Kriegsmarine tedesca durante la seconda guerra mondiale. I tedeschi classificarono inizialmente le navi di questa classe come corazzate (Panzerschiff in tedesco), per poi riclassificarle come incrociatori pesanti (Schwere Kreuzer) nel 1940; i britannici, invece, le classificarono come corazzate tascabili (Pocket Battleship in inglese), appellativo che poi è rimasto come caratteristico delle navi di questa classe. L’Admiral Graf Spee è passata alla storia per aver sostenuto la prima battaglia navale tra la Kriegsmarine e la Royal Navy durante la seconda guerra mondiale conosciuta come battaglia del Río de la Plata, presso Montevideo, conclusasi con l’autoaffondamento della corazzata. In particolare, la Graf Spee fece rotta verso le coste del Sudamerica per compiere un’incursione nel corridoio davanti a Buenos Aires, molto trafficato. Il 3 dicembre affondò la nave da carico Tairoa, prima di incontrarsi, il 6 dicembre, con la Altmark, sulla quale vennero trasbordati tutti i prigionieri (ormai più di 300). Il 7 dicembre la Graf Spee fece la sua ultima vittima, il piccolo piroscafo Streonshalh, portando così il totale a nove i mercantili affondati per complessive 50.147 tonnellate di stazza lorda. La mattina del 13 dicembre 1939, le vedette della Graf Spee avvistarono alcune navi da guerra all’orizzonte. Erano le navi della Squadra da Caccia G della Royal Navy, al comando del commodoro Henry Harwood: l’incrociatore pesante HMS Exeter, e gli incrociatori leggeri HMS Aiax (ammiraglia di Harwood) e HMNZS Achilles (la quarta nave della formazione, l’incrociatore pesante HMS Cumberland, era in riparazione alle isole Falkland). La squadra inglese stava incrociando in quelle acque fin dal giorno precedente: grazie alle informazioni trasmesse dalla Doric Star (nave da carico britannica affondata dalla Graf Spee in quelle acque il 2 dicembre), Hartwood aveva potuto stimare la posizione dell’incrociatore tedesco, e prevedere così il suo avvicinamento al Río de la Plata, un obbiettivo molto invitante per una nave corsara per via del suo intenso traffico mercantile. L’avvistamento delle navi britanniche colse di sorpresa la Graf Spee, in quanto il suo idrovolante Arado Ar 196 da ricognizione si trovava in riparazione per via di una avaria al motore. Nonostante gli ordini di Langsdorff prevedessero di evitare il contatto con navi da guerra nemiche, il capitano tedesco scelse di accettare il combattimento. Quella che seguì divenne nota come battaglia del Río de la Plata, e fu la prima vera battaglia navale della seconda guerra mondiale. In circa un’ora e mezzo di combattimento, i cannoni di grosso calibro della Graf Spee danneggiarono gravemente l’incrociatore Exeter, ma la nave riportò anch’essa dei danni, che convinsero Langsdorff a rompere il contatto e ad allontanarsi dalla squadra britannica. Tallonata dall’Ajax e dall’Achilles, la Graf Spee si diresse verso la terraferma del vicino Uruguay. Poco prima di mezzanotte del 14 dicembre 1939, la Graf Spee approdò al porto di Montevideo, mentre gli incrociatori britannici si fermavano al limite delle acque territoriali uruguaiane. La decisione di Langsdorff di interrompere il combattimento e di rifugiarsi nel porto di Montevideo fu oggetto di molte critiche, sia all’epoca sia successivamente. Alcuni storici rilevano come la Graf Spee fosse ancora in grado di combattere: la nave tedesca era stata colpita venti volte (con due colpi da 203 mm e diciotto da 152 mm), ma gli unici danni gravi (oltre alla perdita di 37 membri dell’equipaggio) erano una falla di 180×90 cm sopra la linea di galleggiamento e un guasto ai montacarichi di alimentazione dei cannoni secondari; la nave disponeva ancora di sufficienti riserve di munizioni (era stato sparato il 67% dei colpi da 280 mm, ma le riserve dei calibri inferiori erano più cospicue) nonché di carburante (quasi il 75% del totale). Altri storici sostengono però che la decisione di approdare a Montevideo fosse inevitabile, in quanto una cannonata britannica aveva distrutto i serbatoi di acqua dolce, privando quasi totalmente la nave di questa risorsa (l’impianto di dissalazione installato a bordo era appena sufficiente a soddisfare i bisogni dei motori). Mentre Langsdorff (che nel combattimento aveva riportato una ferita al braccio sinistro e una lieve commozione cerebrale) scendeva a terra per partecipare ai funerali dei 37 membri dell’equipaggio della Graf Spee caduti in battaglia, si aprì una accesa disputa diplomatica tra i rappresentanti tedeschi e britannici presso il governo uruguaiano (in quel momento ancora neutrale) circa il tempo massimo da concedere alla Graf Spee per rimanere a Montevideo. Dietro richiesta di Langsdorff, l’ambasciatore tedesco chiese il permesso di restare due settimane, tempo giudicato sufficiente per riparare completamente la Graf Spee; i britannici chiesero che il permesso fosse limitato a 24 ore, ma in seguito si dimostrarono più propensi a concedere un lasso di tempo maggiore, per premettere ad altre navi da guerra di avvicinarsi al Rio de la Plata. Dopo che una commissione di tecnici ebbe visitato la nave, il governo uruguaiano concesse alla Graf Spee di rimanere in porto per non più di 72 ore, tempo giudicato sufficiente per riparare i danni più gravi; alla scadenza, la nave, in conformità alle regole internazionali, sarebbe stata posta in disarmo e l’equipaggio internato. Il termine delle 72 ore venne giudicato da Langsdorff insufficiente per rimettere in sesto la Graf Spee perché potesse affrontare l’oceano; inoltre, i britannici emisero falsi segnali radio con cui comunicavano l’avvicinarsi al Rio de la Plata della Ark Royal e della Renown, che invece si trovavano ancora al largo della costa del Brasile. In considerazione di ciò, e nonostante da Berlino Adolf Hitler lo invitasse ad accettare il combattimento, Langsdorff decise, d’accordo con i suoi ufficiali, di autoaffondare la nave. Il 17 dicembre 1939, a poche ore dallo scadere dell’ultimatum uruguaiano, la Graf Spee lasciò il porto di Montevideo con a bordo Langsdorff e un equipaggio ridotto al minimo, seguita dal mercantile tedesco Tacoma (che si trovava per caso nel porto) e da due piccoli rimorchiatori argentini affittati dall’ambasciata tedesca, che trasportavano il resto dell’equipaggio; la partenza della Graf Spee venne osservata da una numerosa folla accalcata sulle banchine del porto, nonché da alcuni radiocronisti che da giorni seguivano la vicenda. Giunta al limite delle acque territoriali, la Graf Spee calò l’ancora in un punto dove il fondale era basso, mentre Langsdorff e i suoi uomini si trasferivano su uno dei rimorchiatori. Poco dopo, una serie di potenti esplosioni squarciò la nave, che bruciò fino alla mattina seguente, quando si inabissò definitivamente. Il Tacoma e i rimorchiatori trasferirono l’equipaggio della Graf Spee a Buenos Aires, dove fu internato dalle autorità argentine fino alla conclusione della guerra. La sera del 19 dicembre 1939, in una stanza dell’Arsenale di Buenos Aires, Langsdorff si suicidò con la sua pistola di ordinanza, avvolto nella bandiera della vecchia marina imperiale tedesca. Verrà seppellito nel Cimitero della Chacarita a Buenos Aires.
  15. Il Prinz Eugen era un incrociatore pesante della Kriegsmarine tedesca, attivo durante la seconda guerra mondiale. Il nome della nave era in onore al principe Eugenio di Savoia, che aveva combattuto con l’Impero austriaco contro i turchi e i francesi. Tra le poche navi da battaglia tedesche sopravvissute al conflitto, nonostante un siluramento nel 1942 nel Mare del Nord, fu ceduto come riparazione dei danni di guerra prima ai britannici e poi agli americani che lo utilizzarono come bersaglio per prove nucleari (Operazione Crossroads), insieme a diverse altre navi, fra cui la giapponese Nagato nell’atollo delle Isole Marschall di Bikini. La prima prova (Able) ebbe luogo il 1º luglio 1946; il Prinz Eugen si trovava a 1.200 iarde (1.100 m) dal punto dell’esplosione e la bomba, della potenza di 20 kiloton (20.000 t di TNT) non provocò che danni minimi all’incrociatore (sembra che il danno più grave sia stato la totale asportazione della vernice di protezione sulla nave). La seconda prova (Baker) ebbe luogo il 25 luglio, con il Prinz Eugen alla stessa distanza dal punto dell’esplosione. La potenza della bomba era uguale a quella di Able, ma l’esplosione subacquea ebbe effetti devastanti. La chiglia fu completamente deformata, rendendo la nave incapace di navigare, ma lo scafo rimase a galla. Poiché Baker, a differenza di Able, non fu una esplosione nucleare autopulente, il fallout radioattivo rese difficile la gestione del naviglio che era rimasto esposto. Pertanto la prova successiva, Charlie, fu cancellata, anche se la decisione venne giustificata con il successo di Baker. Il Prinz Eugen, fortemente danneggiato e radioattivo, fu trasferito 160 miglia a sud, nei pressi dell’atollo di Kwajalein (Isole Marshall, Micronesia), dove, lentamente, iniziò ad imbarcare acqua ed infine affondò il 22 dicembre 1947. Il relitto del Prinz Eugen è ancora a Kwajalein, arenato in acque poco profonde. Il governo degli Stati Uniti ha sempre negato il permesso di rottamare lo scafo, per evitare che il metallo, esposto alle radiazioni degli esperimenti nucleari, potesse essere immesso sul mercato. Alcuni pezzi sono, tuttavia, stati asportati e donati a musei, come la campana della nave, attualmente al Museo Nazionale della Marina degli Stati Uniti (Washington) ed un’elica, in esposizione al Memoriale navale di Laboe presso Kiel (Germania). A partire dal 1974, il governo degli Stati Uniti cominciò a temere che un tifone, colpendo il relitto, potesse causare una perdita di carburante dai serbatoi della nave. Pertanto nel 2018 la marina e l’esercito degli Stati Uniti, assieme al governo della Micronesia, cominciarono a procedere all’asportazione del carburante residuo. La nave di salvataggio USNS Salvor e la nave cisterna Humbler si sono poste sul relitto semi-sommerso, hanno praticato una serie di fori sullo scafo e aspirato 950.000 litri di carburante (circa il 97% del totale). Al termine delle operazioni, il 15 ottobre 2018, tutte le potenziali perdite erano state bloccate ed il carburante residuo, ancora presente nel relitto, posto in sicurezza in serbatoi a tenuta stagna.
  16. U-Boot è il termine tedesco per indicare genericamente sommergibili, ed è l’abbreviazione di Unterseeboot, letteralmente “battello sottomarino”. Il termine è utilizzato nelle altre lingue per indicare i battelli sottomarini e sommergibili impiegati durante la prima e la seconda guerra mondiale dalla marina militare tedesca (Kaiserliche Marine e Kriegsmarine). Durante la seconda guerra mondiale, gli attacchi degli U-Boot furono la componente principale della Battaglia dell’Atlantico Nord orientale, che durò fino al termine della guerra. Durante le prime fasi della guerra e subito dopo l’ingresso degli Stati Uniti, gli U-Boot furono estremamente efficaci nella distruzione dei mercantili alleati, attraverso le tattiche messe in atto dai cosiddetti “branchi di lupi”, i sottomarini oceanici tipo VII. Le migliorie nella tattica dei convogli, il sonar, le bombe di profondità, la decifrazione del Codice Enigma usato dai tedeschi e il raggio d’azione degli aerei di scorta servirono a volgere la sorte contro gli U-Boot. Alla fine la flotta degli U-Boot soffrì perdite estremamente pesanti, perdendo 789 unità (più 3 sommergibili inglesi catturati e riutilizzati dalla marina tedesca) su 1.157 (di cui 25 alleate catturate e riutilizzate) e circa 30.000 marinai su un totale di 50.000. Inoltre, la Germania possedeva 700 piccolissimi sommergibili. Va ricordato l’aiuto dei sommergibili italiani, che aiutarono l’alleato tedesco con 32 unità e 109 navi affondate. Gli U-Boot tedeschi e i sommergibili giapponesi e italiani affondarono in tutto 2.828 navi alleate, per un totale di circa 15 milioni di tonnellate. Tra il 1939 e il 1942 gli U-Boot affondarono pressoché indisturbati varie navi da carico transitanti lungo la West Coast americana, causando ingenti danni. Quando gli inglesi trovarono il modo di decifrare Enigma e gli alleati riuscirono a prevedere anche i movimenti degli U-Boot, i tedeschi non interruppero il loro impiego in Atlantico. Durante la seconda guerra mondiale, la Kriegsmarine (la Marina Militare Tedesca) produsse diversi tipi di U-Boot, man mano che la tecnologia migliorava, sino ad arrivare al tipo XXI che rimane la classe di sottomarini tecnologicamente più avanzata della seconda guerra mondiale (pur avendo servito solo per pochi giorni prima della fine del conflitto) ed è considerato il progenitore dei moderni sottomarini: diversi sommergibili realizzati nel dopoguerra dalle maggiori potenze mondiali (in particolare dagli Stati Uniti d’America) furono sviluppati proprio a partire da questo modello.
  17. Le basi francesi fortificate di sommergibili U-Boot tedeschi furono rese disponibili solo dal 1941 in poi, in quanto, dopo la vittoriosa campagna di Francia, furono necessari molti mesi di lavoro e l’impiego di migliaia di operai, utilizzati in condizioni di lavoro tremende, senza sosta, giorno e notte.
  18. Lo U-Boot Tipo VII è stata una classe di sommergibile oceanico tedesco, attivo tra la seconda metà degli anni trenta e la fine della seconda guerra mondiale. Si tratta di un battello di dimensioni relativamente ridotte, caratterizzato da una ottima manovrabilità e da una buona rapidità di immersione. Solitamente gli U-Boot tipo VII sferravano attacchi in notturna in emersione, per poter contare su una maggiore velocità e su una maggiore possibilità di non essere avvistati durante la delicata fase di approccio e durante il lancio dei siluri. Subito dopo l’attacco il sommergibile invertiva la rotta o si immergeva per sfuggire alle unità di scorta nemiche, che non appena ne individuavano la posizione approssimativa iniziavano il lungo rastrellamento con l’utilizzo dell’Asdic e delle bombe di profondità, dando inizio ad un inseguimento che poteva durare giorni interi e che era il peggior incubo di ogni sommergibilista. Non di rado tuttavia i tipo VII effettuavano anche attacchi in immersione da quota periscopica.
  19. I cosiddetti “Branchi di lupi” erano formazioni di U-Boot oceanici del tipo VII che sferravano attacchi in simultanea). La larga maggioranza degli Assi dei sommergibili tedeschi della seconda guerra mondiale ottenne i propri successi su questi battelli. Sebbene le sue relativamente ridotte dimensioni ne facessero un battello particolarmente scomodo per qualità della vita a bordo, si rivelò il sommergibile più adatto alla navigazione in Atlantico e fu fin da subito letale per i convogli mercantili alleati, ai quali i “branchi di lupi” inflissero enormi perdite. La tattica del “branco di lupi” ideata da Dönitz prevedeva che non appena un sommergibile avvistava un convoglio ne informava immediatamente il BdU (il comando della flotta sottomarina) rivelandone la posizione. Il BdU dava poi ordine a tutti i sommergibili presenti nella zona di confluire in un determinato punto dal quale il branco iniziava l’inseguimento. L’attacco avveniva in simultanea, solitamente dopo aver seguito il convoglio per diverse ore (in attesa dell’oscurità) con i diversi sommergibili che puntavano a diverse navi del convoglio. Questa tattica si rivelò fin da subito molto efficace ma fu più volte limitata dalla quantità di sommergibili operativi in Atlantico e dalle sempre più efficaci misure antisommergibile adottate dagli alleati, che vennero modificate e migliorate numerose volte nel corso della guerra. Nell’evolversi del conflitto in Atlantico, il peggior avversario di ogni U-Boot si rivelò l’aereo: la Germania infatti non riuscì mai ad esercitare un controllo degli spazi aerei anche solo parziale sui mari interessati dal conflitto, mentre gli alleati anno dopo anno intensificarono sempre di più la loro copertura aerea antisommergibile, equipaggiando bombardieri a lungo raggio con bombe di profondità e impianti radar e utilizzando oltre alle basi inglesi anche basi in Islanda e Groenlandia. Già a metà del 1943 per qualunque sommergibile tedesco era proibitivo pensare di navigare in emersione negli orari diurni, anche solo per poche ore.
  20. La Marina Militare costituisce una delle quattro forze armate della Repubblica Italiana, insieme a Esercito Italiano, Aeronautica Militare e Arma dei Carabinieri; ad essa sono affidati il controllo e la condotta delle operazioni navali nelle acque territoriali e internazionali. La Flotta della Marina Militare è attualmente composta da 54 unità armate. Nel dettaglio queste sono 3 portaerei (di cui l’ultima, la Trieste, di nuova concezione multiruolo), 8 sottomarini, 4 Cacciatorpediniere missilistici, 11 Fregate lanciamissili, 11 Pattugliatori d’altura lanciamissili, 4 Pattugliatori costieri, 10 Cacciamine e 3 Navi d’assalto anfibio. La Nave Ammiraglia, nel 2022, è la Portaerei Cavour in attesa dell’entrata ufficiale in servizio della Nave multiruolo LHD-V/STOL (Portaerei e portaelicotteri d’assalto anfibio) Trieste, prevista nel 2023.
  21. La tecnologia stealth (letteralmente tecnologia furtiva) è l’insieme di accorgimenti di varia natura (tattica, tecnica e tecnologica), che permettono di diminuire la propria evidenza all’osservazione e rilevazione radar da parte nemica. In questi ultimi tempi il termine “stealth” è sempre più associato a velivoli o navi di ultima generazione, spesso basandosi solo su un fatto estetico. Va subito sfatato il concetto di “invisibilità“: nulla è invisibile ed è impossibile (attraverso le attuali tecnologie) creare un aeromobile, mezzo o nave che non possa essere identificato tramite radar. Per comprendere la Tecnologia Stealth si deve partire dalle basi di funzionamento del radar: le onde elettromagnetiche emesse da un radar, raggiunto un ostacolo, vengono riflesse da quest’ultimo cosicché parte delle onde tornano al punto di emissione; da lì poi si procede all’elaborazione. Il segnale acquisito dal rilevatore viene elaborato al fine di stabilire posizione, grandezza e direzione dell’oggetto. Anche nel campo navale la Tecnologia Stealth è in fase di sviluppo. Il problema principale in questo campo è la grandezza delle navi: un radar riesce comunque ad individuare una nave nel proprio range di azione, ma, in caso di uso di materiali e geometrie adatte, la nave potrebbe essere scambiata per un piccolo mercantile o un’imbarcazione di medie dimensioni piuttosto che ad una fregata o incrociatore di grandi dimensioni. Anche se questi velivoli (mezzi o navi) sono avanzati, la tecnologia in uso non è invincibile. Sono presenti tante problematiche che riguardano anche altri campi non strettamente legati al contesto stealth. Un velivolo (ma anche una nave) stealth comunque genera una firma di calore emesso dai motori e da tutta la struttura: l’aumento della velocità del velivolo comporta un aumento degli effetti resistivi dell’aria che portano ad un aumento generale della temperatura dell’intero velivolo (si può arrivare anche a 200° C oltre il Mach 1). I vani di bombe o missili, prese dinamiche, aperture per i cannoni, aerofreni, carrelli e carichi esterni (serbatoi, armamenti, pod di guerra elettronica o elettro-ottici) non sono, in generale, elementi stealth: una volta aperti i portelli del vano armamenti, la riflessione delle onde su tutti i componenti interni è elevatissima. Eventuali forme a zig-zag dei bordi anteriori e posteriori dei portelli ha il fine di evitare le riflessioni. In particolare per ciò che concerne i missili montati sui piloni alari, essi presentano delle ogive sviluppate per essere trasparenti alle onde elettromagnetiche (oltre a presentare elementi interni schermati).
  22. La Nave multiruolo LHD-V/STOL (Portaerei e portaelicotteri d’assalto anfibio) Trieste, è un’unità anfibia multiruolo della Marina Militare, così classificata ufficialmente e ordinata a seguito del programma navale 2014-2015, costruita nei cantieri navali di Castellammare di Stabia della Fincantieri e varata nel 2019. La sua stazza è di 42.000 tonnellate a pieno carico, lunga m.245, larga 47 ed alta m.27,7, è costata 1.126 milioni di euro. Si tratta di una nave di nuova concezione, multiruolo, con capacità aeree, anfibie, logistiche ed ospedaliere. Sarà la nostra prossima nave ammiraglia e, tra l’altro, potrà imbarcare cacciabombardieri di V generazione F-35 Lighting II, mezzi anfibi e truppe per un eventuale sbarco, e costituire un attrezzato ospedale con sale operatorie, ambulatori, zone di degenza e laboratori per almeno 700 metri quadri. Ha inoltre capacità di autodifesa con contromisure elettroniche e missilistiche, nonché capacità di attacco missilistico a medio raggio con sistemi Sylver A-50 e Aster 15/30. 
  23. Il Cavour (C 550, e anche CVH 550) è un incrociatore portaeromobili STOVL (per velivoli a decollo corto ed atterraggio verticale) della Marina Militare italiana. Varato nel 2004 è entrato in servizio nel 2009; dal 2011 è la nave ammiraglia della flotta. E’ lunga 244 metri fuori tutto, larga 51 ed alta 36,6. Il suo tonnellaggio è di 29.900 t. La sua velocità massima è di 29 nodi pari a 52 Km/h. Il suo equipaggio consta di oltre 1.200 unità, tra marinai, gruppo volo e circa 400 fanti di marina del Reggimento San Marco. E’ dotata di sistemi d’arma sia in chiave difensiva che offensiva di ultima generazione, tra cui i sistemi missilistici Sylver-43 e Aster-15 e cannoni Oerlikon da mm 25/80 ed Oto-Melara da mm 76/62. Può imbarcare 36 aeromobili, tra cui gli F-35/B di V generazione e Harrier II AV-8B Plus, nonché elicotteri SH/3D-EH101 (in fase di sostituzione con i più moderni AgustaWestland AW149). La nave è costata 1.350 milioni di euro, esclusa la componente aerea.
  24. L’incrociatore portaeromobili STOVL Giuseppe Garibaldi, matricola C 551, è un’unità della Marina Militare che prende il nome dall’eroe del nostro Risorgimento. L’unità è stata la prima portaerei nella storia della Marina Militare ad entrare in servizio attivo dato che le due unità portaerei, l’Aquila e lo Sparviero, approntate nel corso della seconda guerra mondiale non entrarono mai in servizio. La nave ha ricoperto il ruolo prestigioso di nave ammiraglia della Marina Militare dal 1987 al 2011, quando è passato alla nuova portaerei Cavour. Nel 2013 ha subito un’importante ristrutturazione ed ammodernamento. Ha un tonnellaggio di 14.500 t, è lunga 181 metri e larga 31. Ha un equipaggio di 830 uomini, tra personale di navigazione e del gruppo volo. Può imbarcare 18 aeromobili tra F-35B di V generazione e Harrier II AV-8B Plus, nonché elicotteri SH/3D-EH101 (in fase di sostituzione con i più moderni AgustaWestland AW149). E’ Armata con sistemi missilistici a medio-lungo raggio Teseo Mk2, lanciasiluri tripli da 324 mm, mentre in chiave difensiva da sistemi missilistici Albatros/Aspide ed artiglieria multipla Breda Dardo da 40 mm. E’ dotata, come per il Cavour, di sistemi radar e di bordo di ultima generazione, in grado di guidare a medio e lungo raggio sia gli aeromobili imbarcati che i sistemi missilistici da crociera.
  25. I caccia a reazione sono spesso categorizzati storicamente in “generazioni”, un termine che è apparso per la prima volta negli anni ’90, secondo il Air Power Development Centre Bulletin della Royal Australian Air Force: «per dare un senso ai miglioramenti delle prestazioni degli aeromobili a reazione da combattimento realizzati attraverso importanti progressi nella progettazione degli aerei, dell’avionica e dei sistemi d’arma» e propone che «un passaggio generazionale negli aerei da caccia a reazione si verifica quando un’innovazione tecnologica non può essere incorporata in un aeromobile esistente attraverso aggiornamenti e retrofit». Lockheed Martin ha applicato il termine “quinta generazione” per i suoi aerei F-22 e F-35, per significare che la concorrenza non è in grado di offrire livelli simili di prestazioni; una classificazione contestata da Eurofighter e da Boeing IDS nel contesto dell’offerta per sostituire i caccia delle Canadian Armed Forces. Bill Sweetman su Aviation Week ha osservato che la Lockheed Martin «ha definito l’F-35 un caccia di “quinta generazione” nel 2005, un termine che ha preso in prestito dalla Russia nel 2004 per descrivere l’F-22» e propone che nell’era del dopo guerra fredda, l’approccio a basso costo del Saab JAS 39 Gripen (caccia svedese definito di quarta generazione e mezza) dovrebbe qualificarlo come un caccia di sesta generazione. Questa, alla fine, è una pura terminologia di marketing. In ogni caso, per quanto riguarda l’Italia, il nostro Paese è coinvolto nello sviluppo del BAE Systems Tempest, un caccia multiruolo stealth, di sesta generazione, in sviluppo per conto della Royal Air Force britannica, dell’Aeronautica Militare italiana e del Kōkū Jieitai giapponese. Il progetto prevede l’entrata in servizio del nuovo caccia di VI generazione per il 2035 ed è sviluppato da un consorzio di enti ed aziende conosciuto come “Team Tempest”, fra i quali figurano il Ministero della difesa britannico, BAE Systems, Rolls-Royce, Leonardo S.p.A. e MBDA. Progetti concorrenti sono, invece, il FCAS Franco-tedesco-spagnolo ed il NGAD statunitense (Fonte: Aviaton report, cfr. https://www.aviation-report.com/tag/aerei-di-sesta-generazione/).
  26. Un’arma nucleare tatticaè un ordigno nucleare progettato per essere utilizzato sul campo di battaglia in diverse situazioni belliche. Il termine differisce da arma nucleare strategicache invece ha una funzione deterrente. Le armi nucleari tattiche sono generalmente costituite da ordigni nucleari con un basso potere distruttivo. Progettate per essere utilizzate direttamente sul campo di battaglia, hanno la funzione di mettere fuori uso o ridurre la capacità aggressiva dell’esercito nemico o di arrestarne l’avanzata sul terreno di battaglia. Ciò ha portato allo sviluppo di ordigni di piccole dimensioni, facilmente trasportabili ed utilizzabili senza l’utilizzo di mezzi aerei, ma direttamente dalle truppe sul campo di operazioni. Le TNW sono state progettate dagli anni Ottanta in avanti per essere utilizzate direttamente sul campo di battaglia e quindi le principali caratteristiche rispetto alle armi strategiche (il cui obiettivo è invece la distruzione di grandi città o aree ancora più vaste) sono il minore raggio di azione (range), il minore potenziale esplosivo (yield), il minor fallout, ovvero la ricaduta di materiale radioattivo in seguito alla detonazione. Per quanto riguarda la potenza esplosiva, le uniche armi atomiche mai utilizzate contro un nemico sono state quelle sganciate dagli Stati Uniti contro le città Giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, due bombe rispettivamente, da quindici e venti chilotoni. Il che significa che la forza liberata durante le esplosioni era l’equivalente di quindici e ventimila tonnellate di dinamite, la forza che uccise istantaneamente circa settantamila persone. La potenza esplosiva delle armi tattiche detenute negli arsenali russi e americani è molto variegata: si passa da bombe da decimi di chilotone a circa cinquanta chilotoni. Facendo il paragone, le armi nucleari strategiche vanno da cento chilotoni a più di un megatone, cioè un milione di tonnellate di esplosivo TNT. I sistemi di medio e di lungo raggio sono stati oggetto di trattati tra le parti (il più importante è il famoso trattato di non proliferazione nucleare concluso a Londra, Mosca e Washington il 1° luglio 1968) che ne hanno limitato la produzione, talvolta portato all’eliminazione fisica dei sistemi stessi, nell’ottica di frenare la spirale di devastazione che seguirebbe a uno scontro tra potenze nucleari. Le TNW, invece, non sono mai state sottoposte ad accordi o limitazioni tra Stati, principalmente in virtù del loro status di arma “minore”. Washington detiene, da quel che si sa,circa duecento TNW di potenza tra gli 0.3 e i 170 chilotoni, la metà delle quali è dislocata sul suolo europeo in Italia, Germania, Turchia, Belgio e Paesi Bassi. Mosca ne possiederebbe circa duemila, di potenza leggermente più bassa, fino a 100 chilotoni. Questi sistemi possono essere lanciati da un aereo, da una nave, da terra e, ad aumentare la complessità della cosa, vi è il fatto che la gran parte di questi missili possono essere armati anche con testate convenzionali, come ha fatto la Russia nella guerra contro l’Ucraina del 2022. Fino ad oggi nessuno ha lanciato su un campo di battaglia armi nucleari tattiche, e si teme che un loro utilizzo, più volte ventilato dai Russi durante il conflitto con l’Ucraina) possa sdoganare l’uso di questo tipo di sistemi. L’altra preoccupazione riguarda ovviamente la possibile escalation che si rischierebbe qualora Mosca dovesse decidere di ricorrere a questo strumento proprio contro l’Ucraina. Assimilabili funzionalmente alle armi nucleari tattiche sono le bombe libere americane B61-modello 12 LEP, le cosiddette “termobariche”. La bomba termobarica (in inglese Thermobaric weapon), o impropriamente bomba a vuoto, è una particolare tipologia di arma convenzionale che usa l’ossigeno dell’aria circostante per generare un’esplosione ad alta temperatura. Le armi termobariche sono composte quasi al 100% di carburante e di conseguenza sono significativamente più energetiche e la loro esplosione dura più a lungo degli esplosivi convenzionali dello stesso peso. Nonostante la loro dipendenza dall’ossigeno atmosferico le renda inadatte all’uso sott’acqua, ad alta quota e in condizioni atmosferiche avverse, esse sono tuttavia considerevolmente più distruttive se usate contro fortificazioni da campo come le trincee, le gallerie, i bunker e le grotte, com’è avvenuto in Afghanistan per stanare i guerriglieri talebani e di Al-qaeda. La carica iniziale detona non appena viene colpito il bersaglio, aprendo il serbatoio e disperdendo la miscela di carburante come se fosse una nuvola. Solitamente l’onda d’urto di una bomba termobarica dura molto più a lungo di un’esplosione convenzionale.
  27. La Caserma Ederle, in inglese Camp Ederle, è una base militare dell’Esercito degli Stati Uniti situata a Vicenza, sede dello United States Army Africa (USARAF). Una seconda installazione militare, la Caserma Del Din è stata inaugurata nel 2013 nella stessa città. Le due caserme, che comprendono gli alloggi dell’esercito statunitense, un piccolo sito di comunicazioni e un punto di rifornimento munizioni USAREUR, costituiscono le sedi di una guarnigione di diverse unità USA operanti in Europa individuate dal 3 ottobre 2015 come Vicenza Military Community. Accorpata al Darby Military Community di Pisa e Livorno costituisce lo United States Army Garrison (USAG) Italy. Dal 2000 Vicenza è la sede del 173rd Airborne Brigade Combat Team e dello United States Army Africa, prima al Camp Ederle, poi al Del Din. Attualmente, solo il comando brigata, due battaglioni di fanteria e porzioni di due battaglioni di sostegno della brigata sono di stanza nel Camp, ma essendo ormai l’allargamento della base in fase di completamento, la presenza militare dovrebbe salire a oltre 5.000 unità. La nuova base “Del Din” è stata inaugurata nel luglio 2013.
  28. La Divisione Operazioni Speciali del Ministero della Difesa è un’articolazione di fantasia dell’autore.
  29. Il Gruppo di Realizzazione Speciale Interforze è realmente esistito negli anni sessanta. Gli fu inizialmente affidato lo sviluppo del programma militare nucleare italiano.
  30. La forza di dissuasione nucleare francese (in francese: force de dissuasion nucléaire française), chiamata anche forza d’urto (in francese: force de frappe), fu un progetto avviato nel 1958 durante la Guerra Fredda, quando Félix Gaillard, Presidente del Consiglio sotto la presidenza di René Coty, decise di dotare la Francia di una forza di dissuasione nucleare. Nello stesso anno ritornò al potere il generale Charles de Gaulle (prima come Presidente del Consiglio poi come Presidente della Repubblica), il quale decise di far fallire l’accordo tripartito con Regno Unito ed Italia e di dare alla Francia un “deterrente nucleare” autonomo. La dissuasione è considerata un pilastro della politica di difesa francese.
  31. Il programma del vettore Alfa lanciato nei primi anni settanta dall’Italia, verteva su un missile balistico a medio raggio prodotto dall’Aeritalia e simile all’americano Polaris A-3. Con una gittata di oltre 1.600 km, poteva potenzialmente colpire tutti i paesi del blocco orientale con una singola testata nucleare dal peso di 1 tonnellata. La testata comprendeva un singolo veicolo di rientro dotato di testata termonucleare della potenza di 1 megaton (arma nucleare strategica). Tra il dicembre 1971 e il luglio 1973 vennero effettuate diverse prove su modelli in scala del propulsore presso lo stabilimento BPD Spazio di Colleferro. Il motore del primo stadio fu collaudato undici volte in prove statiche, tra il dicembre 1973 e il gennaio 1975, preso il balipedio “Cottrau” della Marina Militare, sito a La Spezia. Il primo lancio sperimentale del missile, dotato del secondo stadio inerte, avvenne dal poligono di Salto di Quirra in Sardegna alle 17:00 dell’8 settembre 1975. Il missile raggiunse i 25 km di quota in un minuto, arrivando a 110 km prima di ricadere ad una sessantina di chilometri dal Poligono. Ulteriori due missili sperimentali furono lanciati da Salto di Quirra; il secondo il 23 ottobre 1975, mentre il terzo e ultimo avvenne il 6 aprile 1976. Tutti e tre i lanci furono coronati da successo. Lo sviluppo del sistema d’arma Alfa, costato ormai la cifra di sei miliardi di lire, fu fermato in questa fase, quando il programma nucleare jugoslavo era ormai in fase di abbandono. Sotto la pressione degli Stati Uniti l’Italia firmò il Trattato di non proliferazione nucleare il 2 maggio 1975, mentre la Svizzera ratificò il trattato e concluse definitivamente il suo programma nucleare nel 1977. Il missile Alfa sarebbe stato in grado di trasportare una testata nucleare da una tonnellata (1 megaton) ad una distanza di 1.600 km, sufficiente a colpire alcuni obiettivi strategici non distanti da Mosca (quest’ultima distante circa 1.900 Km da Trieste) e altri obiettivi nella Russia europea (come le capitali di Praga e Budapest) con lancio dal Mare Adriatico. Un missile Alfa apparentemente completo è attualmente esposto presso la base aerea di Cameri, in Provincia di Novara. Un simulacro si trova esposto all’aperto presso il Museo storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle, Roma. Il patrimonio tecnologico del programma confluì nei successivi lanciatori spaziali italiani a propellente solido, come il progetto Vega.
  32. Vega C/M è versione militare di fantasia dell’autore derivata del vettore (lanciatore spaziale a stadi con propellente misto solido e liquido) VEGA C realmente esistente ed utilizzato dall’Agenzia spaziale italiana e da quella europea (ESA) per il lancio in orbita di satelliti.
  33. Vega, acronimo di Vettore Europeo di Generazione Avanzata, è un vettore operativo in uso dalla Arianespace, sviluppato in collaborazione dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per il lancio in orbita di piccoli satelliti (da 300 a 1.500 kg).
  34. La III Brigata Missili, poi 3ª Brigata missili “Aquileia”, è stata una Grande Unità dell’Esercito Italiano, con una forza combattente di circa 5.478 uomini, dipendeva dal V Corpo d’Armata ed il suo quartier generale, dal 1975, aveva sede a Portogruaro presso la Caserma “Luciano Capitò“. Costituita nel 1959 in seguito all’accordo segreto stipulato il 20 ottobre 1954 tra il governo italiano e quello statunitense relativo alla difesa nucleare in Italia, la Brigata prendeva il nome in onore della città friulana di Aquileia e fu sciolta nel 1991. Dislocata con i suoi reparti tra il Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed il Trentino-Alto Adige, era dotata di armamento nucleare tattico ed aveva il compito di fermare una eventuale invasione delle truppe del Patto di Varsavia proveniente dalla “soglia di Gorizia” o dall’Alto Adige attraverso la Val Pusteria tramite il varco di Prato alla DravaVersciaco. In caso reale di conflitto, il Comando Brigata sarebbe stato trasferito nel posto di comando protetto dello sbarramento difensivo di Rivis di Sedegliano, in provincia di Udine, mentre il trasporto delle testate nucleari dal Deposito “Site Pluto” (tradotto in Covo di Plutone) di Vicenza alle varie postazioni di lancio disseminate nella pianura friulana-veneta sarebbe stato affidato agli autieri del Reparto logistico con gli autocarri OM 6600 Acp 56. Con le stesse modalità di schieramento, nel novembre del 1983 la Brigata prese parte alla nota operazione Able Archer 83 (Abile arciere). Così fu chiamata in codice l’esercitazione della NATO, che fu rivelata per la prima volta nel 2013 dopo la declassificazione di documenti americani secretati. Durata 10 giorni, l’operazione simulava una escalation globale che avrebbe portato alla guerra nucleare fra la NATO e il Patto di Varsavia. La simulazione iniziò il 2 novembre 1983, controllata dal Supreme Headquarters Allied Powers Europe con sede a Casteau, a nord della città di Mons. In Europa furono mobilitati 40.000 uomini e lo stato di allerta negli Usa fu portato a DEFCON 1, ovvero al livello massimo. “Able Archer” si avvicinò talmente alla realtà che l’Unione Sovietica scambiò questa esercitazione militare della NATO per un tentativo di attacco attivando di conseguenza i missili balistici e le basi militari pronti a un attacco preventivo. La CIA rivelò approntamenti dell’aviazione avversaria con munizionamento nucleare nel Baltico, in Polonia, nella Germania dell’Est e in Cecoslovacchia. Piani militari segreti del Patto di Varsavia, risalenti agli anni sessanta e resi pubblici nel 2005, prevedevano un attacco all’Italia attraverso la neutrale Austria con un bombardamento nucleare preventivo sulle città di Vienna, Monaco di Baviera, Innsbruck, Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Ghedi e Piacenza. Le truppe russe-ungheresi consistenti in 7 divisioni motorizzate, 3 divisioni corazzate, 38 lanciamissili, 214 aerei da combattimento, 121 caccia, 24 aerei da ricognizione e 25 bombardieri con armi atomiche prevedevano di occupare il Nord Italia, attraverso le linee di penetrazione di Tarvisio e della Val Camonica, raggiungendo Brescia e Bologna in 13 giorni di combattimenti attestandosi poi saldamente sull’Appennino tosco-emiliano. Al contrario i piani militari segreti della NATO prevedevano, secondo quanto affermato dall’ex presidente Francesco Cossiga in una nota trasmissione televisiva della Rai, una risposta nucleare italiana sulle città di Praga e Budapest condotta dall’aeronautica militare con cacciabombardieri Panavia Tornado dell’aeroporto di Brescia-Ghedi.
  35. Nella nostra realtà fattuale, l’Italia utilizza a medio-lunga gittata i sistemi missilistici Scalp-EG, nella versione Aeronautica e Scalp Naval nella versione navale, entrambi con gittata di oltre 1.600 chilometri, nonché Teseo MK2-Evolvedcon gittata di oltre 500 chilometri. Questi vettori di ultima generazione utilizzano traiettorie irregolari, seguono l’andamento del terreno per sfuggire ai radar e possono compiere manovre evasive che consentono di eludere la controffensiva. La precisione e le capacità distruttive di questi missili teleguidati sono straordinarie: il sistema che li governa è del tipo “fire and forget”, spara e dimentica, con la possibilità di seguire sul video la crociera del vettore verso il bersaglio. Un radar altimetrico consente a questi missili di seguire il profilo del terreno, guidati da un sistema ad altissima tecnologia (IIR) che compara l’immagine vista dal sensore con quella del bersaglio immagazzinata nella memoria. Il missile è completamente autonomo, una volta sganciato, si dirige sulle coordinate impostate prima del volo, fornite dal satellite, senza ulteriori controlli ma senza, tuttavia, almeno per il momento, la possibilità di cambiare obiettivo durante la sua corsa, il cosiddetto retargeting. In particolare, il missile Scalp-EG dispone di una testata a due stadi: una carica cava consente al missile di penetrare nel bersaglio, successivamente la spoletta ritardata fa detonare la carica principale. Sono molto duttili in quanto possono essere armati con differenti tipi di testata, convenzionale, termonucleare e termobarica. In particolare, i nuovi sistemi missilistici Scalp Naval con armamento nuclearepossono essere armati a bordo di diverse unità della Marina Militare italiana, come i cacciatorpediniere di ultima generazione, le Fregate classe Fremm, i pattugliatori d’altura Thaon De Revel, i sommergibili classe <<Todaro>> ed i nuovissimi quattro sottomarini U-212NFS (acronimodi Near Future Submarine) della nostra marina recentemente varati. Quanto ai missili Scalp-EG, sonoutilizzati dall’Aeronautica Militare italiana sui cacciabombardieri di quinta generazione, i Lockheed Martin F-35A Lightning II, sui cacciabombardieri un pò più datati Panavia Tornado IDS e recentemente anche su gli Eurofighter 2000 Typhoonappositamente modificati.
  36. Si tratta dei sistemi missilistici denominati TESEO-EVO Mk-2/E, armati sulle Unità della Marina Militare italiana. Per quanto riguarda i cacciabomnardieri, si tratta del Panavia MRCA Tornadoin versione bombardiere tattico nucleare.
  37. Si tratta dei già citati sistemi missilistici TESEO-EVO Mk-2/A, in una versione precedente con minore gittata.
  38. I semoventi corazzati d’artiglieria PzH-2000, i più potenti al mondo, costruiti dal Consorzio italiano CIO (Iveco-OTO Melara) su licenza, ironia della sorte, delle aziende tedesche Krauss-Maffei Wegmann e Rheinmetall.
  39. Si tratta di una rappresentazione di fantasia dell’autore priva di alcuna aderenza alla realtà fattuale.
  40. Si tratta di una elaborazione di fantasia dell’autore, ivi compreso il suo ipotetico range operativo.
  41. Si tratta dei già citati sistemi missilistici SCALP-EG in versione aeronautica e SCALP-NAVAL nella versione navale e dei citati sistemi missilistici Teseo-Evo Mk-2/E a medio raggio su lanciatori terrestri, navali e sottomarini, nonché lanciabili dai cacciabombardieri F-35, Tornado IDV ed Eurofighter Typhoon.
  42. Si tratta dei già citati semoventi corazzati d’artiglieriaRehinmetal PhZ-2000, costruiti in Italia, su licenza, dal Consorzio CIO (Iveco-OTO Melara) e che sono stati forniti ad agosto 2022 in 7 esemplari dal Governo tedesco alle Forze armate Ucraine nel conflitto che le oppone attualmente all’Armata rossa. Alcune fonti riferiscono di qualche problematica operativa che sarebbe sorta nel concreto utilizzo in teatro operativo. Infatti, secondo le specifiche emanate dall’Esercito tedesco, il pezzo da 155/52 mm installato sul PzH-2000 è stato progettato per un rateo consecutivo di fuoco pari a circa 100 colpi.Tuttavia sembrerebbe che gli artiglieri ucraini siano andati ben oltre questo limite, mettendo a dura prova il meccanismo di caricamento automatico dei semoventi. Inoltre avrebbero impiegato munizionamento non adatto agli obici Rheinmetall L52 da 155 mm (forse sono stati utilizzati i colpi statunitensi Excalibur per ottenere gittate maggiori). Comunque la Bundeswehr ha assicurato che avrebbe “rapidamente” inviato pezzi di ricambio per riparare i PzH-2000 danneggiati. Inoltre, Berlino ha previsto di istituire un centro di riparazione in Polonia per poter fornire un supporto logistico migliore alle forze ucraine.Nell’estate scorsa il governo tedesco ha dato luce verde alla vendita di 100 PzH-2000 all’Ucraina, per un importo complessivo di 1,7 miliardi di euro. (Fonte: articolo di Tiziano Ciocchetti del 3 agosto 2022 apparso sulla Rivista on line difesa.it cfr. https://www.difesaonline.it/mondo-militare/gli-ucraini-cominciano-ad-avere-problemi-con-i-pzh-2000)
  43. Sistemi missilisticitipo Aster con gittata tra i 15 ed i 30 Km ed anche dall’artiglieria semovente terrestre con i già citati semoventi corazzati Rehinmetal PzH-2000.
  44. In località Colle Isarco, a 8 chilometri dal passo del Brennero, esiste realmente una base logistica dell’Esercito Italiano utilizzata anche come soggiorno montano.
  45. Le cosiddette “ambientali” sono dispositivi tecnologici di ascolto e videoregistrazione di ambienti interni ed esterni utilizzati comunemente dalle nostre Forze di Polizia e dai Servizi segreti.
  46. Enigma fu un dispositivo elettromeccanico per cifrare e decifrare messaggi. Macchina nata da un tentativo di commercializzazione poi fallito, fu ampiamente utilizzata dalle forze armate tedesche durante il periodo nazista e della seconda guerra mondiale in particolare. La facilità d’uso e la presunta indecifrabilità furono le maggiori ragioni del suo ampio utilizzo. Nonostante fosse stata modificata e potenziata nell’arco del suo periodo di impiego, un nutrito gruppo di esperti riuscì a violarla dopo essersi impegnato a lungo con questo intento. I primi a decifrarla nel 1932 furono alcuni matematici polacchi: Marian Rejewski, Jerzy Różycki e Henryk Zygalski. Il loro lavoro permise di ottenere ulteriori informazioni sulla sempre più aggiornata macchina “Enigma”, prima in Polonia e, dopo lo scoppio della guerra, anche in Francia e Gran Bretagna. La decrittazione dei messaggi cifrati con Enigma fornì per quasi tutta la seconda guerra mondiale importantissime informazioni alle forze alleate. Alla vigilia dell’invasione della Polonia, nel 1939, il progetto venne trasferito agli inglesi, i quali organizzarono un’attività di intercettazione e decifrazione su vasta scala delle comunicazioni radio tedesche presso Bletchley Park, nota anche come Stazione X, una tenuta situata a Bletchley, un paese a circa 75 km a nord-ovest di Londra, ove durante la seconda guerra mondiale fu costituito il sito dell’unità principale di crittoanalisi del Regno Unito, nonché sede della Government Code and Cypher School (GC&CS, “Scuola governativa di codici e cifrazione”), l’odierna Government Communications Headquarters britannica. Lì, sotto la direzione di un grande matematico come Alan Turing, riprogettarono la cosiddetta “Bomba” (macchina elettromeccanica “Bomba” in grado di decodificare i codici creati dalla macchina crittografica Enigma) e idearono diversi metodi per forzare le chiavi di codifica tedesche, che davano come prodotto il testo in chiaro, noto con il nome in codice Ultra. Turing infatti riuscì a decifrare Enigma ma il suo successo e gli obbiettivi tedeschi scoperti furono tenuti segreti. I servizi d’intelligence militari tedeschi Abwehr utilizzarono un particolare modello, l’”Enigma-G”. Un primo tentativo per accedere ai cifrari della versione navale della macchina Enigma fu eseguito durante l’operazione Ruthless, una grande operazione di spionaggio proposta per la prima volta nel 1940 da Ian Fleming (il creatore dell’agente 007 all’epoca Ufficiale del Servizio segreto MI6) all’Ammiragliato Britannico. Nel maggio del 1941 la marina inglese riuscì a mettere le mani su un apparato Enigma intatto e sui documenti di cifratura, catturando un sommergibile tedesco durante un attacco da parte di quest’ultimo a un convoglio alleato. Questa operazione è conosciuta col nome di Primrose. Nel 1944, un’ulteriore evoluzione della bomba portò all’introduzione dell’elaboratore Colossus. Per la Marina tedesca venne messa a punto una versione particolare di Enigma, che impiegava quattro rotori cifranti presi da un set di otto (quelli delle enigma terrestri più tre nuovi rotori esclusivi per la marina) e poteva usare due diversi riflettori a scelta, per aumentare ancora il numero di combinazioni disponibili.
  47. Il palazzo del Governatore (in arabo: قصر الحاكم) era la sede del governatore della Libia italiana che aveva sede a Tripoli e vi risiedette fino al 1943. Aveva sede in Piazza Italia, ora Piazza dei Martiri. Fino al 1969 fu il palazzo reale e poi sede della biblioteca nazionale. Dal 1951 al 1969 è diventato palazzo reale di Idris I Senussita, fino al colpo di Stato di Gheddafi del 1969. Subì alcuni danni in seguito al bombardamento americano della Libia nel 1986 (operazione el Dorado). Fino al 2008 il palazzo, noto come “palazzo del Popolo”, era sede della biblioteca nazionale. In seguito al restauro svolto da un team di progettisti italiani e da un’impresa edile italiana nel 20082009, l’ex palazzo del Governatore è diventato il “Museo della Libia”.
  48. Italo Balbo (Quartesana, 6 giugno 1896Tobruch, 28 giugno 1940) è stato un politico, generale e aviatore italiano. Iscritto al Partito Nazionale Fascista dal 1920, fu uno dei quadrumviri della marcia su Roma, diventando in seguito comandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, quindi nel 1925 sottosegretario all’economia nazionale e poi alla Regia Aeronautica. Nel 1929 assunse l’incarico di ministro dell’aeronautica, veste in cui promosse e guidò diverse crociere aeree come la crociera aerea transatlantica Italia-Brasile e la crociera aerea del Decennale negli Stati Uniti (Chicago e New York). Fu insignito del grado di Maresciallo dell’aria. Considerato un potenziale rivale politico di Benito Mussolini a causa della grande popolarità raggiunta, Balbo fu nominato nel 1934 governatore della Libia. Allo scoppio della seconda guerra mondiale organizzò raid aerei per catturare alcuni veicoli delle veloci formazioni di autoblindo britanniche che scorrazzavano nel deserto infliggendo danni alle postazioni italiane. Accadde proprio durante il ritorno da uno di questi voli, il 28 giugno 1940, che fu abbattuto per errore dalla contraerea italiana sopra Tobruch, che lo scambiò per un bombardiere britannico. Due giorni dopo la sua morte, un aereo britannico paracadutò sul campo italiano una corona di alloro con il seguente biglietto di cordoglio: «Le forze aeree britanniche esprimono il loro sincero compianto per la morte del Maresciallo Balbo, un grande condottiero e un valoroso aviatore che la sorte pose in campo avverso.» Non si sono mai definitivamente sopiti i dubbi sul suo abbattimento per “fuoco amico”, ritenendo, da diverse parti, ma non il grande giornalista e documentarista Folco Quilici, figlio del Capitano Nello Quilici morto a bordo dello stesso trimotore di Balbo -, che il suo abbattimento (l’aereo era in fase di atterraggio) sia stato invece ordinato da Mussolini, con cui era entrato in contrasto sin dal 1938 all’atto della promulgazione delle leggi razziali e poi manifestando palesemente la sua contrarietà all’entrata in guerra affianco della Germania nazista. Resta il fatto che Mussolini lo allontanò da Roma relegandolo al Governatorato della Libia e fece distruggere, subito dopo il suo “trasferimento” a Tripoli tutti gli idrovolanti con cui il Maresciallo dell’Aria aveva effettuato la trasvolata oceanica del decennale (1933). Il 29 giugno 1940 Mussolini dichiarò sulla figura di Balbo: «un bell’alpino, un grande aviatore, un autentico rivoluzionario. Il solo che sarebbe stato capace di uccidermi».
  49. La contessa Emanuela Florio (1901-1980), originaria di San Daniele del Friuli, fu presentata ad Italo Balbo nel 1919 ma convolò a nozze soltanto nel 1924. Infatti, Fin quando rimase in vita il padre, il conte Florio, si oppose fermamente al matrimonio, nonostante gli incarichi di sempre maggiore prestigio che Balbo andava ricoprendo. Dal matrimonio nacquero tre figli (Giuliana nel 1926, Valeria nel 1928 e Paolo nel 1930). Il Trimotore pilotato dal Maresciallo dell’Aria e Governatore della Libia riportava una sigla insolita: I-MANU, che sta per Manuela, ovvero Manu, il vezzeggiativo con cui amava chiamarla.
  50. Si tratta dell’equipaggio di fiducia del Maresciallo dell’Aria e Governatore di Libia Italo Balbo, che lo seguiva sin dalle sue trasvolate transatlantiche.
  51. Alla Società delle Nazioni, antesignana dell’ONU, nel 1940 non aderivano né gli Stati Uniti, che non vi entrarono mai nonostante il Presidente Wilson ne fosse stato l’ispiratore e l’avesse fortemente voluta. L’Italia, la Germania ed il Giappone ne uscirono progressivamente dal 1933 al 1937, mentre l’Unione Sovietica ne fu espulsa nel 1939 a seguito dell’invasione della Finlandia e dell’occupazione di Estonia, Lettonia e Lituania.
  52. Allied Joint Force Command (JFC)-Naples è un comando militare NATO situato in Italia, con sede a Lago Patria, frazione di Giugliano in Campania, nella città metropolitana di Napoli. Costituisce uno dei due comandi strategici operativi del Comando Operazioni Alleate del Supreme Headquarters Allied Powers Europe (SHAPE – Quartier generale delle potenze alleate in Europa), l’altro è l’Allied Joint Force Command-Brunssum, con sede a Casteau in Belgio. Nel 2013, a seguito della riorganizzazione dell’area militare della NATO, rappresenta uno dei due comandi strategici operativi assieme all’Allied Joint Force Command Brunssum e dipendente direttamente dall’Allied Command Operations (Comando Operazioni Alleate) del Supreme Headquarters Allied Powers Europe (quartier generale supremo delle potenze alleate in Europa). I due comandi, JFC-N e JFC-B si avvalgono dell’Allied Land Command (Comando Terrestre Alleato) di Smirne (Turchia), dell’Allied Maritime Command (Comando Marittimo Alleato) di Northwood (Inghilterra) e dell’Allied Air Command (Comando Aereo Alleato) di Ramstein in Germania. A decorrere dal 2015, dal Quartier Generale di Napoli vengono comandate due delle sei NATO Force Integration Units, la NFIU di Sofia e la NFIU di Bucarest, la neonata Multinational Division Southeast di Bucarest, che detiene il controllo operativo delle due NFIU, e il neonato NATO Aegis Ashore Missile Defence Site Deveselu parte del NATO missile defence system.
  53. La NATO Response Force è la forza di risposta rapida della NATO, costituita nel vertice di Praga del 22 novembre 2002, composta da unità di terra, navali, aeree e speciali multinazionali impiegabili in qualsiasi parte del mondo ed in una vasta gamma di operazioni: guerra convenzionale, risposta alle crisi e di difesa collettiva ex art.5 del trattato NATO. Il Comando strategico della NRF è gestito dal Supreme Headquarters Allied Powers Europe e viene attivata in seguito alla decisione del Consiglio Nord Atlantico, organo politico dell’Alleanza, mentre il Comando Operativo è tenuto alternativamente dall’Allied Joint Force Command Brunssum e dall’Allied Joint Force Command di Napoli. È costituita da una forza di 40.000 uomini equipaggiati con materiali di alta tecnologia, in grado di essere dispiegata, nella sua totalità, in qualsiasi parte del mondo nel giro di un mese, mentre dal 2015 è capace di schierare in zona d’operazioni una grande unità elementare a livello brigata interforze, la Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), cosiddetta “spearhead force” (forza “punta di lancia”), entro 5 giorni dall’attivazione.
  54. La USSHarry S. Truman (CVN-75 soprannome “Lone Warrior”) è una portaerei a propulsione nucleare della U.S. Navy, l’ottava per costruzione della classe Nimitz. È intitolata al 33º presidente degli Stati Uniti, Harry S. Truman. Come le altre portaerei della classe Nimitz, può ospitare a pieno regime fino a 5.650 persone (3.500 marinai+2.150 avieri). Può imbarcare fino a 90 velivoli ad ala fissa o rotante, tra cui 4 squadriglie di caccia F/A-18 Hornet, una squadriglia di aerei EA-6B Prowler per la guerra elettronica, una squadriglia di aerei Grumman E-2 Hawkeye con compiti di sorveglianza aerea, alcuni aerei da trasporto logistico Grumman C-2 Greyhound e alcuni elicotteri SH-60 Seahawk. La sua base di appoggio (Home Port) è la Naval Station Norfolk, in Virginia.
  55. La USS Mount Whitney (LCC/JCC 20) è una delle due navi di comando anfibie di classe Blue Ridge della Marina degli Stati Uniti ed è l’Ammiraglia e la nave di comando della sesta flotta degli Stati Uniti di stanza nel Mediterraneo, a Napoli. La USS Mount Whitney funge anche da piattaforma di comando in superficie (ACP) delle forze navali d’attacco e di supporto della NATO (STRIKFORNATO). La nave aveva precedentemente servito per anni come nave comando della seconda flotta statunitense COMSTRIKFLTLANT (designazione NATO). La nave è dotata di apparecchiature, computer, dispositivi di comunicazione e altre strutture elettroniche per svolgere la sua missione di nave comando e controllo, nonché di un sistema di comunicazione estremamente raffinato, parte integrante del nuovo design radicale della nave. Dal momento della sua messa in servizio, Mount Whitney e la sua nave gemella Blue Ridge sono note per essere dotate delle suite elettroniche più sofisticate del mondo. La sua designazione corretta è nave comando C4I ( Comando, controllo, comunicazioni, computer e intelligence – comando, controllo, comunicazioni, tecnologia dell’informazione e intelligence). Non sono disponibili altri dettagli in quanto coperti da segreto militare.
  56. La Sesta Flotta degli Stati Uniti, in inglese United States Sixth Fleet, è una flotta della United States Navy stanziata principalmente nel Mar Mediterraneo, ma operativa anche nell’Atlantico occidentale, nei mari circostanti l’Africa (nell’oceano Indiano fino all’altezza del Kenya) e nei mari del Nord Europa. La base della Sesta Flotta è la Naval Support Activity Naples di Napoli, dove si trova anche il Comando della United States Naval Forces Europe, da cui dipende. La base è situata a fianco dell’aeroporto di Napoli-Capodichino. Fino al 2004 la Sesta flotta era basata a Gaeta ed era comandata da un Vice ammiraglio. Da quell’anno il personale della Sesta flotta è passato sotto il comando della United States Naval Forces Europe, fino ad allora con sede a Londra ma poi spostato a Napoli. Le due strutture operano oggi come una singola unità, comandata da un Ammiraglio a quattro stelle responsabile anche dell’unità Naval Forces Africa. Il comando operativo della Sesta Flotta è affidato a un Ammiraglio a tre stelle. La nave portabandiera (Nave Ammiraglia) della Sesta Flotta è la USS Mount Whitney, con base nel porto di Gaeta. È l’unica nave permanentemente assegnata alla Sesta Flotta, le altre sono soggette, dopo un periodo di servizio, a spostamenti verso altri impieghi. Ogni unità della U.S. Navy che entra nel Mediterraneo entra a far parte della Sesta Flotta dal punto di vista operativo. Nel 2003 essa comprendeva 40 navi, 175 velivoli (aerei ed elicotteri) e circa 21.000 militari e civili (ufficiali, sottufficiali, marinai, aviatori, personale tecnico e amministrativo). In quell’anno erano presenti due superportaerei con i relativi gruppi navali di supporto, ma normalmente ne è presente solo una. Nel 2013 è stata assegnata alla Sesta flotta la portaerei USS John C. Stennis (CVN-74) della classe Nimitz, appena sostituita nel 2022 dalla USS Harry S. Truman (CVN-75).
  57. La Naval Striking and Support Forces NATO (STRIKFORNATO) è la Forza di attacco e supporto della NATO, costituita da unità navali appartenenti alle marine militari di undici stati: Francia, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti d’America. A seguito delle ristrutturazioni della NATO che ha disposto la chiusura nel marzo 2013 del Comando marittimo alleato di Napoli, le cui responsabilità sono confluite nel Comando marittimo alleato di Northwood, diventato l’unico comando Marittimo della NATO, anche STRIKFORSOUTH è stata interessata dal processo di riorganizzazione evolvendosi nella Naval Striking and Support Forces NATO, trasferendo la sua sede di comando a partire dal 1 agosto 2012 da Napoli a Oeiras in Portogallo, nei pressi di Lisbona, dove in precedenza aveva la sua sede l’Allied Joint Force Command Lisbon disattivato nel 2012 in seguito alla riorganizzazione dei comandi della NATO.
  58. Mentre cresceva la tensione tra Alleati e Russia sull’Ucraina, la Nato ha svolto dal 14 al 28 ottobre 2022 nel Mediterraneo l’esercitazione aeronavale “Neptune strike 2022”. L’evento pianificato da tempo per l’inizio del mese di febbraio, fu prima sospeso per i noti eventi della crisi Russia-Ucraina e poi spostato definitivamente ad ottobre. L’operazione ha visto il dispiegamento della portaerei a propulsione nucleare americana USS Harry S. Truman, insieme alle unità navali alleate del Comando delle forze d’attacco e supporto della NATO (Naval Striking and Support Forces NATO – STRIKFORNATO) e della Sesta flotta statunitense. Sono stati impiegati anche due sottomarini da attacco nucleare, l’USS Georgia, classe Ohio, e l’USS Albany, classe Los Angeles. È la prima volta dalla Guerra Fredda che un intero gruppo di vettori statunitensi passa sotto il comando della NATO. Alla portaerei della US Navy si affiancano la portaerei francese FS Charles de Gaulle e la portaerei italiana ITS Cavour. A queste si sono aggiunte altre tre unità provenienti dall’oceano indiano tra cui un incrociatore e un cacciatorpediniere, un’unità per l’intelligence e alcuni sottomarini. L’esercitazione della NATO si è svolta mentre un gruppo navale russo composto da sei navi da guerra anfibie transitava dal Mar Baltico verso il Mar Mediterraneo. La Sesta Flotta della US Navy americana, con sede a Napoli, ha condotto l’intero spettro di operazioni congiunte e navali, spesso di concerto con partner alleati, al fine di promuovere gli interessi nazionali degli Stati Uniti, la sicurezza e la stabilità in Europa e Africa. Nel contempo il Pentagono ha rafforzato ancor di più la propria base di Sigonella in Sicilia con il proprio ruolo di base operativa avanzata delle forze armate degli Stati Uniti d’America nel Mediterraneo. Negli stessi giorni la Naval Air Station (NAS), la Stazione Aeronavale della Marina americana, la più attrezzata base di intervento americana del Mediterraneo, ha assicurato il sostegno alle operazioni militari americane in Europa, Africa e Medio Oriente e garantito il ponte aereo con le portaerei nel Mediterraneo e nel Mar Rosso. Per la sua posizione strategica, la base è uno dei punti di sosta più frequentemente utilizzati dall’aviazione americana nella rotta tra gli Usa e il Sud-Ovest dell’Asia-Oceano Indiano. Sigonella è anche un importante asset della NATO per l’Alliance Ground Suriveillance (AGS), il nuovo, supertecnologico sistema di sorveglianza con 5 Global Hawk, aeromobili a pilotaggio remoto (APR) modello RQ-4B Block-40.
  59. Il Lockheed Martin F-35 Lightning II, o Joint Strike Fighter-F35, è un caccia multiruolo monoposto di 5ª generazione, a singolo propulsore, con ala trapezoidale e caratteristiche stealth. Le sue capacità multiruolo lo rendono utilizzabile per compiti di supporto aereo ravvicinato, bombardamento tattico e missioni di supremazia aerea. L’aereo viene anche definito in ambito militare come omni-ruolo data la capacità di svolgere contemporaneamente, senza tornare alle base per modificare il suo assetto, differenti attività operative. Battendo il Boeing X-32, è diventato il vincitore della gara per il programma JSF (Joint Strike Fighter) per la ricerca di un aereo che potesse sostituire diversi modelli dell’USAF, dell’US Navy e dei USMC (Marines). Inizialmente era previsto che circa l’80% delle parti fosse in comune fra le diverse versioni, ma poi, con l’evolversi del progetto, non si è potuto raggiungere più del 25/27%, sebbene l’elettronica di bordo e una parte del software saranno molto simili tra loro. Esistono tre versioni dell’F-35: una variante a decollo e atterraggio convenzionale (F-35A – Conventional Take Off and Landing), una variante a decollo corto e atterraggio verticale, per poter operare da portaerei di dimensioni ridotte come la portaerei italiana Cavour (F-35B Short Take Off And Vertical Landing-STOVL), e una variante per l’uso su portaerei convenzionali dotate di catapulte (F-35C – Catapult Assisted Take Off But Arrested Recovery-CATOBAR). Il Costo di un esemplare del velivolo varia dagli 82,4 milioni di dollari per la versione F-35A (versione utilizzata dall’Aeronautica militare italiana) ai 108 milioni di dollari della versione F-35B STOVL (la versione imbarcata sulle portaerei italiane).
  60. La Charles de Gaulle (R91) è l’unica portaerei della Marina francese attualmente in servizio, nonché la prima e unica nave di superficie a propulsione nucleare costruita in Europa occidentale. Sostituisce la portaerei Clemenceau arrivata a fine carriera. La Charles de Gaulle, immatricolata R91, è di taglia più piccola in confronto alle portaerei statunitensi. Misura 261,5 metri di lunghezza, 64,36 metri di larghezza e 75 metri di altezza. Con un dislocamento di circa 42.500 tonnellate, può trasportare circa 1.950 persone a bordo, con l’aggiunta di 800 militari in trasporto truppe. La superficie del ponte di volo raggiunge i 12.000 m², mentre quella dell’hangar per aeromobili ammonta a 4.600 m². La Charles de Gaulle utilizza un sistema di catapulte a vapore CATOBAR (Catapult Assisted Take Off But Arrested Recovery) lunghe 75 metri, le stesse usate sulle portaerei statunitensi della classe Nimitz. La Charles de Gaulle è dotata di una propulsione nucleare e può effettuare 648 miglia nautiche al giorno a tempo indeterminato. La portaerei può dunque navigare per 1.200 km in 24 ore a una velocità effettiva fino a 50 km/h, o 27 nodi, il che la rende la più lenta tra le imbarcazioni moderne della stessa categoria. La sua autonomia in viveri e carburante per gli aeromobili a bordo è limitata a 45 giorni, il che comporta l’obbligo di fare rifornimento in mare durante le missioni di lunga durata, dal momento che la sua propulsione nucleare le permetterebbe di rimanere diversi mesi in mare, fino a un anno. Il suo gruppo aereo è in grado di eseguire 100 voli al giorno per 7 giorni. Nonostante i suoi limiti operativi e le piccole dimensioni rispetto alle superportaerei statunitensi, la sua efficacia è migliore di quanto sembri. Il sistema di stabilizzazione anti-sbandamento COGIT associato con il sistema di stabilizzazione del rollio SATRAP consente alla Charles de Gaulle di operare con degli aeromobili di 20 tonnellate con uno stato del mare a forza 5 e 6. La Clemenceau e la Foch erano studiate per l’utilizzo di aeromobili di 12 tonnellate con un mare forza 3-4. Per raggiungere lo stesso livello di stabilità del bastimento, gli Stati Uniti costruiscono portaerei di tonnellaggio doppio e quindi, di conseguenza, possono imbarcare il doppio di aerei. Il Rafale F3 in dotazione alla Charles de Gaulle è progettato come un aereo multiruolo, il che consente ad entrambe le due flottiglie di Rafale (una sola fino al 2017, più una di Super-Étendard Modernisé) di eseguire gli stessi compiti delle quattro flottiglie di F18 Super Hornet delle portaerei degli Stati Uniti, che non hanno la capacità di effettuare operazioni aria-aria, aria-mare, aria-terra nel corso della stessa missione.
  61. Il Dassault Rafale (in italiano: “raffica”) è un aereo da caccia multiruolo francese prodotto dalla Dassault Aviation. È caratterizzato da un’ala a delta e da alette canard, ha una coppia di motori turbofan Snecma M88-2 montati nella sezione di coda e un’unica e ampia deriva. È stato progettato per essere utilizzato sia dall’aeronautica militare francese sia dall’aviazione di marina come aereo imbarcato, da qui il termine omnirole (multiruolo) utilizzato dalla Dassault Aviation per definire il velivolo. È destinato anche all’esportazione, e molti paesi stranieri hanno dimostrato interesse verso il Rafale, tra cui l’India che nel 2012 è entrata in negoziazione esclusiva con Dassault Aviation per l’acquisto di 126 velivoli per un valore di circa 12 miliardi di dollari.
  62. L’USS Jimmy Carter (SSN-23) è il terzo e ultimo sottomarino ad attacco rapido a propulsione nucleare di classe Seawolf della Marina degli Stati Uniti. Commissionato nel 2005, prende il nome dal 39° presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, l’unico presidente a cui sia mai stato intitolato in vita un sottomarino. Appartiene alla classe Seawolf, classe di sottomarini d’attacco a propulsione nucleare della United States Navy che furono progettati alla fine della guerra fredda, nel 1989, e dovevano essere i successori dei precedenti Los Angeles. In origine ne dovevano essere realizzati 29 esemplari in oltre 10 anni, ma la fine della guerra fredda e la conseguente riduzione del budget destinato alla Marina ridussero gli esemplari realizzati a tre. Sono più silenziosi della precedente classe Los Angeles, più grossi, più veloci e con 8 tubi lanciasiluri, ma sono anche molto più costosi. Furono creati allo scopo di contrastare i numerosi e avanzati SSBN sovietici quali i Typhoon e come risposta ai nuovi SSN classe Akula.
  63. Lo USS Hartford (hull classification symbol SSN-768) è un sottomarino nucleare di Classe Los Angeles attualmente operativo con la United States Navy. La classe Los Angeles è una classe di sottomarini d’attacco a propulsione nucleari (SSN) della United States Navy. Entrati in servizio nel 1976, oggigiorno rappresentano il grosso della forze d’attacco sottomarine della Marina degli Stati Uniti. Il 25 ottobre 2003 l’Hartford in manovra si incagliò nella rada di La Maddalena in Sardegna. Riportò danni per circa 9 milioni di dollari e restò fuori servizio per 7 mesi. In seguito all’incidente il comandante Christopher R. Van Metre, comandante dell’Hartford, e il commodoro Greg Parker vennero sollevati dal comando e richiamati negli Stati Uniti. Sei membri dell’equipaggio dovettero inoltre rispondere di condotta negligente. Le conseguenze della fuga radioattiva non sono state ancora rese note. L’incidente è stato reso pubblico solo il 12 novembre 2003 ed ha suscitato molto clamore da parte di giornali e opinione pubblica. Il 20 marzo 2009 alle 22 circa, ora italiana, l’Hartford entrò in collisione con l’USS New Orleans nello stretto di Hormuz, ferendo leggermente quindici membri del proprio equipaggio. Entrambe le navi riuscirono a procedere con i propri mezzi dopo l’incidente, sebbene la New Orleans avesse accusato la perdita di 94.000 litri di carburante. In ultima analisi, non proprio un sommergibile “fortunato” ma mai quanto lo sfortunatissimo russo K-114 Kursk che naufragò nelle fredde acque del mare di Barents il 12 agosto 2000 nel corso di un’esercitazione, portando a fondo i suoi 118 marinai (cfr. https://www.geopop.it/il-naufragio-del-sottomarino-kursk-la-tragedia-che-costo-la-vita-a-118-marinai-russi/)
  64. Principio di distinzione (Diritto Internazionale Umanitario). Il principio di distinzione ci ricorda che può essere attaccato solo un combattente o un obiettivo militare. Quali regole aggiuntive, sono vietati anche gli attacchi indiscriminati, capaci di colpire indistintamente sia obiettivi militari che persone civili e beni di carattere civile. L‟attacco, inoltre, non deve causare effetti collaterali eccessivi rispetto al vantaggio militare diretto e concreto previsto. Infine, anche quando l‟obiettivo militare è lecito, devono essere prese talune misure precauzionali per proteggere la popolazione civile ed i beni di carattere civile. La violazione del principio di distinzione costituisce un crimine di guerra (art. 8.2.b dello Statuto della Corte Penale Internazionale). Il Principio di distinzione si fonda sull’art. 48 del I Protocollo Aggiuntivo del 1977 alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, che così recita: “Allo scopo di assicurare il rispetto e la protezione della popolazione civile e dei beni di carattere civile, le Parti in conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione tra la popolazione civile e i combattenti, e tra i beni di carattere civile e gli obiettivi militari e, di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi militari”. Ne discende la distinzione tra combattenti e popolazione civile e tra obiettivi militari e beni di carattere civile.
  65. Il diritto internazionale umanitario (DIU)è un insieme di regole introdotte allo scopo di limitare gli effetti dei conflitti armati. Disciplina la conduzione delle ostilità e protegge le vittime dei conflitti. È applicabile a ogni tipo di conflitto armato internazionale o locale, indipendentemente dalla legittimazione e dalle ragioni del ricorso alla forza. Le sue fonti si rinvengono nelle quattro Convenzioni di Ginevra e i loro Protocolli aggiuntivi che tutelano le persone che non partecipano o non partecipano più alle ostilità: civili internati, prigionieri di guerra e altre persone vulnerabili non devono subire maltrattamenti, i feriti devono essere portati in salvo e curati. In particolare, sono: la Convenzione dell’Aia del 1907, il primo Protocollo aggiuntivo del 1977, la Convenzione sul divieto o la limitazione dell’impiego di talune armi classiche del 1980 e i relativi Protocolli che delimitano le modalità e i mezzi della guerra. La maggior parte degli obblighi relativi alla conduzione della guerra hanno carattere consuetudinario.
  66. La Corte penale internazionale (in inglese: International Criminal Court – ICC, in francese: Cour pénale internationale – CPI) è un tribunale per crimini internazionali che ha sede all’Aia, nei Paesi Bassi. La sua competenza è limitata ai crimini più seri che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, cioè il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra (cosiddetti crimina iuris gentium), e di recente anche il crimine di aggressione (art. 5, par. 1, Statuto di Roma). La Corte ha una competenza complementare a quella dei singoli Stati, dunque può intervenire se e solo se gli Stati non possono (o non vogliono) agire per punire crimini internazionali. La Corte penale internazionale non è un organo dell’ONU e non va confusa con la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite, anch’essa con sede all’Aia. Ha però alcuni legami con le Nazioni Unite: ad esempio il Consiglio di sicurezza ha il potere di deferire alla Corte situazioni che altrimenti non sarebbero sotto la sua giurisdizione (art. 13(b), Statuto di Roma. La CPI ha giurisdizione sovranazionale e può processare individui (non Stati) responsabili di crimini di guerra, genocidio, crimini contro l’umanità, crimine di aggressione commessi sul territorio e/o da parte di uno o più residenti di uno Stato parte, nel caso in cui lo Stato in questione non abbia le capacità o la volontà di procedere in base alle leggi di quello Stato e in armonia con il diritto internazionale. La giurisdizione della Corte si esercita nel caso di crimini commessi sul territorio di uno Stato parte o da un cittadino di uno Stato parte. Ne consegue che anche i crimini commessi sul territorio di uno Stato parte, da parte di un cittadino di uno Stato non parte, rientrano nella giurisdizione della Corte. Uno Stato non parte non è tenuto a estradare propri cittadini che abbiano commesso tali crimini in un Paese parte e al giorno d’oggi non esistono mezzi di coercizione internazionali per spingere gli Stati non parte a cedere alle richieste della Corte internazionale; il problema, tuttora aperto, è semmai l’esistenza di trattati internazionali (detti SOFA) che attribuiscono immunità a soldati di uno Stato non parte quando sono sul territorio di uno Stato parte.
  67. Principio di Umanità, sancito dalle quattro convenzioni di Ginevra e dai successivi protocolli aggiuntivi, stabilisce che le persone che non prendono, o non possono più prendere, parte alle ostilità hanno diritto al rispetto della propria vita e della propria integrità fisica e mentale. Queste persone devono essere protette e trattate con umanità in qualsiasi circostanza, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole. È assolutamente proibito uccidere o ferire un avversario che si arrende o che non può più prendere parte al combattimento. I feriti e i malati devono essere raccolti e curati dalla Parte in conflitto che li detiene in proprio potere. Il personale sanitario e gli stabilimenti, i trasporti e le attrezzature sanitarie devono essere rispettati e protetti. La Croce Rossa, la Mezzaluna Rossa e il Cristallo Rosso su campo bianco sono il segno protettivo di queste persone e di questi materiali e devono essere rispettati. I combattenti che sono stati catturati e i civili che si trovano sotto l’autorità della parte avversaria hanno diritto al rispetto della loro vita, della loro dignità, dei loro diritti personali e delle loro opinioni (politiche, religiose, ecc.); devono essere protetti contro ogni forma di violenza e di rappresaglia. Hanno diritto a scambiarsi notizie con le proprie famiglie e a ricevere aiuti materiali. Tutti devono godere delle garanzie giuridiche fondamentali e nessuno può essere ritenuto responsabile di un atto che non ha commesso. Nessuno può essere sottoposto a torture fisiche o mentali, a punizioni corporali crudeli o degradanti o ad altri trattamenti simili. Né le parti in conflitto né i membri delle loro forze armate hanno un diritto illimitato nella scelta dei metodi e dei mezzi di combattimento. È proibito usare armi o metodi di combattimento che possono causare perdite inutili o sofferenze eccessive. Le parti in conflitto devono distinguere in ogni momento tra civili e combattenti in modo da risparmiare la popolazione e i beni civili. Né la popolazione civile nel suo insieme né le singole persone che la compongono possono essere oggetto d’attacco. Gli attacchi devono essere diretti solo contro obiettivi militari.
  68. Convenzione dell’AIA del 1899 (II) sulle leggi e gli usi della guerra terrestre del 1899.
  69. La cosiddetta clausola Martens deve il suo nome a Frédéric Fromhold de Martens, delegato russo alla Conferenza dell’Aia del 1899 durante il quale fece questa dichiarazione: “In attesa che venga emanato un codice più completo delle leggi di guerra, le Alte Parti Contraenti ritengono opportuno notare che, nei casi non contemplati dalle disposizioni normative da loro adottate, le popolazioni ed i belligeranti rimangono sotto la protezione e sotto l’impero dei principi del diritto delle nazioni, come risultano dai costumi stabiliti tra le nazioni civili, dalle leggi dell’umanità e dalle esigenze della coscienza pubblica.” La clausola appare con parole leggermente diverse nella successiva Convenzione dell’Aia (IV) riguardante le leggi e gli usi della guerra terrestre del 1907 :”In attesa che venga emanato un Codice delle leggi di guerra più completo, le Alte Parti Contraenti ritengono opportuno notare che, nei casi non inclusi nelle disposizioni normative da loro adottate, le popolazioni e i belligeranti rimangono sotto la protezione e sotto l’impero dei principi del diritto delle nazioni, come risultano dai costumi stabiliti tra le nazioni civili, dalle leggi dell’umanità e dalle esigenze della coscienza pubblica.” La questione si era posta in relazione alla posizione dei Mavericks, letteralmente anticonformisti, combattenti facenti parte di un corpo libero (unità paramilitari organizzate da uno Stato combattente o spontaneamente createsi tra civili per appoggiare uno Stato combattente) organizzato durante una guerra per combattere a fianco dell’esercito regolare. La clausola era stata sancita nel trattato a seguito di un compromesso nella disputa tra le grandi potenze che vedevano i Mavericks come combattenti illegali che potevano essere giustiziati e gli stati più deboli che sostenevano che non dovevano essere visti come combattenti illegali.
  70. Il centro di ricerca militare di Peenemünde (in tedesco: Versuchsstelle des Heeres Peenemünde; brevemente: Heeresversuchsanstalt Peenemünde, HVA Peenemünde) fu impiantato nel 1936 come istituzione di sviluppo e ricerca della Wehrmacht, a nord dell’isola di Usedom. Sotto il comando di Walter Dornberger, capo della sezione missilistica dello Heereswaffenamt, e con la guida tecnica di Wernher von Braun, in tale zona militare fu sviluppato e testato soprattutto l’A4, primo missile balistico funzionante, poi noto nella propaganda nazista come V2. Con il suo primo volo riuscito, tale missile fu il primo oggetto costruito dall’uomo a spingersi ai confini dello spazio esterno: per questo motivo il centro è chiamato spesso in tedesco Wiege der Raumfahrt («culla dei viaggi spaziali»). Il centro, cosiddetto «Impianto est», fu completato nel 1938 con le strutture dell’«Impianto ovest» (in seguito Stazione sperimentale della Luftwaffe di Karlshagen). Dal giugno 1943 nell’area trovò posto un campo di concentramento satellite. Negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale la produzione dei missili A4 ebbe luogo presso le officine sotterranee della Mittelwerk nel tunnel del colle Kohnstein a Niedersachswerfen, con annesso il campo di concentramento di Mittelbau-Dora, i cui detenuti furono appositamente utilizzati, in pessime condizioni di vita e di lavori forzati, per la produzione in serie effettuata negli impianti del Centro e, purtroppo, ne seguirono il destino. Nel sito ha sede un museo storico-tecnico che offre notizie sugli avvenimenti e sulla storia del luogo. Fino alla disattivazione dell’impianto di lancio, operato dalle SS il 21 febbraio 1945, da Peenemünde e dall’isola Greifswalder pertinente al centro furono lanciati complessivamente 282 missili, 175 dei quali dal Prüfstand VII, la più importante rampa di lancio per missili A4 e luogo ove alle ore 15.58 del 3 ottobre 1942 era avvenuto con successo il primo lancio di un razzo A4 (V2). Questo missile era il primo manufatto umano che saliva verso lo spazio, ragion per cui il 3 ottobre 1942 è considerata la data di nascita dei viaggi nello spazio. Altri test di missili A4 furono effettuati a Blizna e nella foresta di Tuchel, essenzialmente per ragioni di addestramento degli addetti ai missili o di camuffamento. Dal 1943 i servizi segreti statunitensi (OSS) e britannici (SOE) erano in contatto con gruppi della resistenza austriaca nati intorno al cappellano Maier. Per questa via i disegni progettuali dei missili V2, come anche schizzi di mappe degli impianti di produzione dei missili, ma anche di altre armi, pervennero agli stati maggiori alleati, rendendo possibili attacchi di precisione con bombardieri. Il 20 maggio 1944 frammenti di un A4 precipitato furono recuperati da membri dell’esercito nazionale polacco. Nella notte tra il 25 e il 26 luglio le principali componenti furono trasportati a Brindisi da un DC-3 della RAF atterrato nei pressi di Żabno, accompagnati da un’analisi stilata in Polonia (Operation Most III). Da lì il materiale segreto raggiunse Londra, molto prima del primo missile A4 caduto in Inghilterra. A Peenemünde, nonostante i tre nuovi attacchi aerei sul centro del 1944, i test sugli A4 proseguirono. Nel centro di Peenemünde furono raggiunti numerosi successi pioneristici: non solo si lanciò il primo missile balistico a controllo remoto in grado di spingersi ai limiti dello spazio esterno, ma nel bunker di controllo fu installato anche il primo sistema televisivo industriale per la trasmissione del lancio. Tuttavia questi progressi tecnici furono pagati col sangue, nel vero senso del termine: solo l’avviamento e la successiva produzione del V2 a Mittelbau-Dora costarono la vita a circa 20.000 detenuti. Nello stesso impiego militare del V2 morirono circa 8.000 persone, in prevalenza civili.
  71. Ci si riferisce, nell’effettiva realtà del 1940, agli stabilimenti della Erhardt/Rheinmetall AG con i suoi stabilimenti di Düsseldorf, Kassel e Unterlüß, e delle controllate Rheinmetall-Borsig AG e Altmärkische Kettenwerke, con gli stabilimenti di Berlino-Tegel, Eisenhammerweg 56-60 e Breitenbachstraße 33-36, nonché le industrie aeronautiche Messerschmitt AG con i suoi stabilimenti di Ratisbona e di Augusta in Baviera, quello della Heinkel a Rostock-Marienehe, a Brema della Focke-Wulf, quelli di Wernau della Junkers, quelli della Dornier-Werke presso l’aeroporto di Friedrichshafen Löwental e gli stabilimenti di Berlino-Reinickendorf. Si tratta di stabilimenti industriali di primissimo ordine che costituivano già allora un imponente complesso industriale bellico di rilevanza mondiale.
  72. Attenzionare: neologismo tipicamente utilizzato dal personale delle Forze di polizia e delle Forze armate quando si sottopone a particolare attenzione uno o più soggetti od obiettivi.
  73. La guerra elettronica (in inglese electronic warfare, abbreviato in EW) comprende ogni azione riguardante l’uso dello spettro elettromagnetico o di energia diretta a controllare lo spettro delle emissioni radio, finalizzata all’attacco a forze nemiche, o per impedire un assalto nemico tramite lo spettro elettromagnetico. Lo scopo della guerra elettronica è di sviluppare un vantaggio tattico e strategico nell’uso dello spettro elettromagnetico. La EW può essere generata dal mare, cielo, terra e spazio, e avere come bersagli sistemi meccanici, robotici, umani, comunicazioni, radar e altre risorse. Le moderne tecniche di guerra elettronica si suddividono in tre componenti principali: 1) Attacco elettronico (Electronic Attack, EA); precedentemente contromisure elettroniche (Electronic Countermeasures, ECM); 2) Protezione elettronica (Electronic Protection, EP); precedentemente contro-contromisure elettroniche (Electronic Counter Countermeasures, ECCM); 3) Supporto elettronico (Electronic Support, ES); precedentemente misure di supporto elettronico (Electronic Support Measures, ESM). L’attacco elettronico (Electronic Attack, EA), o con precedente terminologia le contromisure elettroniche (ECM), consiste nell’uso attivo o passivo dello stesso spettro elettromagnetico per impedirne l’uso all’avversario. Si suddivide quindi in: EA attivo che si distingue in disturbo (detto jamming), inganno, saturazione ed impulsi elettromagnetici (EMP) e EA passivo che si suddivide in cortine di disturbo (chaff), ingannatori trainati (towed decoy), ingannatori volanti (decoy), riflettori radar, tecnologia stealth (invisibile). Molte moderne tecnologie EA sono considerate informazioni classificate ai più alti livelli di sicurezza militare. La protezione elettronica (Electronic Protection, EP), o con precedente terminologia contro-contromisure elettroniche o misure elettroniche protettive (ECCM o EPM), comprende tutte le attività mirate a rendere le EA nemiche meno efficaci attraverso tecniche di protezione, addestramento o adozione di accorgimenti nei riguardi di proprio personale, installazioni, equipaggiamenti o obiettivi. EP passiva include attività quali l’addestramento degli operatori (restrizioni e controllo dell’uso dei sistemi di comunicazione e radar) e adattamento e modifica delle tattiche e operazioni sul campo di battaglia. Questo anche perché, con la triangolazione, è estremamente semplice rilevare la posizione del trasmettitore e renderlo bersaglio di salve di artiglieria o missili guidati da emettitori di segnale come lo HARM (High speed Anti Radiation Missile) o l’ALARM, usato anche dai Tornado dell’Aeronautica Militare Italiana. A terra, pertanto si usa posizionare i grossi trasmettitori lontano dal posto di comando o trasmettere con la potenza minima consentita dall’apparecchio, mentre in volo o in acqua, l’unica scelta è usare radar e radio con molta parsimonia. La EP può essere implementata per evitare che le forze amiche siano affette dalle loro stesse EA. Anche in questo caso si effettua una suddivisione tra: EP attiva e EP passiva. La prima comprende l’adozione di modifiche tecniche agli apparati trasmittenti come, per esempio, il salto di frequenza o frequency-hopping e l’adozione di trasmissioni a banda larga, oppure le trasmissioni accelerate, nelle quali il messaggio viene compresso ed inviato, normalmente ad un satellite, a velocità ultra alta. Ancora, i trasmettitori, sia per fonia che per dati, vengono limitati in potenza e, quando possibile, resi fortemente direttivi in modo da ridurne l’intercettabilità. L’EP passiva include attività quali l’addestramento degli operatori (restrizioni e controllo dell’uso dei sistemi di comunicazione e radar) e adattamento e modifica delle tattiche e operazioni sul campo di battaglia. Questo anche perché, con la triangolazione, è estremamente semplice rilevare la posizione del trasmettitore e renderlo bersaglio di salve di artiglieria o missili guidati da emettitori di segnale come i citati HARM (High speed Anti Radiation Missile) e ALARM. A terra, pertanto si usa posizionare i grossi trasmettitori lontano dal posto di comando o trasmettere con la potenza minima consentita dall’apparecchio, mentre in volo o in acqua, l’unica scelta è usare radar e radio con molta parsimonia. Il supporto elettronico (Electronic Support, ES), o con precedente terminologia misure di supporto elettronico (ESM), consiste nell’uso passivo dello spettro elettromagnetico con lo scopo di effettuare spionaggio in campo avverso per rilevare, identificare, localizzare e interpretare le potenziali minacce o i bersagli. Le informazioni raccolte possono essere usate per generare: richieste di fuoco di artiglieria o di supporto di fuoco aereo (missioni Wild Weasel), per movimentare truppe amiche verso una località specifica o obiettivo del campo di battaglia, oppure come base per successive attività di EA o EP. Le EA possono essere scoperte dall’avversario, in quanto basate su trasmissioni di segnali radio. Le ES, al contrario, possono essere condotte in modalità completamente passiva e non rilevabile dagli avversari. Le attività ES si basano molto sulle tecniche di spionaggio definite SIGINT, continuamente poste in essere dalla maggior parte delle nazioni del mondo e mirate ad acquisire informazioni segrete sulle tattiche e sugli equipaggiamenti elettronici utilizzati dalle altre nazioni (SIGINT è l’acronimo di SIGnals INTelligence ovvero “Spionaggio di segnali elettromagnetici”) è l’attività di raccolta di informazioni mediante l’intercettazione e analisi di segnali, sia emessi tra persone, ad esempio comunicazioni radio, sia tra macchine, è il caso dell’ELINT, lo spionaggio di segnali elettronici, oppure una combinazione delle due. Dal momento che molte comunicazioni riservate sono criptate, le operazioni di SIGINT spesso si avvalgono di strumenti di crittoanalisi).
  74. Le Allgemeine-SS costituivano le cosiddette SS generali.
  75. Gestapo, le famigerate articolazioni di polizia delle SS incaricate di combattere gli oppositori effettivi, potenziali o presunti del nazismo, di neutralizzare ogni opposizione, di sorvegliare il popolo tedesco impedendo in Germania e nei territori occupati il dilagare di qualsiasi forma di resistenza o dissidenza al regime, e di fornire dati di intelligence ai vertici politici e militari nazisti, La Gestapo costituiva la componente più pericolosa e tristemente efficace interna all’apparato nazista.
  76. Lo Sicherheitsdienst (SD, Servizio di Sicurezza) era un servizio informazioni e intelligence delle SS dal 1932 al 1945. Venne creato nel 1932 da Reinhard Heydrich; a seguito della presa del potere da parte dei nazisti, l′importanza di questa organizzazione crebbe con il passare degli anni, soprattutto durante la guerra. Era in qualche modo in competizione con le SA ma sotto la guida di Heydrich, il 9 giugno 1934 divenne l′unico “Servizio Segreto del Partito”. Nel 1938 si trasformò nel servizio segreto di Stato, così come del Partito, appoggiando la Gestapo e lavorando con l′Amministrazione Generale e degli Interni. L′SD era incaricato dell′individuazione dei reati o dei potenziali nemici del nazismo e dell′eliminazione degli oppositori. Al fine di espletare il suo compito, l′SD creò un′organizzazione di agenti e informatori operante in tutto il Reich, e successivamente nei territori occupati dalle truppe naziste. L′organizzazione consisteva di poche centinaia di agenti a tempo pieno e di diverse migliaia di informatori. L′SD era l′agenzia che raccoglieva le informazioni, mentre la Gestapo, e in alcune occasioni la Reichskriminalpolizei erano le agenzie esecutive del sistema di polizia politica. Sia l′SD sia la Gestapo erano in effetti sotto il controllo di Heinrich Himmler, in qualità di capo della polizia tedesca. Heydrich fu capo della Polizia di Sicurezza e dell′RSHA fino al suo assassinio a Praga nel 1942, dopo il quale Ernst Kaltenbrunner ne prese l′incarico il 30 gennaio 1943 e la tenne fino alla fine della guerra. Dopo il conflitto, l′SD venne dichiarato un′organizzazione criminale e i suoi membri vennero giudicati al Processo di Norimberga. Kaltenbrunner fu condannato a morte per crimini di guerra e crimini contro l’umanità e giustiziato tramite impiccagione il 16 ottobre 1946.
  77. Il Reparto Informazioni e Sicurezza (RIS) dello Stato Maggiore della Difesa e, nello specifico, il Centro Interforze Telerilevamento Satellitare presso l’aeroporto militare di Pratica di Mare (Roma), provvede alla gestione ed alla ricezione delle immagini satellitari nonché alla sicurezza del sistema stesso. Il nostro Paese infatti possiede effettivamente la flotta di satelliti per la difesa tra i più moderni ed avanzati a livello mondiale. Si tratta di nuove apparecchiature particolarmente sofisticate, con un sistema radar che scruta attraverso le nuvole e con rilevatori di massa termica per l’individuazione di persone all’interno di edifici ed anche nel sottosuolo, bunker compresi. Ci si riferisce alla rete dei satelliti Cosmo-Skymed di ultima generazione ed ai nuovissimi Optsat-3000, messi in orbita dal razzo vettore Vega-C e, da ultimo, dal nuovissimo razzo a propulsione ibrida tramite il lanciatore del poligono del Salto di Quirra a Perdasdefogu. Il nuovo Optsat-3000, in particolare,dispone del visore ottico super-sofisticato Jupiter che riesce a cogliere dettagli di 38 centimetri in qualunque continente. Per rendere meglio l’idea di cosa siano in grado di fare questi sofisticati occhi elettronici, l’Optsat-3000, nell’azione di contrasto all’immigrazione clandestina, consente di contare il numero delle persone presenti su un gommone e carpire i dettagli dei cortili degli edifici dove, ad esempio, i trafficanti libici nascondevano i migranti in attesa d’imbarco. I Cosmo-Skymed, invece, riescono a misurare anche i detriti prodotti nella costruzione dei tunnel o dei bunker, sono particolarmente performanti in aree desertiche e sanno distinguere le camionette in movimento nel Sahara così come possono individuare ogni scafo in un’area enorme di mare.
  78. La GBU-43 Massive Ordnance Air Blast bomb (MOAB) è una bomba guidata di fabbricazione statunitense. L’acronimo MOAB è anche interpretato, informalmente, come Mother Of All Bombs (“madre di tutte le bombe” in lingua inglese), in quanto l’ordigno è tra le più grandi e potenti bombe mai costruite dagli Stati Uniti. Come peso (che è di quasi 10 tonnellate) è comunque superata dalla Grand Slam e dalla T12. La sua forza si basa, oltre che sull’enorme quantitativo di esplosivo ad alto potenziale, sulla capacità di provocare devastanti onde d’urto che distruggono qualsiasi cosa come bunker, persone ed equipaggiamenti. Il suo peso è tale che non può essere sganciata dai normali bombardieri. Il suo impiego avviene, infatti, grazie allo sgancio mediante un carrello dentro la stiva di un aereo da trasporto tattico militare, il quadrimotore turboelica Lockheed C-130 Hercules MC-130 Combat Talon. L’ordigno ha un sistema di guida satellitare GPS. La detonazione avviene un attimo prima che la bomba tocchi il suolo; ciò avviene grazie a due sensori posti vicino alla punta dell’ordigno. Avvenuta la detonazione, il raggio di scoppio è pari a circa 150 metri. Non si tratta comunque di un’arma perforante: infatti, la sua struttura pesa 1.361 kg su oltre 9.800 kg (la differenza è esplosivo ad alto potenziale). L’approvvigionamento di quattro MOAB fu commissionato nell’ottobre 2009 al notevole costo di 58,4 milioni di dollari, (14,6 milioni di dollari per ogni bomba). Tale importo comprende i costi di sviluppo e test, nonché l’integrazione delle bombe MOAB su bombardieri stealth B-2. Sperimentata l’11 marzo 2003 alla Eglin Air Force Base vicino Valparaiso in Florida tre giorni dopo l’invasione dell’Iraq, è considerata, data la sua potenza, anche un’arma della guerra psicologica. Risulta operativa dal 1º aprile dello stesso anno. L’ordigno è stato utilizzato per la prima volta in Afghanistan nel distretto di Achin della provincia di Nangarhar per colpire una base dell’ISIS il 13 aprile 2017.
  79. Edoardo Alfieri detto Dino (Bologna, 8 dicembre 1886Milano, 2 gennaio 1966) è stato un politico e diplomatico italiano, Ministro della cultura popolare nel governo Mussolini dal 1937 al 1939. Nell’ottobre del 1939 gli venne comunicato l’imminente licenziamento dal ministero e Ciano scrisse di volerlo “tenere a galla” facendolo nominare o presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni o ambasciatore presso la Santa Sede: quest’ultima sortita riuscì e Alfieri iniziò la sua attività diplomatica in Vaticano il 9 novembre. Subito si mise all’opera per organizzare uno scambio di visite tra Vittorio Emanuele III e Pio XII: gli incontri avvennero tra il 21 e il 28 dicembre e diedero molta popolarità ad Alfieri, essendo questa la prima uscita ufficiale del Pontefice dal 1870. Nel maggio del 1940, dovendosi sostituire l’ambasciatore a Berlino Bernardo Attolico, Mussolini conferì questa carica proprio ad Alfieri, che allo scoppio della seconda guerra mondiale era stato un fautore della non belligeranza italiana: volendo sottolineare la scialba personalità di Alfieri, Michele Lanza scrisse che “tale scelta indicava chiaramente che, nell’attuale momento, il nostro governo vuole a Berlino un rappresentante di parata che non faccia della politica, non sollevi questioni, e non scriva rapporti”, contrariamente a quanto, invece, faceva il suo predecessore Bernardo Attolico. I dispacci che inviò dalla capitale del Terzo Reich nel corso del conflitto furono sempre improntati all’ottimismo – cosa di cui Ciano si lagnò nei suoi Diari – fino all’ottobre del 1942, quando iniziò un mutamento di rotta. Membro del Gran Consiglio del Fascismo, nella storica seduta del 25 luglio 1943 votò favorevolmente all’ordine del giorno Grandi, che mise Mussolini in minoranza e causò la fine del regime. Temendo rappresaglie naziste, non tornò più a Berlino ed il 31 luglio il nuovo Ministero degli Esteri Raffaele Guariglia accettò le sue dimissioni da ambasciatore. Alfieri si nascose inizialmente a Milano ma, con la nascita della Repubblica Sociale Italiana, per evitare ritorsioni fuggì in Svizzera, entrando dal valico di Astano grazie ai contatti del parroco don Isidoro Marcionetti. Condannato a morte in contumacia nel processo di Verona il 10 gennaio 1944, venne collocato a riposo come ambasciatore il 1º agosto dello stesso anno (il regime di Salò aveva preso analoga decisione il 5 novembre 1943). Nel dopoguerra venne deferito presso l’Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo, ma il 12 novembre 1946 fu prosciolto in istruttoria “perché la sua azione non integrava i termini del reato rispetto all’accusa maggiore e per amnistia per quelle minori”. Uguale sorte ebbe, il 6 febbraio 1947, il procedimento dinanzi alla Commissione per l’epurazione del personale del ministero degli Esteri; in entrambi i casi decisivo per l’assoluzione di Alfieri fu il comportamento di Alcide de Gasperi che, chiamato dal tribunale ad esprimere un parere, scrisse: «Certo è, in linea generale, esatto che l’Alfieri, che di politica estera era peraltro digiuno e che non possedeva le qualità necessarie ad un mestiere che gli era completamente nuovo, fu germanofilo; che fu per questo designato dai tedeschi come persona gradita; che si adoperò, nella sua veste di ambasciatore, a rafforzare le relazioni tra Roma e Berlino. È peraltro anche esatto che, nel corso della guerra, tali suoi sentimenti e propositi subirono oscillazioni varie, come, tra l’altro, il diario Ciano documenta. L’Alfieri, fu comunque in questa, come nelle altre sue capacità, al di sotto della mediocrità. Sarebbe certamente sopravvalutarlo, attribuirgli responsabilità di decisione o di iniziativa in materia di politica estera, che indubbiamente non ebbe». Nel 1947 Alfieri tornò in Italia e un anno dopo pubblicò il libro Due dittatori a fronte (ovvero Benito Mussolini e Adolf Hitler). Pensionato come ambasciatore, negli anni cinquanta Alfieri aderì al Partito Nazionale Monarchico ed ebbe presidenze in organismi economici a carattere internazionale. Riposa in un’edicola Bonomi nella necropoli del Cimitero Monumentale di Milano.
  80. Business casual:abbigliamento usualmente utilizzato in eventi conviviali a margine di cerimonie o incontri politico-istituzionali ove si sceglie di non richiedere particolari formalità (abito scuro o divisa di gala) e prevede l’abbinamento di pantaloni, anche jeans, a patto che non abbiano particolari applicazioni o strappi, a giacche dal taglio classico, sdrammatizzate da polo monocolore nel periodo estivo e da maglioncini o dolcevita in quello invernale o dalla sola camicia, senza prevedere quindi l’uso della cravatta.
  81. Le operazioni di codiddetta “guerra psicologica” o PSYOP sono state utilizzate a partire dalla Grande guerra (1914-1918) in avanti, ma è la positiva esperienza ottenuta in Iraq nella prima e seconda guerra del Golfo dal 4° Gruppo PSYOP dell’U.S. Army di Fort Bragg, a far comprendere la grande importanza ed utilità di questo tipo di operazioni incruente nell’economia generale della guerra, al punto da rendere tali operazioni ormai un passaggio obbligato in tutti i piani d’attacco e di invasione terrestre messi in atto dagli eserciti moderni.
  82. La dottrina dello Shock and aweovvero delDominio rapidotende a convincere il nemico attaccato dell’inutilità di una difesa ed a far deporre conseguentemente le armi, minacciando un massiccio attacco sulle basi militari e la loro sicura distruzione. In particolare, i messaggi contenuti nei volantini diretti a militari, soldati, aviatori, marinai che siano, è una concreta applicazione del Principio della “Forza sconvolgente”, consistente nella minaccia di utilizzare una forza massiccia o sconvolgente, preannunciata o meno con precedenti mirati attacchi aerei, missilistici o di artiglieria agli obiettivi militari strategici, per disarmare, inabilitare o rendere il nemico militarmente e psicologicamente impotente tanto da indurlo alla resa, il tutto a fronte di un contenuto numero di vittime dell’esercito attaccante.
  83. Il 173rd Airborne Brigade (Sky Soldiers) è una unità di paracadutisti dell’United States Army con base alla Caserma Ederle di Vicenza. L’unità è nata nel 1915 come 173th Infantry Brigade (una brigata di fanteria); trasformata in unità aviotrasportata, partecipò soprattutto alla guerra del Vietnam dove fu impegnata dalla primavera 1965, la prima grande unità terrestre dell’Esercito degli Stati Uniti entrata in combattimento, fino al 1971. La brigata aviotrasportata combatté in alcune delle più aspre battaglie del conflitto subendo forti perdite, in particolare nel corso della logorante battaglia di Dak To. In seguito ha combattuto durante la seconda guerra del Golfo ed ha fatto tre turni di servizio in Afghanistan durante l’operazione Enduring Freedom. L’unità, con una consistenza a livello di brigata e 3300 uomini di forza, su sei battaglioni, è composta dal reparto comando, dal 173° Special Troop Battalion (che il 17 giugno 2015 è stato ufficialmente trasformato nel 54th Brigade Engineer Battalion – BEB), due battaglioni di fanteria paracadutista del 503º reggimento che combatté durante la campagna delle Filippine nel 1944 e si distinse durante la presa di Corregidor, il 1º battaglione (Airborne) del 143º reggimento fanteria della Guardia Nazionale del Texas, uno squadrone (battaglione) di cavalleria blindata da ricognizione, un battaglione di artiglieria campale paracadutista ed il battaglione di supporto logistico. Tutte le unità hanno la qualifica di unità paracadutista. La brigata, ricostituita nel 2000, si trova attualmente divisa tra l’Italia, con il comando al Camp Del Din, e la Germania, in quanto il 91º squadrone da ricognizione è di base in Germania a Grafenwöhr insieme ad un battaglione di paracadutisti. Il resto dell’unità è acquartierato a Vicenza nella vecchia base e nella nuova struttura denominata Dal Din. Quattro compagnie sono state rischierate in Lettonia nel 2014 durante la crisi ucraina mentre 200 uomini sono stati rischierati in Ucraina sempre nel 2014 per l’annuale esercitazione NATO Rapid Dragon, in questo caso a Leopoli.
  84. Le Waffen-SS (“SS Combattenti”) erano una forza armata della Germania nazista nata nel marzo 1933 come braccio militare delle SS. Dall’iniziale adozione di una rigida selezione razziale e fisica dei loro componenti, si passò negli ultimi anni della seconda guerra mondiale ad arruolare anche volontari stranieri di etnia tedesca o comunque ideologicamente legati al Nazionalsocialismo nonostante la loro provenienza. Le Waffen-SS parteciparono a quasi tutte le battaglie della seconda guerra mondiale; i loro soldati diedero prova di combattività, efficienza e forte motivazione ideologica al punto che, da una parte, esse si macchiarono di efferati episodi di violenza sommaria contro civili e prigionieri di guerra e, dall’altra, sovente dimostrarono un eccessivo e sconsiderato sprezzo del pericolo. Al termine del secondo conflitto mondiale le Waffen-SS, da un’iniziale consistenza di sole 4 divisioni, giunsero a comprendere 38 divisioni più numerosi reparti speciali, arrivando a contare nelle loro fila quasi un milione di soldati delle più disparate provenienze nazionali. Il 30 settembre 1946, i giudici del tribunale del Processo di Norimberga condannarono le SS dichiarandole un’organizzazione criminale connessa al partito Nazionalsocialista. I giudici sottolinearono questa sentenza dichiarando che: “…le SS vennero usate per scopi che erano criminali, che comprendevano: la persecuzione e lo sterminio degli ebrei, brutalità ed esecuzioni nei campi di concentramento, eccessi nell’amministrazione dei territori occupati, l’amministrazione del programma di lavoro schiavistico e il maltrattamento e assassinio di prigionieri di guerra”. La sentenza continuava dichiarando che “il sospetto di crimini di guerra avrebbe coinvolto tutte le persone che erano state ufficialmente accettate come membri delle SS…che divennero o rimasero membri dell’organizzazione sapendo che veniva usata per commettere atti dichiarati criminali dall’articolo 6 dello statuto di Londra sui crimini di guerra”.
  85. Il 37º Stormo, è uno stormo caccia dell’Aeronautica Militare. Ricostituito dal 1984, ha sede presso l’Aeroporto di Trapani-Birgi. Dipende dal Comando delle Forze da Combattimento di Milano. Dal 2012 è operativo con il velivolo Eurofighter Typhoon F-2000. Lo stormo, intitolato alla memoria del maggiore pilota Cesare Toschi, ha come reparto operativo il 18º Gruppo Caccia Intercettori Ognitempo. Nel 2011 lo stormo ha preso parte all’operazione Odyssey Dawn in Libia.
  86. I-MANU era la sigla alquanto personale ed atipica del Trimotore Savoia Marchetti SM.79 pilotato personalmente dal Governatore della Libia e Maresciallo dell’Aria Italo Balbo e prendeva il nome MANU dal diminutivo della moglie del Quadrunviro, Contessa Emanuela Florio.
  87. Il Savoia-Marchetti (SIAI-Marchetti) SM.79 Sparvieroè stato un bombardiere medio italiano trimotore sviluppato e prodotto dalla compagnia aerea Savoia-Marchetti. E’ uno dei bombardieri più noti della seconda guerra mondiale. L’SM.79 era facilmente riconoscibile per la caratteristica “gobba” dorsale della sua fusoliera ed era molto apprezzato dai suoi equipaggi. L’SM.79 è stato sviluppato all’inizio degli anni ’30 come un monoplano a sbalzo ad ala bassa di costruzione combinata in legno e metallo. Era stato progettato con l’intenzione di produrre un veloce aereo da trasporto da otto passeggeri, ma aveva subito attirato l’attenzione del governo italiano per le sue potenzialità come aereo da combattimento. Eseguendo il suo primo volo il 28 settembre 1934, i primi esemplari stabilirono 26 record mondiali tra il 1937 e il 1939, qualificandolo per qualche tempo come il bombardiere medio più veloce del mondo. In quanto tale, l’SM.79 venne rapidamente considerato un oggetto di prestigio nazionale nell’Italia fascista, attirando un significativo sostegno del governo e spesso dispiegato come elemento di propaganda di Stato. All’inizio, l’aereo è stato regolarmente inserito in voli competitivi e gare aeree, cercando di capitalizzare i suoi vantaggi, e spesso è emerso vittorioso in tali concorsi. L’SM.79 ha combattuto per la prima volta durante la guerra civile spagnola. In questo teatro normalmente operava senza scorta, facendo affidamento sulla sua velocità relativamente alta per eludere l’intercettazione. Sebbene alcuni problemi fossero stati identificati e in alcuni casi risolti, le prestazioni dell’SM.79 durante il dispiegamento spagnolo furono incoraggianti e portarono alla decisione di adottarlo come spina dorsale delle unità di bombardieri italiane. Sia la Jugoslavia che la Romania hanno poi optato per l’acquisto del Savoia-Marchetti SM.79 per i propri servizi, mentre la Regia Aeronautica ne acquistò in gran numero. Quasi 600 velivoli SM.79-I e –II erano in servizio quando l’Italia entrò nella seconda guerra mondiale nel giugno 1940, da allora in poi furono schierati in ogni teatro di guerra in cui l’Italia fu presente. L’SM.79 fu utilizzato a vario titolo durante la seconda guerra mondiale, inizialmente utilizzato principalmente come aereo da trasporto e bombardiere medio. A seguito del lavoro pionieristico dell’”Unità Speciale Aerosiluranti”, l’Italia lo utilizzò come aerosilurante; in questo ruolo, l’SM.79 ottenne notevoli successi contro la navigazione alleata nel teatro di guerra del Mediterraneo. Il Savoia Marchetti resterà in servizio in Italia fino al 1952.
  88. Ai primi di gennaio del 1940 vige sul fronte occidentale quella situazione chiamata “strana guerra”, ovvero una guerra non guerreggiata che permarrà sino a maggio 1940, quando la Germania attaccherà la Francia e, per l’area del Mediterraneo, sino al 10 giugno quando l’Italia dichiarerà guerra a Francia e Gran Bretagna. Dal punto di vista delle forze in campo, la forza d’attacco della flotta francese fu per la maggior parte schierata a Tolone in Provenza, ad Algeri e Mers-el Kebir in Algeria ed a Biserta in Tunisia, ma tendeva a restare alla fonda nei porti. Quanto alla forza aerea, la Marine Nationale francese, con le sue ventitré squadriglie dislocate nelle basi del Mediterraneo, in Normandia e nel canale della Manica, disponeva all’epoca di non più di trecentocinquanta velivoli, in buona parte obsoleti e con un raggio d’azione limitato al sorvolo delle zone costiere o poco più. Discorso diverso per i Britannici che all’inizio del conflitto disponevano certamente della più importante marina militare dell’epoca. La Royal Navy, infatti, con l’imponente Mediterranean fleet, era schierata nelle basi di Gibilterra, Malta ed Alessandria d’Egitto, ma all’inizio di gennaio del 1940 le operazioni belliche si svolgevano in altri teatri operativi e quindi presentava una flotta non particolarmente consistente, priva di portaerei e costituita, ai primi di gennaio del ’40, da una corazzata e naviglio minore con poca autonomia operativa. Quanto alla Royal Air Force, il Middle East Command disponeva in quel periodo di sole ventinove squadriglie schierate nelle basi di Malta, Aden nello Yemen ed in Iraq, con uno scacchiere di competenza estremamente vasto, comprensivo anche di Egitto, Palestina, Sudan e Kenya, con velivoli anche in questo caso obsoleti e con limitata capacità operativa.
  89. Guerra tecnologica, espressione riferita alle misure basate su tecnologie avanzate, mirate a bruciare o a mettere fuori uso gli apparati di tele/radiotrasmissione e propulsione del nemico attraverso l’uso di onde elettromagnetiche, raggi laser, sistemi ad infrarossi tra i quali (ora in fase di sviluppo) numerosi sistemi distruttivi di tipo DIRCM (Direct InfraRed CounterMeasure) in grado di indirizzare un fascio laser verso un obiettivo così rendendolo inefficace. Un discorso a parte meritano le cosiddette Armi a microonde, sviluppo dell’utilizzo delle onde elettromagnetiche. In realtà, l’idea non nasce dalle cucine delle casalinghe, ma dalla sperimentazione atomica. L’esperienza nucleare insegna infatti che l’energia rilasciata da una bomba atomica è in grado di bruciare ogni segnale elettrico o elettromagnetico. Medesimo effetto sembrano sortire i più salubri impulsi elettromagnetici emessi dal magnetron, ovveroil tubo elettromagnetico usato nei radar e nei forni a microonde. Era il 1940 quando l’esercito britannico adottava il magnetron (valvola termoionica ad alta potenza destinata alla produzione di microonde) per potenziare e migliorare i radar. Le onde avrebbero la proprietà  di abbattere i missili e gli aerei nemici, di fermare i loro carri armati e le loro imbarcazioni. L’industria statunitense ha infatti creato un radar denominato active electronically scanned array (AESA) il cui flusso elettromagnetico, quando canalizzato verso un preciso obiettivo, intercetta e annulla ogni impulso elettrico, permettendo di spiare le comunicazioni del nemico, interromperle, sopprimere le difese radar, spegnere ogni sistema elettronico ed elettrico dei veicoli avversari. Analoghi dispositivi sono stati sperimentati e istallati dall’Aeronautica militare britannica. La BAE systems, leader nell’industria bellica aviatoria, ha infatti implementato le navi della marina britannica con armi elettromagnetiche ad oggi in grado di spegnere i motori di uno sciame di 30 motoscafi. Dal 2013, grazie ad uno studio di aziende appaltatrici del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, sono utilizzati il Radio-Frequency Vehicle Stopper, flusso elettromagnetico da terra in grado di spegnere i motori di qualsiasi veicolo di terra o di aria. Un modo gentile di trattare il nemico: non lo si ferisce, lo si immobilizza. Degno di menzione, inoltre, è l’Active Denial System, dispositivo elaborato dal Joint Non-Lethal Weapons Directorate (Virginia, USA) che ha realizzato un’arma non letale che permette di fronteggiare il nemico personalmente senza ucciderlo. Il radar, installato sui carri armati da terra, agirebbe come un vero e proprio forno, inducendo un flusso di calore sulla pelle del soldato che reagisce come se infilasse una mano in un forno acceso: il nemico scappa. Fonte: vari articoli tratti da fonti aperte (Internet).
  90. “Trident Juncture 2018”, esercitazione interforze della NATO, molto complessa ed articolata, di sbarco anfibio che ebbe luogo sulle coste norvegesi a fine ottobre del 2018 simulando un conflitto su mare, terra e aria per la riconquista della Norvegia, con l’intervento congiunto e sinergico delle Forze Armate di 31 Paesi ed il coinvolgimento di ben 40.000 militari.
  91. Il termine D-Day viene usato genericamente dai militari anglosassoni per indicare semplicemente il giorno in cui si deve iniziare un attacco o un’operazione di combattimento, ma viene spesso usato per riferirsi allo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, che segnò l’inizio della liberazione dell’Europa continentale dall’occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale. In particolare, l’operazione Overlord (Operation Overlord in inglese) fu il nome in codice che identificò il piano d’invasione dell’Europa, iniziato il 6 giugno 1944, con l’obiettivo di stabilire una testa di ponte sulla terraferma per poi invadere la Normandia e, quindi, liberare la Francia. Inizialmente il nome in codice Overlord (Signore Supremo) venne usato per designare sia l’operazione generale di attraversamento della Manica sia lo sbarco vero e proprio in ben determinate aree; con il progredire della pianificazione, per esigenze di sicurezza, venne ristretto il numero di persone che avevano accesso alle informazioni sullo sbarco e quindi venne definito un nuovo nome in codice, Neptune, per designare questa fase specifica lasciando Overlord per il concetto generale e la divulgazione più ampia tra il personale interessato. Più in dettaglio, lo sbarco in Normandia (nome in codice operazione Neptune, parte marittima della più ampia operazione Overlord) fu una delle più grandi invasioni anfibie della storia, messa in atto dalle forze alleate durante la seconda guerra mondiale per aprire un secondo fronte in Europa, dirigersi verso la Germania nazista e allo stesso tempo alleggerire il fronte orientale, sul quale da tre anni l’Armata Rossa stava sostenendo un aspro conflitto contro i tedeschi. L’invasione iniziò nelle prime ore di martedì 6 giugno 1944 (data conosciuta come D-Day in inglese e Jour-J in francese), quando toccarono terra nella penisola del Cotentin e nella zona di Caen le truppe alleate aviotrasportate, che aprirono la strada alle forze terrestri. All’alba del 6 giugno, precedute da un imponente bombardamento aeronavale, le fanterie sbarcarono su cinque spiagge. Esse si trovavano all’interno di una fascia lunga circa ottanta chilometri sulle coste della Normandia: nel settore statunitense dell’invasione, tre divisioni di fanteria presero terra alle ore 06:30 sulle spiagge denominate Utah e Omaha, mentre nel settore anglo-canadese, un’ora più tardi, altre tre divisioni sbarcarono in altrettante spiagge denominate Sword, Juno e Gold. Le truppe che toccarono queste spiagge subirono la reazione nemica, che in diversi settori (soprattutto a Omaha e Juno) fu molto pesante e causò gravi perdite. Dopo essersi attestati sulle spiagge e aver violato le difese del cosiddetto Vallo Atlantico durante lo stesso D-Day, gli uomini avrebbero dovuto avanzare per dirigersi il più velocemente possibile verso obiettivi situati più in profondità (le cittadine di Carentan, Saint-Lô e Bayeux) per rafforzare la testa di ponte e minacciare le vie di rinforzo nemiche. Successivamente avrebbe preso il via la campagna terrestre di Overlord, conosciuta come battaglia di Normandia, in cui le armate alleate avevano l’obiettivo di rafforzare ed espandere la testa di ponte nella Francia occupata, conquistare i principali porti nord-occidentali della Francia e spingersi verso l’interno fino a liberare Parigi. Da qui le forze alleate avrebbero quindi continuato la loro avanzata per spingere i tedeschi oltre la Senna, minacciando direttamente il territorio tedesco in concomitanza con l’avanzata sovietica a est, per poi procedere all’invasione del territorio tedesco e determinare la sconfitta della Germania nazista. Si stima che l’operazione di sbarco (Operazione Neptune) sulle coste della Normandia sia stata effettuata dagli Alleati con una forza di circa 156.000 uomini, mentre i difensori tedeschi potevano contrapporre circa 50.000 uomini. 7.844 furono i morti, feriti ed i dispersi sulle spiagge francesi nel D-DAY, mentre si stimano in 3.799 i morti, feriti e dispersi tra le truppe aviotrasportate; di contro, le vittime tedesche furono stimate approssimativamente tra le 4.000 e le 9.000 unità.
  92. A.I.S.E. acronimo di Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna, ha il compito di ricercare ed elaborare tutte le informazioni utili alla difesa dell’indipendenza, dell’integrità e della sicurezza della Repubblica dalle minacce provenienti dall’estero. In particolare sono di competenza dell’AISE: 1) le attività di informazione per la sicurezza che si svolgono al di fuori del territorio nazionale, a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia; 2) l’individuazione e il contrasto al di fuori del territorio nazionale delle attività di spionaggio dirette contro l’Italia e le attività volte a danneggiare gli interessi nazionali; 3) le attività di contro-proliferazione di materiali strategici. L’A.I.S.E. risponde al Presidente del Consiglio dei ministri e informa, tempestivamente e con continuità, il Ministro della difesa, il Ministro degli affari esteri e il Ministro dell’interno per le materie di rispettiva competenza.
  93. Il termine “buffetteria militare” indica tutto l’insieme di borse, cinghie, giberne, cassette, foderi e altri oggetti vari in dotazione ai soldati. Hanno una funzione importantissima e la loro qualità può fare davvero la differenza. Ad esempio, una buona bottiglia scaldabevande è indispensabile nelle lunghe notti in accampamento.
  94. A Suzzara in località Camatte, in provincia di Mantova, per decenni c’è stato un presidio missilistico a difesa della Pianura padana, anzi di tutta l’Italia settentrionale. Una garanzia, negli anni della Guerra fredda, della tutela del territorio nazionale. Ora che i missili, almeno ufficialmente, non ci sono più, è rimasto un centro di addestramento militare ormai inserito nel paesaggio circostante. Si tratta del sito numero 10, controllato dal quarto reggimento missili “Peschiera” con sede nella caserma San Martino di Mantova al Dosso. Una postazione che ha ospitato gli Hawk, missili terra-aria a medio raggio con guida radar, entrati in servizio nel 1960 e da allora numerose volte aggiornati. L’Esercito italiano li ha utilizzati nei propri reparti di Artiglieria contraerei, dal 1964 fino al 2011. Il 4º Reggimento artiglieria missili contraerei ha utilizzato attivamente la base sino alla fine degli anni ’80, quando la mutata situazione internazionale ne ha consentito lo smantellamento. La base è rimasta oggi in uso per le attività di addestramento necessarie per tenere il personale di artiglieria missilistica operativamente pronto. Attualmente, il 4° Reggimento Artiglieria Controaerei “Peschiera”, con sede a Mantova, è l’unica Unità in ambito nazionale ad essere dotato del sistema missilistico SAMP/T. Il sistema, dotato di missili ASTER a lancio verticale, è in grado di contrastare sia la minaccia aerea sia la minaccia di missili balistici. Nel marzo del 1942 con la denominazione di 4º Raggruppamento artiglieria controaerei, al comando del colonnello Giuseppe di Martino prese parte alla campagna di Russia, inquadrato nella 8ª Armata dell’ex CSIR, poi ARMIR guadagnando una “Medaglia di Bronzo al Valor Militare“.
  95. NASA: National Aeronautics and Space Administration (Ente Nazionale per le attività Spaziali e Aeronautiche).
  96. E.S.A.: Ente Spaziale Europeo.
  97. Amedeo di Savoia, duca d’Aosta (Amedeo Umberto Lorenzo Marco Paolo Isabella Luigi Filippo Maria Giuseppe Giovanni; Torino, 21 ottobre 1898Nairobi, 3 marzo 1942), è stato un generale e aviatore italiano, membro della famiglia reale italiana appartenente al ramo Savoia-Aosta; fu viceré d’Etiopia dal 1937 al 1941. Venne soprannominato Duca di Ferro e Eroe dell’Amba Alagi. Amedeo nacque a Torino nel 1898 da Emanuele Filiberto, secondo duca d’Aosta, e da Elena di Borbone-Orléans. Quale erede del ducato d’Aosta ricevette il titolo di duca delle Puglie. A nove anni fu inviato al collegio di St. Andrew di Londra, imparando perfettamente la lingua inglese; tornato in Italia, fu avviato alla carriera militare a quindici anni e iscritto al Reale collegio della Nunziatella di Napoli. Ben presto Amedeo si scontrò con le rigide consegne imposte agli altri studenti: nessuno doveva rivolgersi per primo al principe e, se interpellato, doveva mettersi sull’attenti e rispondere esclusivamente: «Sì, Altezza reale» o «No, Altezza reale»; infastidito da tanta formalità, Amedeo permise ai propri compagni di dargli del tu e di omettere il titolo di Altezza reale. Dopo la seconda guerra italo-abissina, il 21 dicembre 1937 Amedeo di Savoia si insediò come governatore generale dell’Africa Orientale Italiana e viceré d’Etiopia. In quegli anni contribuì alla realizzazione di rilevanti opere pubbliche. Nel 1940 fu nominato generale d’armata aerea e, con l’entrata dell’Italia in guerra il 10 giugno 1940, divenne comandante superiore delle forze armate dell’Africa Orientale Italiana. Nel 1941, di fronte alla travolgente avanzata degli inglesi nell’Africa Orientale Italiana, le poche truppe italiane rimaste al suo comando si ritirarono per organizzare l’ultima resistenza sulle montagne etiopiche. Amedeo s’asserragliò dal 17 aprile al 17 maggio 1941 sull’Amba Alagi con 7.000 uomini, una forza composta da carabinieri, avieri e marinai della base di Assab, 500 soldati della sanità e circa 3.000 militari delle truppe indigene. Lo schieramento italiano venne ben presto stretto d’assedio dalle preponderanti forze del generale Cunningham (39.000 uomini). I soldati italiani, inferiori sia per numero che per mezzi, diedero prova di grande valore ma, stremati dal freddo e dalla mancanza di munizioni, acqua e legna, si dovettero arrendere ai britannici. Il giorno 14 maggio 1941 Amedeo ottenne da Mussolini l’autorizzazione alla resa e designò come negoziatore il generale Volpini, che però fu massacrato con la sua scorta dai ribelli etiopici che circondavano le linee italiane. Poco prima della resa, Amedeo autorizzò gl’indigeni della sua truppa a tornare nei propri villaggi (e autorizzò i suoi ufficiali a fare lo stesso) ma, come risulta dai bollettini del 1941 del SIM, gli abbandoni non furono superiori alla quindicina di casi, testimoniando il profondo legame che s’era instaurato fra lui, i suoi più giovani ufficiali e i loro àscari. A mezzogiorno del 17 maggio le condizioni della resa vennero pattuite dai generali Trezzani e Cordero di Montezemolo per parte italiana, e dal colonnello Dudley Russel per parte britannica. I militari di Sua Maestà Britannica, non solo in omaggio del comandante nemico, ma anche in segno di ammirazione per la fermezza da loro mostrata, resero gli onori delle armi ai superstiti, facendo conservare agli ufficiali la pistola d’ordinanza. Lunedì 19 maggio 1941, all’ingresso della caverna-comando, comparve Amedeo d’Aosta, e da Forte Toselli il duca s’avviò scendendo con il generale inglese Maine alla sua sinistra, scortato da un sottufficiale sudafricano; su due colonne li seguivano i soldati del presidio, carichi d’armi leggere, zaini, valigie di cartone legate con lo spago, chitarre e fagotti. Il Duca d’Aosta rese il saluto al picchetto d’onore e alla bandiera italiana che si ammainava. Amedeo, prigioniero di guerra numero 11.590, venne trasferito in Kenia in aereo; durante il volo gli vennero ceduti per alcuni istanti i comandi, in modo da consentirgli di pilotare per l’ultima volta. Arrivato in Kenia, venne tenuto prigioniero dagl’inglesi insieme al suo Ufficiale d’ordinanza (il tenente pilota Flavio Danieli) presso Dònyo Sàbouk, una località insalùbre e infestata dalla malaria situata a 70 chilometri da Nairobi. Nonostante Amedeo intercedesse presso le autorità inglesi affinché queste migliorassero le condizioni dei militari italiani e per il rimpatrio dei civili, il comando britannico non gli consentì di ricevere nessuno, né di visitare gli altri prigionieri. Nel novembre 1941 Amedeo iniziò ad accusare alcuni malori: a dicembre una febbre alta lo costrinse a letto. Tre settimane dopo il comando britannico permise ad Amedeo di recarsi a visitare i prigionieri italiani (sarebbe stata l’ultima sua uscita), ma gli impedirono di salutarli personalmente: Amedeo ottenne solo che la sua vettura procedesse a passo d’uomo di fronte ai cancelli del campo di prigionia; dietro i cancelli i prigionieri italiani gli tendevano le mani e lo chiamavano per nome, mentre Amedeo pare non si curasse di asciugare le lacrime che gli rigavano il volto. Il 26 gennaio 1942 gli vennero diagnosticate malaria e tubercolosi: tale responso medico, per le condizioni in cui il duca si trovava, significava morte certa. Amedeo morì il 3 marzo 1942 nell’ospedale militare di Nairobi, dove fu da ultimo ricoverato; a raccogliere gli ultimi respiri del duca sembra sia stato il tenente della Regia Aeronautica Biagio Guarnaccio. Al suo funerale anche i generali britannici indossarono il lutto al braccio; per sua espressa volontà è sepolto al sacrario militare italiano di Nyeri, in Kenya, insieme con 676 suoi soldati. Poiché Amedeo aveva avuto solo figlie femmine, nel titolo ducale gli succedette il fratello Aimone. Amedeo aveva fama di essere un gentiluomo: prima di lasciare la sua sede di Addis Abeba, scrisse una nota ai comandi britannici per ringraziarli in anticipo della futura protezione alle donne e ai bambini del luogo. L’imperatore Hailé Selassié, inoltre, fu impressionato dal rispetto che Amedeo dimostrò nei suoi confronti: durante la sua visita ufficiale in Italia, nel 1953, Hailé Selassié invitò per un tè Anna d’Orléans, vedova del Duca d’Aosta ma, quando il governo italiano lo informò che ricevere la duchessa avrebbe offeso la Repubblica, Hailé Selassié fu costretto a cancellare l’incontro con dispiacere; in sostituzione, invitò il quinto duca d’Aosta in Etiopia verso la metà degli anni sessanta e gli accordò tutti gli onori d’un capo di Stato. Dal matrimonio tra Amedeo di Savoia-Aosta ed Anna d’Orléans nacquero due figlie: 1) Margherita di Savoia-Aosta (Margherita Isabella Maria Vittoria Emanuela Elena Gennara, Napoli, 7 aprile 1930 – Basilea 10 gennaio 2022), coniugata dal 28 dicembre 1953 con Roberto d’Asburgo-Este; la coppia ha avuto tre maschi e due femmine; 2) Raffaella di Savoia-Aosta (Trieste, 10 settembre 1933), coniugata dal 29 gennaio 1967 con Casimiro di Borbone-Due Sicilie; la coppia ha avuto due maschi e due femmine. Tra i vari monumenti, vie, piazze ed edifici a lui dedicati, spicca l’intitolazione del 4º Stormo dell’Aeronautica Militare.
  98. Business casual dinner, cena diplomatica con dress code (regola d’abbigliamento) previsto in abito casual (vedi precedente nota n.278).
  99. Frequent flyer, letteralmente viaggiatore aereo frequente, è un servizio offerto dalla maggior parte delle compagnie aeree per premiare la fedeltà dei clienti che viaggiano spesso in aereo con tali vettori.
  100. La Repubblica di Cina o Repubblica Cinese fu l’entità politica che si costituì nel Paese asiatico alla caduta dell’ultimo imperatore, Pu Yi, nel 1912 in seguito al successo della rivoluzione cinese. Seppure non comprendesse tutti i territori del Grande Impero Qing ma solo l’80% (11.077 di 13.100 ÷ 14,7 milioni di km²), includeva anche nazioni diverse come le attuali Mongolia o Taiwan e addirittura due stati vassalli (i Khanati di Kumul e Qinghai). I territori rimasti esclusi e dominati da Signori locali divennero noti come “Resti dell’Impero Qing”. Il crollo dell’Impero (1911) e la proclamazione della Repubblica avevano sancito l’inizio di una lunga serie di conflitti interni, aggravati durante la Prima guerra mondiale dalla nascita, in funzione anti-giapponese, del movimento nazionalista (1919). Il Kuomintang (KMT) (il partito dei nazionalisti), guidato da Sun Yat-sen (pinyin Sun Zhongshan), formò a Canton un governo contrapposto al governo di Pechino (Governo del Beiyang) controllato dai giapponesi, e insieme al Partito comunista (nato nel 1921) diede vita (1924-25) a un fronte comune che ebbe però breve durata. Tra il 1925 e il 1927 i comunisti si posero a capo di grandi agitazioni operaie e contadine provocando la reazione del nuovo capo del Kuomintang, Chiang Kai-shek (pinyin Jiang Jieshi), che mise in atto nei loro confronti una violenta repressione (1927) e costituì a Nanchino un governo, appoggiandosi alle potenze straniere. Rotte le relazioni con l’URSS, Chiang Kai-shek instaurò un regime autoritario e militarista. In tale contesto, il capo del Partito comunista cinese Mao Zedong (o Tse-tung), individuando nelle masse contadine la maggiore forza rivoluzionaria, costituì nelle zone rurali del Sud basi comuniste dotate di proprie forze armate, con lo scopo di appoggiare l’azione contadina contro i proprietari e di respingere le offensive governative. Nel 1931 Mao fu eletto presidente di una Repubblica sovietica con base nel Jiangxi. Ma nel 1934 le truppe nazionaliste di Chiang Kai-shek ebbero il sopravvento. Allora, con una marcia di 10.000 km (cd. Lunga marcia) i comunisti, fortemente decimati, per sfuggire all’accerchiamento dell’esercito nazionalista, si trasferirono nel Nord-Ovest, stabilendosi infine a Yan̓an, dove Mao organizzò nuovamente un Governo da lui diretto. Dopo l’invasione giapponese (1937) della Cina, comunisti e nazionalisti tornarono a unirsi per respingere gli aggressori giapponesi pur mantenendo ognuno la propria autonomia d’azione. Nel periodo dal 1937 al 1946 il territorio cinese fu teatro di guerra permanente, tra la lotta all’invasore giapponese e conflitti intestini fra il governo del Kuomintang (nazionalista) di Chiang Kai-shek, il governo a guida comunista di Mao Zedong ed alcuni Signori della guerra (membri dell’esercito del governo del Beiyang cessato nel 1928) che occupavano zone residuali di territorio sottratte agli altri contendenti. Alla fine della Seconda guerra mondiale, falliti i tentativi di accordo tra le parti, scoppiò (1946) la guerra civile. Il Kuomintang di Chiang Kai-shek, appoggiato dagli USA, godeva di una netta superiorità militare, ma i comunisti di Mao Zedong, appoggiati dalla popolazione, potevano contare su una superiorità politica e sociale, che permise loro di sbaragliare (1948-49) gli avversari. La debolezza dell’esercito nazionalista si dimostrò nell’avanzata quasi incontrastata degli avversari che costrinse infine Chiang Kai-shek a rifugiarsi con le sue ultime truppe sull’isola di Formosa-Taiwan nel luglio 1949,  dove costituì un suo governo autonomo. Il 1° ottobre 1949 Mao, stabilito il governo a Pechino, proclamò la nascita della Repubblica Popolare di Cina (RPC), riportando sotto la sovranità della Cina territori periferici quali il Tibet e lo Xinjiang/Sinkiang (1951), e sancendo la fine della rivoluzione con la divisione della Cina in due paesi contrapposti, ancorché la Repubblica Popolare rivendichi tutt’oggi l’isola di Formosa-Taiwan come parte integrante del proprio territorio nazionale. Nel frattempo, con la sconfitta dei Paesi dell’Asse nella seconda guerra mondiale la Cina nazionalista del Kuomintang – che il 9 dicembre 1941 aveva dichiarato guerra a Germania, Giappone e Regno d’Italiasi ritrovò fra le potenze vincitrici, ottenendo un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, soprattutto grazie all’intervento del Presidente americano Roosevelt che aveva sempre appoggiato il governo nazionalista di Chiang Kai-shek e che, tramite quest’ultimo, sperava di costruire un’asse di controllo della neonata Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) potendo di fatto disporre di ben due voti su 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Con la sconfitta nel 1949 dell’esercito nazionalista di Chiang Kai-shek, la neonata Repubblica Popolare cinese (RPC) acquisì conseguentemente il seggio permanente presso l’ONU, ponendo così nel nulla l’idea di controllo dell’Organismo internazionale architettata da Roosevelt durante la conferenza di Teheran prima e di Jalta poi ed approvata dallo stesso Stalin, che aveva autorizzato la disponibilità per Roosevelt di due (USA e Cina Nazionalista del Kuomintang) voti nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La fondazione della Repubblica Popolare Cinese pose le basi per l’instaurazione di un sistema politico socialista e diede vita a una nuova era nella storia della legislazione cinese. Resta il fatto che, sino alla fine degli anni quaranta del ‘900, la Cina restò un Paese ad economia sostanzialmente agricola; soltanto dopo la creazione della Repubblica popolare cinese nel 1949, il governo comunista procedette prima all’attuazione di una Riforma agraria integrale smantellando i grandi latifondi, alla creazione delle Comuni popolari nelle campagne, alla realizzazione di infrastrutture economiche e di servizi, ed infine, col primo piano quinquennale (1953-57), al decollo dell’industrializzazione, dando priorità secondo il modello sovietico all’industria pesante. Ma soltanto alla fine degli anni settanta del secolo scorso la Cina avviò una vera e propria rivoluzione economico-industriale, quando Deng Xiaoping promosse l’attuazione delle riforme economiche verso l’economia di mercato, traghettando una Nazione flagellata da carestie (1960) e povertà, alla vera e propria potenza industriale mondiale dei nostri giorni.
  101. La guerra d’inverno(in finlandese: talvisota; in svedese: vinterkriget; in russo: Финская кампания?, traslitterato: Finskaja kampanija), nota anche come guerra russo-finlandese, è un conflitto che fu combattuto tra il 30 novembre 1939 e il 12 marzo 1940 dalla Finlandia e dall’Unione Sovietica (URSS). La strategia militare sovietica era basata sulla convinzione che in un modo o nell’altro la Finlandia sarebbe stata utilizzata dalla Germania per portare l’attacco verso Leningrado. Tale convinzione fu ulteriormente rafforzata dalla riluttanza mostrata dalle potenze occidentali ad accettare le richieste sovietiche riguardo alla propria sicurezza nel Baltico durante i negoziati dell’estate del 1939. Stalin si convinse che le potenze occidentali speravano in una guerra fra la Germania e l’Unione Sovietica e, di conseguenza, accettò le proposte di accordo avanzate dai tedeschi all’inizio di maggio: il 23 agosto 1939 firmò un patto di non aggressione con Adolf Hitler (patto Molotov-Ribbentrop). Stalin ottenne così dalla Germania ciò che Francia e Regno Unito gli avevano decisamente negato durante i negoziati per la “triplice alleanza”: mano libera nel Baltico per mettere al sicuro le posizioni strategiche sovietiche in un’area ritenuta vitale per la sicurezza di Leningrado. Nel contesto del negoziato, “mano libera” significava il diritto di procedere preventivamente per contrastare sul nascere ogni possibile tentativo di sovversione o invasione tedesca dei Paesi baltici indipendentemente dalla volontà dei loro stessi governi. Il patto sovietico-tedesco includeva un’appendice segreta nella quale la Finlandia, gli Stati baltici e la Polonia orientale erano classificate come zona di sicurezza sovietica. Una settimana dopo i tedeschi attaccarono la Polonia, imitati a metà settembre dalle truppe sovietiche che varcarono i confini polacchi occupando la Polonia orientale (un territorio pressappoco corrispondente a quello annesso dalla Polonia dopo la guerra sovietico-polacca nel 1920), e gli Stati baltici furono obbligati ad accettare basi militari sovietiche sul loro territorio (l’Estonia firmò l’accordo il 28 settembre, la Lettonia il 5 ottobre e la Lituania l’11 ottobre). L’opinione pubblica mondiale si schierò a favore della causa finlandese. In una delle sue ultime attività, la Società delle Nazioni approvò il 14 dicembre 1939 in Assemblea Generale una risoluzione in cui chiedeva agli Stati membri di «fornire alla Finlandia l’assistenza materiale e umanitaria possibile e di astenersi da azioni che possano indebolire il potere di resistenza della Finlandia», rispetto alla quale dal 19 dicembre al 2 marzo arrivarono al Segretariato Generale risposte più o meno positive da 26 Paesi, anche se i primi a manifestare appoggio furono quelli più lontani dell’America Latina. L’attacco alla Finlandia da parte dell’Unione Sovietica ebbe come conseguenza l’espulsione di quest’ultima dalla Società delle Nazioni. Le cause del conflitto furono, da un lato, l’aspirazione dell’Unione Sovietica ad acquisire (e la conseguente richiesta alla Finlandia) alcuni territori finlandesi di importanza strategica dal punto di vista militare scambiandoli con propri territori di maggiore superficie e, dall’altro, la volontà della Finlandia di non cedere alle richieste sovietiche, sia per motivi patriottici legati a sentimenti politici anti-russi che per il timore dei pericoli insiti in una dimostrazione di debolezza verso il potente vicino, quale sarebbe potuta apparire la cessione di territori nazionali. La guerra ebbe termine nel marzo 1940 con la firma di un accordo di pace, il trattato di Mosca, per il quale la Finlandia cedette all’Unione Sovietica circa il 10% del proprio territorio, tra cui gran parte della Carelia, alcune isole nel golfo di Finlandia nonché, all’estremo nord, la propria porzione della penisola di Rybačij. Nonostante la perdita di una porzione di territorio a vantaggio dei russi, la guerra non si concluse con un indiscusso successo militare per questi ultimi che, anzi, manifestarono seria impreparazione al combattimento in ambiente innevato ed a bassissime temperature ed una sostanziale impreparazione a condurre una guerra d’invasione nei confronti di un nemico, quello finlandese, preparato e motivato, ancorché di gran lunga inferiore nel numero e nei mezzi. Ciò costituì le basi per una importante riforma organizzativa e tattica dell’Armata rossa che fu poi utile nella conduzione delle operazioni avverso l’operazione Barbarossa dei tedeschi del 1941. Per la Finlandia la guerra ebbe conseguenze devastanti. Le perdite militari, rapportate alla popolazione, equivalevano a un milione di morti sovietici. Le perdite in risorse economiche e capacità industriali furono severe e circa 400.000/500.000 finlandesi (un numero ingente se rapportato alla popolazione dell’epoca), che abitavano nelle zone annesse dall’Unione Sovietica, lasciarono le loro case e si trasferirono in territorio finlandese. Politicamente la guerra d’inverno portò dapprima all’isolamento della Finlandia e quindi al riavvicinamento alla Germania nazista, e fu alla base della cosiddetta guerra di continuazione che, il 22 giugno 1941, vide la Finlandia schierata contro l’Unione Sovietica al fianco delle potenze dell’Asse nell’operazione Barbarossa. Francia e Gran Bretagna sostanzialmente abbandonarono la Finlandia al suo destino non appoggiandola tempestivamente contro i sovietici nel momento del bisogno. Infatti, la costituzione di un corpo di spedizione alleato, di circa 57.000 uomini, fu effettivamente decisa soltanto quando ormai la situazione militare finlandese era irrimediabilmente compromessa. Tre divisioni britanniche, due battaglioni di truppe alpine francesi, due battaglioni della legione straniera francese e un battaglione polacco, al comando dall’ammiraglio François Darlan, avrebbero dovuto sbarcare a Narvik e in altre località della costa settentrionale norvegese, ma lo sbarco fu bloccato dall’intervenuto armistizio del 12 marzo 1940 tra Finlandia e Unione Sovietica, che privava gli Alleati di un valido pretesto, ma intanto Norvegia e Svezia avevano già negato il permesso di sbarco e di transito alle truppe anglo-francesi. Alla fine, reparti britannici, francesi e polacchi sbarcarono comunque in Norvegia, ma quando già i tedeschi, con l’avvio dell’operazione Weserübung, avevano dato inizio all’invasione del paese scandinavo.
  102. La Haus des Rundfunks (letteralmente: “casa della radio”) è un edificio di Berlino, sito nel quartiere di Westend (Ortsteil), che ospita la sede dell’emittente radiofonica pubblica RBB. Costruito dal 1929 al 1931 su progetto di Hans Poelzig nello stile detto della “Nuova oggettività“, riveste un’importanza rilevante anche sotto il profilo tecnico. Per tali ragioni è posto sotto tutela monumentale (Denkmalschutz).
  103. Il Großdeutscher Rundfunk ha la sua radici nella politica radiotelevisiva della Repubblica di Weimar. Nove compagnie radiofoniche regionali, che dalla fine del 1923 si estendevano geograficamente da Monaco via Francoforte sul Meno e Lipsia fino a Breslavia e Königsberg , furono fuse in una Reich Broadcasting Company (RRG) il 15 maggio 1925. Dopo che l’NSDAP (Partito Nazionalsocialista) salì al potere nel 1933, le trasmissioni continuarono a essere un affare di stato. I nazionalsocialisti lo videro come uno strumento di propaganda politica chiave sin dall’inizio e quindi sottoposero le trasmissioni radiofoniche al Ministero per l’illuminazione pubblica e la propaganda del Reich diretto da Joseph Goebbels. Dal 1938, molti trasmettitori furono aggiornati per la cosiddetta “guerra di propaganda” e i trasmettitori di grandi dimensioni dovevano essere in grado di cambiare frequenza rapidamente in qualsiasi momento. Tuttavia, il Deutsche Reichspost incaricato di farlo non poteva soddisfare i requisiti del Ministero della Propaganda con i sistemi esistenti. Per questo motivo furono installati nuovi impianti da 100 kW, soprattutto nella rete delle emittenti europee tedesche, che potevano trasmettere in tutta la banda delle onde medie utilizzando cristalli di trasmissione intercambiabili. Sorsero nuove stazioni a Breslavia, Amburgo, Heilsberg (Polonia, poi Prussia orientale), Mühlacker vicino a Stoccarda, Ismaning vicino a Monaco, Dobrochov vicino a Brno (Repubblica Ceca) e a Dobl vicino a Graz. Su ordine di Joseph Goebbels, la designazione Großdeutscher Rundfunk fu introdotta il 1° gennaio 1939 per il Reichsrundfunk. Quando iniziò la guerra, Alfred-Ingemar Berndt, consulente di Goebbels e nuovo capo del dipartimento di trasmissione del Ministero della Propaganda, iniziò ad adattare il panorama delle trasmissioni alle esigenze della guerra. Gran parte del personale giornalistico e tecnico fu arruolato nelle società di propaganda della Wehrmacht, i palinsesti furono sfoltiti, i programmi furono accorpati e dal giugno 1940 furono trasmessi solo due programmi completi con finestre regionali per l’intero Reich. Con l’avanzata delle truppe alleate da est e da ovest verso la fine della seconda guerra mondiale nella primavera del 1945, un’emittente dopo l’altra del Reich cessò la sua attività. Flensburg, che fu aggiornata a Reichssender, è stata l’ultima emittente del Großdeutscher Rundfunk ad essere ascoltata. Anche l’ultimo governo del Reich si trovava a FlensburgMürwik fino al 23 maggio 1945. Anche il Reichssender Flensburg cessò le operazioni nel maggio 1945. Successivamente, le potenze occupanti istituirono via via nuove stazioni radio nella loro zona di occupazione, ma fino a quando non furono operative Radio Lussemburgo fornì alla popolazione tedesca, in particolare nella Germania occidentale, notizie in onda lunga.
  104. La Reichs-Rundfunk-Gesellschaft (RRG; Società radiofonica nazionale)è stata la rete nazionale tedesca delle emittenti radiofoniche regionali fra il 1925 e il 1945. Le trasmissioni della RRG coprivano tutto il territorio tedesco e furono ampiamente usate dalla propaganda nazista a partire dal 1933.
  105. Il Volksempfänger (in tedesco “il ricevitore del popolo”) fu un ricevitore radio sviluppato da Otto Griessing per richiesta del Ministro della propaganda tedesco Joseph Goebbels. La presentazione di lancio dell’apparecchio risale al 18 agosto 1933, quando fu esibito il modello VE301 presso l’Esposizione Internazionale della Radio di Berlino (Internationale Funkausstellung Berlin). Il design del telaio del VE301 in bachelite era stato elaborato dall’architetto e designer industriale Walter Maria Kersting. Il prezzo di lancio dell’articolo era di 76 RM (Reichmark), ridotti a 65 per la versione a batteria. L’intento del programma Volksempfänger era quello di creare una tecnologia di ricezione radio abbordabile per le masse. Joseph Goebbels aveva compreso il grande potenziale propagandistico di questo mezzo di comunicazione relativamente nuovo e quindi ne considerava molto importante la diffusione. Fu realizzato anche un altro modello, il Deutscher Kleinempfanger DKE38. Ogni singolo componente all’interno del DKE38 era di produzione nazionale (tedesca) e i componenti principali erano marchiati con lo stemma del Reich (aquila e croce uncinata) e la sigla identificativa dell’azienda che l’aveva prodotto, mentre i componenti minori (quali resistenze, condensatori ed elementi meccanici) riportavano solo la sigla dell’azienda che li aveva prodotti nel formato WD xx RI (dove “xx” rappresenta un numero univoco corrispondente ad una determinata azienda tedesca e WD RI significa Wirtschaftsstelle der Deutschen RundfunkIndustrie). Gli equivalenti italiani del Volksempfänger furono la Radio Rurale (equivalente del VE301) e la Radio Balilla (equivalente del DKE38). Tuttavia il prezzo non era abbordabile quanto quello tedesco e ne furono vendute poche migliaia a differenza degli oltre 2,6 milioni di apparati tedeschi venduti dal 1939 al 1943. L’equivalente britannico del Volksempfänger fu la Utility Radio ( o Wartime Civilian Receiver), costruita da un consorzio di quaranta produttori sulla base di un design standard con il minor numero possibile di componenti facilmente procurabili sul mercato interno per rendere più facile la riparazione. L’obiettivo primario del progetto britannico, esattamente come quello tedesco, è stato di risparmiare sull’uso di materiali rari e semplificare appunto le riparazioni per consentire agli apparati radio di essere sempre efficienti. L’ascolto di stazioni estere nel Regno Unito è stato ufficialmente scoraggiato ma mai vietato.
  106. “de iure et de facto”, locuzione latina che significa “di diritto e di fatto”. In particolare, l’espressione de iure è usata nel linguaggio giuridico per lo più contrapposta a de facto («di fatto»), per indicare la conformità all’ordinamento giuridico. Nel dettaglio, nel diritto internazionale, la locuzione de iure è usata per indicare il riconoscimento di un nuovo stato o di un nuovo governo in modo pieno e definitivo, che implica la volontà di stabilire normali rapporti diplomatici.
  107. OPTSAT-3000 è un programma satellitare per l’osservazione della Terra del Ministero della Difesa italiano. Il sistema è composto da un satellite ottico ad alta risoluzione e da un segmento di terra per il controllo in orbita, la pianificazione delle acquisizioni, l’acquisizione e il processamento delle immagini. OPTSAT-3000 consente agli utenti della Difesa, agenzie governative italiane e partner internazionali che hanno sottoscritto accordi di cooperazione con la Difesa italiana, di poter disporre di immagini ad alta risoluzione di ogni punto della Terra. Il sistema OPTSAT-3000 può interfacciassi ed operare in sinergia con i satelliti radar italiani COSMO-SkyMed di seconda generazione, consentendo alla Difesa italiana di disporre della migliore tecnologia in grado di garantire una maggiore operatività grazie alla integrazione dei dati ottici e radar generati dai due sistemi. Il satellite OPTSAT-3000 è un sistema ad alta autonomia stabilizzato a tre assi, progettato per avere un peso ridotto, basso consumo e alta affidabilità. Il satellite è stato progettato per avere una vita operativa di oltre sette anni. Il Segmento di Terra per la gestione in orbita del satellite, per la pianificazione delle acquisizioni e per l’elaborazione delle immagini è dispiegato presso tre siti operativi: il Centro Spaziale del Fucino di Telespazio; il Centro Interforze di Telerilevamento Satellitare (CITS) di Pratica di Mare e il Centro Interforze Gestione e Controllo (CIGC) di Vigna di Valle del Ministero della Difesa. Il satellite è stato lanciato da Arianespace il 1 agosto 2017 dallo spazio-porto europeo di Kourou, in Guyana francese, con un vettore VEGA.
  108. Il Berghof era la residenza di Adolf Hitler nell’Obersalzberg sulle Alpi Salisburghesi vicino a Berchtesgaden, in Baviera, a una ventina di chilometri da Salisburgo. Il Berghof era inizialmente una villa di vacanza, chiamata “Haus Wachenfeld”. Fu costruita da un uomo d’affari di Buxtehude, Otto Winter. Morto Otto Winter, la vedova affittò la casa ad Adolf Hitler per 100 Reichsmark nel 1928. Nel 1933 Hitler riuscì ad acquistare la casa grazie alle vendite del suo libro Mein Kampf. Il luogo, molto scenografico, si trova in un punto dove sembra che il Königssee (lago tedesco situato in Baviera nel Berchtesgadener Land), sia vicinissimo, ed è situato sulla stessa montagna che ospita, sulla vetta, il Kehlsteinhaus, o “Nido d’Aquila”, che fu raramente utilizzato da Hitler che amava di più fermarsi nella sottostante residenza con la sua splendida terrazza. Il Berghof in realtà costituì un vero e proprio complesso di edifici per il personale e la sicurezza collegati tra di loro da un articolato sistema viario, realizzato da Martin Bormann, il Segretario del Führer, a scapito dei numerosi piccoli proprietari della zona che furono espropriati senza tante formalità. L’ampliamento dell’edificio che costituiva la residenza invernale fu progettato personalmente da Hitler, e la casa originaria non fu distrutta ma inglobata nella nuova, risultando, però una pianta poco adatta al ricevimento dei visitatori ufficiali, il cui seguito doveva accomodarsi alla meglio in una specie di anticamera che serviva anche a dare accesso alla toilette, alla scala ed alla grande sala da pranzo. Fu aggiunta una grande terrazza, con una vista mozzafiato sulla valle dell’Obersalzberg. Proprio il Berghof sembrava candidato, con il grande Reich ormai prossimo alla distruzione, ad ospitare Hitler ed il suo stato maggiore, per una resistenza estrema, ma questo progetto rimase senza seguito per il desiderio del Führer di rimanere a Berlino e lì morire. La residenza fu bombardata il 25 aprile 1945, dodici giorni prima della resa della Germania nazista avvenuta il 7 maggio, da più di trecento bombardieri britannici Avro Lancaster. Le rovine furono demolite il 30 aprile 1952. Il Berghof fu la villa prediletta di Hitler, il luogo ove questi amava trascorrere i propri momenti di svago e di piacere e ove si trovava decisamente più a suo agio. Il bombardamento alleato curiosamente risparmiò il Kehlsteinhaus o “Nido d’Aquila” che attualmente è adibito a ristorante con ampia balconata e che funge da belvedere per il suggestivo paesaggio.
  109. Paul Joseph Goebbels (Rheydt, 29 ottobre 1897Berlino, 1º maggio 1945) è stato un politico e giornalista tedesco. Fu uno dei più importanti gerarchi nazisti, Gauleiter (Capo di Sezione del Partito nazionalsocialista) di Berlino dal 1926 al 1945, ministro della Propaganda del Terzo Reich dal 1933 al 1945, ministro plenipotenziario per la mobilizzazione alla guerra totale e generale della Wehrmacht, con l’incarico della difesa di Berlino dall’aprile del 1945 e, dopo il suicidio di Hitler, dal 30 aprile 1945 per quasi due giorni cancelliere del Reich. Le sue tecniche di propaganda furono uno dei fattori che consentirono al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP) l’ascesa al potere in Germania, nel 1933. Avendo un dottorato in letteratura (la sua tesi dottorale ebbe come argomento la produzione letteraria romantica del XIX secolo) ed essendo inoltre una delle persone più colte fra i nazionalsocialisti di spicco, furono in molti, tra cui lo stesso Hitler, a chiamare il ministro Herr Doktor (“Signor Dottore”). In particolare, Nel 1933 Goebbels venne chiamato a rivestire la carica di ministro della Propaganda, e l’equivalente carica all’interno dello NSDAP come Reichsleiter, del primo gabinetto Hitler, che mantenne ininterrottamente fino alla sua morte e alla caduta del Terzo Reich. In tale veste Goebbels assunse il controllo totale di ogni ramo dell’informazione e della vita culturale e sociale tedesca (stampa, cinema, teatro, radio, sport), ovunque applicando con rigore i principi della “morale nazista” e divenendo così il vero e proprio “dittatore della cultura” del Terzo Reich. Fin da subito Thomas Mann lo definì «uno storpio nel corpo e nell’animo» che mirava deliberatamente, con disumana bassezza, a elevare la menzogna a divinità, a sovrana del mondo. La pervasività della propaganda dei mass media nazisti raggiunse lo scopo: contribuì a rafforzare l’immagine pubblica e la popolarità di Adolf Hitler. Fu il principale artefice delle campagne di “arianizzazione”, rivolte contro l’«arte degenerata» e la «scienza ebraica, massonica e bolscevica», che costrinsero all’esilio centinaia di artisti e scienziati ebrei. Rimangono famosi i roghi di libri che organizzò a Berlino, istigando gli studenti nazionalsocialisti a perlustrare e saccheggiare le biblioteche alla ricerca di opere proibite dal regime. Nel 1936 Goebbels divenne l’amante dell’attrice cecoslovacca Lída Baarová, trasferitasi a Berlino per lavoro. Quando la moglie Magda scoprì la relazione, se ne lamentò con Hitler, che era il padrino dei loro figli e provava una notevole simpatia per Magda; il Führer chiese a Goebbels di porre fine alla relazione, ma il gerarca non accettò e rassegnò, inizialmente, le dimissioni. Voleva divorziare dalla moglie, sposare la Baarová e lasciare la Germania con la sua Liduška, vezzeggiativo ceco per Lída, per trasferirsi in Giappone. Hitler, però, non accettò le dimissioni e, il 15 ottobre 1938, Goebbels tentò di suicidarsi. Si riprese in fretta e troncò la relazione, mentre la Polizia allontanò l’artista dal Terzo Reich. Era inoltre l’unico leader nazista ben disposto verso il famigerato giudice del Tribunale del Popolo Roland Freisler, un ex bolscevico. Durante la seconda guerra mondiale, e specialmente dopo i primi rovesci militari che resero critica la situazione della Germania, l’abile opera di propaganda portata avanti da Goebbels con perizia e fanatismo riuscì in buona parte a convincere il popolo tedesco ad accettare i sempre più gravi sacrifici imposti. Egli applicò un metodo di persuasione all’epoca ritenuto molto efficace, derivato dalle teorie del comportamentismo, basato sulla continua ripetizione di notizie parziali, o palesemente false, rigidamente controllate dal vertice: il futuro «radioso» della Germania, il pericolo delle «orde asiatiche» che non avrebbero avuto pietà della Germania, la crudeltà degli Alleati che chiedevano una «resa incondizionata», le «armi miracolose» erano alcuni dei tanti temi utilizzati che contribuirono ad alimentare la resistenza, quando l’esito della guerra era ormai compromesso, e ad allontanare l’ora della disfatta. Il 18 febbraio 1943, Goebbels pronunciò il suo famoso Sportpalastrede, discorso dello Sportpalast. Mentre la guerra si stava ribaltando contro la Germania, Goebbels invocò una guerra totale ed esortò il suo popolo a continuare la guerra, anche se sarebbe stata lunga e difficile, per assicurarsi la vittoria sugli Alleati. Sebbene Goebbels affermasse che il vasto pubblico includesse persone di ogni ceto, in realtà lo aveva accuratamente selezionato. Il discorso è storicamente importante poiché è la prima ammissione pubblica che la Germania stava attraversando gravi pericoli. Durante l’ultimo mese di guerra, nell’aprile 1945, Goebbels ricevette dal Führer due importanti nomine, che lo resero ufficialmente il numero due del Terzo Reich: fu nominato Ministro plenipotenziario per la mobilitazione alla guerra totale e in seguito generale della Wehrmacht, con l’incarico della difesa di Berlino: quest’ultima carica significò molto per Goebbels perché, anche se per pochi giorni, era entrato nell’esercito, possibilità negatagli durante la Guerra per via della sua infermità (era zoppo). Dal 22 al 29 aprile, pubblicò l’ultimo quotidiano nazista della storia, ovvero il Panzerbär (l’orso corazzato) che era distribuito a mano nelle zone non ancora occupate dai russi; un ultimo disperato ed estremista tentativo di veicolare la propaganda nazista. Hitler, nelle sue ultime volontà, lo nominò suo successore in qualità di cancelliere del Reich, mentre Karl Dönitz sarebbe divenuto presidente del Reich. Martin Bormann fu nominato ministro del partito nazista. Morto Hitler, Goebbels gli subentrò al cancellierato, il 30 aprile 1945, rimanendo in carica solamente per quasi un giorno e mezzo. L’unico atto formale compiuto fu quello di inviare il generale Hans Krebs con una bandiera bianca presso l’esercito sovietico per recapitare una lettera al generale sovietico Vasilij Čujkov. Nella lettera Goebbels informava Čujkov della morte di Hitler e richiedeva un cessate il fuoco, ma la richiesta fu rifiutata. Si suicidò il 1º maggio 1945, insieme alla moglie Magda, dopo aver tolto la vita ai loro sei figli. Le ultime ore e le circostanze della morte di Goebbels, di sua moglie e dei loro sei figli restano non completamente chiarite. La sera del 1º maggio, alle ore 20, la signora Goebbels, insieme con un medico delle SS, Helmut Kunz, narcotizzò i bambini con la morfina: una volta addormentati, Magda Goebbels, forse con l’aiuto del dottor Ludwig Stumpfegger, li uccise, rompendo dentro la loro bocca una capsula di cianuro. Poi Goebbels sparò alla moglie, rivolgendo quindi l’arma verso di sé. Secondo una diversa ricostruzione, invece, egli e la moglie, date disposizioni per la cremazione dei loro corpi, si sarebbero fatti uccidere con due colpi alla nuca esplosi da un attendente. Di fatto, quando i loro corpi vennero ritrovati dai sovietici, erano carbonizzati a tal punto da non consentire analisi con le tecnologie dell’epoca. I corpi della famiglia Goebbels furono sepolti in modo anonimo e solo nel 1970 vennero cremati dai sovietici e dispersi nel fiume Elba. A partire dal 1924, Goebbels fu un accanito diarista: all’interno dei suoi diari, scritti spesso in maniera frettolosa e poco elegante, a differenza dell’ossessiva cura che poneva nella preparazione dei suoi discorsi e articoli pubblici, si trovano appunti sugli incontri ai quali partecipava, riflessioni personali e idee. Al termine del conflitto i Diari di Goebbels vennero ritrovati all’interno del Führerbunker dalle truppe alleate, che se ne appropriarono. L’importanza del ruolo di Goebbels all’interno del Terzo Reich rende i Diari un importantissimo documento storico del periodo, oggetto di studi e analisi, spesso utilizzato come fonte primaria.
  110. Ricina, la tossina, la cui dose mortale per l’uomo è di soli 0,2 milligrammi, opera in pochi secondi dall’assunzione ed in modo asintomatico.
  111. Eva Anna Paula Braun Hitler(Monaco di Baviera, 6 febbraio 1912Berlino, 30 aprile 1945) è stata la compagna e negli ultimi due giorni della sua vita, la moglie di Adolf Hitler. Eva Braun nasce a Monaco di Baviera, nella Isabellastraße 45, secondogenita del luterano Otto Wilhelm Friedrich “Fritz” Braun (1879-1964) e della cattolica Franziska Katharina “Fanny” Kronberger (1885-1976). Eva e le sue sorelle, Ilse Ruth (1909-1979) e Margarete “Gretl” Berta (1915-1987), vengono educate secondo la religione della madre. Dopo aver frequentato il liceo, trova un impiego come commessa nello studio del fotografo personale di Hitler, Heinrich Hoffmann. L’incontro tra la giovane ragazza e il futuro Führer avviene nell’ottobre del 1929, ma, inizialmente, Eva non rimase particolarmente impressionata da quel signore «di una certa età con dei buffi baffetti». La loro relazione diventa seria intorno al 1932: la presunta amante di Hitler, la nipote Angelika Maria “Geli” Raubal, figlia della sorellastra Angela Hitler, si era suicidata l’anno precedente ed Eva incominciò a frequentare assiduamente, all’insaputa dei suoi genitori, l’appartamento dell’uomo. In vista delle importanti elezioni del 1932, Hitler e il suo entourage girano la Germania in lungo e in largo, occupati con la campagna elettorale, Eva rimane sola per lungo tempo, fino a che, il 1º novembre, si spara un colpo in gola. Fortunatamente salva, il suo gesto attira però l’attenzione di Hitler, che aveva ancora in mente sua nipote Geli Raubal e la sua tragica fine. Il 28 maggio 1935 tenta nuovamente il suicidio, ingerendo sonniferi, ma anche stavolta riesce a salvarsi. Nell’autunno del 1935 abbandona lo studio di Hoffmann e si trasferisce in una villetta nel quartiere residenziale di Monaco, dono personale del Führer, insieme alla sorella minore Gretl e ai suoi due scottish terrier, Negus e Stasi. Ama trascorrere le vacanze al Berghof, la residenza alpina personale di Hitler, dove può comportarsi da padrona di casa e intrattenere numerose feste per ospiti illustri. È libera di fare ciò che vuole, compreso bere e fumare, ma viene descritta come «la donna più infelice del Terzo Reich». Il 3 giugno 1944 sua sorella Margarete “Gretl” Braun sposa l’Obergruppenführer Hermann Fegelein, che verrà fucilato negli ultimi drammatici atti del Terzo Reich a causa delle trattative che lui e Himmler stavano attuando con gli Alleati per mezzo del conte Folke Bernadotte. Nel febbraio 1945 Eva torna a Monaco per festeggiare con la famiglia i suoi 33 anni, ma riparte subito per Berlino, per restare accanto al compagno, in un estremo atto di coraggio ed amore. I due si sposano il 29 aprile da Walter Wagner (Avvocato, membro del NSDAP ed amico di Goebbels) , alla presenza di Joseph Goebbels e Martin Bormann. La sposa indossa un vestito nero di seta ed è orgogliosa di poter scrivere sul documento ufficiale il nome “Eva Hitler”. Eva Braun e Adolf Hitler si suicidano nel pomeriggio di lunedì 30 aprile 1945, intorno alle 15:30. Lui si spara un colpo di pistola, mentre lei si avvelena con il cianuro. I corpi vengono bruciati e seppelliti nel giardino della Cancelleria. Con l’apertura, nel 1993, di alcuni archivi del disciolto KGB, i documenti concernenti la morte di Hitler hanno ufficialmente confermato la ricostruzione di Hugh Trevor-Roper, raccolta nel libro The Last Days of Hitler (“Gli ultimi giorni di Hitler”) del 1947 e concordante con quella sovietica. L’Armata Rossa scopre presso l’uscita di emergenza del Führerbunker i cadaveri di Hitler, Eva Braun, il cane Blondi e il suo cucciolo. Temendo che il sito scelto per la sepoltura dei cadaveri potesse divenire centro di culto per neonazisti e fanatici, il direttore del KGB, Jurij Andropov ( dal 1982 al 1984 Segretario del Partito Comunista sovietico), ordinò la cremazione dei resti e, il 4 aprile 1970, le ceneri furono sparse nel fiume Elba. Il resto della famiglia Braun sopravvisse alla guerra. Suo padre Fritz morì nel 1964, sua madre nel 1976, all’età di 96 anni, e la sorella maggiore Ilse si spense nel 1979. Gretl, il 5 maggio 1945, mise al mondo una bambina, che chiamò Eva, in onore dell’amata sorella. Proprio come la zia, Eva Fegelein si tolse la vita a causa di un uomo, nel 1975. Gretl, che nel 1954 si era sposata in seconde nozze, morì invece nel 1987. Nell’aprile 2014 alcuni ricercatori londinesi hanno effettuato uno studio secondo il quale Eva Braun avrebbe potuto avere origini ebraiche. Analizzando i presunti capelli di Eva Braun, rinvenuti su una spazzola trovata al Berghof, è stata identificata una sequenza di DNA “fortemente associata” agli ebrei aschenaziti. Il risultato dello studio potrebbe essere confermato definitivamente solo confrontando il profilo genetico ottenuto dai capelli con quello dei parenti di Eva Braun, che però non hanno mai acconsentito all’esperimento.
  112. Nel marzo 1933 apparve per la prima volta un “Bubi” nell’elenco dei saluti del diario tenuto da Margarete detta Marga, la moglie del Gerarca nazista. Il figlio adottivo di Himmler, Gerhard von der Ahé, aveva quattro anni quando si trasferì in famiglia, rimasto orfano di un uomo delle SS che era stato colpito a colpi di arma da fuoco in una battaglia di strada. Il ragazzo biondo era probabilmente perfetto per il “Reichsführer”. Marga non poteva avere più figli dopo la nascita di Gudrun. Ciò non corrispondeva esattamente all’ideologia della moltiplicazione di Himmler. In questa situazione, il figlio adottivo Gerhard contribuì a realizzare l’obiettivo interno della famiglia nella produzione di giovani. Tuttavia, l’entusiasmo per il bravo ragazzo si placò rapidamente. Più cresceva, meno amorevole Marga e Heinrich lo trattavano. Gerhard von der Ahé Himmler ricordò anni dopo che aveva spesso paura delle visite del suo patrigno a Gmund, di aver ricevuto un pestaggio, a volte con un frustino. Le percosse come punizione erano normali per gli Himmler, anche per la figlia. Dal 1937 in poi anche il tono del diario di Marga si fa molto più distante: “Gerhard è un criminale per natura”, scrisse nell’aprile 1938. “Ha rubato di nuovo denaro da qualche parte e mente indescrivibilmente. Dobbiamo metterlo in un riformatorio”. Infatti, gli Himmler mandarono il loro figlio adottivo in un collegio a Starnberg quando aveva nove anni. Nella primavera del 1939, il suo patrigno lo iscrisse all’Istituto nazionale di educazione politica a Berlino-Spandau. “Pensavo fosse diventato più gentile”, scrisse Marga dopo aver superato l’esame di ammissione (14 gennaio 1940).
  113. Nel 1938 Hitler ebbe in dono dai gerarchi del partito per il suo cinquantesimo compleanno (che compì il 20 aprile 1939) il celeberrimo “Nido dell’Aquila”, uno chalet-fortezza costruito sul Kehlstein, un picco di 1.834 metri sovrastante il villaggio di Obersalzberg. Percorrendo una strada tortuosa lunga 7 km (Kehlsteinstraße) scavata sui fianchi della montagna e attraversando un tunnel di 124 metri si giunge ad un avveniristico ascensore che porta all’interno dello chalet – il cui nome ufficiale è Kehlsteinhaus. La costruzione venne completata in due anni di intenso lavoro, di enormi difficoltà tecniche e con un notevole dispendio di risorse umane e finanziarie, gestite da Martin Bormann con attenzione maniacale; circa un migliaio furono le persone coinvolte nel progetto. Questa residenza di montagna, curiosamente risparmiata dal bombardamento alleato del 25 aprile 1945, oggi trasformata in ristorante-belvedere, è circondata da balconate che permettono una stupenda vista sul lago Königssee e sul Watzmann (una montagna delle Alpi Settentrionali Salisburghesi nei pressi di Berchtesgaden), che con 2.713 metri di altezza è la seconda vetta più alta della Germania. Venne arredata utilizzando marmi e legni pregiati e nel grande atrio ottagonale fu installato un camino di marmo rosso cupo con venature bianche, dono di Mussolini al Führer. Hitler visitò ufficialmente questa fortezza nel 1938 (16, 17, 19 settembre; 16, 17, 18, 21, 23, 24 ottobre) e nel 1939 (4 gennaio; 15 luglio; 11 e 12 agosto). Le cronache riportano anche tre visite non ufficiali, anche se è ignoto il loro numero totale. Pur colpito dall’edificio e dal panorama, Hitler non nutrì un sentimento speciale per quel luogo, anche a causa dell’aria troppo rarefatta, ma fondamentalmente perché non lo sentiva suo come, invece, la residenza del Berghof, mille metri più sotto di cui aveva personalmente curato la ristrutturazione. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale il Führer non soggiornò più nella Kehlsteinhaus, mentre continuò a frequentare il sottostante Berghof. Per raggiungere il Nido dell’Aquila, salvato per miracolo dal bombardamento a tappeto degli alleati nel 1945 e dalla successiva distruzione del Berghof del ’52, si deve arrivare ad Obersalzberg (presso Berchtesgaden) dove con un autobus si giunge sul piazzale antistante l’ingresso al tunnel che porta al famoso ascensore – decorato con specchi, ottoni e sedili in pelle verde – che tuttora permette ai turisti di salire in 41 secondi su quello che all’epoca era il rifugio alpino più esclusivo del mondo ed ora è un suggestivo ristorante panoramico aperto al pubblico.
  114. Il 4° reggimento alpini paracadutisti “Ranger” è un reparto di Forze Speciali dell’Esercito italiano composto da personale specificatamente selezionato e formato, particolarmente addestrato ed equipaggiato per condurre l’intero spettro dei compiti tipici delle “Operazioni Speciali”. Il 4° reggimento, unico nel suo genere per aver coniugato le capacità tipiche della specialità da montagna (alpini) e delle aviotruppe (paracadutisti), è l’unica unità delle Forze Speciali dell’Esercito specificamente designata e qualificata per condurre operazioni in ambiente montano e artico. La Bandiera di Guerra è decorata dell’Ordine Militare d’Italia, due Medaglie d’Oro, nove d’Argento e una di Bronzo al Valor Militare, una d’Argento al Valor Civile e una d’Argento di Benemerenza. Il 4º Reggimento Alpini Paracadutisti, “Ranger”, di stanza a Verona, pur essendo un reparto a connotazione alpina, dal 1º luglio 2014 non dipende più dal Comando truppe alpine ma dal Comando delle forze speciali dell’Esercito (COMFOSE) insieme al 185º Reggimento Ricognizione Acquisizione Obiettivi Folgore, al 9º Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin” ed agli altri Reparti speciali della Marina Militare e dell’Aeronautica. Il Reggimento, composto esclusivamente da personale volontario altamente addestrato ed equipaggiato, è delegato a compiti militari di sensibile valore strategico/tattico, ad operazioni speciali, a compiti di fanteria leggera ad elevato rischio e ad azioni dirette. La componente operativa del reggimento è costituita da Ufficiali, Sottufficiali, Graduati e Volontari in servizio permanente o in ferma prefissata, addestrati e selezionati mediante un iter formativo della durata di circa due anni, che culmina nell’attribuzione della qualifica di “Ranger”. Nel 2018 è stato elevato al rango di forza speciale. I suoi componenti , come detto, sono tutti qualificati “Ranger“, dopo un lungo ed intenso corso di formazione; la loro prerogativa è soprattutto quella di essere paracadutisti in montagna, unendo il meglio delle competenze operative delle due specialità alpini e paracadutisti; ne derivano spiccate capacità di ricognizione a lungo raggio, elevata mobilità in contesti artici/montani, ottime capacità esploranti (by stealth-occulte) e di acquisizione obiettivi, oltre che per azioni dirette in profondità (compito prioritario dell’unità, quest’ultimo, assieme a quello generale di fanteria leggera e di utilizzo per compiti improvvisi): sono pertanto frequentemente impiegati in aree di crisi (soprattutto – ma non solo – in territori montani).
  115. Il Comando interforze per le operazioni delle Forze speciali, in acronimo C.O.F.S., è una struttura delle forze armate italiane alle dipendenze gerarchiche dirette del capo di stato maggiore della difesa, che coordina e gestisce le Forze speciali italiane. Ha sede all’interno dell’Aeroporto militare di Centocelle “Francesco Baracca”. Istituito il 1° dicembre 2004, il COFS ha la competenza per le operazioni condotte dalle Forze Speciali delle quattro Forze Armate, in particolare, 9° Reggimento d’Assalto paracadutisti “Col Moschin” (Esercito), Gruppo Operativo Incursori “Comsubin” (Marina Militare), 17° Stormo Incursori (Aeronautica Militare), Gruppo Intervento Speciale (GIS) dei Carabinieri (per le esigenze della Difesa), 4° Reggimento Alpini Paracadutisti “Ranger” (Esercito), 185° Reggimento Paracadutisti Ricognizione e Acquisizione Obiettivi “Folgore” (Esercito). Il simbolo del COFS è tratto dall’elemento centrale del quadro “Il giuramento degli Orazi” di JacquesLouis David (1784), nel quale il padre affida ai figli le armi con cui affronteranno i Curiazi di Alba Longa. Nella mitologia romana, con lo scontro tra gli Orazi e i Curiazi la Roma delle origini si affermò definitivamente sugli altri villaggi laziali, iniziando la sua gloriosa ed inarrestabile ascesa. L’elemento simbolico (iscritto in uno scudo da fanteria romana) rappresenta la difesa della Patria (la mano del Padre) nei tre elementi naturali (le tre spade – terra, mare e cielo) in cui si sviluppano le Operazioni Speciali. Il quadro di David si trova presso il museo del Louvre di Parigi. Il motto è “etiam si omnes ego non”. La citazione, tratta dalle parole dell’apostolo Pietro riportate nel vangelo secondo Matteo, individua la determinazione dell’uomo eletto a vivere secondo virtù e a emergere, sfruttando le proprie qualità morali e spirituali.
  116. Il Northrop Grumman B-2 Spirit è un bombardiere strategico subsonico statunitense in grado di trasportare sia armi convenzionali che nucleari. L’enorme passo avanti in campo tecnologico è stato fondamentale nel programma di modernizzazione dei bombardieri americani, di cui il B-2 rappresenta l’attuale, costosissima, punta di diamante. Dalla forma avveniristica, la tecnologia stealth di cui è dotato lo aiuta a penetrare le difese nemiche con una bassissima possibilità di essere individuato e abbattuto, cosa impensabile per altri tipi di aerei. È il più costoso aeroplano mai costruito al mondo: il costo medio unitario è stato valutato in 737 milioni di dollari nel 1997 corrispondenti a circa 1,27 miliardi di dollari al cambio di novembre 2021. L’ordine iniziale era per 135 aerei, successivamente ridotti a 75 negli anni ottanta; infine il presidente George H. W. Bush ridusse l’ordine finale a 21 esemplari nel gennaio del 1991. Nel 1984 un impiegato della Northrop, Thomas Cavanaugh, venne arrestato per il tentativo di vendita di informazioni classificate all’Unione Sovietica, che trafugò dalla fabbrica situata a Pico Rivera, in California. Cavanaugh venne prima condannato all’ergastolo e poi rilasciato in libertà condizionale nel 2001. Noshir Gowadia, un progettista che lavorò al sistema di propulsione del velivolo, venne arrestato nell’ottobre 2005 in relazione all’esportazione di informazioni classificate. Il processo doveva iniziare il 12 febbraio 2008, ma, a causa di diversi rinvii, si svolse effettivamente solo nel 2010, concludendosi con una condanna a 32 anni di reclusione, poi confermata in appello. Insieme al B-52 Stratofortress e al B-1 Lancer, il B-2 rappresenta la spina dorsale della flotta dei bombardieri statunitensi. Le sue capacità stealth gli permettono di penetrare attraverso le difese aeree nemiche, anche le più sofisticate, e di colpire obiettivi altamente difesi con una minima (se non addirittura nulla) possibilità di abbattimento. Il rivoluzionario connubio tra la tecnologia stealth, la grande efficienza aerodinamica e un imponente carico bellico rende il B-2 un bombardiere di gran lunga superiore rispetto ai suoi predecessori. La sua autonomia è di circa 11.100 km senza rifornimento in volo. La sua scarsa traccia radar gli permette una grandissima libertà d’azione anche ad alte quote, aumentando così il suo raggio d’azione e aumentando il campo visivo per i sensori di bordo. Tuttavia, queste capacità stealth sono compromesse se si vola in condizioni di elevata umidità dell’aria. Grazie al GPS Aided Targeting System (GATS, “Sistema di puntamento assistito dal GPS”) e all’impiego di bombe guidate come le Joint Direct Attack Munition, può utilizzare il suo radar APQ-181 per correggere gli errori di puntamento e aumentare la precisione ancora di più rispetto alle bombe a guida laser. Il B-2 è, inoltre, in grado di colpire 16 obiettivi diversi in un singolo passaggio, insomma un’impressionante macchina da guerra. Le capacità stealth del B-2 derivano da una combinazione di ridotte emissioni all’infrarosso, acustiche, elettromagnetiche e di una limitata traccia rilevabile dai radar, rendendo molto difficile o impossibile l’individuazione da parte delle difese nemiche. Altre caratteristiche che lo rendono invisibile ai radar sono segrete, ma l’uso di materiali compositi, di speciali rivestimenti e il disegno ad “ala volante” contribuiscono all’effetto. Il modello matematico necessario per calcolare la sagoma degli aerei invisibili come l’F-117 e il B-2 è stato sviluppato dallo scienziato russo Pëtr Ufimcev durante la Guerra Fredda. Per fare un confronto, su una postazione radar un bombardiere B-52 ha un ritorno di eco elettromagnetica (sezione radar equivalente) pari a quella di un Boeing 747, un B-1B a quella di un piccolo aereo da turismo mentre un B-2 a quella di un frisbee. Il B-2 ha un equipaggio di 2 persone: un pilota nel seggiolino di sinistra e un comandante di missione a destra. Il velivolo può, se necessario, ospitare una terza persona. In paragone, l’equipaggio del B-1B è composto da quattro persone e quello del B-52 di cinque. Gli equipaggi del B-2 furono soggetti a studi sulla privazione del sonno per migliorare le prestazioni dell’equipaggio in missioni particolarmente lunghe. Il bombardiere è altamente automatizzato e, a differenza degli aerei da combattimento biposto, permette ad un membro dell’equipaggio il riposo o l’uso della toilette o la preparazione di un pranzo mentre l’altro si occupa del volo. Nella sua enorme stiva può contenere centinaia di bombe convenzionali a caduta libera da 500 a 2000 libbre e/o a guida laser o infrarosso, decine di missili aria-superficie di varia tipologia anche balistici, bombe nucleari del tipo 16B61(83); la stiva può essere, in alternativa, anche attrezzata per trasporti particolari/sensibili ed aviolancio occulto in sito di paracadutisti con tute alari (wingsuit) e relativi equipaggiamenti. Il B-2 ha partecipato finora a diverse campagne, avendo il battesimo del fuoco nella guerra in Kosovo e, successivamente, partecipando alle operazioni in Afghanistan della missione Operazione Enduring Freedom, in Iraq nell’Operazione Iraqi Freedom ed a marzo 2011 nel corso dell’Operazione Odissey Dawn in Libia. Partendo dall’esperienza accumulata con il B-2 Spirit, la Northrop Grumman sta sviluppando un nuovo progetto denominato B-21 Raider, dalla forma simile e con caratteristiche stealth estremamente spinte, che dovrebbe entrare in servizio nel 2025. Il B-2 compare in numerosi film, tra cui Trappola sulle Montagne Rocciose, Independence Day e Nome in codice: Broken Arrow di John Woo, con John Travolta e Christian Slater.
  117. La tuta alare (wingsuit in inglese) è una particolare tuta da lancio che riesce ad aumentare la superficie del corpo umano conferendovi un profilo alare, trasformando la velocità data dalla forza di gravità in planata orizzontale. Le sue forme si rifanno a quelle dello scoiattolo volante. Utilizzata nel paracadutismo come nuova disciplina, è oggetto di costante e rapido sviluppo: una normale tuta alare, rispetto ad una velocità media di caduta libera di circa 250 km/h, consente di rallentare fino a circa 70 km/h, con una velocità orizzontale di 180 km/h. La tuta alare è particolarmente usata nel Base jumping, in quanto consente di raddoppiare i tempi di caduta libera e aumenta la distanza dai possibili ostacoli, diminuendo il rischio di incidenti. Il merito della messa a punto della prima autentica tuta alare va attribuito al paracadutista francese Patrick de Gayardon e al suo team, basandosi sul modello di tuta alare dell’italoamericano John Carta. De Gayardon intuì che, date le caratteristiche di densità del corpo umano, non ci si poteva ispirare alle forme degli uccelli bensì sarebbe stato più utile riferirsi a quei mammiferi il cui patagio (membrana presente nei pipistrelli per supportare il volo e in alcuni altri mammiferi per effettuare planate) consentiva di planare. Dopo i primi studi a partire dal 1994, nel 1996 sono incominciati i primi voli sperimentali. Ma la data ufficiale di nascita della tuta alare è il 31 ottobre 1997, quando, al cospetto di un gruppo di giornalisti italiani, Patrick de Gayardon, dopo un salto dall’elicottero a 6.000 metri di quota, sfrecciò tra le vette del versante francese del Monte Bianco. Per la prima volta l’avanzamento superò il tasso di caduta. Il 23 maggio 2012 lo stuntman britannico Gary Connery è diventato il primo uomo ad atterrare in tuta alare senza paracadute. Dopo un salto dall’elicottero a 730 m di quota nei pressi di Henley-on-Thames e dopo aver raggiunto la velocità di 130 km/h, è atterrato incolume su di una striscia di 18.600 scatole di cartone lunga 100 m, larga 15 e alta 3,6. La tuta alare si utilizza in combinazione con le attrezzature del paracadutismo. Uscire da un aereo con una tuta alare, tuttavia, richiede tecniche specifiche che si differenziano a seconda della posizione e le dimensioni del portellone dell’aeromobile. Queste tecniche considerano l’orientamento rispetto al velivolo e il relativo flusso d’aria al momento dell’uscita, in modo da evitare di sbattere contro parti dell’aereo o di divenire instabili a causa del forte vento relativo. Non appena viene investita dal flusso di vento generato dall’avanzamento del velivolo la tuta alare inizia immediatamente a volare. Nel caso di salti da postazione fissa, invece, il pilota dovrà affrontare una caduta verticale di almeno 200 metri prima di poter iniziare ad avere la velocità necessaria a trasformare la forza di gravità in avanzamento. Ad una quota dal suolo determinata in base al tipo di lancio, il pilota dovrà aprire il paracadute e dovrà raggiungere il punto di atterraggio desiderato utilizzando le tecniche tipiche del paracadutismo o del Base jumping. Il pilota modifica la posizione del suo corpo per ottenere la combinazione desiderata di velocità orizzontale, velocità verticale ed efficienza aerodinamica. Oggi le migliori tute alari hanno un’efficienza di 3:1: ciò significa che per ogni metro di caduta ve ne sono tre di avanzamento. Il pilota modifica la posizione del corpo – inarcandosi o piegando spalle, fianchi e ginocchia – e cambiando così l’angolo di attacco con cui la tuta alare vola nel vento relativo e la relativa pressione che incide sulle ali di tessuto della tuta, mediamente il corpo viene inclinato in avanti di circa 20 gradi. La mancanza di stabilizzazione può portare ad un avvitamento che richiede un notevole sforzo da parte del paracadutista per essere fermato. Un paracadutista in posizione prona ha una velocità di caduta di circa 200 km/h, una tuta alare è in grado di ridurre drasticamente questa velocità: è stata registrata una velocità verticale di 40 km/h. Attualmente i piloti sono in grado di misurare le loro prestazioni con apparecchiature GPS in grado di determinare la durata del volo, l’altitudine a cui ci si è lanciati e quella in cui si è aperto il paracadute, la velocità orizzontale, il tasso di caduta, nonché tracciare e registrare il percorso di volo. In ambito militare, il record di distanza è detenuto dal sergente statunitense Ben Borger, che il 14 aprile 2010 ha percorso 18,5 km dopo un lancio da 9.750 metri.
  118. ll Gruppo Operativo Incursori (GOI) è una delle due articolazioni del COMSUBIN, Comando Subacquei ed Incursori, e costituisce la componente di Forze Speciali della Marina Militare. Il GOI trae le sue origini dalla Decima Flottiglia Mas della Seconda Guerra Mondiale che, con le sue azioni riuscì ad affondare o danneggiare gravemente naviglio da guerra nemico per 72.190 tonnellate e naviglio mercantile per 130.572 tonnellate. I compiti in concreto assegnati al GOI sono di norma di pertinenza del livello strategico, risultano spesso assai delicati, tecnicamente difficili e politicamente sensibili, quindi segreti. I compiti di istituto sono: 1) attacco ad unità navale e mercantile in porto o alla fonda con l’impiego di diversi sistemi d’arma a contatto e stand-off; 2) attacchi a installazioni portuali/costiere e ad infrastrutture civili e militari entro la fascia dei 40 Km dalla costa; 3) operazioni di contro-terrorismo navale per la liberazioni di ostaggi su unità passeggeri o mercantili e su installazioni marittime; 4) infiltrazione e permanenza in territorio ostile per missioni di tipo informativo e/o di supporto al fuoco navale. Per questi scopi, il personale è interamente professionista e l’addestramento è molto duro, selettivo ed approfondito, in modo da garantire elevati standard operativi. Di qui discendono le peculiari capacità individuali degli operatori che devono essere in grado di fornire le seguenti prestazioni: 1. condotta di mezzi navali; 2. assalto a unità navali in porto, alla fonda e in movimento; 3. rilascio da elicotteri con varie tecniche; 4. movimento a terra occulto notturno e diurno e superamento di pareti rocciose; 5. fuoriuscita in immersione da sottomarino; 6. aviolancio con paracadute ad apertura automatica e comandata; 7. impiego delle armi, degli esplosivi e delle cariche speciali; 8. capacità di permanenza occulta su territorio avversario; 9. condotta di autoveicoli di vari tipi e prestazioni. Inoltre, data la prerogativa del reparto orientato all’attacco navale, il GOI è dotato di mezzi subacquei insidiosi moderni (concepiti, sviluppati e costruiti in Italia) che traggono le loro origini concettuali (sia tecniche che operative) dagli SLC (siluri a lenta corsa) e dai minisommergibili Caproni CA/CB. Per determinate operazioni di infiltrazione via mare, gli operatori del GOI possono contare anche sull’utilizzo dei sommergibili del COMFORSUB (Comando forze subacquee). Partendo dagli anni bellici con le operazioni subacquee contro il naviglio nemico, passando agli anni di piombo con la lotta al terrorismo nazionale ed internazionale con il sequestro dell’Achille Lauro, negli ultimi anni i compiti affidati al GOI hanno subito un ulteriore evoluzione che lo hanno posto come centro di gravità nazionale allargando di fatto i suoi orizzonti operativi ed implementando la capacità di proiezione globale. Dall’11 Settembre ad oggi il GOI è stato impegnato in maniera sempre crescente anche nei principali teatri operativi terrestri, quali l’Iraq e l’Afghanistan, e per il contrasto a fenomeni quali la pirateria nell’oceano indiano o il monitoraggio degli sviluppi di crisi regionali come la primavera araba. Da segnalare, soprattutto, le attività di assistenza Militare a favore delle forze di sicurezza di altri paesi attraverso attività addestrative e di intelligence. La sede del raggruppamento è situata in località Le Grazie (La Spezia), nell’antica fortezza del Varignano. Il COMSUBIN dipende direttamente dal capo di stato maggiore della Marina Militare ed è retto da un ufficiale ammiraglio. Il Gruppo Operativo Incursori del CONSUBIM, che è l’unità di attacco, fa parte dei reparti validati come forze speciali italiane (TIER 1), sotto il comando operativo del COFS (Comando Interforze per le operazioni delle forze speciali italiane) insieme al 9º Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin” – E.I., al 4º Reggimento alpini paracadutisti – E.I., al 185° RRAO “Folgore” – E.I., al Gruppo intervento speciale – CC e al 17º Stormo incursori – A.M. Il GOI è considerato tra le migliori forze speciali della marina al mondo, insieme ai NAVY SEALS americani ed allo Special Boat Service (SBS), l’unità di forze speciali del Naval Service inglese.
  119. Martin Ludwig Bormann (Wegeleben, 17 giugno 1900Berlino, 2 maggio 1945) è stato un politico, funzionario e militare tedesco. Capo della cancelleria del NSDAP (Parteikanzlei) e segretario personale di Rudolf Hess prima e di Adolf Hitler poi, fu tra i membri più importanti ed influenti nella gerarchia della Germania nazista. Si iscrisse al NSDAP il 17 febbraio 1927, tessera numero 60508. Il partito gli offrì l’incarico di amministratore del fondo previdenziale delle Sturmabteilung (SA). Dal 1928 al 1930 fu membro del Comando Supremo delle SS. Nell’ottobre 1933 divenne Reichsleiter e in novembre membro del Reichstag. Da luglio 1933 al 1941 Bormann fu segretario personale di Rudolf Hess. Fu lui a dirigere la costruzione del famoso Kehlsteinhaus, noto come “Nido dell’aquila”, la fortezza progettata da Roderich Fick e costruita sul picco da cui prese il nome, il Kehlstein, che sovrasta la località montuosa dell’Obersalzberg. Dimostrò di essere un uomo ligio al dovere anche a costo di essere crudele: per realizzare la residenza invernale di Hitler distrusse strade e case, sfrattandone gli inquilini ed espropriandone indiscriminatamente le proprietà. Lo chalet fu donato, per il suo cinquantesimo compleanno, a Hitler, a cui però non piacque nonostante fosse stato progettato secondo alcune sue direttive, avendo subito molti cambiamenti durante la costruzione. Il Führer, infatti, continuò a preferire la sua originaria residenza sottostante, il Berghof. Bormann sostenne la repressione di tutti i gruppi organizzati di opposizione, in particolar modo delle Chiese, e di ogni influenza religiosa sul partito. Nel luglio 1938 proibì che nel partito fossero ammessi preti, il 6 giugno 1939 gli scienziati di fede cristiana, successivamente gli studenti di teologia. Lottò contro qualsiasi genere di insegnamento religioso nelle scuole. Nel 1941 emanò una circolare indirizzata ai gauleiter, ossia ai funzionari locali del partito nazionalsocialista, nella quale, senza ambiguità di sorta, sancì l’assoluta inconciliabilità tra il nazionalsocialismo e il cristianesimo. Vi si legge, tra l’altro, che «nazionalsocialismo e cristianesimo sono incompatibili» e che i contenuti del cristianesimo «nei loro punti essenziali, sono di derivazione giudaica. Anche per questo motivo noi non abbiamo nessun bisogno del cristianesimo». La circolare fu inclusa negli atti di accusa contro Bormann al processo di Norimberga, classificata come documento 075-D. Bormann colse l’occasione di subentrare a Hess, quando nel 1941 questi volò in Gran Bretagna nel tentativo di proporre una pace separata con il governo inglese. Divenne capo della Parteikanzlei e gli fu affidato il compito di amministrare il Fondo “Adolf Hitler” dell’industria tedesca. Il 12 aprile 1943 venne nominato ufficialmente segretario personale di Hitler. Ottenne poteri superiori a quelli del suo predecessore: controllo di tutte le leggi e le direttive emanate dal Gabinetto del Führer e direzione del Consiglio dei ministri per la Difesa del Reich. Il 16 luglio 1941 Bormann partecipò alla conferenza presso il Quartier Generale del Führer insieme a Göring, Rosenberg, Keitel e Lammers, nella quale si stabilirono piani per l’annessione di territori russi e di altri Paesi dell’Est. Partecipò a una seconda riunione l’8 maggio 1942 con Hitler, Rosenberg e Lammers sulla soppressione della libertà religiosa. Sostenne politiche sulla condizione dei prigionieri di guerra particolarmente cruente. Firmò il decreto del 9 ottobre 1942 che stabiliva l’eliminazione permanente di tutti gli ebrei nel territorio della Germania, quello successivo del 1º luglio 1943, che dava controllo assoluto sugli ebrei a Eichmann, e un ultimo, del 30 settembre 1944, dove la giurisdizione di tutti i prigionieri di guerra veniva affidata a Himmler e alle SS. Nonostante la sua figura risulti poco appariscente rispetto a quella di altri gerarchi, Bormann fu un uomo dal grande potere, soprattutto nel periodo della seconda guerra mondiale. Come testimonia Albert Speer nelle sue memorie (“Memorie del III Reich”), la sua influenza su Hitler fu totale ed egli divenne il filtro fra il Führer e il mondo esterno, l’interprete delle sue volontà. La sua influenza negativa su Hitler portò spesso a scelte errate e illogiche ai fini del decorso della guerra, tanto che in molti credettero erroneamente che egli fosse persino una spia di Stalin, rifugiatosi poi con i russi. Per quanto inverosimile fosse questa versione della sua scomparsa, ne esce tuttavia un quadro che evidenzia come molti generali tedeschi fossero propensi a considerare Bormann come il migliore alleato di Stalin, alla luce delle scelte tattiche che egli faceva fare a Hitler. Nell’inutile tentativo di arginare l’influenza di Bormann sul Führer, Göring, Goebbels e Speer cercarono di coalizzarsi per metterlo in difficoltà di fronte a Hitler. Il tentativo non andò a buon fine, in parte a causa di una certa conflittualità che esisteva tra Goebbels e Göring, quest’ultimo sempre più distante dalla realtà, a causa dell’assunzione di morfina. Bormann, negli ultimi giorni della dittatura nazista, firmò il testamento politico di Hitler e fu testimone delle nozze del Führer con Eva Braun. Dal 5 luglio 1941 fino al 1944 fece trascrivere i discorsi tenuti da Hitler con i suoi invitati. Questi furono poi pubblicati con il titolo Conversazioni a tavola di Hitler. Quanto al suo destino, nulla di certo si è saputo sulla sorte di Bormann da quando aveva abbandonato il Führerbunker insieme al medico delle SS Ludwig Stumpfegger e al capo della gioventù hitleriana, Artur Axmann. L’ultimo uomo ad averlo visto è stato Erich Kempka, autista di Hitler, durante la notte fra il 1º e il 2 maggio 1945. Kempka sostenne di aver visto Bormann colpito a morte dall’esplosione di un carro armato, nel tentativo di attraversare le linee nemiche russe. Un’identica versione dei fatti venne riferita dal granatiere SS della divisione Charlemagne (i volontari francesi arruolati nelle Waffen-SS), François Barazer de Lannurien. Questi, durante la battaglia di Berlino, dopo avere portato un compagno ferito a un posto di soccorso del Führerbunker, stava rientrando al proprio reparto. De Lannurien riferì che, aggregatosi a un carro armato Tiger che si stava allontanando dal quartier generale di Hitler, riconobbe tra i fuggiaschi che cercavano riparo dietro il carro, proprio il Reichsleiter e che, in conseguenza di un colpo dell’artiglieria sovietica che colpì in pieno il mezzo blindato, l’uomo che credeva di riconoscere come Martin Bormann sarebbe stato ferito in piena gola da una scheggia di granata, morendo poco dopo. Altri dissero che, ferito leggermente da una granata, e vistosi perso, Bormann si fosse suicidato con una capsula di cianuro. Martin Bormann fu comunque giudicato colpevole di crimini di guerra al processo di Norimberga e condannato a morte in contumacia. Nel 1963, un impiegato delle poste in pensione di nome Albert Krumnow disse alla polizia che intorno all’8 maggio 1945 i sovietici avevano ordinato a lui e ai suoi commilitoni di seppellire due corpi trovati vicino al ponte ferroviario vicino alla stazione di Lehrter, a Berlino Ovest. Il 7 dicembre 1972, alcuni operai edili scoprirono resti umani vicino alla stazione di Lehrter, a soli 12 metri (39 piedi) dal punto in cui Krumnow affermò di averli seppelliti. All’autopsia, frammenti di vetro furono trovati nelle mascelle di entrambi gli scheletri, suggerendo che gli uomini si erano suicidati mordendo le capsule di cianuro per evitare la cattura. Le registrazioni dentali ricostruite dalla memoria nel 1945 da Hugo Blaschke identificarono uno scheletro come quello di Ludwig Stumpfegger e l’altro come quello di Bormann. Il danno alla clavicola di quest’ultimo scheletro era coerente con le lesioni di Bormann che i suoi figli riferirono avesse subito in un incidente a cavallo nel 1939. Gli esaminatori forensi stabilirono che le dimensioni dello scheletro e la forma del cranio erano identiche a quelle di Bormann. Le fotografie composte, in cui l’immagine del teschio era sovrapposto alla fotografia del volto degli uomini, erano completamente congruenti. La ricostruzione del viso fu intrapresa all’inizio del 1973 su entrambi i crani per confermare l’identità dei corpi. Poco dopo, il governo della Germania occidentale dichiarò morto Bormann. Alla famiglia non fu permesso di cremare il corpo, nel caso in cui si rivelasse necessario un ulteriore esame forense. I resti furono definitivamente identificati come quelli di Bormann nel 1998, quando le autorità tedesche ordinarono test genetici su frammenti del cranio. Il test è stato condotto da Wolfgang Eisenmenger, professore di scienze forensi presso l’Università Ludwig Maximilian di Monaco. I test con il DNA mitocondriale (non il DNA nucleare) di uno dei suoi parenti hanno identificato il cranio come quello di Bormann. I resti di Bormann furono cremati l’anno dopo e le sue ceneri furono disperse nel Mar Baltico nel 1999, dopo una cerimonia funebre cattolica alla presenza del figlio Martin Bormann junior, sacerdote cattolico morto l’11 marzo 2013, che ha rinnegato l’operato del padre, tenendo numerose conferenze sugli orrori della Shoah. Versioni differenti furono narrate da altri testimoni. Alcuni dissero di averlo visto fuggire nella zona sud di Berlino, passando prima per un sistema di gallerie sotterranee e poi spostandosi al fianco di alcuni carri armati tedeschi catturati dalle forze angloamericane. Altri sostennero che avesse preso contatto con i servizi segreti statunitensi, offrendo un’appetibile ricompensa per la sua salvezza: uranio e scienziati tedeschi. Si raccontò di come, nei primi di maggio del 1945, si fosse imbarcato ad Amburgo sull’U-Boot 234 e, arrivato in Spagna, fosse poi fuggito verso il Sud America. Spesso è citato nelle teorie del complotto riguardanti un’ipotetica fuga di Hitler stesso. Alcuni tedeschi residenti in Sudamerica affermarono di avere avuto a che fare con lui in Argentina nel dopoguerra sotto il falso nome di Juan Keller o Ricardo Bauer; avrebbe risieduto lì fino alla deposizione del Presidente Juan Domingo Perón (1955), trasferendosi poi in Paraguay. Fonti del governo paraguaiano, compilate dai servizi segreti all’interno dei cosiddetti archivi del terrore, rese pubbliche nell’agosto del 1993 sostennero che Bormann fosse morto a causa di un tumore allo stomaco il 15 febbraio 1959 ad Asunción, in un’altra versione di febbre gialla nel 1975, dove viveva protetto dal dittatore Alfredo Stroessner. Sarebbe stato assistito dal medico delle SS (anch’egli ricercato) Josef Mengele, e, alla morte, sepolto, sotto falso nome, in una fossa comune. Nel marzo 1966, durante un’intervista televisiva, il figlio di Adolf Eichmann, Klaus, convinto che Bormann si trovasse ancora in Sud America, gli lanciò un’aspra invettiva. Secondo taluni le ossa trovate a Berlino erano ricoperte di una terra rossiccia, di tipo argilloso, che non apparteneva al suolo berlinese, ma si ritrova in quello russo e sudamericano. Ne nacque l’ipotesi che il cadavere di Bormann, morto in Sud America, fosse stato successivamente riesumato, trasportato e sepolto a Berlino, verso la fine degli anni sessanta e appositamente fatto trovare per depistare le indagini sugli altri nazisti fuggiti dalla Germania prima della fine della guerra tramite l’organizzazione ODESSA. Secondo alcune testimonianze, sarebbe stato un gruppo di sedicenti giornalisti stranieri a disseppellire il presunto corpo di Bormann in Paraguay nel 1968, ed a riportarlo in Europa. Effettivamente i resti cremati nel 1998 apparterebbero comunque a Bormann. Nel 1973, tuttavia, il giornalista e scrittore ebreo ungherese Ladislas Farago (da qualcuno definito tuttavia come disinformatore) dichiarò di aver visitato Bormann in un ospedale boliviano e di aver discusso con lui per alcune ore. Farago segnalò numerosi particolari utili al rintracciamento e all’identificazione di Bormann, tra cui documenti dell’intelligence argentina, la cui veridicità fu confermata da fonte legale. (Fonte: enciclopedia libera del Web Wikipedia ed altre fonti aperte su internet).
  120. Walter Karl Ernst August von Reichenau(Karlsruhe, 8 ottobre 1884Poltava, 17 gennaio 1942) è stato un generale (feldmaresciallo) tedesco durante la seconda guerra mondiale. Nella campagna polacca fu al comando della 10. Armata facente parte del Gruppo d’armate Sud posto sotto il comando del Feldmaresciallo Gerd von Rundstedt, che comprendeva la maggior parte dei reparti corazzati: fu protagonista dell’offensiva su Varsavia che sfondò le linee polacche disperdendo l’esercito polacco in poche sacche di resistenza. Reichenau, in seguito agli eventi del 30 giugno 1934 che portarono all’eliminazione totale delle SA di Ernst Röhm, provò dentro di sé sempre una profonda avversione per il capo delle SS, Heinrich Himmler. Dopo una strage indiscriminata di ebrei a Radom in Polonia, von Reichenau ne fu profondamente indignato, ordinando un’inchiesta sui crimini e scrisse a Hitler che non voleva più vedere unità delle SS nella sua armata. E, infatti, in seguito presso la 6ª Armata da lui comandata in Belgio, Francia ed Unione Sovietica non furono mai distaccate unità delle SS. Durante la Campagna di Francia al comandò della 6ª Armata facente parte del Gruppo d’armate B posto sotto la direzione del Feldmaresciallo Fedor von Bock, in seguito alla vittoria fu nominato anche lui Feldmaresciallo il 19 luglio 1940. Nel 1941, sempre al comando della 6a Armata, prese parte alla campagna di Russia, nuovamente sotto von Rundstedt nel Gruppo d’armate Sud: l’obiettivo dichiarato di quella spedizione era la conquista dell’Ucraina, del bacino del Don e soprattutto dei pozzi petroliferi del Caucaso, in modo da privare la Russia sovietica dei suoi rifornimenti di oli minerali. La 6a Armata di Reichenau si distinse in questa campagna forzando il passaggio sul fiume Bug. A causa del sopraggiungere dell’inverno e delle difficoltà conseguenti alla progressiva sottrazione di forze che, in base ai nuovi ordini, dovevano divergere verso Mosca, il Gruppo d’Armate di von Rundstedt non poté raggiungere completamente gli obiettivi che si era prefissato. Per questo il Feldmaresciallo chiese a Hitler l’autorizzazione di far ripiegare le truppe per attestare il fronte più indietro. Hitler si rifiutò di concedere l’autorizzazione, esigendo che le truppe continuassero ad avanzare. Rundstedt non si sentì di obbedire a quest’ordine, e chiese di essere sostituito. Hitler allora nominò proprio von Reichenau al suo posto. Ma anche il nuovo comandante, benché fedelissimo di Hitler, in sole ventiquattro ore dovette constatare l’impossibilità per le truppe di proseguire oltre, comunicando a Hitler: “i russi stanno penetrando nel fronte tedesco presidiato da forze troppo diluite e assolutamente inadeguate al loro compito. Se vogliamo evitare una catastrofe, dobbiamo raccorciare il fronte, cioè spostarlo indietro, dietro il Mius. Non c’è altra soluzione, mio Führer!”. Hitler, dopo aver destituito von Rundstedt appena il giorno precedente, questa volta dovette cedere e autorizzare il ripiegamento. Quando il 19 dicembre 1941 il feldmaresciallo Walther von Brauchitsch, in seguito ai primi rovesci della campagna di Russia, si dimise dalla carica di comandante in capo dell’esercito tedesco (Heer) a causa di un grave attacco cardiaco, saltò fuori ancora una volta il nome di von Reichenau. Ma Hitler respinse la proposta, in quanto lo riteneva un generale assolutamente indipendente e politicamente astuto ed assunse personalmente il comando diretto della Heer. Durante la sua permanenza bellica in Russia, nella mattina del 17 gennaio 1942, con una temperatura di circa 20 gradi sotto zero, Reichenau decise di uscire a fare esercizio fisico com’era sua abitudine. Nonostante il medico del campo lo avesse sconsigliato, il generale imperterrito fece una lunga corsa e al rientro comunicò di sentirsi poco bene. In seguito fu colpito da un colpo apoplettico che costrinse i medici del campo a farlo ricoverare urgentemente in Germania. Morì per collasso cardiaco in un campo arato vicino a Cracovia, dopo un atterraggio d’emergenza dell’aereo che lo trasportava in Germania. Il suo posto fu preso da Fedor von Bock.
  121. Berthold Konrad Hermann Albert Speer (Mannheim, 19 marzo 1905Londra, 1º settembre 1981) è stato un architetto, politico e scrittore tedesco. Fu architetto personale di Adolf Hitler e ministro per gli armamenti del Reich, oltre che uno dei massimi interpreti dell’architettura nazista. Fu autore dei maggiori progetti monumentali e urbanistici promossi personalmente dal capo del nazionalsocialismo, delle cui idee architettoniche ed artistiche si fece originale interprete, ottenendo per ciò anche un riconoscimento internazionale quale la medaglia d’oro per il suo padiglione della Germania all’Esposizione universale di Parigi del 1937. Semplice iscritto al Partito nazista sin dal 1931, nel 1942, a seguito della morte di Fritz Todt, fu improvvisamente nominato da Hitler ministro degli armamenti della Germania nazista. Svolse tale incarico con straordinario successo grazie alle sue eccezionali doti organizzative. Conservò l’incarico di ministro della produzione e dell’economia nel governo di Karl Dönitz anche dopo il suicidio di Hitler, sebbene questi lo avesse destituito nel suo testamento per l’attiva opposizione dell’architetto alla politica della “terra bruciata“, decisa da Hitler il 19 marzo 1945. Arrestato dagli Alleati il 23 maggio 1945, fu processato a Norimberga e, riconosciuto colpevole per lo sfruttamento di manodopera in stato di schiavitù presso le industrie belliche tedesche, fu condannato a venti anni di reclusione, scontati nel carcere di Spandau. Nel 1942, dopo la morte di Fritz Todt (avvenuta in un misterioso incidente aereo), Hitler sorprendentemente nominò Speer, che non aveva alcuna esperienza in materia di produzione industriale, «Ministro agli armamenti e alla produzione bellica». Nonostante le difficoltà e la novità dell’incarico, Speer lavorò alacremente per migliorare l’industria bellica e per fronteggiare la riparazione degli impianti danneggiati dai sempre più frequenti bombardamenti alleati. Speer ottenne ottimi risultati raggiungendo l’apice della produzione tedesca nel 1944, quando la situazione militare ed economica della Germania era già decisamente critica. Per arrivare a questi traguardi, Speer si circondò di un gruppo di giovani manager, limitando al minimo l’apparato burocratico. Per velocizzare le decisioni fece leva in più occasioni sul particolare rapporto che lo legava a Hitler, sfruttando inoltre la manodopera a costo zero fornita dagli internati richiusi nei campi di concentramento. Secondo le sue parole di giustificazione dopo la guerra, quest’ultima scelta fu dettata, più che da motivi ideologici, dall’inconsapevolezza riguardo alle reali condizioni degli internati, e dalla necessità di trovare nuovi lavoratori, man mano che le perdite dell’esercito tedesco rendevano necessario il reclutamento militare di un sempre maggior numero di giovani lavoratori tedeschi. Nonostante questi atti, che portarono Speer ad essere processato a Norimberga insieme agli altri gerarchi nazisti, egli fu uno dei pochi leader ad opporsi, ancorché tardivamente, alla deriva folle e ossessiva di Hitler. Nel 1945 Speer si rifiutò, ad esempio, di portare avanti la strategia della «terra bruciata» (disposta dal cosiddetto decreto Nerone), che si proponeva di distruggere completamente tutto ciò che si trovava nei territori tedeschi che sarebbero caduti in mano al nemico. Speer, ben cosciente che la guerra era ormai perduta, non eseguì gli ordini impartiti da Hitler, nella consapevolezza che il popolo tedesco sconfitto avrebbe avuto bisogno di un minimo di infrastrutture per potersi risollevare dal baratro nel quale stava precipitando. Nella situazione tesa e drammatica dell’ultima fase della guerra, Speer pianificò addirittura di assassinare il Führer, immettendo gas nervino negli impianti di aerazione del bunker sotto la Cancelleria di Berlino che lui stesso aveva progettato, ma si trovò costretto ad abbandonare l’intenzione. Ciononostante, nei giorni che anticiparono il suicidio di Hitler, Speer si riavvicinò a lui, e in un drammatico incontro avvenuto nel bunker stesso confessò di aver sabotato gli ordini del Führer. Hitler, ormai convinto dell’imminente fine, non volle effettuare ritorsioni contro di lui, e Speer poté lasciare incolume il bunker, riparando pochi giorni dopo a Flensburg, dove si era stabilito il nuovo ed effimero governo di Lutz Graf Schwerin von Krosigk, nominato dall’Ammiraglio Karl Dönitz – a sua volta nominato successore da Hitler come Presidente del Reich – dopo il suicidio di Joseph Goebbels. Speer fu arrestato dalle forze alleate a Flensburg subito dopo il termine del conflitto, e processato a Norimberga con l’accusa di aver utilizzato manodopera in condizioni di schiavitù per mandare avanti l’industria bellica tedesca. Speer prese le distanze dalla maggior parte dei gerarchi nazisti con lui sotto processo, sostenendo di essere all’oscuro delle atrocità naziste e pronto a espiare il suo «grave» errore di valutazione dichiarandosi apertamente colpevole delle accuse a lui rivolte. Venne condannato a venti anni di reclusione, da scontare nel carcere di Spandau, a Berlino Ovest. Il suo rilascio, avvenuto il 1º ottobre 1966, fu un evento mediatico mondiale. Dopo la liberazione, abbandonato il progetto di tornare ad esercitare la professione di architetto, pubblicò diversi libri, tra i quali due best seller, Memorie del Terzo Reich e Diari segreti di Spandau, entrambi oggetto di notevole interesse anche tra gli storici, ai cui studi Speer si rese sempre personalmente disponibile. Condusse una vita piuttosto ritirata fino alla morte, che avvenne per ictus il 1º settembre 1981 a Londra, dove si era recato per partecipare a una trasmissione radiofonica della BBC. La salma venne rimpatriata in Germania ed inumata presso il Bergfriedhof, uno dei cimiteri cittadini di Heidelberg, nella tomba di famiglia della moglie Margarete Weber. La maggior parte degli storiografi ritiene che nei suoi libri Speer minimizzi il proprio ruolo personale nelle atrocità di quel periodo. Alcuni documenti scoperti dopo la morte di Speer provarono inoltre, senza ombra di dubbio, che già nel 1943 Speer era a conoscenza di ciò che veramente accadeva ad Auschwitz. Le lettere private dell’architetto, vendute all’asta nel 2007, provano in maniera inconfutabile che Speer fosse presente al discorso di Himmler a Posen, in cui il Reichsführer delle SS parlò apertamente dello sterminio. Sempre nel 1943, Speer autorizzò l’invio di materiale per ampliare il campo di sterminio di Birkenau. Nei documenti ritrovati, che recavano la firma di Speer, si faceva esplicito riferimento a forni crematori, obitori e torri di guardia. In precedenza, altri crimini di Speer erano venuti alla luce, tanto che durante un colloquio tra Speer e Simon Wiesenthal, avvenuto alla fine degli anni settanta, il celebre «cacciatore di nazisti» ebbe modo di dire all’architetto: «Se a Norimberga avessimo saputo quello che sappiamo adesso, lei sarebbe stato impiccato». Una mostra gli è stata dedicata a Norimberga nel 2014. La figlia Hilde Schramm Speer ha ricevuto, nel 2019, il premio dalla German Jewish History per il suo impegno nel promuovere arte e scienza tra le giovani donne ebree.
  122. Walther Heinrich Alfred Hermann von Brauchitsch (Berlino, 4 ottobre 1881Amburgo, 19 ottobre 1948) è stato un generale tedesco attivo durante la seconda guerra mondiale. Nel 1935 divenne tenente generale (Generale di corpo d’armata), ottenendo il comando del 1° Corpo d’armata di Königsberg, e già nel 1936 gli venne conferita la carica di Generale d’artiglieria. Nel 1938, in occasione della radicale riforma dei vertici della Reichswehr voluta da Hitler, Brauchitsch divenne capo dell’Oberkommando des Heeres (OKH, l’Alto Comando dell’Esercito), cioè comandante in capo dell’esercito, succedendo in questa carica al generale Werner von Fritsch, uno dei principali epurati. Pare che la sua nomina fosse stata caldeggiata dal corpo degli ufficiali per impedire che quella carica andasse al generale Walter von Reichenau, dichiarato filonazista e candidato ufficiale di Hitler. Curiosamente, malgrado egli dovesse proprio al dittatore la sua rapida scalata alle gerarchie militari, sembra che già in quello stesso 1938 – prima dello scoppio del conflitto – Brauchitsch iniziasse ad avere dei dubbi sul suo Führer, quando si accorse di come questi stesse conducendo la Germania verso una guerra che si preannunciava lunga e piena di gravi rischi. Stando a quanto scrisse Winston Churchill nel suo diario, Brauchitsch fu informato del complotto del 1938, poi fallito, ordito da alcuni alti ufficiali dell’esercito, mirato a rovesciare il regime nazista e a imprigionarne i capi, e diede la propria approvazione. Malgrado questi scrupoli morali, egli non mancò di fare fino in fondo il proprio dovere di soldato: scoppiata poi la guerra, nella sua veste di comandante in capo dell’esercito Brauchitsch realizzò le principali vittorie della Germania: l’Anschluss, l’occupazione dei Sudeti e della Cecoslovacchia, della Polonia, del Belgio, dei Paesi Bassi e della Francia. Il 19 luglio 1940 venne nominato Feldmaresciallo. Coordinò altresì le operazioni contro la Jugoslavia (Operazione 25), la Grecia (Operazione Marita) e l’Unione Sovietica (Operazione Barbarossa). Proprio la campagna di Russia – e i primi gravi rovesci che questa portò alla Wehrmacht – segnarono la sua rapida caduta: nel novembre 1941 Brauchitsch si espresse contro l’opinione di Hitler, il quale premeva perché si facesse ogni sforzo per prendere Mosca malgrado l’inclemenza dell’inverno, sostenendo invece la necessità di non attaccare la capitale sovietica e di sospendere momentaneamente l’offensiva per attestarsi su linee fortificate e più sicure. Ma il leader nazista non permetteva a nessuno di contraddirlo e, indispettito, lo esonerò dall’incarico di comandante in capo dell’esercito, assumendo egli stesso la carica rimasta vacante. Rimasto in disparte fino alla fine del conflitto, Brauchitsch venne arrestato dagli Alleati nel 1945, in vista di un processo intentato contro i principali artefici della guerra d’aggressione intrapresa dalla Germania. Nel 1948 avrebbe dovuto essere processato per aver emesso ordini militari illegali, ma l’accusa cadde perché egli nel frattempo era diventato quasi completamente non vedente. Ricoverato presso l’ospedale militare britannico di Amburgo, Brauchitsch vi morì il 19 ottobre 1948.
  123. Otto Moritz Walter Model(Genthin, 24 gennaio 1891Duisburg, 21 aprile 1945) è stato un generale (feldmaresciallo) tedesco. È considerato uno tra i più energici e combattivi generali tedeschi della seconda guerra mondiale, particolarmente abile nella tattica difensiva. Molto apprezzato dallo stesso Adolf Hitler, che lo definì in più occasioni “il mio miglior feldmaresciallo”, Model si distinse prima alla testa di unità corazzate e poi al comando di armate e gruppi d’armate sia all’est che all’ovest, dove mise in mostra grande determinazione e notevoli capacità operative riuscendo in numerose circostanze a risolvere favorevolmente situazioni di grave difficoltà per il fronte tedesco. Negli ultimi giorni della guerra, circondato con le sue truppe nella sacca della Ruhr, preferì suicidarsi per non cadere prigioniero del nemico. Alla testa della 3a Panzer-Division, Model prese parte all’operazione Barbarossa sin dalle prime fasi, guidando l’avanzata tedesca in Ucraina e svolgendo un ruolo decisivo nell’accerchiamento di Kiev. Durante il periodo passato al comando di quest’unità, Model iniziò a sperimentare un programma di addestramento speciale che prevedeva la formazione di gruppi combattenti provenienti da diverse specialità: fanteria, artiglieri, mezzi corazzati ed altro. In questo modo Model anticipò di alcuni mesi la prassi dell’esercito tedesco di costituire regolarmente gruppi di combattimento combinati, confermando la sua fama di innovatore. Questi erano i principi fondamentali su cui si basò la famosa difesa di Model sul fronte russo: 1) un moderno sistema di intelligence militare, basato su ricognizioni e fonti provenienti dalle prime linee e non su rapporti preparati da analisti nelle retrovie; 2) linee difensive continue, indipendentemente da quanto sottili fossero; 3) divisione delle unità di riserva in piccoli gruppi, così da poter più prontamente intervenire per tappare ogni possibile sfondamento; 3) controllo dei battaglioni di artiglieria attribuito ai comandi di divisione o di corpo d’armata, così che potessero meglio stabilire come impiegarli. L’utilizzo di queste tattiche di difesa permise alla 9ª Armata di difendere le sue posizioni fino alla primavera del 1943, peraltro contravvenendo ad un preciso ordine diretto di Hitler di non costituire più linee di difesa lungo il fronte, così da evitare la tentazione da parte dei soldati di arretrare su posizioni più sicure nelle retrovie. Model, invece, continuò a basare la sua difesa su più linee continue, ignorando di fatto quell’ordine. In questo periodo gli attacchi sovietici furono continui e decisi, ma le truppe sotto il comando di Model riuscirono a respingerli tutti; uno di questi attacchi falliti (nome in codice operazione Marte) è stato indicato come la più grande sconfitta subita durante la guerra dal principale condottiero sovietico: il Maresciallo Georgy Zhukov. Seppur non svolgendo mai direttamente attività politica, Model è stato spesso indicato come un fervente nazionalsocialista. Ciò sia per i ripetuti atti di fede che manifestò verso il Führer e la sua politica, sia per le responsabilità che ebbe nel tacere delle atrocità compiute contro i civili dalle SS nei settori sotto il suo comando. Fallito l’attentato alla vita di Hitler del 20 luglio 1944, Model fu il primo ufficiale a proclamare e rinnovare la sua fede nel Führer e a mandargli un telegramma di attestazione di fedeltà; tali rassicurazioni rafforzarono le convinzioni di Hitler nelle capacità del suo generale. Tuttavia il rapporto di Model col suo Führer non fu di assoluto servilismo e sottomissione: egli infatti non solo seppe tenere testa a Hitler durante le riunioni ufficiali, ma talvolta non tenne conto nemmeno dei suoi ordini militari, agendo spesso secondo il proprio giudizio.
  124. Erich von Manstein, nato Fritz Erich Georg Eduard von Lewinski (Berlino, 24 novembre 1887Icking, 9 giugno 1973), è stato un generale tedesco e Feldmaresciallo. Proveniente da una famiglia di antiche tradizioni militari, si distinse in compiti di stato maggiore all’inizio della seconda guerra mondiale, prima di assumere il comando sul campo nel corso della lunga campagna sul Fronte orientale. Ufficiale estremamente preparato tecnicamente, dotato di grandi capacità strategiche, diede prova delle sue qualità sia nella guerra con mezzi corazzati, sia nella guerra d’assedio, sia nella guerra manovrata offensiva e difensiva nelle grandi battaglie del fronte dell’est. Dalla forte personalità, non privo di vanità ed egocentrismo, mostrò superiori doti di comando e riuscì in numerose circostanze a ristabilire, grazie alla sua capacità di manovra e alla sua perspicacia operativa, la situazione di vantaggio per l’esercito tedesco. Entrò in contrasto in numerose occasioni con Adolf Hitler su questioni strategico-operative e venne infine destituito dal suo comando il 30 marzo 1944. Promosso feldmaresciallo il 1º luglio 1942 dopo la grande vittoria a Sebastopoli, è stato ritenuto dai suoi colleghi dell’esercito tedesco e da molti critici militari, uno dei più abili strateghi della seconda guerra mondiale. In anni più recenti tuttavia von Manstein è stato sottoposto a critiche per la sua chiara adesione all’ideologia nazista e per la sua condivisione del comportamento dei tedeschi nei confronti delle etnie slave ritenute inferiori e degli ebrei. Il feldmaresciallo è stato criticato anche dal punto di vista delle capacità militari per la sua mancanza di comprensione delle implicazioni della politica nella condotta della guerra e per la sua limitatezza di vedute anche in campo strategico. In particolare, Dopo la resa di Paulus a Stalingrado, nel marzo 1943 von Manstein riuscì ad evitare il collasso del settore meridionale del fronte orientale, scatenando l’attacco tedesco intorno a Char’kov e ottenendo una vittoria tattica, bloccando l’offensiva sovietica invernale, infliggendo dure perdite al nemico e stabilizzando quel fronte. Questa notevole dimostrazione di abilità di manovra e di uso delle truppe corazzate, ristabilì in parte il prestigio tedesco e per un momento sembrò ridare l’iniziativa alla Wehrmacht. Peraltro, dal punto di vista strategico la controffensiva non ottenne un risultato decisivo, non riuscendo a schiacciare il saliente di Kursk, in ragione del progressivo peggioramento delle condizioni del terreno (inizio del disgelo primaverile), dell’esaurimento delle forze tedesche e dell’arrivo di potenti riserve sovietiche frettolosamente dirottate da Stalin a sud di Kursk (1a Armata corazzata proveniente da Demjansk, 21a e 64a Armata del vecchio fronte di Stalingrado e di Rokossovskij). Teorico della guerra di movimento, cadde in disgrazia presso Hitler quando le operazioni militari sul fronte russo lo convinsero a chiedere al Führer l’applicazione della “difesa fluida”, come von Manstein la definì, da opporre alla controffensiva dell’Armata Rossa. Dal marzo 1944 non prese più parte al conflitto trascorrendo gli ultimi anni di guerra nella riserva ufficiali. Arresosi alle forze britanniche nel maggio del 1945, in ottobre fu imprigionato nel Palazzo di Giustizia di Norimberga assieme ad alti esponenti del regime nazista. Qui scrisse una memoria difensiva di 132 pagine che sosteneva la tesi della fondamentale estraneità della Wehrmacht ai crimini dell’Olocausto e la non aderenza nei limiti dell’obbedienza militare alle richieste di Hitler che confliggevano con i diritti dei prigionieri di guerra e delle popolazioni dei territori occupati. Diverse sue affermazioni, quali ad esempio di non conoscere dettagli sulle uccisioni dei commissari politici sovietici dovute all’Ordine del commissario del 6 giugno 1941 e di civili ebrei, furono smentite. Ciononostante, nel settembre 1946 lo Stato maggiore e l’OKW vennero dichiarate organizzazioni non criminali. Dopo la sua testimonianza fu trasferito al “Campo speciale XI” a Bridgend. Sottoposto a processo per 17 capi d’accusa, fu giudicato colpevole di 9 di essi e condannato a 18 anni di reclusione da un tribunale militare britannico nell’agosto del 1949, scontandone soltanto quattro. Nel 1953 fu rilasciato e, su richiesta del cancelliere Adenauer, a partire dal 1956 prestò servizio come consulente nell’organizzazione della Bundeswehr, ritirandosi infine a vita privata. Dal punto di vista delle qualità militari, von Manstein fu considerato dallo storico militare inglese Correlli Barnett (“I generali di Hitler”, p.267) uno dei massimi strateghi e tattici della seconda guerra mondiale. Secondo altri studi commise invece alcuni chiari errori di valutazione: sia a Stalingrado (dove manifestò inizialmente un ottimismo eccessivo, supportò Hitler nella decisione di non ritirare la 6ª Armata e sottovalutò le difficoltà e la forza del nemico), sia dopo Kharkov (dove sopravvalutò l’entità della sua vittoria fino a trasformarla, anche nelle sue memorie, in un successo potenzialmente decisivo rovinato dalle tergiversazioni di Hitler); sia a Kursk (dove, non valutando correttamente l’entità delle riserve sovietiche ancora disponibili, propose di proseguire l’inutile Operazione Cittadella); sia nell’inverno 1944 (sorpreso dalla gigantesca e imprevista avanzata dei marescialli Ivan Konev e Georgij Žukov, dal Dnepr ai Carpazi, nonostante il terreno inondato dal fango del disgelo). D’altro canto, la sua conduzione della Terza battaglia di Kharkov, che rimane uno dei più brillanti fatti d’arme della seconda guerra mondiale e un vero modello di vittoria ottenuta con l’audace impiego delle forze corazzate contro un nemico potente, all’offensiva, si caratterizzò – secondo alcuni osservatori – per un impiego quasi napoleonico dei reparti corazzati (con il continuo movimento dei Panzerkorps in modo da ottenere sempre la superiorità numerica e di posizione sulle varie colonne nemiche), che gli permise di ottenere una sorprendente vittoria da una situazione apparentemente compromessa. Non riuscì a salvare la 6ª Armata del generale Paulus a Stalingrado; la situazione era probabilmente già compromessa al suo arrivo e Hitler non favorì il compito del feldmaresciallo lesinando rinforzi e intralciando la sua libertà d’azione, ma certamente von Manstein fece alcuni fondamentali errori di valutazione della situazione e sottovalutò le forze e le capacità operative dell’Armata Rossa. È stato anche criticato il suo comportamento (in parte ingannevole) con Paulus e i suoi tentativi di scaricare le inevitabili tragiche decisioni sul comandante della 6ª Armata o su Hitler.
  125. Günther von Kluge (Poznań, 30 ottobre 1882Valmy, 19 agosto 1944) è stato un generale e feldmaresciallo tedesco. Proveniente da una famiglia dell’aristocrazia militare prussiana, dopo aver partecipato come ufficiale inferiore alla prima guerra mondiale, continuò la carriera militare nella Wehrmacht prestando servizio durante la seconda guerra mondiale. Si mise in evidenza nelle prime campagne vittoriose in Polonia e Occidente al comando della Quarta armata e prese poi parte alla lunga e sanguinosa campagna sul fronte orientale. Ufficiale austero, coraggioso, pronto a recarsi sulle prime linee per condividere le esperienze dei suoi soldati, von Kluge aveva un carattere difficile e rigido che lo mise spesso in contrasto con alcuni suoi subordinati come i generali Heinz Guderian e Erwin Rommel. Non privo di contraddizioni, diresse le operazioni militari all’est con grande abilità e determinazione contrastando tenacemente il passo al nemico e nell’estate 1944 assunse il comando del fronte occidentale durante la battaglia di Normandia mostrando inizialmente la ferma volontà di resistere, ma contemporaneamente espresse le sue critiche verso Adolf Hitler e il nazismo e fu parzialmente coinvolto nel complotto del 20 luglio 1944. Dopo aver diretto le operazioni fino all’ultimo con il massimo impegno per evitare il crollo del fronte, venne ugualmente prima destituito da Hitler e poi richiamato, ma egli, temendo le conseguenze del suo coinvolgimento nel complotto, preferì suicidarsi il 19 agosto del 1944 a Valmy, nella Marna francese. In particolare, il 3 luglio 1944 venne nominato Comandante in Capo della Wehrmacht sul fronte occidentale (Oberbefehlshaber West o OB-West), prendendo il posto del Feldmaresciallo Gerd von Rundstedt. Dal 17 luglio 1944, dopo l’incidente in cui rimase ferito il Feldmaresciallo Erwin Rommel, von Kluge assunse anche il comando del Gruppo d’armate B: l’unità tedesca che si scontrava direttamente con le truppe anglo-americane sbarcate in Normandia. Dopo un iniziale ottimismo sulle prospettive dello scontro, von Kluge iniziò a convincersi che la battaglia fosse ormai perduta: il 22 luglio comunicò a Hitler che il crollo del fronte era ormai imminente. La posizione di von Kluge divenne così sempre più precaria agli occhi del Führer: da un lato, infatti, Hitler diffidava di chi non credeva nella possibilità di contenere la testa di ponte degli Alleati; dall’altro credeva che il Feldmaresciallo fosse personalmente coinvolto nella congiura del 20 luglio 1944. Il Feldmaresciallo fu effettivamente contattato da alcuni congiurati dopo l’attentato a Hitler del 20 luglio 1944, ma la sua riluttanza ad agire sapendo che il Führer non era morto impedì che la situazione potesse evolvere in modo favorevole agli attentatori, anche solo sul fronte occidentale. Da quel momento in avanti, lo stato d’animo del Feldmaresciallo fu profondamente turbato dal pensiero che il Führer potesse scoprire il suo coinvolgimento e condannarlo a morte. Nel costante timore di apparire un traditore agli occhi di Hitler, von Kluge smise di opporsi ai piani di battaglia del Führer. Diede quindi disposizioni affinché le forze tedesche riprendessero ad attaccare, rifiutando così di autorizzare quell’ampio ripiegamento delle forze tedesche oltre il fiume Dive richiesto da molti generali. I numerosi insuccessi sul fronte occidentale lo misero sempre più sotto una cattiva luce, aumentando negli ambienti vicini a Hitler l’ostilità nei suoi confronti. La Gestapo e le SS iniziarono ad investigare sulla sua partecipazione alla congiura ai danni del Führer, ma lo stesso Hitler lo destituì ancora prima di avere gli esiti di tale indagine. In seguito a questo provvedimento, von Kluge – temendo di essere stato scoperto – si suicidò dopo pochi giorni in Francia ingerendo del cianuro di potassio.
  126. Moritz Albrecht Franz Friedrich Fedor von Bock (Küstrin, 3 dicembre 1880Oldenburg in Holstein, 4 maggio 1945) è stato un generale e feldmaresciallo tedesco. Tra i più esperti e capaci ufficiali della Wehrmacht, durante la prima parte della seconda guerra mondiale ottenne una serie di vittorie alla testa di vari gruppi d’armate nella campagna di Polonia nel 1939, sul Fronte occidentale nel 1940 e soprattutto sul Fronte orientale nel 1941-42. Entrato in contrasto con Adolf Hitler sulla condotta strategica delle operazioni, venne congedato dopo la battaglia di Mosca. In particolare, nel gennaio 1942, von Bock, dopo la morte improvvisa del feldmaresciallo Walter von Reichenau, venne richiamato in servizio al comando dell’Heeresgruppe Süd e nel maggio 1942 ottenne un’importante vittoria nella seconda battaglia di Char’kov, in Ucraina orientale, arrestando l’offensiva sovietica comandata dal maresciallo Semën Konstjantynovyč Tymošenko e distruggendo numerose armate sovietiche in una grande sacca d’accerchiamento. Fu una delle più grandi vittorie tedesche della seconda guerra mondiale. Nella successiva operazione Blu (la grande offensiva estiva tedesca sul fronte orientale del 1942) raggiunse nuovi brillanti successi iniziali ma ben presto entrò in contrasto con il Führer sui dettagli della conduzione tattica delle operazioni nel settore meridionale del fronte orientale, e il 15 luglio 1942 egli venne definitivamente congedato, cedendo il comando del suo gruppo d’armate al generale Maximilian von Weichs. Passò gli ultimi anni della guerra in ritiro in Germania e rimase ucciso negli ultimi giorni del conflitto durante un bombardamento aereo alleato.
  127. Karl Rudolf Gerd von Rundstedt (Aschersleben, 12 dicembre 1875Hannover, 24 febbraio 1953) è stato un generale e Feldmaresciallo tedesco della Wehrmacht durante la seconda guerra mondiale. Al termine della Campagna di Francia, von Rundstedt avrebbe dovuto prendere parte, al comando del Gruppo d’armate A, all’invasione della Gran Bretagna (nome in codice Operazione Seelöwe). Tuttavia tale operazione non ebbe mai corso in seguito alla sconfitta delle forze aeree tedesche durante la battaglia d’Inghilterra e allora Hitler preferì dedicarsi alla preparazione dell’attacco all’Unione sovietica. Il 10 ottobre 1940 von Rundstedt fu nominato Oberbefehlshaber West, assumendo il comando di tutte la unità tedesche a guardia dei nuovi territori conquistati sul fronte occidentale (Westheer). Lasciò quest’incarico nell’aprile del 1941, quando fu richiamato sul fronte orientale, dove avrebbe assunto il comando del Gruppo d’armate Sud. Nel giugno 1941, durante le prime fasi della campagna contro l’Unione Sovietica (Operazione Barbarossa), comandò il Gruppo d’armate Sud che attaccò l’Ucraina conquistando Kiev e Kharkov. Nel novembre 1941 si trovò in contrasto con Hitler per la condotta delle operazioni dopo l’occupazione di Rostov (Battaglia di Rostov). Il contrasto tra il Führer e il feldmaresciallo a proposito di questa battaglia, comunque, rappresentò solo l’epifenomeno di una differenza sempre più profonda tra i due uomini sulle prospettive della guerra. A tale proposito basti pensare che, quando ormai risultò chiaro a tutto il comando tedesco, che la conquista di Mosca sarebbe stata impossibile, von Rundstedt propose addirittura un ripiegamento sulla linea di confine precedente del conflitto. Nonostante il suo allontanamento dal fronte orientale, il 15 marzo 1942 gli venne nuovamente affidato il comando delle truppe tedesche impegnate sul fronte occidentale. Poco dopo il suo insediamento dovette far fronte al tentativo di sbarco inglese presso Dieppe: l’attacco inglese venne respinto dalle truppe tedesche comandate da von Rundstedt; tuttavia tale episodio convinse ancora di più il Comando supremo tedesco della necessità di rafforzare le difese sul fronte occidentale. Fu così che il feldmaresciallo si dedicò, con la consueta tenacia, alla costruzione delle difese del Vallo Atlantico il cui comando fu affidato al feldmaresciallo Rommel. La sfida di difendere la “fortezza Europa” da un possibile sbarco alleato era assai ardua: c’erano quasi 5.000 chilometri di costa da difendere e il comandante in capo del fronte occidentale poteva contare solo su sessanta divisioni. Per di più queste divisioni erano per lo più di difesa costiera, prive della necessaria esperienza al fronte e dotate di scarsi mezzi corazzati. Nonostante l’esperienza di von Rundstedt, lo sbarco in Normandia rappresentò un grande successo per gli Alleati; i tentativi di contrastare l’offensiva degli Alleati ben presto si rivelarono inutili e così il feldmaresciallo von Rundstedt venne sostituito nel comando supremo del fronte occidentale. A causare questa sostituzione fu, come nel caso precedente, un ennesimo contrasto con Hitler: in più occasioni nel giugno del 1944 il feldmaresciallo propose un vasto ripiegamento delle forze tedesche sul fronte occidentale, tuttavia la risposta del Führer fu sempre quella di opporsi a qualsiasi ripiegamento. Di fronte a questi continui rifiuti, von Rundstedt fece presente a Hitler di non poter ancora a lungo mantenere il comando di un fronte così importante senza poter disporre della necessaria libertà d’azione: il 29 giugno 1944 venne quindi sostituito da von Kluge. Nel settembre del 1944 von Rundstedt fu richiamato al comando del fronte occidentale; sotto la sua regia la Wehrmacht riuscì a respingere l’attacco alleato noto come Operazione Market Garden, nonché a operare una delle ultime controffensive dell’esercito tedesco nelle Ardenne (dicembre 1944). Secondo autorevoli storici militari, pare però che il ruolo svolto da von Rundstedt in questa operazione fosse stato decisamente marginale: ciò non certo per incapacità del vecchio comandante, ma per il suo profondo e giustificato scetticismo riguardo ad un’azione che difficilmente avrebbe potuto raggiungere i risultati strategici previsti dall’OKW. La situazione sul fronte occidentale era ormai ingestibile e la sconfitta tedesca era inevitabile. Dopo aver ceduto il comando a Kesselring nel marzo 1945, venne catturato dagli statunitensi e consegnato ai britannici. Dopo essere stato prigioniero a Norimberga, Londra e Amburgo, venne liberato nel 1949 per ragioni di salute. Gerd von Rundstedt è considerato, assieme a Rommel, von Manstein e Guderian, uno dei più abili generali dell’esercito tedesco per le sue grandi doti di comando e di coordinamento delle operazioni.
  128. Friedrich Wilhelm Ernst Paulus (Guxhagen, 23 settembre 1890Dresda, 1º febbraio 1957) è stato un generale tedesco, feldmaresciallo durante la seconda guerra mondiale. Dopo una brillante carriera principalmente nello stato maggiore generale della Wehrmacht, alla fine del 1941 ricevette il comando della 6ª Armata, la più grande e potente armata tedesca, che condusse inizialmente con successo durante l’offensiva estiva del 1942 sul fronte orientale. A partire dal settembre 1942 dovette affrontare la logorante e cruenta battaglia di Stalingrado e non riuscì a sopraffare la resistenza dell’Armata Rossa. Sorpreso dalla controffensiva sovietica del novembre 1942, rimase accerchiato con la sua armata nella sacca di Stalingrado; dopo una lunga e tenace resistenza senza adeguati rifornimenti e in pieno inverno, la 6ª Armata venne completamente distrutta. Paulus si arrese con il suo stato maggiore il 31 gennaio 1943 e venne fatto prigioniero dai sovietici. Paulus si dimostrò un abile e preparato ufficiale, idoneo al lavoro di pianificazione e di organizzazione e capace di progettare e dirigere ampie manovre offensive con truppe corazzate; tuttavia la sua condotta rigidamente aderente agli ordini superiori e alcune sue decisioni e incertezze durante la battaglia di Stalingrado, che travolse il suo comando e le sue truppe, lo hanno esposto a numerose critiche e rimangono oggetto di valutazioni ampiamente contrastanti da parte di storici e specialisti. Mentre era prigioniero dei sovietici, Paulus divenne una voce critica del regime nazista, unendosi al “Comitato nazionale per la Germania Libera“, organizzato su sollecitazione dell’URSS, appellandosi ai soldati tedeschi perché si arrendessero. In seguito fu testimone dell’accusa al processo di Norimberga. Venne rilasciato nel 1953, e si stabilì a Dresda, nella Germania Est. Paulus rimane una figura storica controversa per la sua mancata opposizione al nazismo, per le decisioni operative prese durante l’accerchiamento della sua armata e per la sua successiva adesione al movimento di opposizione antinazista dei generali tedeschi prigionieri in Unione Sovietica. In realtà Paulus si mantenne sempre distaccato dalle implicazioni politiche della guerra e non fu né nazionalsocialista né antinazista, cercando di limitarsi a un ruolo di tecnico della guerra, professionale ed estraneo alle esasperazioni ideologiche della “guerra d’annientamento” all’Europa orientale. Pur apparendo un fedele seguace di Hitler e pur proclamando ripetutamente nei suoi ordini del giorno alle truppe l’adesione al Terzo Reich, si dimostrò in pratica alieno da estremismi e non applicò, come comandante della 6ª Armata, le disposizioni contenute nel cosiddetto “ordine dei commissari”, che prevedeva l’immediata fucilazione dei commissari politici dell’Armata Rossa, e annullò anche la spietata direttiva emanata dal suo predecessore von Reichenau il 10 ottobre 1941, che ordinava la massima durezza nei confronti delle “razze inferiori” slave e soprattutto degli ebrei. Sulle qualità di generale e comandante di Paulus la storiografia presenta giudizi ancora ampiamente discordanti: il britannico Martin Middlebrook ha scritto di una sua mancanza di carisma, e ne ha criticato l’indecisione e la scarsa iniziativa di fronte alla situazione venutasi a creare a Stalingrado, mentre il francese Raymond Cartier, pur ritenendo Paulus ufficiale preparato e laborioso, attribuisce al carattere indeciso e alla mancanza di dinamismo del generale l’esito catastrofico della battaglia sul Volga. Altri storici hanno giudicato in modo più favorevole le qualità e l’operato di Paulus: lo storico francese Henri Michel ne sottolinea le brillanti qualità di tattico, la coscienziosità, la preparazione, la prudenza, e nega una sua mancanza di carattere, pur evidenziando la sua stretta osservanza agli ordini superiori; il biografo tedesco Walter Görlitz ne loda le qualità di intelligenza, la preparazione tecnica, la stoica capacità di sopportazione; lo storico tedesco Bernd Wegner riduce di molto le responsabilità di Paulus nella disfatta a Stalingrado, conseguenza a suo avviso di un fallimento globale della macchina militare tedesca e delle decisioni prese al vertice da Hitler e dai suoi generali. Lo scrittore e storico tedesco Joachim Wieder analizza in profondità nella sua opera in parte autobiografica dedicata alla battaglia di Stalingrado (“Stalingrado, morte di un esercito”), la personalità e il comportamento di Paulus; egli riconosce le “eccezionali conoscenze tecniche” del generale, la sua onestà e le notevoli capacità “nell’espletamento degli incarichi operativi” ma evidenzia la sua mancanza di esperienza e di energia nella guida di reparti di prima linea, avendo Paulus trascorso buona parte della sua carriera nello stato maggiore con funzioni organizzative. Wieder soprattutto critica il comportamento passivo del generale nell’ultima parte della battaglia, la sua mancanza di coraggio morale e la sua obbedienza fino all’ultimo agli ordini di Hitler secondo una tradizionale filosofia del dovere e della disciplina in quelle circostanze fatalmente errata; lo scrittore tedesco peraltro ammette che Paulus, unico tra i grandi capi tedeschi di Stalingrado, riconobbe gli errori e si assunse interamente le sue responsabilità dirette nella catastrofe. Friedrich Paulus morì, a causa della SLA da cui era stato colpito nel 1956, a Dresda, nella DDR, dove era diventato direttore dell’ufficio storico dell’esercito. Durante la breve e dolorosa malattia, Paulus mostrò per l’ultima volta coraggio e calma, come aveva fatto durante tutta la sua carriera militare.
  129. L’Operazione Alarico faceva parte di un più ampio piano denominata Operazione Achse(“Asse”, nella storiografia tedesca Fall Achse), nome in codice del piano elaborato dall’Oberkommando der Wehrmacht (OKW) durante la seconda guerra mondiale per controbattere un’eventuale uscita dell’Italia dalla guerra, neutralizzare le sue forze armate schierate nei vari teatri bellici del Mediterraneo e occupare militarmente la penisola.
  130. Il 9º Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin” è il reparto di incursori (Tier 1) dell’Esercito Italiano; dal 20 Settembre 1954 è il precursore dei reparti delle forze speciali italiane. Il Reggimento “Col Moschin” è inquadrato nel Comando delle forze speciali dell’Esercito e tiene in custodia la bandiera del IX Reparto d’Assalto, del quale ha ereditato l’anno di costituzione (1918), il nome del luogo di un’epica azione e le mostrine (fiamme nere degli Arditi), riadottate nel 2006. Dal 1995, nel quadro di ristrutturazione dell’Esercito Italiano, è passato da battaglione a reggimento. La base del Reggimento è a Livorno presso la caserma “Vannucci”. Esiste anche un centro di addestramento, denominato Base addestramento incursori (BAI) a Pisa, situato nel parco regionale di San Rossore (ex tenuta presidenziale) vicino alla foce del fiume Arno, che viene utilizzato per le attività anfibie e subacquee del reggimento. Per l’attività operativa dipendono dal COFS, il Comando interforze per le operazioni delle forze speciali. L’addestramento è tra i più duri e selettivi delle forze armate italiane e solo dopo un lungo iter di circa 2 anni si ottiene la qualifica di incursore. Nel 2014 il reggimento lascia la brigata Folgore, per passare al neo costituito Comando delle forze speciali dell’Esercito. Nell’aprile 2019 viene consegnato il basco grigio-verde che sostituisce quello amaranto, che si aggiunge allo specifico fregio da basco, alle mostrine nere e al distintivo di brevetto con gladio, tutti simboli e fregi degli Arditi. Il reparto è stato protagonista di numerose operazioni speciali ed antiterroristiche in tutto il mondo ed è l’unico ad aver partecipato a tutte le missioni militari all’estero dell’Esercito Italiano dal dopoguerra ad oggi. Dal 2016 opera anche, su richiesta dei servizi d’intelligence dell’AISE, per singole missioni riservate all’estero, colmando una lacuna rispetto ai servizi di altri paesi.
  131. Smart Glasses, ovvero occhiali intelligenti, sono un paio di occhiali dotati di realtà aumentata, tramite i quali è possibile visualizzare informazioni come sugli smartphone senza l’uso delle mani (hands-free). Attualmente in commercio ne sono disponibili diversi tipi, tra i quali quelli di Google, (Google Glass, i primi in ordine di tempo usciti in commercio, che rientrano nel concetto di ubiquitous computing), Apple, Xiaomi, Ray-Ban, Huawei, Bose Frames, Echo Frames (solo per il mercato Amazon USA), Snapchat Spectacles 3, Razer Anzu, ed altri ancora.
  132. Nativo digitale, espressione con cui si identificano coloro che sono nati nell’era digitale della rete e di internet e che è abituato fin da giovane o giovanissimo a utilizzare le tecnologie digitali con spontanea e diretta interazione senza l’ausilio di intermediari.
  133. In una fase di intercettazione di un velivolo non identificato che non risponde alle chiamate via radio del controllo del traffico aereo, il “battito d’ali”, è il movimento ondulatorio delle ali del caccia intercettore, effettuato mediante la cloche di comando con rapidi e brevi movimenti verso sinistra e verso destra, che significa, nel linguaggio aeronautico internazionale, l’ordine al velivolo non identificato di accodarsi al caccia intercettore per essere scortati alla base aerea di provenienza del caccia stesso.
  134. Negli anni 1930 la Reichswehr tedesca (che nel 1935 sarebbe divenuta la Wehrmacht) iniziò ad interessarsi ai razzi. Le restrizioni imposte dal Trattato di Versailles limitavano l’accesso dei tedeschi alle armi di lunga gittata. Vedendo la possibilità di usare i razzi come fuoco di artiglieria a lunga gittata, la Wehrmacht inizialmente sovvenzionò la squadra VfR (Verein für Raumschiffahrt), ma poiché l’attenzione di quest’ultima era squisitamente scientifica, ad un certo punto si creò una propria squadra di ricerca. Su richiesta dei vertici militari, Wernher von Braun, all’epoca un giovane scienziato missilistico, entrò nelle forze armate (seguito da due ex membri VfR) e sviluppò armi a lunga gittata impiegate nella seconda guerra mondiale dalla Germania nazista. Oltre ai missili furono studiate varie applicazioni per aeroplani che portarono, il 20 giugno del 1939, al volo dell’Heinkel He 176, il primo aereo al mondo a volare spinto da un motore a razzo a propellente liquido. (Fonte: Enciclopedia libera del web Wikipedia).
  135. Sacher torte, tipica torta al cioccolato inventata dal pasticciere, all’epoca sedicenne, Franz Sacher, per il Principe Klemens von Metternich il 9 luglio 1832 a Vienna. La torta in se non contiene lattosio, tranne il suo accompagnamento (eventuale) con panna montata che può anche essere vegetale. (Per la sua ricetta originale, si veda https://www.vasavasakitchen.com/torta-sacher-ricetta-originale-austriaca/).
  136. Gulag (in russo: ГУЛаг – Главное управление исправительно-трудовых лагерей?, traslitterato: Glavnoe upravlenie ispravitel’no-trudovych lagerej, “Direzione principale dei campi di lavoro correttivi” – spesso scritto GULag) è stato il ramo della polizia politica dell’URSS che istituì il sistema penale dei campi di lavoro forzato. Benché questi campi fossero stati pensati per la generalità dei criminali, il sistema è noto soprattutto come mezzo di repressione degli oppositori politici dell’Unione Sovietica. Complessivamente circa 18 milioni di persone, non solo sovietici, sono passati dai campi. Il numero massimo di prigionieri fu raggiunto nel 1950 con circa 2,5 milioni di reclusi. Il tasso di mortalità nel Gulag prima della seconda guerra mondiale oscillava tra il 2,1% e il 5,4%, picco massimo registrato nel 1933. Durante la seconda guerra mondiale, nel contesto delle precarie condizioni di vita dei prigionieri, si raggiunse un tasso di mortalità del 24,9%. Nei primi anni ’50 il tasso calò intorno allo 0,9% fino a raggiungere lo 0,4% nel 1956. Fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica non vi erano dati certi sui decessi dei reclusi ed alcuni media occidentali, qualcuno anche in maniera funzionale alla propaganda anticomunista, ipotizzarono diversi milioni di morti. Secondo i documenti degli archivi sovietici, dove erano stati catalogati gli internati e i decessi, fra il 1930 ed il 1956 si sarebbe registrato un totale di 1.606.748 morti, dei quali 932.268 (il 58% del totale) nel periodo 1941-1945, su circa 18 milioni di persone che, secondo gli storici più accreditati, sono passate nei campi del GULag. (Fonte: enciclopedia libera del web wikipedia ed altre fonti aperte su internet)
  137. Le isole Soloveckie (in russo: Солове́цкие острова?), note anche con il nome di Solovki (in russo: Соловки?) o Solovetskij, sono un arcipelago del Mar Bianco, nel Distretto Federale Nordoccidentale della Russia. Distano 160 km dal Circolo polare artico, 250 km dal confine con la Finlandia, 700 da San Pietroburgo e 1.200 da Mosca. La fama delle isole Solovki è legata all’importanza storica e religiosa dei suoi bellissimi monasteri, della loro strenua resistenza agli attacchi della marina britannica nell’ottocento, e al ruolo culturale svolto in ogni momento cruciale della storia russa. Quello che è però difficile notare, nel revival religioso che sta vivendo oggi la Russia post-sovietica, è il segno lasciato dal ventennio in cui le isole Solovki sono state scelte per testare il primo esperimento di GULag e per fungere da prigione. Sotto Lenin, nel 1923, e sotto Stalin poi. È in questo luogo, servito dalla ferrovia di Murmansk e da cui era semplicemente impossibile scappare, dove la natura e i molti mesi di rigido inverno bastavano già a costituire una sufficiente punizione per i prigionieri, l’URSS decise di confinare i dissidenti politici, il clero ortodosso e cattolico, molti stranieri e poi controrivoluzionari. Dalle isole Solovki soltanto è passato più di un milione di prigionieri. Un quarto di questi è morto di fame, di freddo o fucilato in una delle stragi notturne, seppelliti in fosse comuni o nelle mura del monastero. Le isole Solovki sono anche famose per aver fornito la manodopera schiava che ha costruito un’opera ambientale colossale: il canale che collega il mar Baltico al mar Bianco, lungo 250km e scavato dai prigionieri del Gulag. Negli anni ’30 Stalin promosse la visita di personalità famose (come il celeberrimo scrittore Maksim Gor’kij) e anche la produzione di un documentario sui sistemi rieducativi per i ladri, i pazzi e i delinquenti detenuti alle Solovki, documentario del 1928 ancora visibile su YouTube. I prigionieri erano in realtà intellettuali, studenti, uomini di cultura e dissidenti politici: la perdita umana delle isole Solovki è stata anche una grande perdita culturale. Nel documentario si inscenarono gare sportive, bagni in mare, chiacchiere tra i prigionieri ed educazione musicale. Per la verità, attività culturali nel campo esistevano veramente, ma questo documentario è comunque molto lontano dalla realtà raccontata dai sopravvissuti. Oggi molte strutture dell’ex GULag sono state smantellate, e non ci sono ruderi evidenti del campo di concentramento. (Fonte: https://www.painderoute.it/isole-solovki-monasteri-gulag-russia/)
  138. Zek, condannato ai lavori forzati in un Gulag sovietico.
  139. Kolyma, regione dell’Estremo Oriente siberiano, trasformata da Stalin in un campo di lavori forzati e in una prigione a cielo aperto, quando nel 1932 così decise decretando che sarebbe stata l’isola faro dell’Arcipelago GULag. Per un quarto di secolo, centinaia di migliaia di detenuti (tra cui il magnifico scrittore Varlam Shalamov autore dei Racconti di Kolyma) vi furono relegati con una pena minima di dieci anni; 130mila di essi non tornarono mai. Cittadini arbitrariamente arrestati dall’NKVD (la polizia politica, antenata del Kgb) e condannati come “nemici del popolo”. Chiunque poteva finire in quel posto sventurato: chi aveva rubato una spiga di grano in un kolchoz, chi scherzava sul Partito nella sua corrispondenza privata ma spiata, chi era stato prigioniero dei tedeschi durante la guerra (è il caso di Sukhov, l’eroe di Una giornata nella vita di Ivan Denisovic, di AleksandrSolzhenitsyn) e per le autorità sovietiche diventava ipso facto una spia, ma anche i nazionalisti ucraini e baltici o i condannati, semplicemente, per reati comuni. Poiché la Kolyma non era accessibile che via mare – ancora oggi, non c’è una ferrovia che la colleghi al resto del Paese – venivano deportati nelle stive fino a Magadan, porto del mare di Okhotsk e trampolino verso l’inferno. Nell’Unione Sovietica, il GULag coniugava la repressione politica e il ritorno economico: i proscritti servivano anche alla costruzione del “socialismo trionfante”, lavorando nelle miniere in condizioni che nessun uomo libero avrebbe mai tollerato. (Fonte: enciclopedia libera del web wikipedia e https://www.assemblea.emr.it/cittadinanza/per-approfondire/formazione-pdc/viaggio-visivo/i-campi-di-concentramento-nel-novecento/stalin-e-il-gulag/kolyma; https://www.ilfoglio.it/cultura/2018/06/12/news/la-kolyma-terra-di-gulag-dove-e-impossibile-riuscire-a-sentirsi-umani-200017/)
  140. Il Soviet (in russo: Совет?, traslitterato: sovet, letteralmente «consiglio») è una struttura assembleare finalizzata alla gestione democratica e livellata del potere politico ed economico da parte della classe operaia e contadina. I Soviet nacquero nell’Impero russo all’inizio del XX secolo e divennero fondamento costituzionale dello Stato socialista dapprima nella RSFS Russa e poi in Unione Sovietica. Analoghe strutture, sull’esempio russo e sovietico, si svilupparono successivamente anche in altri Paesi. Il sistema dei Soviet fu fissato nella Costituzione sovietica del 1918. Esso comprendeva il Congresso panrusso dei Soviet, i Congressi dei Soviet di oblast’, di governatorato, di uezd e di volost’ e i Soviet urbani e degli insediamenti rurali, mentre tra le riunioni dei Congressi il potere era esercitato dal Comitato esecutivo centrale panrusso e dai singoli Comitati esecutivi. Il diritto di voto attivo e passivo per i Soviet era garantito a tutti i lavoratori, soldati e marinai che avessero compiuto i 18 anni. L’azione dei Soviet era diretta dal Partito Comunista attraverso le proprie apposite sezioni organizzate presso i Soviet di tutti i livelli. Con la formazione di Repubbliche e oblast’ autonomi furono creati i relativi Soviet e i Congressi dei Soviet delle autonomie. Strutture dello stesso tipo sorsero nelle Repubbliche sovietiche sovrane, come Ucraina e Bielorussia, e tale forma organizzativa si estese anche ad altri Paesi europei e, alla fine degli anni venti, alla Cina. Nel 1922, con la formazione dell’Unione Sovietica, sorse come nuovo organo superiore del potere statale il Congresso dei Soviet dell’URSS, mentre i Congressi delle singole Repubbliche federate continuarono a operare ciascuno nel proprio territorio. Il nuovo sistema, sullo schema di quello della RSFS Russa, fu confermato nel 1924 nella prima Costituzione dell’URSS. L’adozione della nuova Costituzione sovietica, nel 1936, pose al vertice della struttura dei Consigli il Soviet Supremo dell’URSS e i Soviet Supremi delle Repubbliche federate, che andarono a sostituire i relativi Congressi dei Soviet. Fu modificato anche il sistema elettorale delle varie assemblee, e il suffragio divenne uguale e diretto, superando i sistemi di ponderazione precedentemente in vigore, resi non necessari dall’avvenuta eliminazione nel Paese delle classi dominanti. Nell’occasione i Soviet dei deputati degli operai, dei contadini e dei soldati dell’Armata Rossa vennero rinominati Soviet dei deputati dei lavoratori, allo scopo di riflettere l’unità morale e politica raggiunta da tutte le classi lavoratrici sovietiche. Un ulteriore avanzamento in questo senso si registrò con l’adozione della Costituzione del 1977, che proclamò conseguita l’unità socio-politica e ideale della società sovietica. Divenuta l’URSS «Stato di tutto il popolo», i Consigli vennero rinominati Soviet dei deputati del popolo. Durante la perestrojka, le modifiche costituzionali del 1988 istituirono il Congresso dei deputati del popolo dell’URSS quale organo superiore del potere statale al posto del Soviet Supremo, che ne divenne espressione. Analogamente, Congressi dei deputati del popolo sorsero al vertice del sistema sovietico nelle Repubbliche federate. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica il sistema dei Soviet sopravvisse nella Federazione Russa fino al 1993, allorquando scoppiò la crisi costituzionale russa fra il presidente Boris El’cin e il Soviet Supremo della Federazione Russa. Questa crisi raggiunse l’apice il 21 settembre 1993, quando El’cin decise di sciogliere le due camere del parlamento, ossia il Congresso dei deputati del popolo e il suo Soviet Supremo, sebbene egli fosse privo di tale potere secondo la costituzione allora vigente. El’cin utilizzò i risultati del referendum dell’aprile 1993 per giustificare le proprie azioni e, in risposta, il parlamento dichiarò invalida e non attuabile la decisione del presidente. A seguito di questi eventi il presidente Boris El’cin venne messo in stato di accusa. La crisi venne risolta con l’intervento delle forze armate che causò, all’incirca, tra i 200 e gli 800 morti, e l’insediamento di Boris El’cin come presidente della Federazione Russa.
  141. L’Unione Britannica dei Fascisti(in inglese British Union of Fascists, acronimo BUF) è stato un partito politico attivo nel Regno Unito, e il principale movimento fascista britannico. Fu fondato da Oswald Mosley nel 1932, in concomitanza temporale con l’ascesa del nazionalsocialismo in Germania. Il partito cambiò il suo nome nel 1936 in “British Union of Fascists and National Socialists” e, nel 1937, in “British Union”. Fu infine sciolto dal governo nel 1940, a seguito dell’inizio della seconda guerra mondiale.

 

  1. Il Secret Intelligence Service (SIS) è l’agenzia di spionaggio per l’estero del Regno Unito. È più comunemente noto con il nome di MI6 (Military Intelligence, Sezione 6). Dipende dal Foreign Office ed è sotto la formale direzione del Joint Intelligence Committee (JIC). L’insegna del SIS era un tempo costituita da una C in verde (il primo direttore firmava tutti i documenti ufficiali con inchiostro verde) con l’immagine di un cervello all’interno di essa, e con le parole Semper Occultus. Durante la seconda guerra mondiale il vasto sistema di “doppio gioco”, fu gestito soprattutto dall’MI5, delegato al controspionaggio, che nutrì di notizie fuorvianti gli agenti tedeschi. I tentativi del SIS di creare una rete in Germania invece fallirono ad opera dell’Abwehr. Il maggior successo dell’MI6, guidato dal 1939 da Stewart Menzies, fu il decrittaggio del codice Enigma tedesco, tramite Ultra. Menzies, promosso maggior generale, guidò il servizio fino al 1952.
  2. Velina, ofoglio di carta velina o di altra carta leggera, per es. quello che contiene la copia ottenuta con la carta carbone di una scrittura battuta a macchina. Nel linguaggio giornalistico, comunicazione ufficiale o ufficiosa inviata da fonte governativa alla stampa perché venga pubblicata o serva da orientamento nei commenti, o anche solo a scopo d’informazione.
  3. Raffaele Guarigliaè stato un diplomatico e politico italiano. nacque a Napoli il 19 febbraio 1889, figlio unico di Alfonso, professore universitario e noto giureconsulto, e di Giulia Tajani, figlia di Raffaele, avvocato e giurista. Apparteneva a una facoltosa famiglia salernitana con molti agganci con il mondo politico e la diplomazia: suo prozio era E. Gianturco, Sottosegretario e Ministro, mentre per parte di madre era imparentato con i diplomatici G. De Viti De Marco e C. Troysi. Dopo gli studi liceali e la laurea in giurisprudenza, conseguita a Napoli il 17 luglio 1908, svolse attività pubblicistica su riviste politiche, trattando temi relativi all’emigrazione. Sostenne, quindi, il concorso per l’accesso al ministero degli Affari esteri, risultando primo fra i candidati alla carriera consolare, nei cui ruoli fu ammesso con decreto ministeriale 10 ottobre 1909. Fu assegnato all’ufficio del personale e, al termine del periodo di prova, nel dicembre 1910 inviato in qualità di vice-console presso l’importante consolato generale di Parigi diretto da F. Lucchesi Palli, di cui avrebbe più tardi sposato la figlia Francesca Maria (Napoli, 20 novembre 1919). Il 26 aprile 1913, per intercessione di Antonio Salandra, gli fu concesso il trasferimento nella carriera diplomatica con il grado di addetto di legazione. Con la destinazione a Londra, nel maggio 1913, fu subito introdotto nel cosiddetto inner circle, il circuito delle grandi ambasciate. Nel periodo antecedente alla Grande guerra e successivamente ebbe modo di consolidare la sua formazione e la sua esperienza diplomatica, nel corso della quale era diventato uno dei maggiori specialisti di problemi coloniali ed africani, consultato in qualità di esperto dai ministri Sforza e Schanzer e utilizzato nei negoziati diplomatici e in incarichi speciali. L’avvento del fascismo colse Guariglia, di simpatie filo-francesi ed estimatore del sistema politico inglese, impreparato anche se non sfavorevolmente disposto, viste le sue idee, liberali ma inclini al nazionalismo. D’altra parte, come riconobbe negli scritti autobiografici, egli era inizialmente convinto che il fascismo non avrebbe condotto una politica estera ideologizzata ma, al contrario, avrebbe solo difeso con maggior forza gli interessi nazionali. Inoltre il Guariglia condivideva il giudizio di Salvatore Contarini (Segretario Generale del Ministero degli esteri) sia riguardo alla possibilità di tenere sotto controllo gli eccessi della politica “personale” di Mussolini, sia circa quella di ottenere vantaggi agitando lo spauracchio fascista presso le cancellerie straniere e, contemporaneamente, mostrando la moderazione della diplomazia italiana. Di Mussolini personalmente il Guariglia non ebbe mai una buona considerazione. Da parte sua, Mussolini nutrì sentimenti contraddittori nei confronti di Guariglia di cui apprezzava la competenza, ma di cui mal sopportava la libertà di giudizio anche se dovette spesso riconoscere la fondatezza dei pareri da lui espressi, come nel caso della crisi di Corfù, quando Guariglia e Contarini lo convinsero a risolvere la questione per via diplomatica rinunciando all’occupazione. Dino Grandi, allora sottosegretario agli Esteri, e Guariglia, tentarono, poi, di costruire un sistema diplomatico che facesse perno sulla tradizionale amicizia con l’Inghilterra, essenziale ai fini della realizzazione delle nostre aspirazioni coloniali (in questo contesto va ricordato l’accordo italo-inglese del 1927 sul Mar Rosso). Fino al 1928 continuò ad occuparsi di questioni africane e della questione etiopica in particolare, poi la politica africana passò in secondo piano e l’attenzione di Guariglia dovette concentrarsi sulla grande politica europea: da una parte, d’intesa con Grandi, si adoperò per imbrigliare l’attivismo personale di Mussolini nella sfera diplomatica, dall’altra si sforzò di promuovere una realistica difesa degli interessi nazionali in un quadro internazionale in movimento. L’alleanza con l’Inghilterra non era meno indispensabile per garantire un sistema di sicurezza in Europa, anche se in questo caso non si poteva prescindere dalla ricerca di un modus vivendi accettabile pure con la Francia. Per raggiungere tale ultimo obiettivo, Guariglia, nella scia di Grandi, si adoperò per tranquillizzare Parigi circa le ambizioni italiane nei Balcani perseguendo una politica di distensione con la Jugoslavia, e proponendo alla Francia un coordinamento delle rispettive posizioni nei confronti della Germania. L’azione di Guariglia era in perfetta corrispondenza con il programma Grandi che puntava alla sicurezza in Europa e all’espansione in Africa nel quadro di una cooperazione italo-inglese a livello bilaterale e nell’ambito della Società delle Nazioni. Di lì a qualche mese l’incompatibilità tra Mussolini e Grandi portò alle forzate dimissioni di quest’ultimo e all’allontanamento del suo entourage, con un esteso movimento in cui venne inserito anche Guariglia, per il quale Grandi ottenne comunque la nomina di ambasciatore a Madrid. Nella Spagna laboratorio della crisi europea, particolarmente interessante per l’Italia di Mussolini negli anni che precedettero la guerra civile, Guariglia dovette barcamenarsi, non senza abilità, tra un governo repubblicano – con cui si sforzò di mantenere rapporti formalmente corretti – molto sospettoso nei riguardi del regime fascista e un’opposizione di destra (monarchici e cattolici tradizionalisti) con la quale non mancò di prendere contatti, evitando però di farsi coinvolgere in un aperto fiancheggiamento del nascente falangismo franchista e si adoperò per far sì che esso prendesse come punto di riferimento Roma piuttosto che Berlino. Nell’aprile 1935 Guariglia rientrò in Italia per l’improvvisa morte della moglie e fu nominato coordinatore degli uffici che si occupavano della questione etiopica, di nuovo all’ordine del giorno dopo gli incidenti di Uàl-Uàl. Estraneo all’infelice preparazione diplomatica della guerra, in un primo momento cercò, senza riuscirci, di trovare una soluzione accettabile per la Società delle Nazioni e per gli anglo-francesi, quindi lavorò per trovare una giustificazione politica all’intervento in Etiopia già deciso da Mussolini. Personalmente egli non era contrario all’annessione dell’Etiopia ma non condivideva i metodi spicci con cui il duce tagliò il nodo etiopico. Nell’agosto 1936 venne destinato a Buenos Aires, dove rimase fino al 1938. Trasferito a Parigi, Guariglia si sentì costretto in un esilio dorato, viste le cattive relazioni tra i due paesi. Nonostante il successo della conferenza di Monaco (1938), peraltro da lui considerato un bluff, egli non nutriva più alcuna fiducia nei confronti della politica estera del duce e di fatto non aveva più rapporti personali con Mussolini. Infatti, prima della partenza per Parigi non fu ricevuto da Mussolini, mentre il ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, nel corso dell’udienza riservata, gli dette l’istruzione verbale di “non far niente”, cui egli rispose “che sarebbe stato difficile ma avrebbe fatto il suo meglio”. Nella nuova sede Guariglia cercò di esercitare un’influenza moderatrice sulla politica antifrancese del governo italiano e con notevole coraggio prese le distanze da episodi come quelli del 30 novembre 1938, quando a Roma si ebbero alla Camera manifestazioni antifrancesi; quindi si sforzò di ammorbidire le reazioni anti-italiane e di mantenere rapporti per quanto possibile amichevoli con esponenti di governo francesi che ne apprezzarono le qualità umane e professionali. Quando il governo italiano, nel settembre 1939, si produsse in un’inutile mediazione nell’impossibile tentativo di scongiurare la guerra, ricorse Guariglia, contando sul suo prestigio personale. Questi, che non aveva visto con simpatia il Patto d’acciaio, si illuse che la non belligeranza si potesse trasformare in neutralità e non nascose nei suoi rapporti la preoccupazione per una pax Germanica. Fino all’ultimo si sforzò di tenere aperta una trattativa con la Francia che dovette infine lasciare nel giugno 1940, in seguito alla dichiarazione di guerra. Tornato a Roma, scrisse articoli nel settimanale di fronda Oggi, diretto da Longanesi, e tenne conferenze, in cui erano contenute critiche, neppure tanto larvate, alla politica estera fascista. Rimase praticamente senza incarico sino al febbraio 1942, quando fu nominato rappresentante italiano presso la Santa Sede. In questo incarico Guariglia si trovò a svolgere una missione delicata, dovendo attutire le conseguenze del ritorno di fiamma anticlericale di Mussolini che considerava il Vaticano un “covo di disfattismo”; favorì, poi, la mediazione vaticana per evitare il bombardamento di Roma. Nel febbraio 1943 fu inviato ad Ankara. Dopo il 25 luglio, su indicazione del re e su suggerimento di Visconti Venosta, Badoglio lo nominò ministro degli Esteri in quanto considerato un tecnico tra i meno compromessi con il fascismo e di provata lealtà dinastica. Tenne la carica per 45 difficilissimi giorni, durante i quali dovette contemporaneamente tenere a bada i Tedeschi, che sospettavano lo sganciamento dell’Italia, e seguire la complessa trama delle trattative con gli Alleati che portarono all’armistizio di Cassibile. Dopo l’8 settembre rimase a Roma e, per mettersi al riparo da una sicura rappresaglia tedesca, si rifugiò nell’ambasciata di Spagna, dove rimase sino alla Liberazione di Roma; raggiunse, quindi, il re a Salerno ospitandolo per un certo tempo nella sua villa al Raito. Sottoposto a procedimento di epurazione, dopo l’archiviazione del procedimento fu riammesso in servizio. Quindi, dopo il 2 giugno 1946, chiese con una dignitosissima lettera ad Alcide De Gasperi di essere collocato a riposo perché non si sentiva di svolgere il proprio ufficio “dopo l’avvenuto cambiamento della forma statale, delle funzioni rappresentative quali erano quelle di ambasciatore”. Nel 1947 fu rappresentante del Sovrano Ordine Militare di Malta in Spagna e nel 1948 candidato come indipendente nella lista del Partito liberale italiano nel collegio di Salerno. Nelle elezioni del 1953 venne eletto senatore nello stesso collegio per il Partito nazionale monarchico, continuando a svolgere un’intensa attività pubblicistica. Guariglia morì a Roma il 25 aprile 1970. (Fonte: Enciclopedia Treccani, testo di Filippo Grassi Orsini – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 60 (2003).
  4. L’Ambasciata Italiana a Lisbona è ubicata nel prestigioso Palazzo dei Conti Pombeiro, palazzo acquistato dal governo italiano nel 1925. Il palazzo fu costruito nelle prime decadi del XVIII secolo, quando il terzo conte Pombeiro, D. Pedro Castelo Branco Correia da Cunha, dette forma all’immobile desiderato dalla nonna, D. Luísa Ponce de Leão, dama di compagnia prediletta di Catarina de Bragança. Fu proprio la regina, ritornata a Lisbona nel 1693, in seguito alla morte del marito Carlo II di Inghilterra, a regalarle i grandi terreni vicini a quelli destinati alla dimora dell’illustre vedova. Come molti edifici della città, il Palazzo dei Conti Pombeiro, fu colpito duramente dal terremoto di Lisbona del 1755 e venne rimodellato alla fine del secolo grazie al Dr. José Luís de Vasconcelos e Sousa, marchese di Castel Melhor, che aveva assunto il titolo di conte Pombeiro in virtù del matrimonio contratto con D.Maria Rita de Castelo Branco Correia e Cunha, dama di compagnia di D. Maria I, che era diventata l’erede del patrimonio di famiglia poiché non vi erano discendenti maschi. Il palazzo deve la sua configurazione architettonica, dunque, a questa figura di rilievo della vita pubblica portoghese che visse tra la metà del XVIII secolo e gli inizi del XIX secolo, appassionato di arti. Da allora l’edificio ha subito interventi architettonici limitati. Entrando dalla sobria facciata che dà sulla strada, accediamo ad un patio centrale intorno a cui si articola l’edificio, e dietro il quale si estende un giardino dove sopravvive ancora la piccola cappella Eremita de Santa Maria Maddalena, la cui esistenza risale alla seconda metà del XVI secolo. Il giardino si estende per più di mezzo ettaro ed è abbellito con cipressi, salici piangenti, palme secolari, magnolie grandiflora, buganville e ibisco. L’uso della pietra portoghese, dalle tonalità calde e chiare, la semplicità del disegno delle finestre e delle porte che danno sul giardino, denotano il rigore di un’architettura che si inserisce perfettamente in un gusto che contraddistingue l’Europa della fine del XVIII secolo. La sede è impreziosita da tre grandi pannelli di azulejos. Il primo ciclo é dedicato al matrimonio di Catarina di Bragança ed al suo viaggio e arrivo in Inghilterra, un altro ciclo è dedicato a varie figure di nobili, mentre il terzo ciclo è dedicato al tema della festa e dei giochi di equitazione. Il palazzo è stato adeguato, al suo interno alle esigenze funzionali dell’Ambasciata: la parte centrale e l’ala ovest del pianterreno sono riservate alle attività di rappresentanza diplomatica, la parte posteriore agli uffici dell’ambasciatore, mentre gli altri uffici sono stati spostati a zone più periferiche dell’edificio. Gli ambienti del piano superiore sono stati scelti ad accogliere l’appartamento dell’ambasciatore. Gli ambienti dell’Ambasciata ospitano, tra le altre, mobilie provenienti da Palazzo Pitti, dal Palazzo reale di Torino, dal palazzo Reale di Milano e dal Palazzo reale di Genova. Per eventuali approfondimenti, si segnala che l’Ambasciatore Gaetano Cortese, è l’autore del libro “Il Palazzo dei Conti di Pombeiro” (Carlo Colombo Spa, Roma, 2020, pp. 221), dedicato alla storica Sede dell’Ambasciata d’Italia a Lisbona. La pubblicazione e’ stata arricchita da una raccolta di immagini che ritraggono la maestosità e l’eleganza dei locali sia interni sia esterni dell’edificio sede dell’Ambasciata.
  5. Il Dottor Francesco Giorgio Mameli, lontano parente dell’eroe risorgimentale, resse le sorti della Rappresentanza diplomatica italiana a Lisbona dal 1934 a fine gennaio 1940. Il periodo più travagliato per lui fu , tuttavia, quello prestato in Bulgaria, a Sofia con credenziali di inviato straordinario e Ministro Plenipotenziario dal giugno 1943. Egli si trovò a vivere, nell’agosto dello stesso anno, i difficili giorni che seguirono la morte del re Boris III, in seguito alla quale venne costituito il Consiglio di Reggenza. Nonostante le condizioni drammatiche del Paese la Missione italiana decise di rimanere. Nel mese di novembre del 1943, dopo aver resistito per più di due mesi, la Legazione lasciò la sede ai funzionari che avevano riconosciuto la Repubblica di Salò, distruggendo prima tutti gli archivi e cifrari. L’ambasciatore Mameli ed il personale della Missione rimasto fedele al giuramento prestato al Re restò a Sofia anche durante i bombardamenti e il 10 gennaio 1944 venne internato fuori Sofia, a Kostenets e Varshets, per ritornare nella capitale il 9 settembre 1944 dopo il colpo di Stato in Bulgaria. In seguito al rientro a Sofia, l’ex Ministro plenipotenziario Mameli, ritrovatosi senza riconoscimento ufficiale, ottenne comunque il diritto di poter proteggere gli interessi italiani salvando così i propri connazionali e i beni italiani dal pericolo derivante dall’accordo di armistizio, di internamento e di confisca. Le normali relazioni italo-bulgare furono ristabilite il 1°gennaio 1945. Il Ministro Mameli fu confermato Ministro Plenipotenziario d’Italia nel Paese in cui era stato internato. In quell’inverno a Sofia affluirono migliaia di ex prigionieri italiani di guerra, da ogni parte dei Balcani e dall’Unione Sovietica, e da Sofia vennero poi rimpatriati in Italia.
  6. L’Unter den Linden, (letteralmente “sotto dei Tigli”), è il maestoso viale nella zona del Mitte di Berlino, la principale arteria est-ovest che attraversa la città che prese il nome dai filari di tigli che furono piantati lì secoli fa. Questo prestigioso viale conduce allo scenografico Schlossbrücke (letteralmente Ponte del Castello) vicino l’Isola dei Musei attraverso la Porta di Brandeburgo in Parizer Platz. La strada si estende lungo 1,5 chilometri ed ha una larghezza di sessanta metri. I tigli sono ancora lì, su quattro file per un totale di circa un migliaio. Il duca Federico Guglielmo, conosciuto anche come il Grande Elettore, si dedicò fortemente allo sviluppo e l’abbellimento di Berlino, durante il suo regno a metà 1600. Al fine di migliorare il percorso dal suo castello dove risiedeva fino al Tiergarten terreno di caccia reale, Federico ordinò la posa di lunghe file di alberi di tiglio, allo scopo anche di mantenere la strada più ombrosa e confortevole per i suoi spostamenti. Ciò significava che il suo giro in carrozza sarebbe avvenuto “Unter den Linden”, letteralmente “sotto i tigli”. Quasi un secolo dopo, il re Federico II ampliò il viale aggiungendo alla zona la sua collezione di edifici culturali, tra cui il Teatro dell’Opera Nazionale e la Biblioteca Nazionale, rendendo l’Unter den Linden più grande e più popolare presso i berlinesi. Nel XIX secolo, il viale era una delle strade più trafficate della città e serviva come luogo d’incontro per molti berlinesi. Dopo la vittoria su Napoleone, alla strada fu abbellita con una pletora di statue in onore dei grandi generali dell’esercito prussiano e fu costituito un corpo di guardia come un memoriale per la vittoria nelle guerre di liberazione (dalla Francia napoleonica), divenendo prestigiosa sede di numerose ambasciate. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Unter den Linden era ridotto a un cumulo di macerie e i magnifici tigli erano scomparsi. Il governo tedesco orientale fece poco per ricostruire la zona e dopo aver eretto il Muro di Berlino nel 1961, l’Unter den Linden fu chiuso poco prima della Porta di Brandeburgo. La strada perse la sua funzione centrale e divenne deserta. Dopo la caduta del muro nel 1989, la strada si è nuovamente e rapidamente rivitalizzata e ad uno ad uno tutti gli edifici lungo il viale sono stati ripristinati o ricostruiti. Lungo l’Under den Linden si trovano numerosi punti di interesse di Berlino, molti dei quali risalgono al periodo d’oro del Regno di Prussia.
  7. A Malines, città belga situata nella provincia di Anversa, nella regione delle Fiandre, si realizzarono tra il 1921 ed il 1925 una serie di incontri tra eminenti esponenti anglicani ecattolici per avvicinare le posizioni delle due chiese e per richiamarle all’unità. Le sessioni si svolsero presso l’arcivescovado di Malines sotto la presidenza del cardinale Mercier. Vi parteciparono, oltre a lord Halifax e Fernard Portal, strenui e tradizionali sostenitori dell’unione tra anglicani e cattolici, per i cattolici, oltre al cardinale, il suo vicario e poi successore monsignor Van Roey, mentre per gli anglicani il dottor Armitage Robinson, decano di Welles e studioso di patristica e il dottor Walter Frere, vescovo di Truro estorico della liturgia. Il Codice sociale di Malines costituisce un insieme di direttive per la soluzione dei problemi sociali alla luce della morale cattolica, riflesso del movimento di pensiero suscitato dalle encicliche sociali di Leone XIII. Fu elaborato tra il 1924 ed il 1926 e pubblicato nel 1927 dall’Unione internazionale di studi sociali, fondata a Malines nel 1920 e diretta da D. Mercier e poi da J. E. van Roey. (Fonte: enciclopedia Treccani)
  8. Helmuth Karl Bernhard Graf von Moltke (Parchim, 26 ottobre 1800 – Berlino, 24 aprile 1891) è stato un generale tedesco, feldmaresciallo, per trent’anni capo di stato maggiore dell’esercito prussiano e artefice delle vittorie sull’Impero austro-ungarico nel 1866 e sulla Francia nel 1870-71. È conosciuto anche come von Moltke il Vecchioper distinguerlo dal nipote Helmuth Johann Ludwig von Moltke, che comandò l’esercito imperiale tedesco allo scoppio della prima guerra mondiale. Discepolo di von Clausewitz, viene considerato uno dei più grandi strateghi militari della storia, particolarmente per la sua capacità (paragonabile a quella di Napoleone Bonaparte) di manovrare grandi eserciti in modo elastico, coordinando abilmente i movimenti dei vari raggruppamenti tattici, rimanendo in grado di superare, con la sua oculata prudenza, le situazioni impreviste, in modo da riuscire sempre a concentrare nel momento e nel punto giusto le sue forze, ottenendo una schiacciante superiorità sul campo di battaglia. Grandi qualità mise in mostra anche nel campo logistico, organizzativo e, soprattutto, nella creazione del moderno lavoro di stato maggiore, creando un nuovo metodo di direzione delle forze armate sul campo, rimasto praticamente immutato, nei suoi concetti fondamentali, fino a oggi. Il ritratto, in cornice ovale, del Feldmaresciallo prussiano era effettivamente presente nella residenza alpina di Hitler al Berghof, ove campeggiava sopra il grande camino in marmo della stanza da lavoro privata del Führer.
  9. Berthold von Stauffenberg, nato il 15 marzo 1905 a Stoccarda e morto il 10 agosto 1944 a Berlino-Plötzensee, era un avvocato e ufficiale tedesco, membro della Resistenza al nazismo e coinvolto, insieme al più famoso fratello Claus, nel complotto noto come “Operazione Valchiria” per uccidere Hitler e rovesciare il nazismo. Durante la seconda guerra mondiale fu ufficiale della Kriegsmarine, nel grado di Korvettenkapitän (Capitano di Corvetta) assegnato all’alto comando della Marina. Al termine di un frettoloso processo al Volksgerichtshof (Tribunale del Popolo guidato dal famigerato giudice Roland Freisler) terminato il 10 agosto 1944, fu impiccato a un gancio da macellaio lo stesso giorno.
  10. Principi esattamente sovrapponibili agli scopi che perseguiva il Circolo Kreisau.
  11. Gudrun Margarete Elfriede Emma Anna Burwitz, nata Himmler (Monaco di Baviera, 8 agosto 1929Monaco di Baviera, 24 maggio 2018), era la figlia di Heinrich Himmler e Margarete Himmler.
  12. La Coppa Mussolini era il premio che veniva assegnato al miglior film nell’ambito della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dalla sua fondazione nel 1932 fino alla soppressione del premio nel 1946 e sua sostituzione con il Leone d’oro. Fu il più antico premio cinematografico istituito, dopo il Premio Oscar.
  13. Villa Mondragone,nel 1865 la villa venne donata ai Gesuiti dal principe Marcantonio V Borghese, divenendo la sede estera del collegio Ghislieri e, successivamente, si inaugurò il Collegio di Mondragone, un convitto per i figli delle classi sociali più elevate.
  14. Le Einsatzgruppen (letteralmente «unità operative», nome completo: Einsatzgruppen der Sicherheitsdienstes [SD] und der Sicherheitspolizei [SIPO]) erano speciali reparti tedeschi, composti da uomini delle SS, della polizia e della Wehrmacht, che operarono nel corso della seconda guerra mondiale, specialmente sul fronte orientale. Le Einsatzgruppen non furono mai unità permanenti ma piuttosto reparti creati ad hoc utilizzando personale proveniente dai ranghi delle SS, dell’SD e da diversi reparti della polizia tedesca come l’Ordnungspolizei, la gendarmeria, la Kripo e la Gestapo. I reparti (ogni Einsatzgruppe contava 600-1.000 uomini) ricevevano un addestramento di una durata variabile tra alcune settimane e alcuni mesi prima di essere impiegati. Una volta che le operazioni erano concluse, le Einsatzgruppen venivano sciolte, anche se generalmente veniva poi reimpiegato lo stesso personale, già esperto, nel caso ci fosse la necessità di riformarle per nuovi impieghi. Le Einsatzgruppen erano assistite nei loro compiti da altre forze di potenze dell’Asse, da soldati della Wehrmacht e delle Waffen SS oppure da battaglioni della polizia tedesca. Durante i massacri in Unione Sovietica le Einsatzgruppen reclutarono partigiani antisemiti locali, in particolare in Lituania e Ucraina, che si distinsero per la loro brutalità. Le Einsatzgruppen furono sotto il controllo di Reinhard Heydrich, comandante dell’Reichssicherheitshauptamt o RSHA (Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich). Le Einsatzgruppen furono impiegate prevalentemente in Unione Sovietica, Polonia e Ungheria, dove svolsero un ruolo fondamentale nel processo dell’Olocausto. Il loro compito principale, nella testimonianza resa nel corso del processo di Norimberga da Erich von dem Bach-Zelewski (Generale dell SS e criminale di guerra), era «l’annientamento di ebrei, zingari e avversari politici», ottenuto mediante fucilazioni di massa e l’utilizzo di autocarri convertiti in camere a gas (i Gaswagen) e poi nei lager specializzati in sterminio. Per la prevista campagna Heydrich formò le Einsatzgruppen per seguire l’avanzata delle armate tedesche ma, a differenza delle precedenti operazioni, diede ai comandanti di queste unità carta bianca per uccidere gli appartenenti a quei gruppi che i tedeschi consideravano ostili. Dopo l’invasione della Polonia le Einsatzgruppen iniziarono quella carriera di «squadre della morte» che le rese tristemente famose «decapitando» l’intellighenzia polacca e uccidendo politici, studiosi, insegnanti e appartenenti al clero. Tale operazione, attentamente pianificata, rientrava nello schema del programma nazionalsocialista teso a trasformare le popolazioni slave – considerate Untermenschen («subumane») – in una riserva di manodopera schiava da impiegare per le esigenze del Reich tedesco. La missione delle Einsatzgruppen era, di conseguenza, la depoliticizzazione forzata del popolo polacco e l’eliminazione dei gruppi che più chiaramente ne rappresentavano l’identità nazionale nel timore che, in seguito, tali «elementi ostili» potessero guidare una rivolta contro i «padroni» tedeschi. Nel corso dell’invasione dell’Unione Sovietica iniziata nel giugno 1941 le Einsatzgruppen uccisero, su scala molto maggiore rispetto a quanto avvenuto in Polonia, ebrei, partigiani e appartenenti al partito comunista. Per l’Operazione Barbarossa furono impiegate quattro Einsatzgruppen totalmente motorizzate e quindi in grado di raggiungere rapidamente ogni area dell’esteso fronte orientale operando nelle aree appena «liberate» dai reparti combattenti dell’esercito. La più efficiente delle Einsatzgruppen impegnate in Unione Sovietica fu la Einsatzgruppe A che operò nelle repubbliche baltiche (Estonia, Lituania e Lettonia) occupate dai sovietici nel 1939 in base al Patto Molotov-Ribbentrop. L’unità fu la prima Einsatzgruppe che portò a termine il compito previsto di eliminare tutti gli ebrei della sua area di competenza rendendola judenfrei (“libera da ebrei”). Dopo il dicembre 1941 le altre tre Einsatzgruppen iniziarono quella che lo storico Raul Hilberg ha definito la «seconda spazzata», terminata nell’estate 1942, cercando di raggiungere i risultati ottenuti dalla Einsatzgruppe A. Si stima che le Einsatzgruppen abbiano ucciso in Unione Sovietica circa 1.500.000 persone: ebrei, comunisti, prigionieri di guerra e zingari. Oltre che ai compiti di sterminio, le Einsatzgruppen vennero anche largamente impiegate nella guerra anti-partigiana. Le Einsatzgruppen seguivano da vicino l’avanzata delle forze armate tedesche e realizzavano di preferenza le loro operazioni nelle città e nei villaggi ove vivevano consistenti comunità ebraiche. Appena giunte nella città provvedevano a emanare decreti che ordinavano a tutti i cittadini ebrei di presentarsi in un punto di raduno dal quale sarebbero stati «reinsediati» in altre località per effettuare un servizio di lavoro obbligatorio. Gli ordini affissi per le strade chiarivano inequivocabilmente che chi non si fosse presentato sarebbe stato passato per le armi. Da rimarcare che, almeno nel primo periodo, gli ebrei sovietici non erano a conoscenza delle terribili condizioni dei loro correligionari polacchi rinchiusi nei ghetti. Per questo motivo gli ebrei furono facilmente ingannati dalla menzogna del «reinsediamento», soprattutto viste le fatali conseguenze che avrebbe provocato il non eseguire l’ordine delle autorità di occupazione. Le persone radunate con l’inganno venivano poi trasferite nei pressi della città, in zone defilate precedentemente selezionate dagli uomini delle Einsatzgruppen. Si procedeva in molti casi all’eliminazione di piccoli gruppi. Alcuni luoghi invece videro lo sterminio sistematico e la sepoltura in fosse comuni di decine e decine di migliaia di persone. Gli sventurati erano condotti presso grandi fosse già scavate, vecchi cantieri in disuso o profondi burroni e fatti spogliare completamente – i vestiti venivano poi inviati agli enti assistenziali tedeschi o ridistribuiti tra la popolazione non ebrea, così da renderla complice o connivente dello sterminio. Nudi, si dovevano avvicinare al bordo delle fosse dove i carnefici – spesso ubriachi – li uccidevano a colpi di mitragliatrice o di pistola. In numerosi casi le vittime erano obbligate a sdraiarsi sullo strato di cadaveri di coloro che erano già stati uccisi prima di essere colpiti da una raffica di mitragliatrice oppure da una pallottola alla nuca. I neonati venivano spesso lanciati in aria e usati come bersaglio per i colpi dei carnefici: la giustificazione addotta era che le tenere carni degli infanti non erano in grado di fermare una pallottola che avrebbe potuto causare pericolosi rimbalzi sul terreno. Una volta terminata l’Aktion – termine con il quale venivano indicati i massacri – le fosse venivano cosparse di calce viva (per impedire lo svilupparsi di epidemie) e ricoperte di terra per cancellare le tracce dei crimini commessi. Vista la concitazione delle operazioni non era inusuale che alcune vittime non venissero uccise ma solamente ferite per poi essere sepolte vive quando la fossa veniva ricoperta. Esistono alcune testimonianze di sopravvissuti che riuscirono a salvarsi uscendo nottetempo dalle fosse. Negli anni successivi, quando la certezza nella vittoria tedesca era ormai compromessa, venne lanciata dalle SS un’«operazione di esumazione» per eliminare definitivamente le prove dei crimini mediante l’esumazione e la cremazione dei cadaveri in grandi roghi. L’operazione, supervisionata da Paul Blobel, già comandante di un Einsatzkommando, prese il nome in codice di Sonderaktion 1005 e vide l’impiego di numerose squadre composte da prigionieri ebrei a loro volta «eliminati» dopo aver effettuato il lavoro, allo scopo di preservare il segreto. I massacri compiuti mediante le fucilazioni mostrarono immediatamente due elementi negativi per le Einsatzgruppen stesse: 1) crolli psicologici che ne coinvolsero il personale: per cercare di mitigare l’orrore del compito che erano chiamati a svolgere – considerato però necessario e giusto dai vertici nazisti – i carnefici ricevevano razioni supplementari di alcolici, operando spesso completamente ubriachi. Nonostante ciò si ebbero numerosi casi di internamento presso case di cura psichiatriche e diversi suicidi tra le file dei membri delle Einsatzgruppen; 2) la paura di Himmler che gli uomini delle SS, da lui considerate un’élite che avrebbe dovuto incarnare tutte le caratteristiche superiori proprie della razza ariana, potessero essere contaminate dalla brutalità del lavoro che erano obbligate a svolgere. Lo stesso Himmler, che notoriamente aborriva la vista del sangue, assistette nel luglio del 1941 a un’Aktion delle Einsatzgruppen rimanendo profondamente scosso. Questo sistema di eliminazione degli ebrei tramite fucilazione è stato anche chiamato “l’Olocausto dei proiettili”, in considerazione dello spaventoso consumo di munizioni che produsse tale sistematico, terribile eccidio. Himmler diede ordine di trovare nuovi metodi, meno cruenti, per portare a termine il compito assegnato alle SS affidando l’incarico ad Arthur Nebe, comandante dell’Einsatzgruppe B. Egli era stato in precedenza a capo della Kripo (la polizia criminale tedesca) ed era stato coinvolto nel programma di eliminazione dei disabili chiamato in codice Aktion T4, sospeso alla fine di agosto del 1941 a causa delle veementi proteste della popolazione tedesca, nel corso del quale era stato sperimentato l’utilizzo di camere a gas funzionanti a monossido di carbonio puro. Tale metodo aveva dato “ottimi risultati” rendendo l’uccisione molto più impersonale e non cruenta – chi apriva il rubinetto delle bombole ove era contenuto il gas non aveva alcun contatto con le vittime in attesa dentro la camera a gas sigillata. Nebe richiese a Berlino, nel settembre 1941, un esperto di chimica che potesse aiutarlo tecnicamente a trovare una soluzione del problema e poco dopo giunse a Minsk, sede del comando di Nebe, il dottor Albert Widmann dell’Istituto di tecnologia criminale. Nebe e Widmann studiarono inizialmente un metodo di uccisione con esplosivi rinchiudendo 25 pazienti psichiatrici in due bunker nei pressi di Minsk e facendoli saltare in aria. L’esperimento si rivelò disastroso e l’esplosione uccise solo parte dei pazienti obbligando a ricorrere a una seconda carica esplosiva. A questo punto Widmann e Nebe, memori delle esperienze del programma T4, pensarono di utilizzare camere a gas funzionanti a monossido di carbonio e, dopo pochi giorni dal fallito esperimento con gli esplosivi, effettuarono una prova nei pressi di Mogilev. L’esperimento venne effettuato su una trentina di pazienti di un manicomio rinchiusi all’interno di una corsia dell’ospedale sigillata all’interno della quale entravano due tubi collegati ai gas di scappamento di un automezzo. Dopo un iniziale problema legato alla scarsa potenza del veicolo impiegato, l’esperimento ebbe successo e tutti i pazienti morirono nel giro di pochi minuti, intossicati dal monossido di carbonio prodotto dai gas di scarico. Il successo dell’esperimento dimostrò ad Himmler ed Heydrich che quella era la strada da percorrere, anche se esistevano alcuni problemi tecnici da risolvere. Le Einsatzgruppen erano unità mobili che operavano su un estesissimo fronte e non sarebbe stato efficiente vincolare il loro operato a installazioni fisse come le camere a gas dell’Aktion T4. L’idea di utilizzare gas di scarico risultò invece efficace perché la produzione di monossido di carbonio puro, impiegato in precedenza, era molto costosa e l’industria chimica tedesca riusciva a produrne solo quantità limitate. Per questo Nebe, con la collaborazione del dottor Hess (superiore di Widmann), studiò una soluzione basata su autocarri con il piano di carico sigillato e collegato, mediante un sistema di tubazioni, ai fumi di scarico prodotti dal motore. In questo modo si sarebbero create vere e proprie camere a gas mobili, i Gaswagen, totalmente autosufficienti anche per l’approvvigionamento di gas. Ottenuta l’approvazione di Heydrich, l’idea venne perfezionata Walter Rauff, capo del dipartimento tecnico dell’RSHA, che progettò autocarri camuffati da ambulanze di due diverse dimensioni e che potevano contenere 140 (probabilmente un Magirus) oppure 90 vittime contemporaneamente. Gli «autocarri della morte» iniziarono a essere utilizzati dalle Einsatzgruppen tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre 1941 per le operazioni di sterminio, ma non rimpiazzarono mai completamente il vecchio metodo basato sulle fucilazioni. Gli addetti agli autocarri caricavano le vittime sul piano di carico e lo sigillavano trasportando il loro triste carico fino al luogo identificato per la sepoltura. La morte sopraggiungeva dopo 15-30 minuti ed eventuali superstiti venivano uccisi con un colpo alla nuca. Entro la metà del 1942 furono prodotti e consegnati alle Einsatzgruppen circa 30 autocarri convertiti, prodotti dall’azienda privata berlinese Gabschat Farengewerke Gmbh. Il primo campo di sterminio reso operativo l’8 dicembre 1941 a Chełmno, utilizzò tre camere a gas mobili prima che il metodo venisse ulteriormente perfezionato per i nuovi campi dell’Operazione Reinhard, che utilizzarono invece camere a gas fisse. L’utilizzo dei gas di scarico non venne però abbandonato e, negli anni successivi, solamente Auschwitz e Majdanek si differenziarono utilizzando il gas Zyklon B come agente tossico. L’autorità superiore diretta delle Einsatzgruppen, che rispondeva direttamente a Himmler e Hitler, era l’SS- und Polizeiführer della zona di impiego delle singole Einsatzgruppen. Egli supervisionava tutte le attività delle «squadre della morte» e provvedeva a inoltrare all’RSHA i rapporti che gli giungevano dagli uomini sul campo dopo averli esaminati. Al termine del secondo conflitto mondiale molti SS- und Polizeiführer che avevano supervisionato le attività in Europa orientale e in Unione Sovietica scomparvero sottraendosi alla giustizia oppure si suicidarono consci che i crimini commessi non sarebbero stati perdonati. Molti membri delle Einsatzgruppen vennero successivamente impiegati al fronte dove morirono, oppure, caduti in mano nemica, giustiziati (perché appartenenti alle SS) oppure internati nei campi di prigionia dove moltissimi trovarono la morte. I rimanenti, al termine del conflitto, tornarono in Germania o alle loro nazioni d’origine dove solo raramente furono formalmente perseguiti per i crimini commessi. I comandanti e i coordinatori principali delle Einsatzgruppen vennero processati con l’accusa di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e affiliazione alle SS – le SS vennero dichiarate organizzazione criminale – da un tribunale degli Stati Uniti d’America nel corso dei processi secondari tenuti a Norimberga a completamento del primo Processo contro i maggiori esponenti del Terzo Reich. Il processo agli Einsatzgruppen vide coinvolti 24 imputati che si dichiararono «non colpevoli». Furono pronunciate 14 sentenze di morte delle quali solo quattro eseguite, il 7 giugno 1951, prima che un’amnistia commutasse le rimanenti a pene detentive.
  15. Foreign Office, ovvero il Ministero degli Affari esteri britannico.
  16. Il Volksgerichtshof (VGH, ossia Tribunale del Popolo), attivo in Germania tra il 1934 e il 1945, è stato un tribunale penale speciale competente per i reati politici contro il regime nazista, come avvenne in Italia con il Tribunale speciale fascista. Il tribunale è tristemente famoso per l’impressionante numero di condanne a morte (circa 5.300) pronunciate nel giro di pochi anni sotto la presidenza di Roland Freisler, il giudice più crudele di Hitler. Gran parte delle persone giudicate colpevoli, i più temibili nemici del Führer e del nazismo ma anche gente semplice, persero poi la vita nella prigione di Plötzensee. Solo nel 1944, il VGH giudicò 4.428 imputati ed emise 2.097 condanne a morte e 1.842 al carcere, contro 489 assoluzioni. Il 3 febbraio 1945 il Volksgerichtshof venne distrutto da un bombardamento aereo dell’USAAF, guidato dal tenente colonnello Robert Rosenthal, che costò la vita anche a Freisler, in quanto quest’ultimo venne colpito al cranio da una colonna di muratura, o forse da schegge, mentre si stava dirigendo verso il rifugio antiaereo, uccidendolo all’istante. La sua morte salvò dall’esecuzione Fabian von Schlabrendorff, uno dei cospiratori del 20 luglio. Il Volksgerichtshof condannò tra gli altri i membri di gruppi di resistenza al nazismo come la Rosa Bianca, l’Orchestra Rossa, i Pirati della Stella Alpina e il Circolo di Kreisau, ma anche persone e gruppi senza nome che erano finiti nelle mani della polizia politica nazista. Nel 1956 la Corte Federale Tedesca (Bundesgerichtshof) concesse agli ex-membri del VGH il cosiddetto privilegio del giudicante, secondo il quale nessun magistrato può essere condannato per aver applicato la legge che era in vigore al momento del fatto oppure se non si è reso conto dell’ingiustizia del proprio operato. La Procura Federale di Berlino concluse nel 1986 i procedimenti istruttori, dopo che il 25 gennaio 1985 il Bundestag aveva definito il VGH come “strumento di terrore per l’imposizione del dominio arbitrario nazionalsocialista”, dichiarandone decadute tutte le sentenze. Tranne che in un solo caso dovuto a una corte statunitense, nessuno dei circa 570 giudici e pubblici ministeri è stato così chiamato a rendere conto del proprio operato. Nella Repubblica Federale Tedesca solo quattro persone sono state condannate per complicità e delazione, un numero davvero esiguo. Tutto ciò evidenzia come, nella concreta realtà, in Germania ci sia stato nel dopoguerra molto desiderio di normalizzazione.
  17. Roland Freisler (Celle, 30 ottobre 1893Berlino, 3 febbraio 1945) è stato un giurista tedesco della Repubblica di Weimar e del Terzo Reich, noto come il giudice-boia al servizio di Hitler. Da avvocato di successo, molto presto, spinto dalla una smodata ambizione, diventò un fanatico sostenitore del nuovo diritto nazista. Non un dubbio lo tormentava e fu proprio nell’ambito del regime che raggiunse alte posizioni, in cui poté sfogare tutta la sua sfrenata ambizione e la sua cupidigia di potere, un collaboratore dell’opera di stravolgimento e cancellazione della teoria del diritto che nasceva dall’Illuminismo. Infatti, dall’agosto 1942 fino alla sua morte, avvenuta durante un pesante bombardamento alleato su Berlino, fu presidente del Volksgerichtshof, il supremo tribunale nazista per i delitti politici. Si rese responsabile di migliaia di condanne a morte a seguito dei dibattimenti da lui presieduti nell’ultimo triennio del regime nazista, perlopiù processi farsa, i cui esiti erano scontati fin dal principio. Freisler è tristemente noto come il più tristemente celebre giudice penale del Terzo Reich. Il suo atteggiamento aggressivo e mortificante nei confronti degli imputati è un esempio rappresentativo della “stortura del diritto” (Rechtsbeugung) sotto il nazismo e dell’asservimento della giustizia al terrore organizzato di regime. La carriera di Roland Freisler coincise con il graduale smantellamento della giustizia nella Germania nazista. I concetti stessi di giustizia e di diritto vennero in quegli anni svuotati di significato, laddove la violenza, la prevaricazione e il sopruso divennero invece pratica diffusa e comune. Nei suoi innumerevoli saggi e discorsi scritti, Freisler illustrò il suo pensiero sugli scopi della giustizia: il crimine comune è da perseguire sia in quanto reato, sia come tradimento verso lo Stato e il popolo, e traditore è considerato chiunque intralci in qualunque modo la strada al nazionalsocialismo. Freisler contribuì a diffondere nel sistema giuridico tedesco concetti quali “razza”, “principio di autorità” e “popolo” e in nome di questi principi avallò le responsabilità del regime. Il fervore e fanatismo con cui Freisler condusse la sua battaglia in nome dello Stato nazionalsocialista gli provocarono però anche diversi nemici tra le fila del suo stesso partito e dei colleghi magistrati: Martin Bormann, il plenipotenziario segretario di Hitler, lo considerava un pazzo invasato, mentre per Reinhard Heydrich, che non tollerava il suo servilismo verso i grandi capi del Reich, Freisler era un “viscido guitto”. Il ministro della propaganda Joseph Goebbels era l’unico leader nazista ben disposto verso Freisler. La mattina del 3 febbraio 1945, un sabato, aveva deciso di consegnare al boia molti giovani ufficiali traditori che avevano partecipato al complotto del 20 luglio. Alle 10:39, le sirene dell’allarme aereo cominciarono a suonare e, un minuto dopo, i bombardieri americani, guidati dal tenente colonnello Robert Rosenthal, ebreo, futuro procuratore di Norimberga, si stavano avvicinando al centro urbano. I procedimenti contro gli imputati vennero aggiornati in fretta e Freisler ordinò che i prigionieri davanti a lui fossero portati in un rifugio antiaereo. Alle 11:03, nel bunker, si ricordò che alcuni fascicoli erano rimasti nella sala delle udienze e andò a recuperarli. Alle 11:08, una delle bombe dirompenti colpì duramente il palazzo di giustizia e Freisler morì all’istante con il cranio schiacciato da una colonna di muratura crollata dal soffitto. Il fascicolo di Fabian von Schlabrendorff, uno degli imputati, era tra questi e lo portava ancora sottobraccio quando trovarono il suo cadavere sotto le macerie, salvando Schlabrendorff dall’esecuzione. Il suo corpo fu portato all’ospedale di Lützow, dove un lavoratore commentò “È il verdetto di Dio” e nessuno disse una parola in risposta. Siccome gli furono negati degli onorevoli funerali di Stato dallo stesso Hitler, fu sepolto in modo anonimo nella tomba di famiglia della moglie, nel cimitero forestale di Dahlem am Hüttenweg, a Berlino. Il suo nome non è indicato sulla lapide: non era mai stato un individuo molto benvoluto neanche da molti fedeli nazisti, che lo temevano e lo odiavano. Perfino la famiglia era disgustata dal suo ruolo nel regime nazista e, dopo la guerra, la moglie e i figli cambiarono nome.
  18. Il termine Bundeswehr (tedesco “Difesa federale”) è il nome ufficiale delle forze armate della Repubblica Federale di Germania e la loro amministrazione civile, nome che ha sostituito la definizione Wehrmacht, con la sconfitta della Germania nazista al termine della seconda guerra mondiale.
  19. John Foster Dulles dichiarò “Ci sono due modi per conquistare una nazione: uno è quello di assoggettarne la popolazione con la forza delle armi, l’altro di assoggettarne l’economia mediante mezzi finanziari”. (Fonte: Felix Greene, Il nemico, Gli Struzzi 38, Einaudi editore Torino, 1973, p.158).
  20. Hjalmar Schacht, fu un economista, presidente della Reichsbank, la banca centrale tedesca, e ministro dell’economia nella Germania nazista dal 1934 al 1937. Schacht intraprese una politica economica simile a quella di Franklin Delano Roosevelt, il cosiddetto New Deal: con una forte politica di Lavori Pubblici promosse la costruzione della rete autostradale tedesca e risolse i problemi di disoccupazione, creando dal nulla milioni di posti di lavoro. I principali provvedimenti intrapresi da Schacht furono: l’annullamento del debito estero, la nazionalizzazione delle grandi imprese, la germanizzazione di quelle piccole; finanziò lo sviluppo e la capitalizzazione delle aziende tedesche attraverso i MEFO, delle obbligazioni emesse sul mercato interno, una sorta di titoli garantiti dallo Stato, con i quali il Tesoro tedesco poteva rastrellare liquidità da impiegare per favorire la ripresa e lo sviluppo economico della Germania oltre che la produzione di armamenti per soddisfare i piani di riarmo nazisti. I MEFO erano un mezzo di pagamento che non lasciava traccia nei libri contabili e nel bilancio statale, in modo da non insospettire le potenze vincitrici della prima guerra mondiale, insomma una sorta di geniale artificio contabile che consentì, da un lato, alle imprese tedesche di risanarsi e ricapitalizzarsi, dall’altro all’economia del III Reich di generare il riarmo richiesto da Hitler in un tempo ristretto. Schacht venne rimosso dalla carica di Ministro dell’economia nel novembre del 1937 a causa di disaccordi con Hitler ed Hermann Göring sulle eccessive spese militari che, secondo Schacht, avrebbero portato ad una catastrofica inflazione. Fu comunque soprattutto una questione ideologica, derivante dalla differenza tra il conservatorismo politico della destra tradizionale e quello “rivoluzionario” del nazionalsocialismo. Mantenne la carica di presidente della Reichsbank fino a quando Hitler non gli impose le dimissioni nel gennaio del 1939. Schacht mantenne comunque il titolo di Ministro senza portafoglio e ricevette lo stipendio di Presidente della Reichsbank fino al gennaio del 1943, quando venne posto definitivamente in congedo. Fu incarcerato durante la caccia alle streghe seguita al fallito attentato ad Hitler del 1944, cosa che gli giovò molto al processo di Norimberga ove pur essendo chiaro che avesse direttamente finanziato l’ascesa al potere del movimento nazista, l’accusa non riuscì a produrre le prove del suo diretto coinvolgimento nella preparazione della guerra aggressiva e venne dichiarato “non colpevole” (unico insieme a Franz von Papen e a Hans Fritzsche).
  21. Henry Ford fu autore, tra l’altro, di un libretto in 4 volumi dal titolo L’ebreo internazionale (“The International Jew: The World’s Foremost Problem”). Il libretto, che descrive il progetto di dominio sul mondo da parte del popolo ebreo, fu ampiamente diffuso in Germania durante il nazismo e fu fonte di ispirazione per Hitler. Ford sostenne anche l’autenticità dei Protocolli dei Savi di Sion e ne fece stampare un’edizione a sue spese, regalando copie autografate del libro; in seguito, tuttavia, ordinò di ritirare le copie dal commercio facendo pubblica ammenda di tale iniziativa ed arrivando poi a sostenere in un’intervista resa nel 1937 al Detroit Jewish Chronicle di esserne stato addirittura all’oscuro. Sul coinvolgimento dei colossi dell’industria americana nella Germania nazista vedasi la puntata di “La Storia siamo noi” di Giovanni Minoli RaiTre/Edu dal titolo “La doppia guerra di Hitler e le industrie americane”, disponibile sulla piattaforma YouTube. Sul coinvolgimento della IBM si veda anche lo scrittore investigativo, Edwin Black, nel suo libro ”IBM e l’Olocausto’’, pubblicato nel 2001 in Gran Bretagna e Stati Uniti.
  22. Il German-American Bund fu un movimento di ispirazione nazista organizzatosi negli Stati Uniti d’America a partire dal 1936, principalmente negli ambienti della comunità dei tedeschi americani; finanziariamente sostenuto dal governo della Germania nazista, il movimento era incaricato di propagandare gli ideali del nazismo negli Stati Uniti. Nel 1939 il movimento poteva contare su circa 20.000 membri, ma dopo varie inchieste giudiziarie a carico dei suoi dirigenti conobbe un rapido declino e fu infine sciolto dopo l’ingresso degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale. Fece scalpore il raduno dei nazisti americani che il Movimento organizzò il 20 febbraio 1939 al Madison Square Garden di New York, cui parteciparono ben 22.000 persone. Il leader del Movimento (si faceva chiamare dai suoi adepti Bundesführer) fu Fritz Julius Kuhn Veterano della Grande Guerra ed emigrato negli Stati Uniti d’America nel 1928, lavorò come chimico per Ford, anch’egli filo-nazista, prima di entrare in politica all’interno dell’organizzazione filo-nazista Friends of New Germany (cd. FONG), sciolto nel dicembre del 1935 e sulle cui “ceneri” nacque il German-American Bund. Nel 1939 Kuhn venne condannato a due anni e mezzo di prigione per appropriazione indebita per aver sottratto a scopi personali fondi del Movimento. In seguito fu privato della cittadinanza statunitense ed espulso in Germania, dove morì nel 1951 a Monaco di Baviera dove era nato nel 1896.
  23. Si pensi che Lindbergh si batté affinché gli Stati Uniti restassero neutrali nella seconda guerra mondiale anche quando fu chiaro quali fossero i propositi di Hitler, arrivando ad accusare gli ebrei di aver portato l’Europa nel conflitto e di esserne una delle cause. Proprio Lindbergh, in un famoso discorso alla Yale University nell’ottobre 1940 chiese che gli Stati Uniti riconoscessero “le nuove potenze europee” e dichiarò che “la razza ebraica” era tra coloro che con più forza ed efficacia spingevano gli Stati Uniti, “per ragioni che non sono americane”, verso l’intervento nella guerra.
  24. Le Quattro libertàè una dottrina politica di Franklin Delano Roosevelt esplicitata il 6 gennaio 1941 nell’annuale discorso sullo stato dell’Unione pronunciato innanzi al Congresso americano. Erano quattro obiettivi fondamentali, libertà di cui “ogni persona nel mondo dovrebbe godere”: 1) Libertà di espressione; 2) Libertà religiosa; 3) Libertà dal bisogno e dalla miseria; 4) Libertà dalla paura. Le prime due libertà, opinione e religione, erano e sono protette dal Primo emendamentodella Costituzionedegli Stati Uniti d’America. L’inclusione delle altre due libertà andò oltre i tradizionali valori costituzionali protetti dal Bill of Rights. Roosevelt voleva supportare un concetto più ampio di diritti umani e anticipò quello che sarebbe diventato il paradigma della sicurezza nelle scienze sociali e nello sviluppo economico. Incluse anche la libertà dalla paura, contro l’aggressione fra nazioni, aprendo la strada alla creazione delle Nazioni Unite.
  25. L’U-Boot 552 era un sommergibile oceanico della classe VII-C. Il 31 ottobre 1941, al comando del capitano di Corvetta Erich Topp, affondò il cacciatorpediniere statunitense USS Reuben James (DD-245) mentre a sud dell’Islanda scortava un convoglio diretto in Gran Bretagna. Ciò creo un grave crisi diplomatica tra Germania e Stati Uniti, in quanto questi ultimi erano ancora formalmente neutrali, ancorché avessero assunto l’onere, con il Lend-lease act (Legge degli affitti e prestiti) dell’11 marzo 1941, verso il Regno Unito, l’Unione Sovietica, Francia, Cina e altri Paesi alleati di fornire in grandi quantità aiuti commerciali e materiale bellico senza esigerne l’immediato pagamento e di proteggere il naviglio commerciale che li trasportava in Gran Bretagna o verso altre destinazioni, segnando così il punto di svolta nell’atteggiamento dell’opinione pubblica americana da isolazionista e neutrale ad interventista ed anti-nazista. L’U-Boot 552 ebbe una vita insolitamente longeva per un sommergibile oceanico; infatti, sopravvisse al conflitto mondiale e fu auto-affondato da suo equipaggio il 5 maggio 1945 nell’ansa di Helgoland, nel mare del Nord alla foce del Fiume Elba, per evitare che cadesse nelle mani degli Alleati.
  26. Nel 1939 il Prodotto interno lordo statunitense ammontava a ben 60 miliardi di dollari, una cifra spaventosa per l’epoca, mentre a confronto il PIL della Germania era di 11 miliardi di dollari e quello del Regno Unito, colonie comprese, si attestava su 14 miliardi di dollari.
  27. Device, nel linguaggio dell’informatica “dispositivo elettronico”.
  28. Il Piaggio P180 AvantiIIè un aereo da trasporto executive da 6-9 passeggeri, progettato e costruito dall’italiana Piaggio Aerospace ed utilizzato anche dalla nostra Aeronautica militare. È l’unico aeroplano al mondo prodotto in serie che sia stato progettato, sviluppato e certificato con una configurazione a tre superfici portanti.
  29. Libia, la cosiddetta “quarta sponda” dell’Italia così definita in seguito alla guerra italo-turca del 1911-1912. Al termine del conflitto, i territori conquistati all’Impero ottomano furono organizzati nelle due colonie della Tripolitania italiana e della Cirenaica italiana e tali restarono sino al 1934, quando furono riunite in un unico governo, quello della Libia italiana. Nel 1939 infine, Mussolini unificò la Libia al territorio metropolitano italiano, costituendo così la cosiddetta “Quarta Sponda” italiana (oltre le tre della penisola). Questa avrebbe segnato il confine meridionale della Grande Italia, il cui compimento prevedeva la conquista della “Quinta Sponda” sull’Adriatico, con la Provincia di Lubiana, il Governatorato di Dalmazia, il Montenegro occupato e l’Albania italiana.
  30. in realtà esiste in seno all’Aeronautica militare italiana la Divisione Aerea di Sperimentazione Aeronautica e Spaziale (acronimo D.A.S.A.S.) che nasce per affrontare con metodologie interdisciplinari (tecnico-operative, ingegneristiche e mediche del settore aeronautico, chimico-fisico e sanitario) e in sinergia con le eccellenze aeronautiche nazionali e internazionali, le attività di studio, sperimentazione, collaudo, valutazione tecnico-operativa e supporto alla ricerca, dei nuovi sistemi d’arma aeronautici, anche a beneficio di altre Forze Armate e/o Corpi Armati dello Stato, quando richiesto. (Fonte: Ministero della Difesa/Aeronautica militare).
  31. C.N.R. è l’acronimo di Comitato Nazionale delle Ricerche.
  32. Contessa Florio, moglie di Italo Balbo. Nell’inverno del 1919 Balbo era stato presentato alla contessina Emanuela Florio (1901-1980), di San Daniele del Friuli, con la quale nel 1924, alla morte del conte Florio, si sposò. Fin quando rimase in vita infatti, il conte Florio si oppose fermamente al matrimonio, nonostante gli incarichi di sempre maggiore prestigio che Balbo andava ricoprendo. Dal matrimonio nacquero tre figli (Giuliana nel 1926, Valeria nel 1928 e Paolo nel 1930). (Fonte: libera enciclopedia del web Wikipedia)
  33. Espressione gergale militare per significare l’azione di guerra tecnologica/elettronica mirata a bruciare o a mettere fuori uso gli apparati di tele e radiotrasmissione del nemico attraverso l’uso di onde elettromagnetiche, raggi laser, sistemi ad infrarossi o a microonde. Vedi in dettaglio note n.271 e n.287.
  34. USS Jimmy Carter, sottomarino statunitense della classe Seawolf, il più veloce al mondo anche in immersione (40 nodi).
  35. Le Navy Sealssono le forze speciali della United States Navy, la Marina degli Stati Uniti. Come per le altre forze speciali (Delta Force dell’Esercito americano, le S.A.S. dell’Esercito britannicoed i Comsubin della Marina Italiana, i parà del Col Moschin e Alpini Rangers dell’Esercito italiano, etc.) vengono impiegati soprattutto in conflitti e guerre non convenzionali, difesa interna, azione diretta e azioni anti-terrorismo nonché in missioni speciali di ricognizione in ambienti operativi ostili, nel caso dei Seals prevalentemente marittimi e costieri ed in immersione. Come per i Comsubin italiani e le S.A.S. britanniche, si avvalgono anche di speciali sommergibili tascabili in configurazione stealth (invisibile, occulta) per missioni anfibie di infiltrazione di unità scelte in acque ostili, contro-terrorismo, neutralizzazione di ordigni/mine, sorveglianza e lavoro di intelligence. (Cfr. https://www.congedatifolgore.com/it/marina-ritorna-il-sottomarino-tascabile-versione-moderna-del-maiale/; https://www.congedatifolgore.com/it/i-navy-seals-avranno-in-dotazione-nuovi-mini-sommergibili-per-operazioni-belliche-anfibie/)
  36. Crucco, nome con cui nella seconda guerra mondiale i soldati italiani chiamavano gli abitanti della Jugoslavia meridionale con i quali erano a contatto. In un secondo tempo fu riferito (anche nella forma cruco), dai soldati che combattevano in Russia e poi dai partigiani, ai soldati tedeschi. Come aggettivo, con intonazione spregiativa, è riferito in genere a tutto ciò che è tedesco. (Fonte: Enciclopedia Treccani).
  37. l’arredamento dello studio privato di Hitler al Berghof fu realizzato dallo studio Troost, l’architetto preferito del Führered i cui disegni neoclassici dell’edificio Führerbau e della Haus der Kunst, entrambi di Monaco (l’ultimo sede del Museo di Monaco di Baviera) influenzarono lo stile dell’architettura nazista. (Fonte: “Memorie del Terzo Reich” di Albert Speer, pag. 114)
  38. “I casi sono due” era un tipico intercalare di Hitler, fonte di canzonatura da parte del suo entourage anche in sua presenza, senza che peraltro se ne offendesse. La sua Segretaria Christa Schröder (vedi precedente nota n.24) si serviva di questo suo intercalare per applicarlo in sua presenza alle questioni più banali come: “i casi sono due: o piove o non piove”. (Fonte: “Memorie del Terzo Reich” di Albert Speer, pag. 127)
  39. Sala Briefingdella Presidenza del Consiglio dei Ministri: è una sala di fantasia dell’Autore non riferibile ad una corrispondente alla realtà fattuale; in realtà, normalmente è una sala utilizzata a livello istituzionale e militare ove usualmente si svolgono riunioni di Staff e di Stato Maggiore.
  40. Sir Percy Loraine, vero Ambasciatore britannico presso il Regno d’Italia dal 1939 al 1940.
  41. Lord D’Arcy Osborne, vero Ambasciatore britannico presso la Santa Sede dal 1936 al 1947. Ebbe un ruolo importante nelle trattative segrete condotte in Vaticano tra il gruppo di rivoltosi capeggiato dal Feldmaresciallo Beck ed il Governo britannico, con la mediazione di Papa Pacelli (Pio XII).
  42. Nome di fantasia dell’Autore per impersonare l’Ambasciatore francese in Italia.
  43. Telegramma Urgentissimo segreto, ovveroT.uu.s.: abbreviazione, nel cifrario diplomatico, dei documenti inviati e/o ricevuti per via diplomatica attraverso un telegramma classificato urgentissimo e segreto.
  44. personaggio di fantasia: Comandante del Sommergibile USS Jimmy Carter, classe Seawolf.
  45. U-BOOT 570, sommergibile tedesco realmente esistito. Era un U-Boot di tipo VII C utilizzato dalla Kriegsmarine (Marina da guerra del Reich) durante la seconda guerra mondiale e assegnato alla 3. Unterseebootsflottille (flottiglia sottomarina). La sua storia è davvero incredibile e tragicomica. Questo sottomarino fu varato con un equipaggio quasi alle prime armi: la metà degli uomini, compreso il capitano, non era mai stata prima in un sottomarino. Questa inesperienza costò cara. Il 26 agosto 1941, il sottomarino si arenò e furono necessarie due ore per riprendere la navigazione. Poi nel mare d’Islanda, preso dal maltempo, l’equipaggio soffrì sempre più di mal di mare e scoppiò un ammutinamento che costrinse il capitano a risalire in superficie. Fu quindi notato da un bombardiere britannico Lockheed Hudson (del 269° Squadrone della RAF) che lo attaccò con bombe di profondità. I marinai che prendevano aria sul ponte agitavano i loro fazzoletti bianchi per significare la loro resa. L’aeroplano, invece, ripassò per mitragliarli, ed immortalò questa straordinaria resa ai suoi superiori. Il giorno successivo l’ammiraglio Parcy Noble incaricò diversi battelli, tra cui due cacciatorpediniere, di intercettare l’U-570. Fu quindi catturato dalle forze britanniche il 27 agosto 1941 nell’Atlantico settentrionale a sud dell’Islanda, in posizione 62.15N, 18.35W. Rimorchiato a Thorlakshafn, in Islanda, e recuperato con 44 sopravvissuti (nessuna vittima). Divenne poi sottomarino britannico con il nome HMS Graph il 5 ottobre 1941, ma il suo destino non migliorò. Fu successivamente dismesso dal servizio attivo il 21 giugno 1943. Si arenò sulla costa occidentale di Islay, in Scozia, il 20 marzo 1944, mentre era in viaggio per la demolizione. Il relitto fu infine demolito nel 1961. (Fonte: vari articoli tratti da fonti aperte su internet). L’autore ha scelto per una missione così ardita proprio questo battello sottomarino (ed il suo equipaggio) come un modo postumo per restituirgli una sua dignità bellica, visto il modo in cui l’ha persa, tra il triste ed il ridicolo.
  46. Punto Nave, nel linguaggio marinaresco, posizione geografica di una nave in un dato istante individuata dall’incrocio delle coordinate geografiche di latitudine (parallelo terrestre) e di longitudine (meridiano terrestre), ovvero dal rilevamento e dalla distanza di almeno un punto notevole e trigonometricamente definito.
  47. Si tratta della macchina telescrivente cifrante a rotori Sigaba Converter M-134-C del 1939 perfettamente funzionante, realmente esposta presso il Museo di Lago Patria del Comando JFC-NATO.
  48. Josef Müller (Steinwiesen, 27 marzo 1898Monaco di Baviera, 12 settembre 1979) è stato un politico tedesco. Avvocato a Monaco di Baviera, a partire dal 1933 entrò in politica per opporsi a Adolf Hitler ed al nazismo. Nel 1939 entrò in contatto con i circoli militari facenti capo al generale Ludwig Beck. Nel 1943 fu arrestato e sottoposto a processo. Venne poi internato dal 1944 alla fine del conflitto nei campi di concentramento di Buchenwald e di Dachau. Da li venne trasportato come ostaggio delle SS, in quanto facente parte di un gruppo di prigionieri importanti. Questi furono portati a Villabassa in Val Pusteria (Alto Adige), dove vennero liberati dagli Alleati presso il lago di Braies il 5 maggio 1945. Sempre nel 1945 fu tra i fondatori della CSU e rivestì importanti incarichi nel governo della Baviera.
  49. si tratta di Ufficiali che avevano le stesse idee del Generale von Treskow e che, come Capo dell’Ufficio operazioni del Gruppo d’armate Centro (Heeresgruppe Mitte) nell’Operazione Barbarossa in Unione Sovietica, egli riuscì a riunire sistematicamente attorno a sé, ponendoli in posizioni chiave, creando presso il quartier generale del Gruppo d’armate Centro un gruppo di ufficiali cospiratori, in costante contatto con il movimento di resistenza berlinese, che faceva capo a Carl Friedrich Goerdeler, già sindaco di Lipsia, e al Generale Beck. Quando, nel 1942, il Colonnello – poi maggior generale – Hans Oster, vice capo dell’Abwehr (il servizio segreto militare del Reich) e attivissimo cospiratore, già coinvolto con l’Ammiraglio Canaris (Capo dell’Abwehr) nel 1938 in un tentativo di rovesciare il nazismo con un’Organizzazione detta “Orchestra nera”, reclutò alla causa contro Hitler il colonnello generale Friedrich Olbricht (intendente generale dell’esercito territoriale) si creò un forte collegamento tra il gruppo von Tresckow e i cospiratori del gruppo berlinese. Vedi precedente nota n.187. (Fonte: articoli vari tratti da fonti aperte in rete internet).
  50. Falco 1 Charlie: nominativo radio in codice che individua il Comandante dell’Unità di incursori del 4° Reggimento Alpini Paracadutisti “Ranger” responsabile dell’operazione “Kreisau Falco” del Piano B1) del Protocollo.
  51. Falco 1 Alfa: nominativo radio in codice che individua il Comandante della pattuglia di incursori del 4° Reggimento Alpini Paracadutisti “Ranger” con obiettivi Hitler ed Eva Braun.
  52. Per “restanti pattuglie” ci si riferisce a quelle costituenti l’Unità di incursori del 4° Reggimento Alpini Paracadutisti “Ranger” che hanno come rispettivi obiettivi: 2) Goebbels e famiglia; 3) Himmler e famiglia; 4) le guardie del corpo del Führer; 5) gli Ufficiali aiutanti di campo di Hitler, Goebbels e Himmler e la segretaria di Hitler Christa Schröder; 6) il Corpo di guardia della residenza; 7) le ronde interne al perimetro del Berghof; 8) le ronde esterne al perimetro della residenza; 9) il resto della guarnigione delle SS a presidio della residenza del Führer dislocato in caserma; 10) il personale di servizio della residenza del Berghof acquartierato in appositi alloggiamenti.
  53. Report: rapporto, termine inglese comunemente utilizzato dalle Forze Armate e dalle Forze di Polizia.
  54. il piano B1) è la parte di Protocollo dedicata all’eliminazione e/o esfiltrazione delle gerarchie naziste militari ed istituzionali, vedi precedenti pagine 181 e seguenti.
  55. Target: obiettivo.
  56. Offline: in informatica, di unità periferica di un sistema non collegata con l’unità centrale (contrapposto a online ).
  57. Il satellite militare Cosmo-Skymed di seconda generazione rileva la presenza umana all’interno di edifici, automezzi o all’aperto tramite il calore emanato dal corpo, rilevato da apposito Scanner termico.
  58. la 1a Leichte-Division, come le altre 3 impiegate nella campagna di Polonia, erano delle Unità miste, sostanzialmente Divisioni di cavalleria, con reparti motorizzati e rinforzate da un battaglione corazzato. La logica organizzativa, in origine, era di fornire alla cavalleria delle unità equipaggiate con mezzi da trasporto truppe semicingolati ad alte prestazioni e ben armati. Sebbene ne furono costruiti alcuni prototipi, la produzione di questi specifici mezzi non venne mai intrapresa perché tali assetti organizzativi delle divisioni erano in ogni caso già anacronistici nei concetti originari della Blitzkrieg che, ribaltando il concetto, poneva i mezzi corazzati al centro delle tattiche d’attacco. Pertanto, dall’ottobre 1939 in avanti le Leichte-Divisionvennero rapidamente convertite nelle 6a, 7a, 8a e 9a Panzerdivisionen, e come tali vennero impiegate fin dalla metà del 1940.
  59. La battaglia di Sedan del 1940(o seconda battaglia di Sedan) fu uno scontro combattuto tra la Wehrmacht e l’Esercito francese nel settore di Sedan nel corso delle prime fasi della campagna di Francia. Questa battaglia rappresentò un momento cruciale per le sorti dell’offensiva tedesca contro la Francia ed una delle operazioni militari più importanti e riuscite della prima fase della seconda guerra mondiale. Alcune divisioni corazzate tedesche del Gruppo d’armate A riuscirono a superare la Mosa ed a conquistare l’importante posizione di Sedan, ponendo così le basi per quella rapida conversione verso nord-ovest che avrebbe circondato in pochi giorni il grosso delle truppe anglo-francesi del Gruppo d’armate n. 1 in Belgio. La battaglia, preceduta dalla sorprendente ed inattesa avanzata delle forze corazzate tedesche nelle Ardenne, cominciò il 13 maggio 1940 con pesanti bombardamenti della Luftwaffe, che indebolirono le difese e scossero il morale delle truppe francesi schierate sulla linea della Mosa. Nel pomeriggio dello stesso 13 maggio, elementi del 19° Panzerkorps del generale Heinz Guderian, potente formazione meccanizzata costituita da tre Panzer-Division con oltre 850 carri armati, riuscirono ad attraversare il fiume a Sedan ed entro il giorno successivo consolidarono la testa di ponte al di là della Mosa. (Fonte: Wikipedia).
  60. Si tratta di Amedeo di Savoia, Duca d’Aosta, Governatore dell’Africa Orientale Italiana e Vicerè d’Etiopia.
  61. Sir Samuel John Gurney Hoare (Londra, 24 febbraio 1880Londra, 7 maggio 1959) è stato un politico britannico. Durante la prima guerra mondiale svolse il ruolo di agente di collegamento dell’intelligence britannica con il grado di Tenente Colonnello, in Russia e in Italia. In questo ruolo nel 1917 si incontrò con Mussolini, giornalista interventista espulso dal Partito Socialista Italiano, e che aveva da poco fondato un nuovo quotidiano, Il Popolo d’Italia. Hoare decise di finanziare Mussolini con 100 sterline alla settimana in cambio dell’impegno mantenere e sostenere la linea bellicista. Il governo britannico, dopo la Rivoluzione russa di ottobre e la sconfitta di Caporetto del novembre 1917, temeva infatti che l’Italia non mantenesse fede ai propri impegni e cercasse di uscire dalla guerra concludendo un separato armistizio con l’Impero austro-ungarico, per evitare quanto stava avvenendo sul fronte orientale con la richiesta di armistizio fatta agli Imperi centrali dai Russi bolscevichi e le trattative di pace subito avviate e poi sfociate nel Trattato di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918. Per queste ragioni, tramite l’MI5, Hoare iniziò a finanziare i gruppi interventisti italiani e, successivamente, nel dopoguerra, le formazioni fasciste, fiancheggiandone le azioni con il supporto di agenti provocatori, nell’ottica dell’affermazione in Italia di un forte Governo conservatore, cosa che poi avvenne nel 1922 con l’Esecutivo a guida Mussolini. In seguito, con la formazione del nuovo governo Baldwin nel giugno 1935, Hoare fu nominato Segretario di Stato per gli Affari Esteri. In quel periodo era particolarmente acuta la crisi italo-etiopica che avrebbe portato alla guerra in Abissinia. Il Ministro britannico con delega per la Società delle Nazioni Anthony Eden si recò a Roma in giugno, suggerendo un compromesso nel quale l’Etiopia avrebbe ceduto parte dell’Ogaden all’Italia e in cambio avrebbe ricevuto uno sbocco al mare a Zeila, nella Somalia britannica, ma Mussolini rifiutò questa proposta. Il 25 luglio 1935 spirò il termine ultimo indicato dalla Società delle Nazioni entro il quale Italia ed Etiopia avrebbero dovuto scegliere un arbitro, senza che si pervenisse ad alcun risultato. Mussolini rifiutò un secondo compromesso il 18 agosto 1935, durante una conferenza anglo-franco-italiana che propose un mandato congiunto sull’Etiopia, con un ruolo preponderante dell’Italia in campo amministrativo. Da quel momento Hoare indirizzò il nuovo governo britannico a muovere delle minacce velate verso l’Italia per mostrare la fermezza britannica: parte della Royal Navy fu spostata nel Mediterraneo, nelle basi di Gibilterra e Alessandria d’Egitto. Dopo lo scoppio delle ostilità nell’ottobre del 1935, Samuel Hoare ebbe vari contatti con il Ministro degli Esteri francese Pierre Laval. Quest’ultimo elaborò un progetto, approvato da Hoare, che fu presentato il 7 dicembre 1935 a Mussolini. Il Patto Hoare-Laval si proponeva di porre fine alla guerra con un compromesso e uno scambio di territori: all’Italia si offriva l’Ogaden e una parte del Tigrè, quasi i due terzi dell’Etiopia, e il diritto di inviare coloni nel rimanente terzo; a titolo di compenso, l’Etiopia avrebbe ricevuto una striscia di territorio della Colonia eritrea e il porto di Assab. Questa offerta era vantaggiosa per l’Italia, poiché la nuova Etiopia sarebbe stato uno stato fantoccio dell’Italia, e i territori offerti erano molto più estesi di quelli occupati fino allora dalle truppe italiane. Nelle sue memorie, Hoare sostenne che le sue intenzioni erano di preservare l’esistenza, sia pur ridotta, di uno stato etiope, e di distanziare l’Italia dalla Germania. Tuttavia nel 1935 Italia e Germania non avevano buoni rapporti tra loro, a causa del fallito tentativo tedesco di effettuare un colpo di stato in Austria, cosa che farebbe supporre un tentativo di giustificazione ex post di Hoare. Va ricordato però che i rapporti tra Italia e Germania erano notevolmente migliorati dopo la conferenza di Stresa, e che il maggior avversario del piano Laval-Hoare fu proprio il governo tedesco. Non partecipando alle sanzioni, in quanto aveva abbandonato la Società delle Nazioni, Adolf Hitler decise di riavvicinarsi all’Italia per far sì che non si consolidasse il «fronte di Stresa», nonostante l’opinione pubblica tedesca simpatizzasse per la causa abissina. Inoltre, mentre agli inizi di giugno, quando fu firmato l’accordo navale anglo-tedesco, il governo nazista mostrò di essere ostile all’Italia prevedendo un insuccesso italiano, invece alla fine del giugno 1935 la Germania divenne la principale fornitrice di carbone e altri materiali strategici per l’Italia, colpita dalle sanzioni economiche, determinando così un deciso avvicinamento delle posizioni italo-tedesche. Mussolini era comunque disponibile ad accettare l’accordo, ma attese alcuni giorni prima di rendere pubblico il piano e la propria adesione. Questo fu scoperto e denunciato come un tradimento ai danni degli Abissini da L’Echo de Paris il 9 dicembre 1935. L’opinione pubblica britannica ne fu molto colpita, mentre quella francese si divise tra la destra, che simpatizzava con i fascisti italiani, e la sinistra che li avversava. Hoare fu costretto a rassegnare le dimissioni e venne sostituito da Anthony Eden il 22 dicembre 1935 che assunse la direzione del Foreign Office. Dopo aver rivestito la carica di Primo Lord dell’Ammiragliato nel 1936 sotto il Governo Baldwin, con la successiva formazione del nuovo governo nel 1937 da parte di Neville Chamberlain, Hoare fu nominato Segretario di Stato per gli Affari Interni, compito al quale si dedicò con interesse ed impegno. Durante la crisi dei Sudeti appoggiò la politica di appeasement di Chamberlain, pur criticandone la scarsa esperienza negli affari esteri, e continuò ad appoggiare gli sforzi per la pace fino al 3 settembre 1939, data dell’entrata in guerra della Gran Bretagna contro la Germania. Allo scoppio della guerra fu nominato Lord Privy Seal (o Privy Council – Organo di Consiglieri del Sovrano britannico), rimanendo uno degli esponenti governativi più leali a Chamberlain. Si dimise nel maggio 1940, insieme a John Simon e Kingsley Wood, a causa dell’attacco alla Francia, nella crisi di governo che portò alla formazione nel nuovo gabinetto di Winston Churchill.
  62. Avanti! è stato un quotidiano italiano, dal 1896 ad oggi organo ufficiale del Partito Socialista Italiano. Il primo numero uscì a Roma il 25 dicembre 1896 sotto la direzione di Leonida Bissolati. La testata prese il nome dall’omonimo quotidiano tedesco Vorwärts, organo del Partito Socialdemocratico di Germania, fondato nell’ottobre del 1876. Ne fu direttore Benito Mussolini dal 1º dicembre 1912 ad ottobre 1914.
  63. Il Security Service, spesso indicato come MI5 (Military Intelligence, Sezione 5), è l’ente per la sicurezza e il controspionaggio del Regno Unito. Si occupa della protezione dalle minacce alla sicurezza nazionale, della protezione dei Sovrani britannici e dei membri della Famiglia Reale, della democrazia parlamentare e degli interessi economici britannici, della lotta ai crimini gravi, al separatismo, al terrorismo e allo spionaggio nel Regno Unito. Si occupa quindi della sicurezza interna, mentre il MI6 si occupa della sicurezza esterna. Dal 1995 ha sede a Thames House, a Londra. Dipende dall’Home Office (Ministero dell’Interno) ed è sotto la formale direzione del Joint Intelligence Committee (JIC). Negli anni dieci e venti del ‘900 ebbe considerevoli successi nel controspionaggio. La Germania continuò a tentare infiltrazioni di spie durante la Grande guerra. Ma l’MI5, usando un metodo che prevedeva uno stretto controllo sulle entrate e uscite dal paese e, fondamentalmente, un controllo su larga scala della posta, identificò facilmente tutti gli agenti. Nel periodo tra le due guerre l’attenzione del Servizio si concentrò sui tentativi dell’Unione Sovietica, e dei paesi comunisti, di fornire supporto ad attività rivoluzionarie nel Regno Unito. L’esperienza dell’MI5, unita all’iniziale incompetenza dei sovietici, permise di avere successo nell’identificazione e nel monitoraggio di queste attività. All’estero, il Servizio arrivò a supportare, in chiave anti-bolscevica in Italia, azioni anche violente di organismi paramilitari come le camice nere, finanziandone le attività e fiancheggiandole con agenti provocatori stanziati nel territorio italiano (si veda la precedente nota n.400).
  64. John Ford, nato John Martin Feeney (Cape Elizabeth, 1º febbraio 1894Palm Desert, 31 agosto 1973), è stato un regista e produttore cinematografico statunitense, famoso soprattutto per l’imponente produzione di film western e il record di 4 Oscar alla regia. Nel 1939 diresse Ombre rosse, unanimemente considerato il prototipo del western classico. Ad “Ombre rosse” furono attribuiti tre premi Oscar nel 1940.
  65. Helene Bertha Amalie Riefenstahl, detta Leni, (Berlino, 22 agosto 1902Pöcking, 8 settembre 2003) è stata una regista, attrice, produttrice cinematografica, ballerina e fotografa tedesca. Fu celebre soprattutto come autrice di film e documentari che esaltavano il regime nazista e che le assicurarono una posizione di primo piano nella cinematografia tedesca del suo tempo. In seguito, nel dopoguerra, si propose come autrice di opere sulle culture tradizionali africane e sulla biologia marina. La sua adesione al nazionalsocialismo fu caratterizzata dall’amicizia e reciproca stima con Adolf Hitler e dalla condivisione dell’estetica nazista, che contribuì a sviluppare e alla quale diede espressione visiva. I contrasti con alcuni gerarchi nazisti, soprattutto con il ministro della propaganda Joseph Goebbels, la spinsero a una progressiva autonomia dal Partito nazista. Tra i suoi indiscussi successi, oltre ai documentari sui raduni oceanici di partito a Norimberga, si segnala Il trionfo della volontà (Triumph des Willens, titolo scelto da Hitler), considerato un classico dei film di propaganda politica per l’efficacia nel glorificare la figura del Führer, nuovo messia del popolo tedesco. Il film glorifica il congresso nazista di Norimberga del 1934, ed è considerato dal critico Claudio Magris (Corriere della Sera, 14 agosto 2010) un “capolavoro di sinistra poesia, in cui la tecnica diviene cupo rito arcaico e sacrale di una perfetta manifestazione di potenza”. L’innovativa regia della Riefenstahl, che poté disporre della quasi totalità degli operatori cinematografici tedeschi e si avvalse di teleobiettivi e grandangoli, riuscì a trasmettere agli spettatori un epico senso di potenza attraverso inquadrature panoramiche di sterminate masse d’uomini marcianti in formazioni rigidamente inquadrate, accompagnate da una musica wagneriana travolgente. Estratti dei discorsi tenuti da Hitler e dagli altri gerarchi nazisti si intervallano e si fondono con l’incalzare delle immagini, che enfatizzano le scenografie imponenti realizzate per il congresso dall’architetto Albert Speer, destinato a diventare negli anni successivi uno dei più importanti leader del regime nazista. Lodato da Hitler come «incomparabile glorificazione della potenza e della bellezza del nostro movimento nazionalsocialista», Il trionfo della volontà vinse tra gli altri il Gran Premio all’Esposizione internazionale Arts et Techniques dans la Vie moderne di Parigi del 1937: la Riefenstahl fu la prima regista donna a ricevere riconoscimenti internazionali. Nel 1936 Hitler affidò alla Riefenstahl la realizzazione di un film celebrativo delle Olimpiadi di Berlino. Timorosa di eventuali interferenze creative da parte del potente ministro della Propaganda Goebbels, con cui i rapporti, inizialmente buoni, si erano nel frattempo guastati, ella chiese e ottenne di poter produrre direttamente il film – a differenza di quanto era avvenuto con quelli precedenti girati a Norimberga e prodotti dal Partito Nazionalsocialista. La Riefenstahl dedicò quasi due anni di lavoro alla selezione delle scene e al montaggio, visionando oltre 400.000 metri di pellicola. Il risultato finale è quello che è considerato il film più importante della regista e uno dei migliori film dedicati allo sport: Olympia. In Olympia vengono ripresi i temi cari alla Riefenstahl: le grandi masse, l’esaltazione della corporeità e della bellezza dello sportivo, la musica travolgente, l’espressione della forza e della dinamicità del gesto atletico catturato dal dolly montato su rotaie e dal rallentatore. Sono temi tipici anche dell’estetica nazista e il film, nonostante riguardi la storia e lo svolgimento dei Giochi della XI Olimpiade di Berlino del 1936, aveva anche scopi propagandistici in favore del regime hitleriano, che peraltro sfruttò l’intero evento olimpico come cassa di risonanza per mostrare al mondo gli aspetti più benevoli e presentabili della “nuova” Germania (durante le Olimpiadi cessarono le persecuzioni antisemite). La Riefenstahl scartò tutti i filmati, ancora conservati, in cui appariva un’immagine di Hitler diversa da quella della propaganda del Partito. La relativa libertà creativa che la Riefenstahl pretese, le permise di riprendere atleti di ogni nazione e di dedicare all’afroamericano Jesse Owens, l’atleta più rappresentativo delle Olimpiadi del 1936, una cospicua parte del girato, nonostante i richiami di Goebbels che avrebbe voluto celebrare i trionfi della razza ariana e non certo quelli di un atleta di colore. Olympia vinse la Coppa Mussolini come miglior film alla 6ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 1938, ma vanno segnalate le forti pressioni del regime fascista sulla giuria internazionale. Il tour promozionale negli Stati Uniti iniziò poco dopo la Notte dei cristalli (il pogrom condotto dai nazisti tra il 9 e il 10 novembre 1938) e la Riefenstahl dovette affrontare l’ostilità della stampa, della Anti-Nazi League e di Hollywood, alimentate da Fritz Lang e dagli altri cineasti tedeschi espatriati a causa del nazismo. Le contestazioni non le impedirono di incontrare Walt Disney (che in seguito si giustificò dicendo di non sapere esattamente chi ella fosse) e di organizzare una proiezione privata per una cinquantina tra critici e addetti ai lavori. Nonostante la critica entusiasta del Los Angeles Times, Leni Riefenstahl non riuscì a far distribuire il film negli Stati Uniti d’America. Il periodo bellico fu per lei travagliato; all’inizio del conflitto si trasferì in Polonia come corrispondente di guerra al seguito delle truppe tedesche, per documentarne la vittoriosa avanzata. Il 12 settembre assistette all’eccidio di Końskie: 30 civili ebrei furono uccisi per rappresaglia a un presunto attacco a soldati tedeschi. Ne fu sconvolta, ma il 5 ottobre filmò ugualmente Hitler e la Wehrmacht che sfilavano vittoriosi a Varsavia. Lasciò la Polonia poco dopo con il desiderio di tornare al suo cinema. Il 21 marzo 1944 la Riefenstahl sposò il maggiore Peter Jacob, da cui divorziò nel 1946. Dopo il crollo del fronte occidentale nella primavera del 1945, la Riefenstahl lasciò Berlino nel tentativo di raggiungere la madre. Più volte arrestata dalle truppe americane ed evasa, si consegnò ai soldati americani che avevano circondato la sua casa materna. Trascorse tre anni fra la detenzione in carcere e gli arresti domiciliari, intervallati da un ricovero per depressione sotto la custodia prima degli americani e poi dei francesi. Nel secondo dopoguerra le divenne molto difficile lavorare a nuovi film e fu sottoposta a diversi processi penali per la sua connivenza al nazismo, con alcune assoluzioni ed una condanna subita dopo aver intentato un processo di diffamazione verso la collega Nina Gladitz per la vicenda dell’utilizzo in un suo film (Tiefland, 1941) di comparse Rom provenienti da un lager nazista. Si dedicò sempre di più alla fotografia ed ai documentari naturalistici, viaggiando spesso in Africa. Nel 2002, alla veneranda età di 100 anni, Leni Riefenstahl realizzò il suo ultimo film, un documentario di riprese sottomarine: Impressionen unter Wasser (Meraviglie sott’acqua). All’inizio del 2003 sposò il suo collaboratore Horst Kettner, di quarant’anni più giovane di lei. Pochi mesi dopo, l’8 settembre 2003, morì nella sua casa di Pöcking in Baviera, all’età di 101 anni.
  66. SIRI è l’assistente vocale utilizzato sui sistemi IOS in uso sugli Iphone.
  67. Con la sua proclamazione nel 1871, la Confederazione Tedesca del Nord (Norddeutscher Bund) divenne l’Impero Tedesco (Deutsche Reich). Esso era una monarchia federale, in cui l’imperatore era il capo di Stato e presidente dei monarchi federati (i re di Prussia, Baviera, Württemberg e Sassonia, i granduchi di Baden, Meclemburgo-Schwerin e Assia, e altri principi, duchi e le tre città libere di Amburgo, Lubecca e Brema). Sotto la costituzione imperiale, la Germania era una confederazione di Stati sotto la presidenza permanente della Prussia. Il re di Prussia era chiamato nella costituzione Presidente della Confederazione. Di conseguenza la corona imperiale era legata direttamente alla corona prussiana, cosa che Guglielmo II avrebbe scoperto a sue spese alla fine della prima guerra mondiale. Egli credette erroneamente di governare l’impero in unione personale con la Prussia. Al termine della guerra, pur rinunciando al titolo imperiale il 28 novembre 1918, sperò inizialmente di poter almeno conservare la corona di Prussia, ma così non fu neanche per il figlio Guglielmo di Prussia che abdicò anch’egli il 1° gennaio 1919, rinunciando ufficialmente ai propri diritti sulla corona tedesca e su quella prussiana il 1º gennaio 1919. (Fonte: Enciclopedia libera del web Wikipedia ed altre fonti aperte su internet)
  68. Alla caduta di Napoleone Bonaparte, dal 1° novembre 1814 ed il 9 giugno 1815, si svolse, sotto la guida di Gran Bretagna, Austria, Prussia, Svezia e Russia, con l’intervento della Francia rappresentata da Charles Maurice Talleyrand (Ministro dei esteri sotto il Regno di Luigi XVIII), si svolse il Congresso di Vienna, una conferenza per ridisegnare la mappa d’Europa e ripristinare l’Antico regime (Ancien régime) stravolto dalla Rivoluzione francese e dalle Guerre Napoleoniche. Le potenze vincitrici decisero di ricostruire una stabilità politica volta alla pace tra i Paesi e alla neutralizzazione della Francia in quanto potenza territoriale, operando una suddivisione equa e bilanciata tra gli stati vincitori dei territori conquistati da Napoleone. Il Congresso stabilì due principi: il principio di legittimità in base al quale fu riassegnato il trono a coloro che erano ritenuti i legittimi sovrani e che erano stati deposti durante il periodo napoleonico edil principio di equilibrio concepito con lo scopo di non concedere ad alcun Paese la supremazia territoriale in Europa e di equilibrare le forze delle varie potenze europee in modo che nessuna di queste potesse prevalere sulle altre.
  69. Sitzkrieg: finta guerra o guerra sedentaria o strana guerra, era il termine tedesco con cui veniva definito il periodo dalla fine della campagna di Polonia (1° ottobre 1939) all’inizio della campagna di Francia (10 maggio 1940), che fu caratterizzato dalla sostanziale stasi delle operazioni militari (belliche). Al confine francese, nei pressi della Linea Maginot, addirittura i sorvoli degli apparecchi tedeschi venivano ignorati dalla contraerea francese che non sparò neanche un colpo per respingerli convinta della propria inviolabilità, così come i velivoli tedeschi non sparano né sganciarono ordigni sulle posizioni francesi, limitandosi alla sola attività di ricognizione aerea.
  70. Nella divisione amministrativa del III Reich nel 1939, Bamberg o Bamberga faceva parte della Regione della Franconia, nel Gau (distretto amministrativo) “Bayerische Ostmark”. In precedenza apparteneva al più ampio Länderdella Baviera al quale ritornò al termine della seconda guerra mondiale.
  71. Nei primi tre mesi di guerra, in Polonia, le Einsatzgruppen trucidarono ben 50.000 polacchi di origine ebrea. (Fonte: Documentario storico sul canale TV Digitale terrestre “Focus” di sabato 19 novembre 2022 ore 20.30).
  72. SS-Obergruppenführer: grado della gerarchia delle SS (Schutzstaffel) corrispondente al grado militare di Generale di Corpo d’Armata.
  73. La 1a Leichte-Division agli ordini diretti della 10. Armee dell’Heeresgruppe Süd, fu poi ricostituita, subito dopo la campagna di Polonia, nella 6a Panzer-division.
  74. Servizio di Tutela: è un servizio svolto dalle Forze di Polizia verso Magistrati, Autorità Istituzionali o altre persone individuate a livello prefettizio, in cui si sorveglia in modo palese e/o occulto la persona sotto tutela per difenderla da eventuali attentati o aggressioni alla persona stessa. Si differenzia dal Servizio di Scorta perché in quest’ultimo la persona scortata non viene mai lasciata sola nei suoi movimenti in ambiente esterno, sottoponendola ad una protezione più assidua e con l’intervento di più Agenti ed automezzi, mentre il Servizio di Tutela è normalmente svolto da un solo Agente con o senza l’automezzo.
  75. L’Aeronautica Militare Italiana dispone attualmente di un lotto di 200 missili aria-terra SCALP EG o Storm Shadow. Una parte di essi è stata impiegata contro obiettivi ben fortificati in Libia nel 2011, dimostrando la precisione e l’efficacia della doppia testata. Dispone, inoltre, di un lotto di missili aria-terra AGM 88 Harm, per la soppressione delle difese aeree nemiche, una parte dei quali è stata impiegata contro le difese aeree in Libia nel 2011. Infine, dispone anche di un lotto di missili antinave AS 34 Kormoran. L’Aeronautica possiede altresì di un numero imprecisato di Bombe a guida laser B61 (nell’ambito del programma di condivisione NATO) e di bombe a guida laser GBU e JDAM.
  76. La Linea Curzon fu una linea di demarcazione proposta nel 1919 dal ministro degli esteri inglese George Nathaniel Curzon come possibile armistizio tra la Polonia a ovest e la Repubblica socialista federativa sovietica russa a est, durante la guerra sovietico-polacca del 19191920. Il piano di Curzon non fu accettato da nessuna delle due parti in lotta allorché la situazione militare volgeva in proprio favore, e infatti non ebbe alcun ruolo nello stabilire il confine polacco-sovietico nel 1921. La linea che separava le zone di occupazione tedesca e sovietica dopo la sconfitta della Polonia nel 1939 seguiva all’incirca la linea Curzon, ma includeva nel territorio dell’Unione Sovietica la città di Białystok e la Galizia orientale. La linea fu utilizzata nel 1945 come base per il confine permanente tra la Polonia e l’Unione Sovietica. Per gran parte della sua lunghezza la linea Curzon separava le regioni dell’ovest, a maggioranza polacca, dalle regioni dell’est, a maggioranza non polacca, secondo la frontiera etnica definita dalla commissione della Conferenza di pace di Parigi del 1919. Comunque, la linea Curzon poneva entro i confini polacchi una porzione di territorio etnicamente ucraino: Posiannia (detta anche Regione di Sian dall’omonimo fiume), Podlachia e parti delle regioni di Chełm e Lemko.
  77. Si chiama Butterfly Effect o effetto farfalla. Nella teoria del caos, l’effetto farfalla è la dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali in cui un piccolo cambiamento in uno stato di un sistema non lineare deterministico può provocare grandi differenze in uno stato successivo. Il termine è strettamente associato al lavoro del matematico e meteorologo Edward Norton Lorenz il quale notò che l’effetto farfalla deriva dall’esempio metaforico dei dettagli di un tornado (l’ora esatta della formazione, l’esatto percorso intrapreso) influenzato da perturbazioni minori, come una farfalla lontana che sbatte le ali diverse settimane prima.

[1] Gli argomenti sono stati tratti da diverse fonti, tra queste Wikipedia.

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